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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Messaggi di Dicembre 2016

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Post n°660 pubblicato il 30 Dicembre 2016 da enodas

 

 

 

In qualche modo, queste sono righe paperella. Sì, suona un po' strano così, però credo che qualunque cosa trovi sempre una sua strada tra ricordi e connessioni. Così, volevo solo dire che oggi ho camminato dopo tanto tempo in una città che mi piace tantissimo, anche se vi sono stato davvero poche volte, e pure di fretta. Una di quelle dove proprio mi piacerebbe vivere. Ho camminato per poco tempo, quanto mi concedeva una giornata d'inverno, il sole basso, il cielo freddo ma limpido e, lungo la strada, il paesaggio piatto della pianura inghittito da banchi di nebbia, tra ciottoli, torri e chiese nascoste dentro altre chiese. Ma soprattutto, ho attraversato labirinti di portici, quei portici, che mi portavano chissà dove, o chissà forse lo so, mi piacerebbe, fin fuori la città, verso una collina che non ho in realtà mai raggiunto. E siccome le immagini spesso ritornano, io poi sono fatto così, ho gettato uno sguardo anche alle spalle, perché un gesto bello é sempre piacevole, anche quando lo si osserva da lontano, anche con occhi diversi. Allora, ho pensato a tante cose che rimarranno scritte nel calamaio di un inchiostro, o magari su un foglio nero su nero, non importa, perché so che valgono molto.

 

 

 
 
 

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Post n°659 pubblicato il 26 Dicembre 2016 da enodas

 

 

 

"Alcuni giornalisti si stanno chiedendo da quindici giorni perchè gli artisti che hanno esposto in Rue la Pelet si siano dati il nome di Impressionisti. E' molto semplice. Essi hanno posto la parola Impressionisti sulla porta d'ingresso della loro esposizione per non essere confusi con altri gruppi, e perchè tale parola
 li rappresenta in modo chiaro ed evidente agli occhi degli altri. Il nome anzi li rassicura, perchè gli Impressionisti sono abbastanza conosciuti e così nessuno sarà ingannato circa la direzione delle opere esposte.. Tutti questi artisti, vi rassicuro, sono sinceri; se ciò che realizzano non è buono, non
è colpa loro, perchè non possono fare nient'altro e in nessun altro modo. Impressionisti sono e le loro opere sono il risultato delle sensazioni di cui hanno esperienza. Mi è difficile capire che gli artisti possano mettere in dubbio, anche per un istante, la sincerità delle loro opere e dei loro atelier."


"Nel campo del colore, hanno fatto una autentica scoperta la cui fonte non si può trovare altrove. Scoperta che consiste propriamente nell'aver riconosciuto che la luce forte scolora i toni, che il sole riflesso dagli oggetti tende, a forza di chiarore, a riportarli a quell'unità luminosa che fonde i sette raggi prismatici in un solo splendido incolore, la luce."

 

 

Un ritratto, un oggetto, uno scorcio. Storie, racconti, percorsi. Con questa idea, coe una bussola, si attraversano gli anni dell'Impressionismo, dalla sua comparsa fino alla trasforazione verso un'eredità nuova ed un'identità differente. Come ogni pagina letta d un libro, anche il percorso del mondo dell'arte non sarebbe allora piu' stato lo stesso. Organizzata ed ordinata secondo lo stile consueto dell'organizzatore, nei suoi pregi e nei suoi difetti, questa mostra sembra voler tracciare filoni come racconti, ai quali legare una nuova moderna concezione di sentimento, di percezione, di rappresentazione dell'anima.
A tratti, avrei voluto scrivere qualcosa di me, lungo questi corridoi, magari immaginando che fossero rami di un labirinto senza destinazione. In questa conversazione che assume sfumature filosofiche, corde segrete sfiorate appena, delicatezza di un'arte che nella sua poesia, nella poesia di un'epoca, ha sfiorato l'infinito. Spazio, tempo. E' una storia che conosco, appresa passo dopo passo, attraverso immagini e luoghi, visitati, vissuti, osservati. Fusione di ricordi, come un'amalgama di colore e luce. Scrivo questo leggendo le note che hanno guidato questo percorso espositivo. Ed osservando le immagini che lentamente svaniscono nella loro definizone e diventano altro, qualcosa di piu' potente che si imprime negl occhi e si deposita sull'anima.
Ed allora, tra un appunto e l'altro, questa é la sua storia.

