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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Messaggi di Aprile 2015

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Post n°543 pubblicato il 29 Aprile 2015 da enodas

 

E' un nome, su uno schermo, ed un pallino colorato a fianco, quello che rimane. Lo fisso, come se stessi fissando degli occhi. Ma non é così, non é mai stato. Tutto ciò che rimane. Fitti e taglienti come cristalli di ghiaccio, mi entrano dentro, affondano, cosa sono, pensieri, o immagini agglomerate nella notte, o più semplicemente nodi stretti al cuore.
Non so, non posso associare altro. Arido deserto o rovine silenziose, tutto ciò che rimane, é un solo profondo, un nodo che non si scioglierà mai, sommerso, strato su strato, appartiene ad un mondo che non c'é perché non esiste, nella mente, nel cuore, nella vita. Caratteri che sono pixel, illuminati di un colore o di un altro, pixel é quello che vedo.
Buonanotte.
Come nel buio più spento, nel nulla, si osservano proiezioni e pensieri. Nient'altro. Taglienti, come frammenti.
Chissà se mi senti. No, perché io non esisto.

 

 
 
 

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Post n°542 pubblicato il 25 Aprile 2015 da enodas

 

 

 

Una tavolozza di colori. Ed un cielo che a tratti sprofonda di nubi, a tratti si tinge "di sole e d'azzurro". Colori stesi su una tela che non conosce dimensioni. Brillano, quando mi abbasso alla loro altezza, come quei luccichii brillanti che normalmente si riflettono sull'acqua, perdono quasi forma e diventano un impasto unico, un'onda di colore, una tinta diversa, per ogni sezione, che riscalda come la luce di fine aprile, quella che cambia volto, improvvisamente, di questo Paese fatto di una linea piatta spazzata dal vento. Cambia, quello sguardo lanciato dall'aereo, se ti avvicini, e li scorgi, i campi in fiore, una marea di tulipani a definire dall'alto forme geometriche perfette tra linee tracciate dai canali ed invisibili mulini a vento. Così mi apparvero la prima volta che ne rimasi stupito. E pensai, come ogni volta, che se c'é un momento dell'anno in cui l'Olanda sfoggia tanta bellezza sia proprio questo, quei giorni d'aprile che improvvisamente vedono cambiare le temperature, e fanno sbocciare un mondo intero di tulipani. Mi appaiono così, radenti al terreno, questa volta, le mani sfiorano leggermente le punte dei fiori, per sentire quella freschezza che é la vita, per passare come un alito di vento ed assaporare l'intensità dei colori. Con le dita, come quando si sfiora l'acqua del mare, prima di immergersi.

 

 

Ci sarà un motivo per cui lo chiamano bosco delle fate. Quasi sospeso, su un tessuto leggero e monocromo. Un bosco di per sé é il luogo delle fate. E qui, infinite campanelle, con lo sguardo ricurvo, suonano nel silenzio che é proprio del bosco. Ecco, le fate sono quel colore, azzurro, violaceo, pallido e delicato, che improvviso si spande, solo pochi giorni, alla fine d'aprile, un manto che oscilla sull'alito del vento. E per me é sempre molto particolare tornare qui, quando ce n'é la possibilità, anche se questa volta sembra quasi che il segreto della magia sia un po' meno segreto, e sui sentieri si trova più di qualche persona. Ascolta... Mi vengono sempre in mente gli stessi versi. E mi sembra sempre si disperdano ogni volta nel vento per orecchie che non ci sono. E non so perché, forse il colore, forse la timidezza di queste campanule con il volto abbassato, c'é sempre una punta di malinconia, in questo luogo, che mi stilla, non so dove, non so come, come se volessi mostrarlo ad un destinatario immaginario, o forse a chissà quante persone cui vorrei rivelare questo segreto, racchiuso nell'ombra delle sequoie, ridipinto dalle chiazze di sole che passa tra i rami e giunge fino in fondo, dove un tappeto di piccoli fiori sussurra dolcemente di vita e di fiabe.

