EnodasIl mio mondo... |
... " Non si conoscono che le cose che si addomesticano", dissela volpe." gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!" ...
... "Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo",disse la volpe.
"Ma allora ch eci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
soggiunse: "Va a rivederele rose. Capirai che la tua è unica al mondo". ...
... "Addio",disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli occhi", ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa…" sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…"
Tutte le foto contenute in questo blog, se non specificato diversamente, sono mie e come tali sono protette da diritto d'autore. Rappresentano un momento, un istante, un'idea un'emozione.
Ho costruito un sito per raccoglierne alcune, e condividere una passione nata e cresciuta negli ultimi anni. Il sito é raggiungibile cliccando l'immagine qui sotto:
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ultimo aggiornamento: 20 Febbraio 2014
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Non mi piace
l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura
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Messaggi di Aprile 2015
Post n°543 pubblicato il 29 Aprile 2015 da enodas
E' un nome, su uno schermo, ed un pallino colorato a fianco, quello che rimane. Lo fisso, come se stessi fissando degli occhi. Ma non é così, non é mai stato. Tutto ciò che rimane. Fitti e taglienti come cristalli di ghiaccio, mi entrano dentro, affondano, cosa sono, pensieri, o immagini agglomerate nella notte, o più semplicemente nodi stretti al cuore.
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Post n°542 pubblicato il 25 Aprile 2015 da enodas
Una tavolozza di colori. Ed un cielo che a tratti sprofonda di nubi, a tratti si tinge "di sole e d'azzurro". Colori stesi su una tela che non conosce dimensioni. Brillano, quando mi abbasso alla loro altezza, come quei luccichii brillanti che normalmente si riflettono sull'acqua, perdono quasi forma e diventano un impasto unico, un'onda di colore, una tinta diversa, per ogni sezione, che riscalda come la luce di fine aprile, quella che cambia volto, improvvisamente, di questo Paese fatto di una linea piatta spazzata dal vento. Cambia, quello sguardo lanciato dall'aereo, se ti avvicini, e li scorgi, i campi in fiore, una marea di tulipani a definire dall'alto forme geometriche perfette tra linee tracciate dai canali ed invisibili mulini a vento. Così mi apparvero la prima volta che ne rimasi stupito. E pensai, come ogni volta, che se c'é un momento dell'anno in cui l'Olanda sfoggia tanta bellezza sia proprio questo, quei giorni d'aprile che improvvisamente vedono cambiare le temperature, e fanno sbocciare un mondo intero di tulipani. Mi appaiono così, radenti al terreno, questa volta, le mani sfiorano leggermente le punte dei fiori, per sentire quella freschezza che é la vita, per passare come un alito di vento ed assaporare l'intensità dei colori. Con le dita, come quando si sfiora l'acqua del mare, prima di immergersi.
Ci sarà un motivo per cui lo chiamano bosco delle fate. Quasi sospeso, su un tessuto leggero e monocromo. Un bosco di per sé é il luogo delle fate. E qui, infinite campanelle, con lo sguardo ricurvo, suonano nel silenzio che é proprio del bosco. Ecco, le fate sono quel colore, azzurro, violaceo, pallido e delicato, che improvviso si spande, solo pochi giorni, alla fine d'aprile, un manto che oscilla sull'alito del vento. E per me é sempre molto particolare tornare qui, quando ce n'é la possibilità, anche se questa volta sembra quasi che il segreto della magia sia un po' meno segreto, e sui sentieri si trova più di qualche persona. Ascolta... Mi vengono sempre in mente gli stessi versi. E mi sembra sempre si disperdano ogni volta nel vento per orecchie che non ci sono. E non so perché, forse il colore, forse la timidezza di queste campanule con il volto abbassato, c'é sempre una punta di malinconia, in questo luogo, che mi stilla, non so dove, non so come, come se volessi mostrarlo ad un destinatario immaginario, o forse a chissà quante persone cui vorrei rivelare questo segreto, racchiuso nell'ombra delle sequoie, ridipinto dalle chiazze di sole che passa tra i rami e giunge fino in fondo, dove un tappeto di piccoli fiori sussurra dolcemente di vita e di fiabe.
