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Messaggi del 21/01/2016

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Post n°595 pubblicato il 21 Gennaio 2016 da enodas

 

 

Chapter 3 - Deep India (3)

11,12 Novembre

 

 

Un giorno a Diwali. Oggi é Diwali. Sono su un treno che viaggia con ore di ritardo. Una mamma mi invita a mangiare dolci che ha preparato per il suo bambino e chissà chi altro andrà a trovare questa sera. Già in anticipo, preparando e leggendo, molto di quanto immaginassi ruotava a questa data e questa destinazione. "E cosa farai a Diwali?" Me lo chiedevano i miei amici indiani, prima che partissi, me lo ha chiesto chi ho incontrato finora qui in India. Che da giorni, in treno ho incontrato persone che tornavano a casa. Ed un sorriso tra il "bello" ed il "vedremo" compariva ogni volta alla mia risposta. Destinazione Varanasi: al cuore dell'India, al cuore di questo viaggio.
Varanasi é una delle più antiche città al mondo, abitate senza interruzioni. Ma soprattutto, Varanasi é il fulcro, il luogo più sacro e più importante dell'universo induista, terreno ed ultraterreno. Gran parte delle immagini che si associano all'India, le immagini lungo il Gange e dei pellegrini che vi si immergono, provengono da questo luogo.
Ed io sento che sto per penetrare uno dei posti più toccanti che possa immaginare.

 

 

Come d'improvviso, quasi sbucassero su un mare, dai vicoletti ci si affaccia sul Gange. Il fiume sacro, il cui nome da solo va pronunciato riferendosi ad un'entità ultraterrena. E da lì, i gradini scendono verso l'acqua, un impasto torbido e grigio che scorre lento e silenzioso. E come una scogliera, alle spalle si sviluppa la città, gigantesca in verità, fino ad arrivare a questo confine che é fisico ed invisibile allo stesso tempo, arrestarsi, su una linea che sembra quasi demarcazione con un altro mondo. Ed é così, in realtà, perché non é solo suggestione il sendo fortissimo di spiritualità che permea l'aria. Ed ogni suono é come attutito, e nelle ore di questo pomeriggio che sono arrivato, non c'é nemmeno tanta gente e le voci che risuonano sono più quelle dei barcaioli che vogliono farti risalire lungo l'infinita successione di banchine. Una successione che cambia carattere, di tratto in tratto, come se ai finachi della città fossero incastonati blocchetti di lego di natura diversa: ogni ghat ha la usa storia, il suo costruttore e le sue funzioni. Lungo di essi si svolge, come in un circolo destinato a chiudersi, le ore della vita.
Così, mentre tramonta, salgo su una di queste imbarcazioni per attraversarle, queste scene che si snodano davanti a me per la prima volta, fino alle pire ardenti, più a nord, ed ai cerimoniali della sera, poco più in qua. Ed i colpi di tamburo, i suoni delle trombe, i canti dei sacerdoti cui si uniscono l'ondeggiare cantilenante della folla giungono fino all'acqua.
Mentre il cielo inizia a risuonare di fuochi pirotecnici. La barca riapproda. Le strade risuonano di botti, ad illuminare la volta stellata ed i disegni tracciati a mano e sabbia davanti alle porte, all'ingresso delle case. Con le mamme che incitano i bambini ad esplodere i fuochi. Luci, dolci, lampi di tuono. Diwali. Ed io sono qui, al tavolo di una pizzaria di cui parla chiunque abbia incontrato in compagnia della viaggiatrice inglese ritrovata tra la folla, sulla cima di una terrazza poi, ad osservare, quasi a ripararmi, da questo fuoco profano che colma la notte.

