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"FIGHT CLUB": Un romanzo della X Generation

Post n°320 pubblicato il 22 Dicembre 2006 da georgeorwell1984
 

                                "immagineFIGHT CLUB di CHUCK" PALAHNIUK (1996)
Postfazione di Fernanda Pivano
Piccola Biblioteca Oscar Mondadori E. 8,00

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"FIGHT CLUB" di David Fincher (1999)
con Brad Pitt, Edward Norton, Helena Bonham Carter
Medusa Film E. 9,99

Recensione di George Orwell 1984

 

“La prima regola del fight club è che non si parla del fight club”

 

Versione Small

 

Fight Club è il secondo romanzo dello scrittore americano di origini franco-ucraine Chuck Palahniuk da cui il regista David Fincher (Seven, Alien 3, The Game, Panic Room)  ha tratto l’omonimo film interpretato da Brad Pitt, Edward Norton ed Helena Bonham Carter.

Il protagonista del libro (Edward Norton nel film) è impiegato in una delle maggiori società automobilistiche degli Stati Uniti. Per guarire dall’insonnia di cui soffre si rivolge al suo medico affinché gli prescriva dei sonniferi. Questi invece lo invita a masticare radici di valeriana e a far visita ai gruppi di sostegno per malati terminali affinché si renda conto di cosa sia veramente la sofferenza.

Così, vagando da un’associazione ad un’altra, il nostro impiegato ritrova finalmente il sonno e fa la conoscenza di Marla Singer (Helena Bonham Carter), una ragazza sbandata con tendenze autolesioniste e suicide. Tra i due nasce un rapporto di amore-odio finchè il protagonista non incontra Tyler Durden (Brad Pitt) con il quale fonda  il Fight Club, una sorta di circolo che si riunisce negli scantinati di un bar i cui partecipanti si pestano a sangue durante i combattimenti notturni. In breve tempo i Fight Club prendono piede in diverse città americane. Il secondo passo dopo la diffusione dei circoli è la nascita del Progetto Caos, finanziato con la vendita di sapone autoprodotto nel saponificio di Paper Strett , il cui scopo è quello di destabilizzare l’opulenta società  statunitense attraverso una serie di attentati terroristici.  La morte dell’amico Big Bob, ucciso dalla polizia durante un’azione del Progetto Caos, spingerà il protagonista a tornare sui suoi passi e a tentare di chiudere i circoli. Nel frattempo Tyler Durden è scomparso e il nostro eroe si mette alla sua ricerca…  Fine della versione small. 

A questo punto se vi interessa conoscere il motivo per cui  un tranquillo pacifista come il sottoscritto possa essersi appassionato ad un romanzo e al  film che ne è stato tratto, incentrato anche se solo in apparenza su violenti combattimenti notturni tra giovani americani, potete soffermarvi  sulla recensione di seguito riportata altrimenti terminate qui la vostra lettura.

 

 

Versione XXL

 

Scrivere una recensione lunga è senza dubbio un deterrente per i potenziali lettori, ma non si possono tenere in gabbia i pensieri, le emozioni, le sensazioni che un libro riesce a suscitare. Viviamo di questo e in una società che ci rimbambisce con i quiz, con gli spot pubblicitari, con i talk show in cui si discute solo di gossip, con i reality, in una società che ci vuole tutti omologati e relegati nel ruolo di produttori-consumatori, la lettura è vita, è linfa, è libertà. Un libro può diventare lo strumento attraverso il quale  guardare meglio dentro noi stessi e  comprendere chi siamo e in che mondo viviamo.

Fight Club non è un romanzo banale da cui è stato tratto un altrettanto banale film, non è uno dei tanti Fast and Furious per intenderci. E’ diventato un cult perché rappresenta uno dei tanti possibili viaggi interiori della Generazione X alla ricerca di se stessa e della propria identità.

Come scrive Fernanda Pivano nella postfazione al libro, “questa storia…costituisce una delle più violente aggressioni realizzate dalla Generazione X alla semantica dei baby boomers.”…”Il libro tra il sadico e il noir, è ispirato dalla disperazione, dalla alienazione, dalla violenza che conducono la Generazione X alla più completa anarchia, affondata nell’angoscia, dei giovani contemporanei. Ne risulta un esempio di nichilismo quasi psicopatico, o se si vuole di fondamentalismo anarchico, realizzato con invenzioni contenutistiche del tutto inconsuete”.

A questo punto mi sembra opportuno spendere due parole per comprendere meglio a chi ci si riferisce quando si parla di baby boomers e di Generazione X.