 

 

 
 
 

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Post n°541 pubblicato il 22 Aprile 2015 da enodas

 

 

Non posso che sentirmi a disagio nello scrivere di me, o di quello che mi accade o che faccio, del mio mondo sempre tanto piccolo, quando mi pongo di fronte a cose come queste. Non posso che sentirmi a disagio anche solo a parlarne, perché ogni parola sarebbe banale, forse pure un po' ipocrita. C'é un orrore infinito per questa mattanza continua, per tutte le altre mattanze che vi si celano dietro, perche' ogni esistenza é una storia, per il disprezzo. E la tristezza per la nostra assuefazione.

 

(Giannelli su Il Corriere della Sera)

 
 
 

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Post n°540 pubblicato il 17 Aprile 2015 da enodas

 

"... Nunca persequí la gloria,
ni dejar en la memoria
de los hombres mi canción;
yo amo los mundos sutiles,
ingrávidos y gentiles,
como pompas de jabón..."

(A.Machado)

 

 

Bisogna attendere che il pomeriggio volga al termine, e che col sole più basso all'orizzonte calasse anche la tensione, l'energia del giorno. Come prendere un respiro, soltanto più lentamente, ed essere più a contatto col silenzio, quello amplificato dal paesaggio, una distesa di fili lunghi ed ingialliti che ondeggiano come le fronde di una foresta. Bisogna attendere, un istante, rapidissimo, e sono dei profili sfuggenti che attraversano la strada, corrono su quei fili d'erba. Con la leggerezza stessa della luce che a quest'ora cambia colore. E lontano, due occhi tranquilli osservano, sulle ali di nuvole verdi, come in un quadro d'altri tempi ed un velo romantico, si girano, e si nascondono, scompaiono via.

 

 

In un parco che era dune e sabbia una volta, pianura e vento, tra laghi ed acquitrini, si trova un museo. Alle pareti scivolano veloci i colpi di pennello pastosi e sofferti di Van Gogh, su tutti, sfolgoranti, risvegliano un inconscio che già li conosce. Ed oltre, la natura ne lambisce il perimetro, si fonde, nel silenzio, nella calma e nel pensiero, lascia che sia così, una suggestione, che lambisce il colore.

 

 

 
 
 

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Post n°539 pubblicato il 13 Aprile 2015 da enodas

 

 

 

"...la linea deliziosa e interrotta della sua figura era il preciso punto di partenza, il richiamo inevitabile di quel complesso di linee invisibili che l'occhio non poteva trattenersi dal prolungare idealmente, miracolose, generate intorno alla donna come lo spettro di una figura ideale che si proietti sulle tenebre..."

 

Sembra quasi di volare, un colpo di pennello, un tratto di colore, come se fosse il vento stesso quello che senti nel seguire con gli occhi, per quanto veloce, impalpabile e denso allo stesso tempo. Un tratto che sembra quasi astratto, singolo, come fosse un graffio, ed invece é eleganza infinita, delicatezza e porta d'accesso, finestra su un mondo che se ne é andato, splendente come le luci la sera di una città che brilla nella notte, proprio come quelle figure, immortalate nella loro affascinante bellezza, in un tempo che visto così sembra già lontano, nell'attimo esatto che i colori si fissavano alla tela. Donne belle, bellissime, al limite della perfezione e dell'irraggiungibile, sotto quelle pennellate veloci che quasi scompaiono, in un punto qualsiasi, in uno sfondo senza riferimento, quasi comparissero all'improvviso e subito scomparissero nel nulla, sotto abiti splendenti, in un fremito che é un'alito di vita consegnato all'eternità. Gli occhi risplendono, di questa tavolozza brillante e senza limiti, in una serie infinita di variazioni sulla bellezza. Tanto da accendere il desiderio, cosa impossibile, a cavallo del tempo, nell'atto di un movimento, in un'espressione improvvisa, rubata, eppure non a caso, perché ogni segno era narrazione e sguardo indagatore.