 

 

Suona la sveglia, come una lama nel cuore della notte. Le quattro di mattina. Ed é una manciata di ore, letteralmente, che tra i botti mi sono addormentato. Attraverso la casa, nel silenzio assoluto dove i miei passi sembrano rimbombi. E poi, sono in strada, uno zigzag di vicoletti che infine tacciono, la luce di una notte dove solo una leggera sensazione di fresco sfiora la pelle. Allora, giù, verso Assi Ghat, quello più a sud. Ancora silenzio, eppure qualcosa vicino al fiume lentamente inizia a muoversi. Chi si sveglia, chi sta giungendo. Ancora buio e l'alba é lontana. Risalgo, banchina dopo banchina, verso nord, al punto d'incontro con una coppia di italiani ed il nostro traaghettatore che il giorno prima ci ha convinto con gli occhioni dolci del suo bambino. Un sussurro, soltanto: é lacqua che si increspa quando balziamo per salire; e come un'onda che scompare, scompare anche quel sussurro leggero. Un colpo di remi, un altro: é come avventurarsi in un oceano senza confini, navigando nella condensa, scomparendo nel nulla e nel tutto. Ombre ci guidano, e canti flebili e fuochi leggeri depositati su un palmo di fiori. Inizia la preghiera mattutina, iniziano i bagni rituali.

 

 

Ed a poco a poco i volti si fanno più chiari, gli sguardi si incrociano, a volte, per qualche istante, e quasi lasciano trasparire un sorriso. Un altro colpo di remi, la barca che scivola sempre silenziosa. E fotogramma dopo fotogramma passano davanti agli occhi le banchine, gli uomini in barca, la gente che arriva alle rive del Gange, il sole che alle nostre spalle inizia a scaldare la luce del cielo. Un'altra realtà, quasi impalpabile, tanto forte é la spiritualità del luogo, infusa nei gesti quasi meccanici della gente, permeata nella condensa a livello dell'acqua. Acqua torbida e silenziosa che racchiude vite e storie, le lava, le fagocita, le cancella per sempre. Ed in alcuni punti si accendono le prime pire, segno di un rituale che nel dolore rimane interminabile che si ripete quotidianamente. C'é chi scarica la legna, di prima mattina, come trasportasse un carico qualsiasi. Ed accanto un corpo disteso viene immerso per l'ulima volta. E' una pace di morte, questo silenzio, che contrasta così tanto col sole in arrivo.
Altri colpi di remi, verso est, dall'altra sponda, dove altri accampamenti di pellegrini si stanno risvegliando. E l'atmosfera cambia, il luogo é pieno di vita ed il rito quasi si fonde con il gioco, quasi questo lembo di sabbia fosse una spiaggia e l'acqua la riva di un mare. Gioia e semplicità. Un paio di cavalli lacnciati al galoppo, sullo sfondo. Un altro colpo di remi, ed acqua torbida, laddove perfino lo sguardo non riesce a penetrare, tanto repelle. Segreti, nascosti sotto la superficie, il corpo di un cobra, quello di una rana, galleggiano, e chissà che altro, anche un ramo da lontano sembra la propaggine di uno spettro.

 

 

A piedi, lungo quella stessa riva. Sui gradini si alternano persone che scendono verso l'acqua, bambini che giocano e linee di sari stese dall'alto fino al pelo dell'acqua. Colori, ancora. Un caleidoscopio. Come quello di esistenze che brulicano, avanti e indietro. Santoni, gente normale, miserabili, ognuno sullo stesso circuito. Aquiloni nel cielo e bambini che trasportano barche. Cani che abbaiano e vacche che pascolano tra rifiuti e spazzatura. Tutto il sublime e lo squallore si scontrano sullo stesso piano senza soluzione di continuità. E così, risalendo per le strade, avvolto nel clamore e nel traffico mano che sebra trasbordare, ancora. Dove gli dei scendono per strada, sfilano tra ali di rumori, musica, danza, ed un continuo di colori. Dove tutto sembra fondersi in un uno, come il fiume sacro nel quale va a sfociare. E' troppo, ancora una volta, capire, interpretare, comprendere. Posso solo seguire il flusso, immergermi in tutto questo e viverlo per un istante.

