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George e la notte...

 

 

« ATTENZIONEMessaggio #318 »

Post lunghi, post brevi, post bonsai.

Post n°317 pubblicato il 13 Dicembre 2006 da georgeorwell1984
 

 

Mi capita sovente di imbattermi in blog il cui contenuto si riduce a molte immagini e poche righe di testo. Non è una critica, premetto, è una mera costatazione di fatto. E’ ovvio che una foto colpisca di più delle parole. L’immagine ha un impatto immediato, il testo va letto e non sempre si ha il tempo, il desiderio, la pazienza, per farlo.

 Al giorno d’oggi le informazioni si assumono in “pillole”, i giornali li leggono in pochi e alla fine si ha una visione superficiale o incompleta del mondo. Si approfondisce poco. Del resto se in una giornata di ventiquattro ore, una persona deve trovare il tempo per lavorare, e su questo non si discute, per mangiare, per dormire, per andare in palestra, per guardare la televisione, per incontrare gli amici, per portare i figli a scuola, per andare dal medico, dal parrucchiere, dall’estetista, per fare shopping, lo spazio da dedicare a ciascuna di queste attività si restringe all’osso.

Si hanno ventimila cose da fare e soprattutto si cerca di evitare le complicazioni.

Il tempo per prendere le decisioni, per scegliere, è breve e il fatto di dover decidere genera ansia.

L’ansia: il male del nostro tempo.

Anche la mia attività non ne è immune. Devi correre, devi fare, devi incontrare clienti, devi concludere, devi produrre. A volte ti senti una ruota in un ingranaggio più grande di te. Eppure, il bello del mio lavoro è proprio quello di parlare con la gente e, la cosa che mi spinge a continuare, ad andare avanti, è che io non faccio clienti, creo rapporti, rapporti che con l’andare del tempo diventano sempre più stretti. Per me i clienti non sono clienti e basta, sono amici a cui mi affeziono. Ho sempre ritenuto che a darmi da mangiare non sia la mia compagnia, quella che a fine mese mi paga le provvigioni, ma coloro che mi hanno concesso la loro fiducia. Quello che per me conta è fare gli interessi di questi ultimi. Se un giorno il mio capo o la mia società dovessero improvvisamente impazzire o cambiare strategia riducendo la mia autonomia di scelta su cosa  collocare o meno, dovrei avere la possibilità di sganciarmi, di scegliermi un altro Gruppo e di ricominciare portando con me i miei clienti.

Per garantirmi ciò, ed è giusto che sia così, perché nell’attività di consulenza metto in gioco la mia faccia, la mia immagine, devo poter offrire ai miei clienti la possibilità di sganciarsi e di disinvestire in qualsiasi momento. Certo questa è la classica situazione non gradita alla mia come a qualsiasi altra Compagnia e per me rappresenta comunque un’arma a doppio taglio. Se lavoro con competenza i miei clienti mi seguono altrimenti rischio di perderli.

Nella mia attività di consulenza è di fondamentale importanza riuscire a comprendere le esigenze di chi mi sta di fronte. Non è facile perché solitamente le persone non si “sbottonano” tanto facilmente al punto  da raccontarti tutto della loro vita, dei loro interessi, delle loro aspettative.

Nel mio lavoro generalmente l’acquisizione di un nuovo cliente si compone di tre fasi. La prima è la fase in cui vieni accettato come persona, la seconda è quella in cui vieni accettato come consulente, la terza è quella dell’acquisto.

Pertanto se mi devo far accettare come persona in primo luogo, poi come consulente dimostrando la mia competenza per ottenere la fiducia, è chiaro che devo spendere buona parte del mio tempo per conoscere e farmi conoscere.