 

 

"...ma dove Boldini emerse su tutti fu quando consacrò tutto se stesso nel ritrarre la donna francese, o meglio la parigina del suo tempo, mettendone in luce l’anima coi suoi sprazzi di passione, di vizio, di febbre, di tormento. Nessun artista francese ha saputo veramente comprenderla o renderla viva e palpitante come l’ha resa Boldini nelle sue tele che sembrano carezze, schiaffi e baci. [...] Né Duez, né Flameng, né Besnard o De Nittis, e neppure i modernissimi che della donna francese hanno soltanto riprodotto le sconcezze e il vizio, nessuno come il pittore ferrarese ne ha indovinato tutta l’intimità, la grazia, la duttilità, la dolcezza, o l’affabile condiscendenza in ogni manifestazione dell’anima di lei, sposa, amante, madre. [...] Più miracolosi se non sempre perfetti di forma, sono i ritratti di donna, nei quali perfino certe scorrettezze di dsegno sembranovolute di proposito, perché ne venisse al soggetto quella più viva intensità di espressione che forse si sarebbe attenuata, se per il dovuto rispetto alle regole del disegno, l'artista ne avesse corretto i contorni."

(V.M.Corcos - La parigina di Boldini)

 

Le donne. Ecco, gli appunti partono da qui, non possono non indugiare di fronte a questa galleria scintillante ed affascinante, come del resto non potevano ignorare il legame intrinseco tra un genere, quello del ritratto mondano ed il nome dell'artista che più di ogni altro lo seppe portare ad un livello estremo, fino a legarvi il proprio nome. Ecco, indipendentemente da tutto il resto, non può essere che questa l'immagine di partenza, di un ricordo e di un'immagine raccolta.
Ma é vero, la mostra su Boldini allestita a Ferrara é molto di più, e narra una vita intera e, in parallelo, accende i riflettori su una società ed un periodo - la Parigi di fine Ottocento e la Belle Epoque - di grande fascino. Mondana, raffinatissima, frivola. Un tempo perdoto, un mondo che si spegnerà, di lì a poco, inghiottito dalle ombre della Prima Guerra Mondiale, di cui rimangono le prime fotografie, in bianco e nero, così affascinanti e così distanti, ed immagini come queste.
Boldin arriva a Parigi da Firenze, e nella città delle luci si fermerà definitivamente. A contatto, fin da subito con fini pensatori e straordinari artisti, primo fra tutti Degas, quasi inondato da questo mondo intenso e dinamico, ne fissa ogni istantanea in disegni, appunti, bozzetti, eccellendo in ogni tecnica, spingendo al massimo le potenzialità dei colori, e la vivacità di uno stile pittorico inafferrabile.

 

"Il pittore aveva saputo immortalare il moto delle ore nell'attimo luminoso in cui la donna aveva sentito caldo ed aveva smesso di danzare, in cui l'albero era avvolto da un'alone d'ombra, in cui le vele sembravano scivolare su uno smalto dorato. Ma proprio perché l'attimo gravava su di noi con tanta forza, quella tela così fissata nel tempo dava l'impressione di un'estrema fuggevolezza, si sentiva che presto la donna se ne sarebbe andata, le barche sarebbero sparite, l'ombra si sarebbe spostata; che la notte stava per scendere e il piacere per finire; che la vita passa e gli attimi, mostrati contemporaneamente con tutte le luci che vi si fondono, non si recuperano più."

(M.Proust - Alla ricerca del tempo perduto)

 

 