 

 

Come richiamato da un polo magnetico, dalla folle delle strade, sono tornato al fiume. E sono sbucato qui, a M Ghat, dove di scena va l'ultimo atto della vita. Ero passato anche prima, di sfuggita in cammino, da lontano, sulla barca. Ora no, come bloccato da una forza irresistibile, resto immobile e lo sguardo fisso. A Varanasi si viene a morire, e giungere qui é considerato un privilegio dell'anima, nella speranza che questa venga liberata da un ciclo perpetuo. Ho le pire di fronte agli occhi, e tra il fuoco divoratore, a tratti si vede oltre la fiamma. Tutto quello che resta di un'esistenza. Mentre lentamente si traduce in cenere. Odore intenso, e fumo sinistro. Da un lato la legna é accatastata secondo la specie e la dignità che i soldi permettono ad un funerale, ed occhi esperti devono valutare con precisione quanta ne serva. Ci vogliono ore a bruciare un corpo. E' un processo lento e straziante, in cui il dolore sembra abbracciare un senso più alto ed una filosofia troppo lontana da me. Perché tutto quanto é nel sentimento umano sembra rimanere confinato ed accetto nei gesti e negli occhi. Di fronte a sguardi spenti per sempre. C'é chi arriva diettamente con un letto, chi sbuca dai vicoli con una barella avvolta di fiori e tessuti scintillanti. E poi, inizia il rituale. L'ultimo bagno, il lenzuolo bianco appoggiato sulla legna, il fuscello di arbusti che ardente lentamente si avvicina alla catasta. La vita si confonde sfacciatamente con la morte. Bambini arrivano con gli acquiloni, giocano ad una manciata di metri. E più in là, nel lezzo dell'acqua stagnante, coperta di stoffa gettate, pezzi di legna bruciati e chissà che altro un vecchio si immerge e beve l'acqua sacra. Non c'é confine, non c'é sipario, o un velo pietoso che separi questi mondi. E delle vacche dismunte arrivano, scendono i gradini, e nel fango e nell'acqua bevono, pisciano, cagano. E' un tutto magnetico e terribile, un affresco che mi si imprime dentro. Come si imprime la figure di un uomo chesui gradini arriva con un fagottino. Lo deposita in terra, qui, proprio davanti a me, saranno due metri non di più, davanti ad una panca che un venditore di thé ha sistemato per i suoi ospiti. Ma se questo é tremendo, é ciò che succede dopo ad essere insopportabile. Il padre si allontana, torna con un pezzo di pietra, si allontana ancora, un metro di spago, si allontana un'altra volta a contrattare con un imbarcadero. Due soldi, due soldi soltanto, perché tornino insieme e sollevano quest'anima andata. 21 grammi, la impacchettano sulla pietra, e la spostano vicino alla barca, su quel misto di fango e cenere dove poco prima é appena passata una vacca. Un poveraccio si siede, a poca distanza, con il suo frutto maturo che intaglia per condividerlo con un cane randagio. Quasi come in un moto di protesta, sotto il velo bianco sporcato di fango, il volto del piccolo reclina. La barca prende il largo, la stessa sulla quale quell'uomo insistentemente voleva farmi salire poco prima. Ed il poveraccio sghignazza davanti al suo frutto maturo spaccato in due. Ed un ragazzo vuole che lo segua perché salga su una pedana per vedere meglio. Cercando ogni stratagemma per ricavare qualcosa richiama al rispetto dei morti. Provo una rabbia feroce e silenziosa, un'impotenza straziante ed un groppo allo stomaco. Perché tutto va in scena senza pudore, senza barriere. E' come un calderone gigante, in cui ogni cosa si fonde. E quello che é naturale, anche nel suo aspetto più truce, si svela per quello che é, in tutta la sua miseria, in tutta la miseria nella quale ci troviamo come esseri umani. Questo senso di impotenza mi annichilisce. Mi annichilisce la testa reclinata, sotto un lenzuolo, le propaggini di un corpo che si intravedono dentro le fiamme, i resti gettati nella lordura del fiume. Sono immagini che non dimenticherò. Mai.
Il mio cuore si é fermato a Varanasi.

 

 
 
 
 
 

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