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Post n°541 pubblicato il 22 Aprile 2015 da enodas
Non posso che sentirmi a disagio nello scrivere di me, o di quello che mi accade o che faccio, del mio mondo sempre tanto piccolo, quando mi pongo di fronte a cose come queste. Non posso che sentirmi a disagio anche solo a parlarne, perché ogni parola sarebbe banale, forse pure un po' ipocrita. C'é un orrore infinito per questa mattanza continua, per tutte le altre mattanze che vi si celano dietro, perche' ogni esistenza é una storia, per il disprezzo. E la tristezza per la nostra assuefazione.
(Giannelli su Il Corriere della Sera) |
Post n°540 pubblicato il 17 Aprile 2015 da enodas
"... Nunca persequí la gloria, (A.Machado)
Bisogna attendere che il pomeriggio volga al termine, e che col sole più basso all'orizzonte calasse anche la tensione, l'energia del giorno. Come prendere un respiro, soltanto più lentamente, ed essere più a contatto col silenzio, quello amplificato dal paesaggio, una distesa di fili lunghi ed ingialliti che ondeggiano come le fronde di una foresta. Bisogna attendere, un istante, rapidissimo, e sono dei profili sfuggenti che attraversano la strada, corrono su quei fili d'erba. Con la leggerezza stessa della luce che a quest'ora cambia colore. E lontano, due occhi tranquilli osservano, sulle ali di nuvole verdi, come in un quadro d'altri tempi ed un velo romantico, si girano, e si nascondono, scompaiono via.
In un parco che era dune e sabbia una volta, pianura e vento, tra laghi ed acquitrini, si trova un museo. Alle pareti scivolano veloci i colpi di pennello pastosi e sofferti di Van Gogh, su tutti, sfolgoranti, risvegliano un inconscio che già li conosce. Ed oltre, la natura ne lambisce il perimetro, si fonde, nel silenzio, nella calma e nel pensiero, lascia che sia così, una suggestione, che lambisce il colore.
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Post n°539 pubblicato il 13 Aprile 2015 da enodas
"...la linea deliziosa e interrotta della sua figura era il preciso punto di partenza, il richiamo inevitabile di quel complesso di linee invisibili che l'occhio non poteva trattenersi dal prolungare idealmente, miracolose, generate intorno alla donna come lo spettro di una figura ideale che si proietti sulle tenebre..."
Sembra quasi di volare, un colpo di pennello, un tratto di colore, come se fosse il vento stesso quello che senti nel seguire con gli occhi, per quanto veloce, impalpabile e denso allo stesso tempo. Un tratto che sembra quasi astratto, singolo, come fosse un graffio, ed invece é eleganza infinita, delicatezza e porta d'accesso, finestra su un mondo che se ne é andato, splendente come le luci la sera di una città che brilla nella notte, proprio come quelle figure, immortalate nella loro affascinante bellezza, in un tempo che visto così sembra già lontano, nell'attimo esatto che i colori si fissavano alla tela. Donne belle, bellissime, al limite della perfezione e dell'irraggiungibile, sotto quelle pennellate veloci che quasi scompaiono, in un punto qualsiasi, in uno sfondo senza riferimento, quasi comparissero all'improvviso e subito scomparissero nel nulla, sotto abiti splendenti, in un fremito che é un'alito di vita consegnato all'eternità. Gli occhi risplendono, di questa tavolozza brillante e senza limiti, in una serie infinita di variazioni sulla bellezza. Tanto da accendere il desiderio, cosa impossibile, a cavallo del tempo, nell'atto di un movimento, in un'espressione improvvisa, rubata, eppure non a caso, perché ogni segno era narrazione e sguardo indagatore.