Questo é il biglietto da visita, la premessa. Come un passo indietro, oltrepassando le prime sezioni, si torna a Firenze, ai Macchiaioli, per dirigersi poi, in Francia, via Londra, verso gli Impressionisti ed il mercante d'arte Goupil. Boldini non é Macchiaiolo, ne Impressionista, ma dialoga ed attinge a queste correnti, sviluppando uno stile ed un gusto propri. E' qui che, quasi, irrompe la moda, la vita della Parigi borghese, un mercante d'arte che dà un nome ad uno stile ed un gusto. In un mondo trasognato ed ovattato, occhi luccicanti scintillano e figure si muovono con la leggerezza di un passo di danza. Mentre lui cambia, ancora, entra dentro le proprie narrazioni, indaga personaggi famosi, belle donne e giovani amanti. Lui, che era dichiaratamente carattere chiuso e scontroso, sembra quasi sovvertire se stesso nei propri quadri. In una Parigi nella quale una generazione di artisti giunti dall'Italia cercò ispirazione, ma della quale rimase il nome più acclamato e più rappresentativo.
Per me, una mostra ricca ed affascinante, non solo per l'artista, che conoscevo poco, ma anche per l'epoca nella quale si colloca. "Lo spettacolo della modernita", il titolo, in questo senso, mantiene le promesse. Ed ogni passaggio di questo racconto trova spazio e rappresentazione, per quanto non se ne voglia se le immagini che ho scelto sottolineino soltanto alcuni di questi passaggi. Che del resto, soo quelli che mi hanno affascinato di più. Una mostra raffinatissima, dunque, che per un attimo, fa immergere in uno di quei "tempi che fu".

 

[...]

 


“C’est un classique!”. E’ questo il riconoscimento dato a Giovanni Boldini (Ferrara 1842 – Parigi 1931), fin dalla prima esposizione postuma che si tenne a Parigi a pochi mesi dalla morte. “Il classico di un genere di pittura”, ribadì in quella occasione Filippo de Pisis.
La Fondazione e i Musei di San Domenico di Forlì proseguono nella esplorazione, attraverso nuovi studi e la riscoperta di opere poco note, della cultura figurativa tra Otto e Novecento, proponendo per la stagione espositiva del 2015 una approfondita rivisitazione della vicenda di Giovanni Boldini certamente il più grande e prolifico tra gli artisti italiani residenti a Parigi.

Nella sua lunghissima carriera, caratterizzata da periodi tra loro diversi a testimonianza di un indiscutibile genio creativo e di un continuo slancio sperimentale che si andrà esaurendo alla vigilia della prima Guerra Mondiale, il pittore ferrarese ha goduto di una straordinaria fortuna, pur suscitando spesso accese polemiche, tra la critica ed il pubblico. Amato e discusso dai suoi primi veri interlocutori, come Telemaco Signorini e Diego Martelli, fu poi compreso e adottato negli anni del maggiore successo dalla Parigi più sofisticata, quella dei fratelli Goncourt e di Proust, di Degas e di Helleu, dell’esteta Montesquiou e della eccentrica Colette.

[...] Uno di punti di maggior forza, se non quello decisivo, della mostra sarà la riconsiderazione della prima stagione di Boldini negli anni che vanno dal 1864 al 1870, trascorsi prevalentemente a Firenze a stretto contatto con i Macchiaioli. Questa fase é caratterizzata da una produzione di piccoli dipinti, soprattutto ritratti, davvero straordinari per qualità e originalità.
Le prime sezioni saranno dedicate alla immagine dell’ artista rievocata attraverso autoritratti e ritratti, alla biografia per immagini, all’atelier, alla grafica così rivelatrice della sua incessante creatività.
Le sezioni successive ripercorreranno attraverso i ritratti di amici e collezionisti la grande stagione macchiaiola.
Seguirà la prima fase successiva al definitivo trasferimento a Parigi, caratterizzata dalla produzione degli splendidi paesaggi e di dipinti di piccolo formato con scene di genere, legata al rapporto privilegiato con il celebre e potente mercante Goupil.
Avranno subito dopo un grande rilievo, anche per la possibilità di proporre confronti con gli altri italiani attivi a Parigi, come De Nittis, Corcos, De Tivoli e Zandomenenghi, le scene di vita moderna, esterni ed interni, dove Boldini si afferma come uno dei maggiori interpreti della metropoli francese negli anni della sua inarrestabile ascesa come capitale mondiale dell’ arte, della cultura e della mondanità. Seguiranno infine le sezioni dedicate alla grande ritrattistica che lo vedono diventare il protagonista in un genere, quello del ritratto mondano, destinato ad una straordinaria fortuna internazionale."