 

 

"Mio caro amico, esco dalla vostra esposizione strabiliato, meravigliato! Posso dunque dirvi di aver visto una pittura di acqua viva, mobile come il viso di una giovane donna, acqua dove i misteri si sono rivelati, acqua che l'ombra abita ed il sole svela, dell'acqua dove tutte le ore del giorno s'inscrivono, come gli anni sulla fronte dell'uomo."

 

Come punto di partenza dell'anima, lo sguardo, il ritratto: il modernismo della nuova pittura abbandona i toni celebrativi e si focalizza sull'introspezione. L'esempio dell'Autoritratto di Raffaello, in una copia di Ingres d'inizio secolo ("é all'anima che gli antichi volevano parlare...") pone l'accento su un modo nuovo di pensare il ritratto. Gli occhi, prima di ogni altra cosa si riempiono di una luce nuova e raccontano... raccontano, pensieri, delusioni, speranze, malinconia. Tutto accennato, perché sia il nostro, di sguardo, a poterlo percepire, come un alito che soffi oltre la nostra immaginazione. Siano quelli di un ragazzo con un frustino in mano, una bambina vestita con costumi esotici, una amante selvaggia, o un pagliaccio al centro del circo: il loro sguardo, nel silenzio, ci parla.

Dalla figura al paesaggio, nuovo, attuale, riempito di quelle stesse persone che lo popolavano ogni giorno nel proprio vivere quotidiano. Entra nelle tele degli Impressionisti quel giardino personale che riassume in sé il concetto di spazio. Qualcosa che si apre sul mondo, all'aria aperta, appunto, lungo i binari di una ferrovia, per esempio, che improvvisamente spalanca nuovi orizzonti ed apre ad un'esplosione di luce e colore. Tutto, segretamente, destinato ad evolvere in qualcosa di sempre piu' intimo e personale, quel giardino, appunto che diventerà spazio dell'anima.

Come un intermezzo, oggetti, immagini senza vita sospese nella tela, nerrano una storia dell'Impressionismo meno conosciuta, ed obbiettivamente meno esplorata. Ma anche in questo esercizio, terreno comune della pittura, sperimentazioni di luce e colore suggeriscono un'interpretazione elevata della percezione dello spazio, suggerendone, nuovamente, un'idea "sospesa, silenziosa, quasi sentimentale"

 

 

"La pittura di paesaggio non rappresenta ciò che vediamo o, meglio, che notiamo osservando una determinata regione, bensì - ed il paradosso è inevitabile - essa rende visibile l'invisibile, però come un che di lontano. I grandi paesaggi hanno tutti un carattere visionario. La visione è un divenire visibile dell'invisibile.
Il paesaggio è invisibile: perchè noi tanto più lo conquistiamo, quanto più ci perdiamo in esso. (...) Non abbiamo memoria per il paesaggio, e nemmeno per noi quando siamo nel paesaggio. Sogniamo in pieno giorno e ad occhi aperti. Siamo rapiti al mondo oggettivo, ma anche a noi stessi. E' il sentire. La coscienza vigile di sè è invece orientata in senso opposto: è il percepire."

 

Oltre gli sguardi silenziosi che mi hanno preceduto, infine, la seconda parte della mostra racconta per capitoli il filone piu' esplorato ed affascinante. Natura, paesaggio, ed infine un'arte, quella dell'Impressionismo che va oltre se stessa. Partendo da un'onda: quella colma di forza, natura pura traslata in immagine da Courbet.
Affascinato conoscitore, e collezionista, delle stampe giapponesi, e della bellezza lonana in esse contenuta, ogni artista si protende verso questo mondo fluttuante, da cui ognuno racconterà la propria storia. Rami spogli in un abbaglio di colore, manti di neve catturati tremando nel freddo, volumi gemetrici colmi di colore: la natura viene intesa in maniera nuova, come dimensione privilegiata nel quale dipingere la propria anima.

