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Messaggi del 16/01/2016

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Post n°593 pubblicato il 16 Gennaio 2016 da enodas

 

 

Chapter 3 - Deep India (1)

6,7,8 Novembre

 

 

Riprende il mio viaggio, e riprendo il mio racconto... Riprende con una corsa in tuctuc per le vie di Delhi, in uno snodarsi nel traffico come le spire di un serpente, verso la stazione. Pertito il treno, lentamente la città si allontana. Lo fa attraverso il paesaggio, che gradualmente si trasforma, lungo binari percorsi con lentezza estenuante, laddove costruzioni regolari lasciano spazio sempre più continuamente a baracche, e poi infine nemmeno quelle, soltanto accampamenti, aggregazioni di vita disposta attorno, sempre più verso una campagna che si inghiotte nell'aria densa e polverosa. Tramonta, tutto varia in una tinta di rosa aranciato, e non sai se ciò che vedi sia nebbia, afa sospesa, polvere. Su questo treno inizia una nuova parte del viaggio, con nuove aspettative, ma sicuramente quella più incognita. Incognita per i continui spostamenti, non organizzati, per il tragitto, che passerà per strade meno battute, e per quanto possa aspettarmi con l'immaginazione, che, in parallelo agli sguardi che getto fuori dal finestrino, ho la sensazione di addentrarmi oltre un nuovo limite, oltre un porto relativamente sicuro, verso un mondo ancora più profondo e lontano. Così, come altre volte, ripeto con la mente date e luoghi, per come li ho pensati, come se punti su una mappa, pur senza linee, mi dessero una conferma.

 

 

Ho vagato nel buio per percorrere qualche centinaia di metri. Non un buio silenzioso e solitario di certo. Questo é l'arrivo in stazione, la sera, un intrico di voci ed attenzioni che annullano l'orientamento e tolgono quel poco che potrebbe dare la luce del giorno. Credo che in qualche modo lo scompartimento del treno fosse uno spaccato di questa parte di viaggio: una coppia americana, di rapido passaggio tra Himalaya e rotta verso casa, che é scesa ad Agra, prima che la sera inghiottisse il treno verso città sconosciute, una giovane ragazza che di fronte a tre stranieri ha voluto scambiare cabina ed il suo sostituto, un giovane ingegnere impiegato in una delle tante aziende IT alle porte di Delhi. Quando lo lascio, ha ancora tutta la notte davanti per arrivare alla città natale. Ultima destinazione. Perché mancano cinque giorni a Diwali, ed ormai é solo questione di conto alla rovescia. Ho vagato ancora, infine mi sono unito ai passengeri di un risciò, per cinque rupie soltanto, tanto ero vicino, e neppure l'uomo che pedala di fronte a me sa bene dove portarmi. Non voglio lavarmi, vista la camera.

 

 

Sole, di prima mattina. Ancora rumori della città che siano accettabili e traffico mezzo sopito. Mi faccio portare su, ai piedi della rocca. Il tuctuc sbuffa, nell'ultima parte, mentre inizia ad arrampicarsi, e qualche donna con bambini al seguito sta uscendo dalle case per avviarli a scuola. Perché l'ultima parte la percorro camminando. Ed un bambino si affianca, per andare a scuola, per parlare con lo straniero, per vendermi qualcosa, non lo so, ottengo risposte diverse. Ecco, sulla spianata che domina la città, é come trovare un angolo di campagna in un mare di costruzioni. E dal basso salgono su, fino alle torri del palazzo i clacson, sempre più insistenti, sempre più numerosi, le voci, ogni segnale di attività umana. Come se un nugolo di api operaie si fosse rimesso al lavoro e si muovesse, oltre la cortina di aria densa e polverosa che si leva dal terreno ed attutisce la vista. Ed il paesaggio, più in là, scompare, inghiottito anch'esso, prima che la natura faccia la sua ricomparsa. Tra silenzio e caos, in questa giornata che inizia, con una forza sempre crescente, quasi fosse una marea che sbatte contro una scogliera, con onde sempre più alte. C'é un contrasto netto, continuo, tra ciò che associamo a bellezza, ed una definizione diversa di bellezza. C'é questo contrasto continuo tra vestigia, palazzi come questo, o i templi e le sculture giganti che si sparpagliano attorno, e la cura, la noncuranza, con cui vengono tenuti, quasi nascosti tra sterpaglia e cancelli arrugginiti, tra il paesaggio all'orizzonte, perso nel nulla, e l'abuso del terreno.