(dall'Introduzione alla mostra)

 

 

 
 
 

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Post n°538 pubblicato il 07 Aprile 2015 da enodas

 

 

 

Che cos'é la notte... un buio che divora, un'assenza, un viaggio od un riparo... cos'é, forse lo specchio di quello che osserviamo, come un riflesso sull'acqua, di quello che siamo, degli occhi spalancati, socchiusi, piangenti. O forse sarà una nota dopo l'altra, come l'estratto di una poesia intonata alla luna, solo un po' più malinconica, un po' più sola, perché la musica penetra con profondità quel buio che é la notte ed il profondo dell'anima.
Ho pensato che, parlandone, si dice sempre che la notte ci avvolge: ecco, cosa significa, incosciamente, lo si esprime in una parola, questo qualcosa che non si tocca e che comunque si fa strada colmando lo spazio di un qualcosa che lo rende inaccessibile.
Ho pensato che é vero, ogni scritto del pilota aviatore, parla della notte. Nel sud della Patagonia, dentro un temporale mortale o in volo su Arras, su un pianeta lontano coi suoi quarantatre tramonti ed in mezzo al deserto. Proprio al deserto, ho pensato. Alle dune colorate quando la luce diventava radente ed i contrasti sulla sabbia erano così intensi da far brillare la sabbia d'oro e di rosso, ai colori dei monti, oltre un mare salato senza vita, ed all'esplosione di stelle nel silenzio del vento.
E poi, sono tornato indietro, su scogli flagellati di vento sotto un cielo cupo di nuvole, o mi sono ritrovato ad osservare ona luce che si spegneva dietro una linea che non esisteva e che anzi era prossima a scomparire. Mi sono trovato in una stanza, steso a guardare una fioca luce accesa, tremolante, e niente più, nel silenzio, o magari guardare dalla finestra verso il cielo.

 

"Night time sharpens, heightens each sensation
Darkness stirs and wakes imagination
Silently the senses abandon their defenses

Slowly, gently night unfurls it's splendour
Grasp it, sense it, tremulous and tender
Turn your face away from the garish light of day
Turn your thoughts away from cold unfeeling light
And listen to the music of the night

Close your eyes and surrender to your darkest dreams
Purge your thoughts of the life you knew before
Close your eyes, let your spirit start to soar
And you'll live as you've never lived before..."

 

 

 

"...Incominciava ad addormentarsi, io la presi tra le braccia e mi rimisi in cammino. Ero commosso.  
Mi sembrava di portare un fragile tesoro.  
Mi sembrava pure che non ci fosse niente di più fragile sulla Terra. Guardavo, alla luce della luna, quella fronte pallida, quegli occhi chiusi, quelle ciocche di capelli che tremavano al vento, e mi dicevo:  
"Questo che io vedo non é che la scorza. Il più importante é invisibile..."   

... Sentivo che stava succedendo qualche cosa di straordinario. Lo stringevo fra le braccia come un bimbetto, eppure mi sembrava che scivolasse verticalmente in un abisso, senza che io potessi fare nulla per trattenerlo...  
Aveva lo sguardo serio, perduto lontano..."

 