 

 

"Quelli che dissertano sulla mia pittura concludono che sono giunto all'ultimo grado di astrazione e di immaginazione legato al reale. Sarei più lieto se volessero riconoscervi il dono, l'abbandono totale di me stesso."

 

E' un viaggio che volge al termine: ognuno secondo la propria inclinazione ha saputo portare se stesso ad un estremo. Temporalmente, ed artisticamente, le ultime firme, lungo direzioni differenti, saranno quelle di Cezanne e Monet. Quel "Plen Air" é stato sostituito, o meglio si é evoluto, in rielaborazione ed investigazione intima. Nascono le serie, soggetti osservati e dipinti come fossero parti di un'incredibile Aria con Variazioni. Lo spazio si sposta, appunto, entro quel giardino personale che diventa sempre più impalpabile, eterno, in un punto dove spazio e tempo sembrano trovare una dimensione comune sulla tela. Non più luogo, ma labirinto di colore, di forme, di materia, in cui lasciare l'anima alla deriva. Un'immersione totale, in cui rifulge, abbagliante, l'espressione del sentimento.

 

"Non ho altro desiderio che fondermi più intimamente nella natura..."

 

 

"...una mostra storica che potesse racchiudere i motivi più distintivi della ricerca mia personale e di Linea d’ombra quale strumento organizzativo. Una vasta esposizione dedicata alle Storie dell’Impressionismo, raccontata in 140 opere (soprattutto dipinti, ma talvolta anche fotografie e incisioni a colori su legno) e sei capitoli, con un forte intento di natura didattica. Per dire in ogni caso non solo quel mezzo secolo che va dalla metà dell’Ottocento fino ai primissimi anni del Novecento, ma anche quanto la pittura in Francia aveva prodotto, con l’avvento di Ingres a inizio Ottocento, nell’ambito di un Classicismo che sfocerà, certamente con minore tensione creativa, nelle prove, per lo più accademiche, degli artisti del Salon. Ma anche, con Delacroix, entro i termini di un così definito Romanticismo che interesserà molti tra i pittori delle nuove generazioni, fino a Van Gogh.

Quindi mettendo in evidenza quanto preceda l’Impressionismo - e lo prepari anche come senso di reazione rispetto a una nuova idea della pittura - e quanto da quell’esperienza rivoluzionaria, e dalla sua crisi negli anni Ottanta, nasca e si sviluppi poi, fino a diventare pietra fondante del nuovo secolo ai suoi albori.
...le diverse sezioni della mostra – d’impostazione tematica sui grandi argomenti del ritratto, della figura, della natura morta e del paesaggio - non sono mondi a se stanti e indipendenti, e invece la pittura accademica viene inserita quale contrappunto nelle sezioni stesse, così da far comprendere uno degli assunti fondamentali del progetto: cioè che il linguaggio nuovo dei giovani Impressionisti, e prima di loro dei pittori della scuola naturalistica di Barbizon, vivesse nel tempo stesso del Salon. Un’esperienza storica che si esprime in parallelo, e simultaneamente, nelle strade di Parigi e nelle campagne di Francia, lungo i suoi fiumi e le sue coste. Quel Salon al quale del resto, pur rifiutandone lo spirito di rievocazione e di conservazione, gli Impressionisti ambivano a partecipare, essendo comunque il solo luogo che poteva garantire visibilità e fama.

..."

(dall'Introduzione alla Mostra)

 

 

 
 
 

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Post n°658 pubblicato il 23 Dicembre 2016 da enodas

 