 

 

Credo che ricorderò questo luogo. Un'inaspettata oasi di tranquillità in una mappa colma di nomi. Per qualche ora, é un altro mondo, al termine di una strada colma di gente. Una dimensione umana. E poi, oltrepasso un ponte, e su un'isola silenziosa strade disegnate tra gli arbusti conducono ad un labirinto di palazzi, camere, piani e passaggi. Tramonta, quasi. E nuovamente la vista si perde in colori sfumati. Mi arrampico, affaccio su un balcone, quasi spalanco una finestra. E dietro un'onda di luce personaggi misteriosi stanno seduti, tra preghiera e meditazione. Scalzi, scoperti, barba lunga e capelli bianchi, ed un bastone nodoso. Guglie puntate nel cielo, da lontano, forse non troppo, sbucano in quel paesaggio che solo pochi minuti prima osservavo da una torre angolare. Ed ora invece no, gradino dopo gradino, salgo, lungo un percorso che saranno pure pochi metri ma di colpo formano un palcoscenico intero di venditori, questuanti, animali e, varcata la soglia, mi immergo nella penombra.
Non restano che pochi minuti ormai. Ho imparato che diventa buio in fretta. C'é un fiume amplissimo, al termine del paese, ed un ponte a singola corsia che connette blocchi di pietre lungo il passaggio. So che devo riattraversarlo prima che faccia buio. Ma da questa posizione privilegiata il suono dell'acqua é un calmante di emozioni e fatica, e lo sguardo abbraccia tutta la sponda. A gruppi, bambini giocano nell'acqua, e sollevano schizzi verso alcune donne che lavano vestiti. qualcun'altro insistentemente vuole che osservi una bancarella o parli coi genitori, che insieme non supereranno di tanto la mia età. E nel silenzio, qualche altra figura, scompare nell'acqua, riemerge e ad occhi chiusi e labbra serrate pronuncia una preghiera.

 

 

Appena varcata la soglia la prima sensazione é l'odore acre dovuto alla presenza di pipistrelli che sale alle narici. Centinaia, forse pure di più: se ne scorgono malapena le sagome appollaiate a testa in giu, su un soffitto che scompare alla vista nel buio totale, o se ne avvertono i fischi striduli ad intermittenza. E nel buio ancora più intenso che origina dal contrasto con l'esterno emergono figure sinuose e danzanti, commistione di uomini e divinità, fusione di corpi. Nell'interno, attorno l'ara sacra, in questo silenzio rischiarato da un raggio di luce, la loro narrazione é ancora più trascendente.
E' una danza, impressa nella pietra, quella che corre, lungo le pareti, una successione infinita di movimenti, di musica e di gemiti, amplessi e gesti. Semplici ed umani, come estrarre una spina dalla pianta del piede o l'atto di truccare gli occhi, o complicati ed espliciti, al limite della natura e del naturale, o del divino. Poi, improvvisamente, un giorno remoto, tutto questo sparì e la musica cessò come risucchiata nel suo stesso vortice. Una stirpe guerriera, una pietra che arde del sole, lavorata ad ogni angolo, ogni singolo spazio, ed un racconto senza tempo delli pulsioni più arcaiche, quasi ancestrali. Svettano, attorno pinnacoli, uno accanto all'altro.

 

 
 
 
 
 

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