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Messaggi del 18/01/2016

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Post n°594 pubblicato il 18 Gennaio 2016 da enodas

 

 

Chapter 3 - Deep India (2)

9,10 Novembre

 

 

Ecco, é troppo. Arrivare qui, il taxi bloccato in un incrocio che é pura folla. Non c'é spazio, non c'é passaggio, e non riesco a trovare il posto dove stare. 9 Novembre, tre giorni a Diwali. Una marea di gente che cammina lungo la strada verso il centro di questa cittadina. Istintivamente, penso di rinunciare, proseguire oltre, in qualche modo. E' l'impatto di tutta questa gente a scoraggiarmi. Come sono arrivato qui é una parte del viaggio. Nessun altro viaggiatore che abbia incontrato aveva sentito questo nome. E nessuno é compagno di viaggio. Con la macchina, sono stato condotto su strade sempre più precarie e sempre meno battute da stranieri. Ho viaggiato un paio di centinaia di chilometri nell'arco di ore. Il guidatore é un buon uomo, immagino. Ancor più quando vedo la sua abitazione e la sua famiglia. Il suo mondo. Non parla inglse, e come quasi tutti gli uomini, mastica le foglie di un pianta oppiacea continuamente, salvo poi sputare rosso ogni dieci minuti. Prima di partire conduce la macchina davanti alla sua casa, una stanza inserita in una piccola corte che é fattoria allo stesso momento, e carica la moglie col figlio minore. Seduta sul sedile posteriore col figlio in braccio, giovane e pure molto bella, dietro un velo rosso e colori sgargianti, per ore non dirà niente  evolgerà lo sguardo al massimo verso il finestrino. Nemmeno so quanti figli abbia, perché ognuno tiene in braccio il fratellino e tra sorrisi e gesti di bambini e donne che si indaffarano tra controllare i capelli dei bambini ed accudire gli animali non so cosa capisco e cosa invece immagino. Fango, animali, una stanza col fuoco al centro e quattro mura. E quest'uomo, che mi offre del the, ha una macchina ed ha un lavoro che sono già una sicurezza. E' molto forte stare qui, camminare nel fango e rifiutare ringraziando a gesti. E' molto forte, e molto complicato, attraversare questo paesaggio, bello ed in qualche modo crudele, osservandolo per ore dal finstrino di una macchina. Macchina che corre su strade a chiazze, a volte finite in niente più che una pozza di terra bagnata, con una guida spericolata, come si usa qui. E quello che attraverso sono villaggi di un'India profonda, sempre più povera, sempre più umile e colorata. Osservo i bambini, per l strade, mezzi nudi, o nudi completamente. Osservo i forni, improvvisati ad un incrocio. Oppure gli autobus sgangherati, che rallentano davanti a noi la via. Osservo... tutta la vita, inenarrabile che mi si snoda dinanzi, e le migliaia di anime che vivono col niente, rispetto a me. Sempre più profondo, questo viaggio, che mi tocca e mi stringe il cuore.

 

 

E' troppo, così penso quando mi dice che siamo arrivati e mi chiede dove dovrei stare. E invece no, anche con un po' d'aiuto, mi fermerò. Unico straniero. Ma mentre ancora cammino, lo zaino in spalla ed il tassista che chiede in giro e mi guida, arrivo qui. Arrivo al fiume. E' un'esplosione di colori, un'onda in movimento continuo. E' una meraviglia che, se non attenua la mia timidezza ed il mio disagio, per lo meno mi riempie gli occhi e mi fa sentire il valore di essere giunto fino qui. E l'atmosfera é quella di festa, non c'é angoscia, non ci sono ansie né paure: é solo una marea che cresce, di ora in ora, di gente che si raggruppa con la propria vita in un fardello sulle sponde del fiume, lungo i gradini che regolari scendono nell'acqua, ad entrambi i lati. E sotto i portici, ed oltre, le persone già si raggruppano in vista della notte, ad accendere un fuoco per la cena o semplicemente in attesa. Ed ogni immagine che posso catturare, anche solo con un battito di palpebre, é una scena completa, una pagina di un libro enorme che si sfoglia da solo velocemente sotto il mio sguardo. Avrei potuto fuggire, quasi, stretto dalle mie paure, dai miei limiti. Mi sono imposto di non farlo, e questa sarà una delle fermate più belle di tutto il mio viaggio.