Inizia di notte. Le luci si spengono, o quasi, e sul suffitto, davvero, sembra sia un cielo stellato. Mi addentro nell'ombra di una civiltà scomparsa, millenni addirittura, ed immagino l'ondeggiare dei giunchi sul Nilo. La prima notte é quella del distacco dalla vita, quella delle tenebre che avvolgono. Ed in questo viaggio ignoto, l'uomo portava con sé la vita, le immagini scolpite sulla pietra od un ritratto introspettivo dipinto su legno che osserva, a distanza di ere intere, ma anche gli oggetti di una vita, cui restare col cuore aggrappato, in un'eterna speranza, e gli ushabti, le piccole figure di pietra azzurra che allora, in quel mondo, avrebbero seguito la persona nel viaggio. In queste figure si condensa tutta la tenera fragilità di quegli uomini tanto lontani, anche quando avevano il potere di consegnare il proprio volto alla pietra.
Quindi, si spalanca una finestra e si accende la luce. La notte é là, fuori, oltre lo sguardo. La notte avvolge, é contesto, racconto. E' il buio che riempie la scena, a volte elemento che focalizza la scena su episodi differenti a livelli differenti, ma anche un mondo nascosto oltre un ostacolo. E' qui che il buio quasi diventa attore, selezionando, o rinchiudendosi su personaggi ritratti, in una serie infinita di San Francesco, fino alle declinazioni più estreme che lambiscono gli orrori del Novecento, dove figure indefinite, spettri, quasi emergono dal buio più profondo ed orribile.
Mi calo in un ambiente senza colore, fatto di bianco, di nero, e di segni graffiati su una lastra: attraverso prigioni profonde e tanto cervellotiche da sembrare un'anticipazione di secoli rispetto ad Escher, fino al buio infinitamente variato delle incisioni di Rembrandt.
E mi trovo nel Romanticismo, nelle note di un notturno che diventa musica dell'anima, sfocia in un cielo immenso ristretto in una cornice di piccole dimensioni. Niente é per caso, e quel momento in cui il giorno si congiunge alla notte é quello che più sa amplificare il contatto con l'invisibile che é dentro di noi. Così, si spalanca il mondo di due grandi personalità della pittura romantica, uno viaggiatore ed avventuroso instancabile, Turner, l'altro riflessivo e profondamente intimo, Friedrich, lui che non permetteva a nessuno di entrare nella stanza dove dipingeva, quasi potesse essere messo a nudo nell'atto stesso di dipingere se stesso. Talmente diversi, nei segni del pennello, nello spirito, nei significati nascosti che si celavano dietro la tela. E diverse erano le vie sulle quali si incamminavano, oltreoceano i pittori americani, scorgendo tra alba e tramonto un riflesso interiore o il lampo di un sogno. Ma il colore, nel segno della notte diventava sempre più intenso, sempre più intimo, attraverso i tratti pastosi e contorti dell'anima, quelli di van Gogh, su tutti, che partendo dalle proprie fonti di ispirazione (Millet) approdava ad un'espressione di sentimento puro e disperato.
L'ottocento aveva consegnato alla pittura una tavolozza di colori completa, quasi satura, raggiungendo il traguardo "di aver saputo descrivere la luce notturna"; il Novecento sembrava invece spalancarsi su un'altra notte, quella dell'uomo e della storia. Sullo sfondo scorrono le immagini di tragedie del mondo e tragedie esistenziali, si alternano nelle vite, finanche nelle storie singole dietro ogni tela. Ed un quadro di girasoli quasi sembrano la resistenza a tanta disperazione. Mentre tutto attorno ogni anima indaga la notte per indagare se stesso ed il tempo della vita. Notturni semplici, immagini presaghe, oggetti sospesi nel blu di una notte eterna , la ricerca della variazione dentro l'uniformità, infinite storie che si intrecciano, in sequenza, in questo racconto che volge al termine.
Un finale che ripartiva dall'inizio, dalle molteplici variazioni della parola "notturno", in un ultimo, ampio respiro, che vuole essere "mistero, forza della carne e dello spirito nella luce della notte, immagine del destino".

 

"Le colline, sotto l’aereo, scavavano già il loro solco d’ombra nell’oro della sera.
Le pianure divenivano luminose ma d’una lucentezza inconsumabile: in quei paesi non smettono mai di rendere il loro oro così come dopo l’inverno, non smettono mai di rendere la loro neve.
E il pilota Fabien, che portava dall’estremo Sud, verso Buenos Aires, il corriere della Patagonia, riconobbe l’approssimarsi della sera dagli stessi segni che fanno riconoscere le acque d’un porto: da quella calma, da quelle leggere rughe che appena disegnavano tranquille nubi. Egli entrava in una rada immensa e felice. Avrebbe potuto credere, in quella calma, di fare una lenta passeggiata, proprio come un pastore.."