"...ma dove Boldini emerse su tutti fu quando consacrò tutto se stesso nel ritrarre la donna francese, o meglio la parigina del suo tempo, mettendone in luce l’anima coi suoi sprazzi di passione, di vizio, di febbre, di tormento. Nessun artista francese ha saputo veramente comprenderla o renderla viva e palpitante come l’ha resa Boldini nelle sue tele che sembrano carezze, schiaffi e baci. [...] Né Duez, né Flameng, né Besnard o De Nittis, e neppure i modernissimi che della donna francese hanno soltanto riprodotto le sconcezze e il vizio, nessuno come il pittore ferrarese ne ha indovinato tutta l’intimità, la grazia, la duttilità, la dolcezza, o l’affabile condiscendenza in ogni manifestazione dell’anima di lei, sposa, amante, madre. [...] Più miracolosi se non sempre perfetti di forma, sono i ritratti di donna, nei quali perfino certe scorrettezze di dsegno sembranovolute di proposito, perché ne venisse al soggetto quella più viva intensità di espressione che forse si sarebbe attenuata, se per il dovuto rispetto alle regole del disegno, l'artista ne avesse corretto i contorni." (V.M.Corcos - La parigina di Boldini)
Le donne. Ecco, gli appunti partono da qui, non possono non indugiare di fronte a questa galleria scintillante ed affascinante, come del resto non potevano ignorare il legame intrinseco tra un genere, quello del ritratto mondano ed il nome dell'artista che più di ogni altro lo seppe portare ad un livello estremo, fino a legarvi il proprio nome. Ecco, indipendentemente da tutto il resto, non può essere che questa l'immagine di partenza, di un ricordo e di un'immagine raccolta.
"Il pittore aveva saputo immortalare il moto delle ore nell'attimo luminoso in cui la donna aveva sentito caldo ed aveva smesso di danzare, in cui l'albero era avvolto da un'alone d'ombra, in cui le vele sembravano scivolare su uno smalto dorato. Ma proprio perché l'attimo gravava su di noi con tanta forza, quella tela così fissata nel tempo dava l'impressione di un'estrema fuggevolezza, si sentiva che presto la donna se ne sarebbe andata, le barche sarebbero sparite, l'ombra si sarebbe spostata; che la notte stava per scendere e il piacere per finire; che la vita passa e gli attimi, mostrati contemporaneamente con tutte le luci che vi si fondono, non si recuperano più." (M.Proust - Alla ricerca del tempo perduto)
Questo é il biglietto da visita, la premessa. Come un passo indietro, oltrepassando le prime sezioni, si torna a Firenze, ai Macchiaioli, per dirigersi poi, in Francia, via Londra, verso gli Impressionisti ed il mercante d'arte Goupil. Boldini non é Macchiaiolo, ne Impressionista, ma dialoga ed attinge a queste correnti, sviluppando uno stile ed un gusto propri. E' qui che, quasi, irrompe la moda, la vita della Parigi borghese, un mercante d'arte che dà un nome ad uno stile ed un gusto. In un mondo trasognato ed ovattato, occhi luccicanti scintillano e figure si muovono con la leggerezza di un passo di danza. Mentre lui cambia, ancora, entra dentro le proprie narrazioni, indaga personaggi famosi, belle donne e giovani amanti. Lui, che era dichiaratamente carattere chiuso e scontroso, sembra quasi sovvertire se stesso nei propri quadri. In una Parigi nella quale una generazione di artisti giunti dall'Italia cercò ispirazione, ma della quale rimase il nome più acclamato e più rappresentativo.
“C’est un classique!”. E’ questo il riconoscimento dato a Giovanni Boldini (Ferrara 1842 – Parigi 1931), fin dalla prima esposizione postuma che si tenne a Parigi a pochi mesi dalla morte. “Il classico di un genere di pittura”, ribadì in quella occasione Filippo de Pisis. (dall'Introduzione alla mostra)
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Post n°538 pubblicato il 07 Aprile 2015 da enodas
Che cos'é la notte... un buio che divora, un'assenza, un viaggio od un riparo... cos'é, forse lo specchio di quello che osserviamo, come un riflesso sull'acqua, di quello che siamo, degli occhi spalancati, socchiusi, piangenti. O forse sarà una nota dopo l'altra, come l'estratto di una poesia intonata alla luna, solo un po' più malinconica, un po' più sola, perché la musica penetra con profondità quel buio che é la notte ed il profondo dell'anima.