Il mio post natalizio lo scrivo in aereo. Si', perché anche io sono uno dei centomila o giu' di li' che per andare a casa a Natale deve varcare il confine. Ho letto qualche blog giornalistico, analisi psico-socio-economiche, lettere di espatriati rimbalzate sui social media ed ovviamente molte frasi colorite sull'argomento. Una in particolare, postata da un amico, irripetibile, continua a passarmi per la testa e farmi ridere tanto era mista di ironia e rabbia.
Io, invece, vorrei parlare dei miei pensieri adesso, mentre siedo da qualche parte nel mio aereo low cost prenotato a ridosso di fine estate (visto che questi giorni i prezzi salgono in fretta), e con lo zaino scassato che ho ottimizzato per i controlli militareschi pesi/misure.
Ed inizio con una frase un po' scorretta, ma piuttosto semplice. Ho letto le sparate del "ministro" Poletti e mi sono chiesto: " ma questo da dove cazzo sbuca fuori?" Davvero, niente di piu'. Mi sono pure messo a navigare su internet, cercando notizie, ma non é che sia arrivato molto piu' in là. Insomma, un curriculum di grandi esperienze.
Ma, ovviamente, non é questo il punto. Accanto a me siede la mia ragazza. Viene da un Paese lontano. Lontano davvero. Io sono orgoglioso del Paese dal quale provengo. Perché é parte di me, della mia storia, del mio modo di essere e della mia cultura. Arte, lingua, pensiero, sentimento, paesaggio e cucina. Qualcosa di molto diverso dagli stereotipi piu' inflazionati. Forse un po' sono in torto, in questo, perché continuo a guardare il lato positivo. In questa enorme differenza culturale con la mia ragazza, ci incontriamo e ci scontriamo, nella ricchezza delle differenze e nel rispetto reciproco. Ed ovviamente ognuno dei due cerca di condividere con l'altro quei motivi d'orgoglio ed amore per il mondo dal quale proviene, perché possa apprezzarlo ed in qualche modo lentamente entrare a farne parte. E malgrado tanti anni, ancora, il mio mondo rimane sospeso lungo questa tratta che percorre il mio aereo, col desiderio di realizzarmi nel mio Paese e di potervi costruire qualcosa. Ora, riguardando lei, so che senza opposizione a prescindere, sarebbe disposta a venire con me. Riguardando lei, penso a quante possibilità potrebbe avere, se già io non riesco. Indipendentemente dal curriculum, che in altri Paesi  riceve almeno una risposta ed una porta aperta, in contrasto al silenzio che affossa ogni applicazione che mando in Italia. Indipendentemente dai numeri, quelli dello stipendio, che scalerebbe di una percentuale a due cifre. Indipendentemente pure dalle condizioni generali del lavoro.
Perché molto si gioca su una concezione malata che in Italia c'é del lavoro, un circolo vizioso che si avvita su se stesso come un cancro.
Lavoro, guarda caso. Il ministero di uno che non trova altro da fare che sparare a salve arroganza all'ennesima potenza.
Dimissioni.
Perché, riguardo a tutto quanto ho scritto qui sopra, se mai riuscissi a spostarmi, sentirei un forte senso di colpa nel limitare le opportunità alla persona che mi sta accanto, per quel paesaggio deserto che si stenda davanti al mio come al suo profilo professionale. Che, per inciso, e lo dico senza nessuna aspirazione di arroganza, riguarda hi-tech e ricerca avanzata in un settore proiettato al futuro.
Allora, torno a chiedermi: ma questo, da dove sbuca fuori? Vorrei sapere se é meglio che stiano fuori persone come me, che l'Italia ha educato, che nel loro piccolo, da un punto di vista meramente economico, rappresentano un circolo virtuoso, o chi - tanto per dirne una - all'estero ci porta solo i capitali per evadere o pulire il proprio denaro? Vorrei chiedere se uno che spara cosi' a vanvera, si sia mai chiesto del senso di solitudine ed alienazione che si prova in terra straniera? Dei pianti silenziosi che, prima o poi arrivano? Della fatica che gente come me, nel suo piccolo quotidiano, deve fare per ribaltare quegli odiosi stereotipi che prima o poi ti vengono  sbattuti in faccia con un ghigno a cui non puoi reagire? Quel "pizza mafia e mandolino" che magari passa bene tra i palazzi del potere? Perché, diciamolo chiaramente, la gente all'estero guarda i politici nostrani come figurine dei fumetti, con la colla ben spalmata tra il culo e la sedia - anzi, le sedie - che occupano. Per inciso, lo fanno sempre con un ridolino che nemmeno tanto velatamente sputa fuori "corruzione", "fancazzismo" e, per l'appunto, "pizza mafia e mandolino".
Ecco, io che sono uno di quelli che per fortuna stanno fuori, ancora me la prendo per queste cose, quando identificano l'Italia nel Poletti di turno.
Forse ha ragione, il "ministro": sono proprio un pistola.
Altro che poletti: un asino.
Anzi, nemmeno. Poveri asini.
Un deficiente.