 

 

Personalmente, penso che l'idea del notturno come protagonista di una mostra sia un'idea brillante e suggestiva, quanto estremamente ambizioso e complesso. Viene mantenuta questa promessa? Onestamente, non lo so... L'impostazione di questa mostra é fortemente personale ed introspettiva, e non potrebbe essere altrimenti, e come tale va, a mio parere interpretata. A partire dalle motivazioni e dai richiami, lo si comprende sin da subito, scorrendo il pannello introduttivo, le citazioni, ed iniziando a leggere questo racconto. Questo significa anche che il percorso proposto possa essere a sua volta manipolato secondo una teoria costruita ad hoc per ottenere richiamo. Passando di sala in sala, immaginavo a quanto, in questo racconto, fosse mancante, tessere di un puzzle enorme come enorme era appunto il tema che effrontavo, mentre altrove connessione e passaggi suonavano perlomeno stirati in una forzatura voluta.
Ma in ogni caso c'é la bellezza, quella presente di ogni tela, di ogni storia... questa comunque assoluta, indipendentemente dall'intento preciso di un'esposizione. Un'esposizione che, facendo leva sulle emozioni, sulle suggestioni, ha voluto riflettere sulle infinite variazioni della notte, soprattutto di fornte all'animo umano. Forse, mai come in questa occasione, "linee d'ombra" sembra un'espressione appropriata. Sorprendentemente (per me), la sezione incentrata sul Novecento l'ho apprezzata molto e mi ha preso per mano (in maniera giusta o meno, non importa) attraverso pittori che non conosco, o che conosco poco e mi ha permesso di sbirciare dentro la loro vita. "Il mare dell'anima", era scritto ad un certo punto, su un pannello. Pannelli che peraltro erano ampiamente ditribuiti e permettevano, passsaggio dopo passaggio, di seguire con coscienza, questa storia affascinante. Tanto, come appariva evidente nell'ultima sala, dove ognuna di queste variazioni si trovava insieme, condensava in un vortice sapientemente costruito. Lo specchio d'acqua come riflesso di un mondo infinito, un paesaggio impossibile che in sé agglomerava le immagini di una vita. Allora, l'idea principale da cui aveva preso, dichiaratamente, avvio questo percorso, si riaffacciava, con forza, e su un sentiero al tramonto, di linee contorte e colore, si perdeva nel buio.

 

 

"...Volevo raccontare una perdita, che si avvicinava e che infine è avvenuta. E volevo farlo evocando i colori della notte, nella luce del crepuscolo, di una prima sera che viene. Mi sembrava bello poter chiamare accanto a me tanti artisti che nella notte si erano perduti, dipingendo. E costruire così una storia dei notturni, nelle diverse loro motivazioni stilistiche e di sentimento, ma pur sempre una storia che al suo centro avesse la sublime dilatazione dello spazio, il nostro perderci in esso. Così come nello spazio si perde, svaporando, chi si congeda e vive fino in fondo, a noi sconosciuta, l’esperienza della notte stessa.
[...]

L’idea di questa mostra si feconda nell’approfondimento della Fenomenologia della percezione di Maurice Merleau-Ponty, libro epocale per gli studi nel XX secolo, uscito nel 1945 da Gallimard a Parigi. C’è un passo, in modo particolare, attorno a cui si è sviluppata la mia riflessione circa il tema della notte, e dal quale parte il progetto di questa esposizione: “Quando, per esempio, il mondo degli oggetti chiari e articolati si trova abolito, il nostro essere percettivo amputato del suo mondo delinea una spazialità senza cose. E’ ciò che accade nella notte. Essa non è un oggetto di fronte a me, ma mi avvolge, penetra attraverso tutti i miei sensi, soffoca i miei ricordi, cancella quasi la mia identità personale. Io non sono più trincerato nel mio posto percettivo per vedere, da lì, sfilare a distanza i profili degli oggetti. La notte è senza profili, è la notte stessa che mi tocca, e la sua unità è l’unità mistica del mana. Anche delle grida o una luce lontana la popolano solo vagamente, essa si anima tutta quanta, è una profondità pura senza piani, senza superfici, senza distanza da me. Per la riflessione ogni spazio è fondato su un pensiero che ne collega le parti, ma tale pensiero non si forma in nessun luogo. Per contro, mi unisco allo spazio notturno dal cuore di questo stesso spazio”.