 

 

Dalla terrazza di un edificio a dir poco trascurato, l'unico albergo della città, torno ad osservare le piccole scene di sotto. Ho conosciuto Jenny, una signora inglese in viaggio da sola, con una storia, tante storie da raccontari, ed una sensibile passione per la fotografia. Jenny conosce bene l'India, ha fatto volontariato e lavorato come guida, attraversa mezzo mondo in un modo o nell'altro ed in qualche modo mi prende per mano e mi aiuta a superare dubbi ed ansie. Non é poco, in un luogo in cui, incontrandoci, abbiamo raddoppiato il numero di stranieri presenti in città. E di fronte al mio sgomento per tutto quanto mi scorre dinanzi, semplicemente mi dice di lasciarmi andare, non farmene una ragione, perché non approderei a nessuna spiegazione. Sono sceso e sono andato per strada, ho attraversato il ponte e percorso la riva opposta,, trasalendo al baccano delle scimmie sui tetti di lamiera e cercando di cogliere con l'obbiettivo qualcosa da lontano, ho attraversato un altro ponte, un miglio più in là e sono tornato indietro. Quanto vorrei annotare ogni dettaglio che riesco a catturare, di suggita, come di sfuggita risalgo sulla terrazza, per timidezza. E sì, Jenny mi invita a scendere di nuovo e girare di nuovo, tra questi colori che riempiono l'anima e scene che toccano il cuore, bacini pieni di polvere sacra ed una tazza di the e latte. Sembra incredibile, ma dopo averla lasciata, dopo un English breakfast il giorno seguente, ci ritroveremo ancora, in due altre città colme di gente, sempre per caso. E forse non é nemmeno il caso, a volte compagni di viaggio ci vengono quasi come un dono, a condividere una tappa che può sembrare troppo ardua. E mentre salgo su una di quelle imbarcazoni colorate di fiori, la sera, varchiamo il sottile confine dell'acqua e nel buio che circonda l'acqua, da posizione privilegiata assistiamo agli ultimi bagni ed alle celebrazioni della sera.

 

 

Questo palco d'onore, che in un paio di giorni si riempirà esso stesso di pellegrini la notte é l'ultimo sguardo da cui non riesco a separarmi. Chitrakoot, questo luogo, mi fa venire in mente La città della gioia, per quanto riesco a ricordare. Osservo i bambini che ancora vendono le offerte da abbandonare alle acque immobili del fiume, che mi fanno pensare alla piccola fiammiferaia. C'é un contrasto lacerante tra la serenità e la dolce contentezza che vedo e la miseria disarmante che mi circonda. E' un'esperienza fortissima e disarmante. Come in un rito ai bordi dell'acqua, é necessario immergersi pienamente senza riserve mentali per poter provare a comprendere ed assaporare una piccola parte di tutto questo. Lasciare indietro tutti i nostri schemi ed i nostri filtri. Perché altrimenti, non ne usciremmo sani di mente. E questa piccola città, apputo, mi sembra davvero la città della gioia, per quanto non conosca davvero il romanzo e ricordi soltanto a grandi linee il film corrispondente, e semplicemente il senso di questa espressione che mi salta in mente. Una ragazza, avvolta nel suo sari, osserva anche lei dalla balaustra, tenendo stretti i due figli piccoli. E quest'uomo, che gestisce quest'edificio, con la sua aurea di misticismo ed esperienza mi domanda cosa sia per me la felicità. Lui che non si separa da questo luogo, che parla di induismo e descrive la sua organizzazione per dare un'educazione ai bambini del luogo. Cosa sia, ecco davvero no lo so dire, colpevolemente, io che ho tanto ed allo stesso tempo vivo dei miei crucci e dei miei piccoli problemi di ogni giorno. E' una sfida ed un viaggio profondo anche solo porsi questa domanda, e cercare inutilmente aiuto con gli occhi.

 

 

Ho ripensato alla danza. Colori su un palco e musica nel sangue. Nella sera riguardo immagini dei giorni passati. Questo Paese é permeato di danza, una musica - anzi molte, in un connubbio indefinito - costante. E' orgoglio, riscatto, istinto. E' danza la postura delle divinità lungo il perimetro dei templi, é danza ogni celebrazione, sia essa attorno ad un fuoco per scaldare o eco lontana ai lati della strada.
Un'altro spostamento, una nuova destinazione. Dove arrivo e questa volta davvero non attendo altro che ripartire. Ma, ancora, é lo spostamento in sé a raccontarmi qualcosa. Perché per partire da Chitrakoot posso solo salire su un autobus. E questa é un'esperienza. Impacchettato sul sedile, in un tragitto interminabile fatto di sobbalzi e scene di India sempre più profonda e sempre più remota. Eppure, in linea d'aria grandi città distano sì e no un centinatio di chilometri. E così arrivo coperto interamente di polvere, e per scendere, al capolinea non ho altro da fare che buttarmi sopra la gente che già prende d'assalto il bus per accaparrarsi un posto, mentre ancora rallenta. Sono scene anche queste, che raccolgo con me, fino ad arrivare a Sangam, punto d'incontro di fiumi sacri ed accampamenti di pellegrini sulla distesa verso le rive. Anche se, per quanto mi sforzi, non sarà questa la mia fermata più significativa.

 

 
 
 
 
 

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