 

 
 
 

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Post n°657 pubblicato il 21 Dicembre 2016 da enodas

 

 

Mi rendo conto che é tremendamente un strano scrivere queste righe oggi, come un corto circuito di attualità e di emozioni. Però ho deciso di scrivere comunque, sia perché ciò che scrivo si riferisce a due giorni fa - domenica, sia perché in un certo senso descrivere cosa sono i mercatini di Natale per me sono una narrazione anonima di ciò che nel piccolo é stato ferito l'altra sera.

 

 

Sono passati degli anni. Ma le luci, i riflessi, e la gente é come se fossero rimasti lì lasciati da pochi minuti, per quella sensazione indescrivibile di calore e di gioia, un po' meraviglia, che mi infonde passaggiare da una piazza all'altra di Bruxelles all'ombra del Natale. Sono passati degli anni, e li sento nell'anima, nei miei ricordi. Eppure, oggi sarà un'altra pagina, da aggiungere, da scrivere, magari disegnare. Disegnare note e luci proiettate sulle architetture della città, o un accenno di danza, un boccone caldo tra le mani, ed i ricami dei merletti alle vetrine, catturando nell'aria spezzoni di frasi in una miriade di lingue differenti. Perché anche questa é una caratteristica un po' speciale dei mercatini di Bruxelles. Ogni volta che sono venuto qui l'ho fatto in contesti diversi, con cuori diversi ed aspettative che variavano alternandosi tra sogni, condivisione e promesse. Così, ho ascoltato, osservato, assaporato, chiudendo gli occhi un istante, magari, ogni tanto, come stessi cavalcando ponti sospesi tra isole custodi di un ricordo, e riaprirli ora, balzando avanti, con un sorriso.

 

 

 
 
 

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Post n°656 pubblicato il 19 Dicembre 2016 da enodas

 

 

Mi viene sempre da trattenere il respiro quando parte il richiamo della savana e sotto il fuoco immaginato di un sole rossastro iniziano a profilarsi le ombre degli animali. Arrivano, sul palco, da ogni parte. In un moto lento da processione, con effetti straordinariamente eleganti. Ho pensato, in quel momento, che in qualche modo un altro piccolo frammento che custodivo da qualche parte si staccava e sprofondava un po' più giù.
E' curioso pensare che se la prima volta avevo ascoltato questo musical in francese, adesso sia toccato in olandese. Anche se sempre alternato alla lingua della savana. E così, dopo anni, ho scoperto che in realtà certe scene non le ricordavo, non so se siano state aggiunte o modificate, ma che il musical del Re Leone rimane, per musica, storia e adattamento scenografico, uno dei miei favoriti tra quelli che ho avuto la fortuna di vedere. Ed é talmente tanto conosciuta e densa di significati che non credo abbia senso raccontarli. Per quanto mi riguarda, é qualcosa che si lega molto ad alcuni pensieri, ad alcuni momenti particolari che mi appartengono e che, per quel riflesso misterioso che é nei ricordi, quasi ne diventa un tutt'uno. Non so se questo aggiunga un alone di magia, ma per me rimane indimenticabile.

 

[...]

 

 

Night
And the spirit of life calling
Mamela
And a voice
With the fear of a child asking
Mamela

Wait
There's no mountain too great
Hear these words and have faith
Have faith

They live in you
They live in me
They're watching over
Everything we see
In every creature
In every star
In your reflection
They live in you

 

 
 
 

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Post n°655 pubblicato il 15 Dicembre 2016 da enodas

 

 

 