"Night time sharpens, heightens each sensation
"...Incominciava ad addormentarsi, io la presi tra le braccia e mi rimisi in cammino. Ero commosso.
Inizia di notte. Le luci si spengono, o quasi, e sul suffitto, davvero, sembra sia un cielo stellato. Mi addentro nell'ombra di una civiltà scomparsa, millenni addirittura, ed immagino l'ondeggiare dei giunchi sul Nilo. La prima notte é quella del distacco dalla vita, quella delle tenebre che avvolgono. Ed in questo viaggio ignoto, l'uomo portava con sé la vita, le immagini scolpite sulla pietra od un ritratto introspettivo dipinto su legno che osserva, a distanza di ere intere, ma anche gli oggetti di una vita, cui restare col cuore aggrappato, in un'eterna speranza, e gli ushabti, le piccole figure di pietra azzurra che allora, in quel mondo, avrebbero seguito la persona nel viaggio. In queste figure si condensa tutta la tenera fragilità di quegli uomini tanto lontani, anche quando avevano il potere di consegnare il proprio volto alla pietra.
"Le colline, sotto l’aereo, scavavano già il loro solco d’ombra nell’oro della sera.
Personalmente, penso che l'idea del notturno come protagonista di una mostra sia un'idea brillante e suggestiva, quanto estremamente ambizioso e complesso. Viene mantenuta questa promessa? Onestamente, non lo so... L'impostazione di questa mostra é fortemente personale ed introspettiva, e non potrebbe essere altrimenti, e come tale va, a mio parere interpretata. A partire dalle motivazioni e dai richiami, lo si comprende sin da subito, scorrendo il pannello introduttivo, le citazioni, ed iniziando a leggere questo racconto. Questo significa anche che il percorso proposto possa essere a sua volta manipolato secondo una teoria costruita ad hoc per ottenere richiamo. Passando di sala in sala, immaginavo a quanto, in questo racconto, fosse mancante, tessere di un puzzle enorme come enorme era appunto il tema che effrontavo, mentre altrove connessione e passaggi suonavano perlomeno stirati in una forzatura voluta.
"...Volevo raccontare una perdita, che si avvicinava e che infine è avvenuta. E volevo farlo evocando i colori della notte, nella luce del crepuscolo, di una prima sera che viene. Mi sembrava bello poter chiamare accanto a me tanti artisti che nella notte si erano perduti, dipingendo. E costruire così una storia dei notturni, nelle diverse loro motivazioni stilistiche e di sentimento, ma pur sempre una storia che al suo centro avesse la sublime dilatazione dello spazio, il nostro perderci in esso. Così come nello spazio si perde, svaporando, chi si congeda e vive fino in fondo, a noi sconosciuta, l’esperienza della notte stessa.
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Post n°537 pubblicato il 03 Aprile 2015 da enodas
Immagini come diapositive che ritrovano luce dopo tanto tempo. Foto lasciate in un angolo chiuso perché non potessero uscire senza fare inevitabilmente del male. Sono tornato, per un qualche motivo ad una pagina, fisica, su cui scrivere. Ho guardato un volto, degli occhi, un tratto qualsiasi. Ho osservato, scavando nei ricordi, scavando nell'anima, tra quello che rimane impresso nella mente e quello che racconta un'immagine. Ho pensato con amarezza che non riuscivo a non associare a tutto questo quella cattiveria che mi ha frantumato l'anima. Ho pensato che non é, come potrebbe pensare razionalmente qualcuno, una presa di coscienza, od una cicatrice chiusa. No, é piuttosto uno strato pesante che copre ogni cosa. Lo stesso che a volte penso abbia sepolto una parte di me, o ne abbia addirittura plasmata un'altra, che non vorrei mi appartenesse.
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