In banca ad esempio non funziona proprio così. Tu sei un correntista, ti chiama l’impiegato e ti propone di spostare parte del tuo risparmio in questo o quel prodotto finanziario senza perdere troppo tempo nelle spiegazioni perché tanto si tratta della tua banca per cui ti fidi. Metti le solite duecento firme e il tuo istituto di credito ha risolto. Se poi ciò che hai sottoscritto risponde o meno alle tue reali esigenze e al tuo profilo di rischio sono affari tuoi, tanto i direttori cambiano e gli impiegati girano. Non è uno sfogo il mio. Il motivo per cui ho riportato questo esempio è quello di sostenere che per svolgere il mio lavoro devo essere per temperamento portato ad ascoltare gli altri. Volevo fare lo psicologo e mi ritrovo a fare il promotore finanziario. Ho parlato della mia attività allo scopo di farvi capire meglio che tipo di persona sono. Mi piace creare rapporti duraturi, rapporti fondati sulla conoscenza e sulla fiducia reciproca. Non mi reputo superficiale, sono portato all’approfondimento anche se talvolta mi perdo nei particolari e ho bisogno di trovare il bandolo della matassa, ossia di arrivare alla sintesi finale. Apprezzo tutto ciò che riesce ad attirare la mia curiosità ed il mio interesse. Vivo di emozioni e di sensazioni che per me sono come linfa vitale e amo analizzarle per comprendere gli altri. E’ la sindrome del “bambino che gioca”, l’ho coniato io il termine, che smonta e rimonta il giocattolo per capire come è fatto.

Per questo motivo dedico parte del mio tempo ad approfondire le amicizie e a fare gruppo. Leggo volentieri e con molto interesse quei blog i cui autori riescono a raccontarsi. Alcuni di questi a mio avviso sono dei potenziali scrittori come ad esempio Helena o Rita, perché hanno la capacità di farti immaginare ciò di cui stanno parlando. Riescono a farti partecipe della loro vita per cui certi luoghi, certe persone ti diventano familiari anche se non hai mai avuto modo di visitarli o di conoscerle personalmente. C’è qualcuna come ad esempio Teresa o Monica, che definirei due fiumi in piena, che ti travolgono con la loro vitalità. C’è Maruska che è “magmatica” e in continua mutazione e che utilizza spesso la poesia per raccontarsi. C’è Winston che per tensione ideale potrebbe essere la mia coscienza “politica” anche se negli ultimi mesi non amo discutere di politica perché mi sento deluso e incazzato e non vedo segnali tangibili di un miglioramento della situazione italiana ed internazionale. Ci sono le new entry Max e Arimatec. L’uno riesce ad affrontare qualsiasi argomento con quell’ironia tipica di chi è nato a Napoli, l’altro ha reso il suo blog simile ad un giardino fiorito in cui dimenticare per un attimo i problemi di tutti i giorni per rinfrancarsi con la poesia. Ci sono Zimmo e Zimma che non saprei se definire “fratellini”  più piccoli, ma che potrebbero essere anche miei figli se mi fossi sposato a venti anni. Preferirei la prima opzione per non sentirmi troppo vecchio. Leggendo i loro blog mi convinco che fortunatamente ci sono ragazzi in gamba che avrebbero bisogno di punti di riferimento e di qualche opportunità in più per realizzarsi. Insomma mi piace di più leggere o leggervi che scrivere, mettermi alla finestra a guardare per cercare di comprendere. Non sono bravo a raccontarmi e quando lo faccio non sempre ci riesco per un certo senso del pudore, forse per timidezza o per riservatezza. Son fatto così oppure, come direbbe Helena che cita spesso Jessica Rabbit, è che mi disegnano così.

Sono un bravo ascoltatore e un pessimo narratore.

Alla fine di tutta questa storia volevo manifestarvi la mia intenzione di scrivere un post sull’ultimo libro che ho letto (non quello di lato). Sono circa tre settimane che ci penso e poi non lo faccio. Forse un giorno metterò mano a questa benedetta recensione. Anzi, ne scriverò due. Una breve di poche righe, giusto qualche parola sulla trama, l’altra lunghissima da mettere paura tanto per scoraggiare i possibili lettori in cui racconterò ciò che mi preme trasmettere ossia ciò che di quel racconto mi ha appassionato. Vi osservo.

 
 
 
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