5-9 Novembre

Questo é un capitolo non scritto. Sì, il mio racconto inizia così, con appunti di viaggio soltanto immaginati. Come antichi disegni, salendo verso nord, svoltando a fatica tra il verde lussureggiante di una foresta tropicale, mi sono mosso seguendo il rumore assordante dell'acqua. Un salto nell'abisso, dove ogni goccia si frammenta nella schiuma sospesa nell'aria e nei colori riflessi di un arcobaleno sospeso. Sudore, sotto un'afa senza sosta, dove ogni passo pesa di più. Ho immaginato occhi, nascosti, dietro il bordo della foresta che mi faceva da ala: un'ombra, animale veloce, il canto di un uccello, od lo sbattere di occhi umani. E leggero, lontano, saliva il suono di un flauto: mi accompagnava sulle acque di un fiume, torbido e limaccioso, alla scoperta di rovine ora silenziose. Salivano, le note, sempre più intense, sempre più intrise di quell'umanità perduta il giorno in cui soldati armati e desiderosi di terre arrivarono alle missioni e disperdevano i Guarani lasciando dietro di sé l'ombra di pietre in rovina ed il silenzio delle note disperse tra le acque del Parana.

 

[...]

 

 

 
 
 

.

Post n°654 pubblicato il 07 Dicembre 2016 da enodas

 

 

 

Mi ritrovo a scrivere dallo stesso punto in cui avevo lasciato. Come se avessi posato la penna e lasciato aperte le pagine. Forse é così, anche se in un certo senso é come se avessi avvolto un quaderno e lo avessi portato con me dentro uno zaino caricato sulle spalle. A volte, l'ampiezza di certi momenti risalta maggiormente guardandoli da fuori, che sia indietro o in avanti ne cambia invece la prospettiva, come prima o dopo una corsa. Così, voltandomi ora e scintillando il mio sguardo nelle foto che ho raccolto e che finalmente posso guardare appieno, alcuni tratti di strada assumono quella sfumatura epica che mi ha fatto desiderare questo viaggio.
Ma allo stesso tempo riprendo da quell'ultima linea scritta, dove all'aspettativa si sovrapponeva un po' di paura, più del solito e meno giustificata di altre volte. Non so esattamente cosa sia successo. E non so se questo abbia in qualche modo influito su quanto sia successo appena posata la penna. Perché perdere un volo non fa mai venire buoni pensieri, ma perderne uno di durata straordinariamente lunga aggiunge un danno concreto non indifferente.
Ho pensato di lasciar perdere, in un giorno questo anzi é diventato dubbio, ad un certo punto quasi speranza, e poi razionalmente una perdita che andava oltre l'aspetto economico. Ed ancora folate di panico. Poi, mentre i numeri su internet cambiavano ad ogni click, alla fine sono partito.

 

 

"...come posto più sicuro della Terra venne scelta la Patagonia.
Immaginavo una bassa casa di legno, col tetto di assicelle, incatramata per resistere agli uragani, con dentro ciocchi fiammeggianti e, allineati sulle pareti, i migliori libri: un posto dove vivere mentre il resto del mondo saltava per aria.
Poi Stalin morì e noi cantammo nella cappella inni di gloria a Dio, ma io continua a tenere in riserva la Patagonia..."

(B. Chatwin)

 

Non so esattamente quando questo nome abbia iniziato ad occupare la mia mente. Ma, come all'inizio di un libro da scrivere, mi sono ritrovato in queste parole. All'inizio, era semplicemente un posto lontano, irraggiungibile ed impossibile. Poi, a poco a poco, é diventata una frontiera, un profilo sulla mappa, lo sfondo protagonista di pagine e persone, un ultimo ponte, un luogo non-luogo che traduceva in una qualche realtà quel posto lontano che avevo nella mente.
Avevo con me storie di pionieri, avitori, figure misteriose, rifugiati politici ed uomini in fuga dal mondo e da se stessi, banditi leggendari, e taccuini di viaggio.
Così, una volta arrivato, non sempre é stato così. Quel senso di frontiera, di luogo estremo, come il profumo delle pagine di un libro, qualche volta, svaniva sbiadito, dietro una macchina del turismo in qualche modo standardizzato ed inarrestabile, in piena azione, dove la "fine del mondo" diventava il nuovo brand da esibire. Questa sensazione, in alcuni posti, ha lasciato quella punta di amaro di fronte a qualcosa di non autentico, come perduto.
E quella frontiera si spostava un po' più in là.