La notte dunque come esperienza psicologica, come immagine di uno spazio che è vicino e lontano al tempo stesso. Immagine della realtà e del dissolversi di quella stessa realtà. Racconto e annullamento del racconto, nuovamente realtà che si spinge oltre la realtà. Da questa apparente contrapposizione tra elemento della concretezza ed elemento della dispersione, nasce l’idea di un racconto che vuole diventare cammino attraverso le immagini. Che fa della notte il simbolo di un viaggio che avviene e di un luogo al centro del quale si sta.

Se nella prima parte, infatti, la mostra intende soffermarsi, con la presenza di 22 tra reperti e statue egiziane rinvenute all'interno delle piramidi, sul senso della notte eterna e spirituale, ma fortemente collegata alla vita, in quella cultura. Notte intesa in senso figurato, come cammino nell’oscurità di un dopo morte che invece si illumina con la resistenza delle immagini della vita, degli oggetti della vita, le figure, i segni, i simboli. È la parte dell’esposizione in cui i dati della realtà diventano oggetti, gli oggetti che venivano custoditi nelle Piramidi, simbolo luminoso della notte dell’eternità, che però si portava dietro la vita.

Con le altre cinque sezioni ci si sposta molti secoli più avanti, nell’ambito questa volta della pittura, ma anche dell’incisione. La pittura che ha rappresentato la notte. La notte piena, oppure il suo giungere nell’ora del tramonto e del crepuscolo, la mareggiata delle stelle, la conclusione della notte stessa quando l’alba sta per giungere. Non ci si aspetti però di visitare un’esposizione fatta solo di neri notturni del cielo, o al più dei lumi delle stelle e della luna. La notte, e prima di lei la sera, sono intese in senso fortemente psicologico, e anche, in modo preponderante, quali scatole di contenimento di storie, di vicende, di forti dichiarazioni di fronte all’immenso o nella brevità dei giorni. Quando si confrontano il senso della casa e quello dell’eterno. E per far vivere questo sentimento, farlo scoccare come la freccia che lascia l’arco teso, è stata scelta la tematizzazione, così da consentire che sullo stesso argomento potessero essere vicini pittori che, pur a secoli di distanza, avevano creato la loro pienezza nel tratteggiare una stessa immagine..."


(dall'introduzione alla mostra)

 


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Post n°537 pubblicato il 03 Aprile 2015 da enodas

 

Immagini come diapositive che ritrovano luce dopo tanto tempo. Foto lasciate in un angolo chiuso perché non potessero uscire senza fare inevitabilmente del male. Sono tornato, per un qualche motivo ad una pagina, fisica, su cui scrivere. Ho guardato un volto, degli occhi, un tratto qualsiasi. Ho osservato, scavando nei ricordi, scavando nell'anima, tra quello che rimane impresso nella mente e quello che racconta un'immagine. Ho pensato con amarezza che non riuscivo a non associare a tutto questo quella cattiveria che mi ha frantumato l'anima. Ho pensato che non é, come potrebbe pensare razionalmente qualcuno, una presa di coscienza, od una cicatrice chiusa. No, é piuttosto uno strato pesante che copre ogni cosa. Lo stesso che a volte penso abbia sepolto una parte di me, o ne abbia addirittura plasmata un'altra, che non vorrei mi appartenesse.
Penso spesso che ci sono gesti cui darò sempre un certo significato. Tra questi c'é quello di tagliare le fragole, sentirne il profumo, spandervi sopra lo zucchero. E' talmente difficile da spiegare, forse anche un po' sciocco.
E rimango con questa sensazione, di fronte a delle immagini. Come se fossero graffiate, segno sopra segno. Ed io potessi solo vedere quello che é il mio cuore, e niente più.

 

 
 
 
 
 

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