 

 

E silenziosamente, con me, avevo anche un luogo che era continente e mondo nell'anima, una ferita sotto pelle che ogni tanto reclamava la sua presenza al nominare un luogo, ad incontrare persone provenienti da quel Paese, semplicemente pensando che per la prima volta ero qui, in Sud America, in quel mondo che volevo leggere in un paio di occhi. Domande inutili perché senza risposta e senza forse nemmeno fondamento, anche se per quanto non abbia senso razionale, ogni tanto il pensiero si ferma lì.
Ho pensato alla danza perché, per una inspiegabile serie di concatenazioni, si lega ad una pagina che ho lasciato scritto qui, moltissimo tempo fa, ad una pagina scritta altrova, qualche giorno dopo, ed a questo pensiero.
In realtà, ho sfogliato ripetutamente le foto che ho raccolto cercando quelle che più mi ispirassero per questo post, che da sole racchiudessero tutta l'essenza di un viaggio, ed ho avuto qualche difficoltà, perché ognuna ho pensato di lasciarla per un altra interruzione, sotto un altro paragrafo. Ed allora, sono tornato alla foto di una danza, catturata nella semi-oscurità di un padiglione, e ad un'immagine sfumata che ho nella mente.

 

 

E' riguardando le immagini che compio un altro viaggio. Ho gli occhi diversi, forse semplicemente capaci di osservare un periodo di tempo più lungo, un insieme continuo. E tutto appare un po' più grande. E' bastato uscire dall'aeroporto, alla prima cittadina in Patagonia per capire cosa quell'epica del luogo fosse intrisa nella desolante mancanza di qualsiasi variazione di ciò che avevo davanti. E lentamente germogliava la leggenda di un nome, o un numero, una distanza, una strada. Sempre più vicino, sempre interminabilmente lontano.
Ho lasciato che il nulla risplendesse. Ho attraversato luoghi spettacolari, di una bellezza disarmante, dove la natura splendeva in tutta la propria fragilità. Splendeva nei rumori, fosse esso vento, folate di fuoco strappate ad un braciere, o ghiaccio in distruzione. Ed ogni volta lasciavo cadere la meraviglia per aver pensato di aver visto il luogo più bello. Sono rimasto sotto un cielo ineguagliabile, quei "cieli indimenticabili di Patagonia" che ho letto scritto una volta da qualche parte, un cielo che mutava ad ogni istante, e non importava quante foto, scattate quasi a caso, potessi cercare, sullo schermo apparivano qualcosa di unico. E non saprò dire perché, ma a volte, di fronte a tanta bellezza, in modo improvviso quanto senza spiegazione, sono stato preso da un senso di profonda tristezza. Come un pugno pesante a stringermi il petto. Ed allo stesso modo come era arrivata, questa sensazione svaniva. Alla fine di una strada tutta in salita, dal vetro di un bus, o da un punto privilegiato sul mondo. Nel silenzio, ho pianto.

 

 

2 voli persi (1 internazionale)
3 voli interni
7000 km (stimati) via terra
3 y 40, las Rutas
300000 pinguini
250 grammi di gelato, ogni sera in Ushuaia (e non solo Ushuaia...)
5 Paesi (2 persi) e 10 timbri sul passaporto
45 min di panico, in coda per uscire dal Cile, quando mi sono accorto di non avere lo scontrino ricevuto all'entrata 6 giorni prima
2 mesi, ho promesso a me stesso di non lamentarmi dei venti olandesi, a bordo del "Patagonia" mentre attraversavo l'Estrecho de Magallanes
1 bus broken on the way
7 treks - 21 km il più lungo, 18 km il più sfaticante, 11 km il più spettacolare, 3 km il più cool (letteralmente...)
8 euros, la ruberia imposta dalle banche ad ogni prelive, su un massimo consentito di 120 euro (questo non é scritto su nessuna guida!)
150 milioni, gli anni in qui gli alberi si sono tramutati in pietra
11000 anni, la più antica mano impressa su roccia
2 bicchieri di whisky, con ghiaccio purissimo
4 libri letti
una fortuna sfacciata col tempo
innumerevoli variazioni di blu

 

 

 
 
 
 
 

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