La generazione dei “baby boomers” per intenderci è quella del boom demografico degli anni che vanno dal 1942 al 1960. I suoi rappresentanti hanno attraversato il periodo della guerra del Vietnam, del movimento hippie, della rivoluzione sessuale, delle grandi lotte per i diritti civili. In seguito alla crisi di questi ideali, nel corso degli anni 80 i baby boomers hanno evoluto la loro personalità da hippie, da figli dei fiori, a yuppie dando vita al cosiddetto fenomeno del “realignement” ossia del ritorno al mito del “self-made man”.

Esponenti di questa generazione sono l’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e Bill Gates l’uomo più ricco del mondo.

La generazione X, come l’ ha definita Douglas Coupland nel libro omonimo, è la generazione dei nati tra il 1961 ed il 1981 apparentemente priva di una propria identità. Figlia della precedente, non è cresciuta durante il boom economico con il massimo delle aspettative, ma in un periodo di piena recessione in cui le prospettive sono ridotte al minimo, alla quotidiana sopravvivenza.

Il mondo in cui la Generazione X o dei “baby buster” vive, quello attuale, è caratterizzato dal più alto tasso di indebitamento pubblico nella storia degli Stati Uniti, dall’inquinamento, dalla droga, dall’AIDS, dalla criminalità. E’ un mondo in cui la famiglia come centro affettivo ed educativo non esiste più, e i protagonisti del libro ne sono un esempio, in cui la scuola e i servizi sociali sono inefficienti.

I baby buster soffrono di solitudine, sono nichilisti ed il loro atteggiamento nei confronti della vita è quello di un impotente rassegnazione al proprio destino universale di sconfitti, di disgusto nei confronti della società in cui vivono, ma al tempo stesso si sentono incapaci di cambiarlo. Manifestazioni tipiche di questa generazione sono il culto della tecnologia e dell’informatica. Gli hackers ed i software wizard sono assunti al ruolo di veri e propri idoli da imitare.

Abbandonata a stessa la Generazione X ha dato vita a fenomeni come  quello del cyberpunk o delle street gang che per molti ragazzi hanno sostituito le famiglie come luogo in cui ricercare la propria identità e la propria sicurezza.

Questo è il contesto  in cui si muovono i protagonisti di “Fight Club” di Chuck Palahniuk. E’ il nostro mondo e si parla di noi.

Il narratore è il tipico prodotto della società in cui vive.  Il libro inizia dalla fine. Il protagonista il cui nome non è noto si ritrova in una stanza situata all’ultimo piano di un grattacielo che sta per esplodere ed ha una pistola piantata nella gola. A puntargliela è Tyler Durden il suo alter-ego, ma questo lo si scoprirà soltanto procedendo a ritroso nella narrazione. Attraverso una serie di flash-back Palahniuk e Fincher nel film che è una trasposizione fedele del libro, ci illustrano gli eventi che hanno portato a tale situazione drammatica. 

Il protagonista (interpretato da Edward Norton ) è impiegato in una delle maggiori case automobilistiche americane. Per lavoro si sposta da un angolo all’altro del continente in aereo viaggiando in business class. Più tardi scopriremo che per mantenere il suo tenore di vita nella società dei consumi è costretto a svolgere altri due lavori, il protezionista di film nelle sale cinematografiche ed il cameriere in lussuosi alberghi.  E’ una persona sola, cresciuta in una tipica famiglia divisa, è alienato, soffre d’insonnia e di allucinazioni schizofreniche. Questo particolare lo si scoprirà con il procedere della narrazione.

Le allucinazioni dovute all’insonnia lo porteranno a sdoppiarsi nel personaggio di Tyler Durden (Brad Pitt nel film) bello e dannato, dal fascino sinistro. Tyler è il Mister Hyde, è il frutto del proprio subconscio al quale il protagonista dà l’incarico di progettare e di portare a termine quei gesti di ribellione, come ad esempio quello di far saltare in aria la propria abitazione o il proprio capo, che nella vita reale non sarebbe in grado di compiere razionalmente.  Tyler diventa per il narratore e in seguito per gli adepti del fight club e del Progetto Caos, la guida spirituale, il messia maledetto da seguire. Quando  a causa della morte di Big Bob, l’altro personaggio significativo del romanzo insieme a Marla Singer, il nostro impiegato tenterà di fermare “il mostro” mettendosi alla ricerca di Tyler,(questo particolare mi ricorda il film di Alan Parker Angel Heart ascensore per l’inferno) sarà troppo tardi perché il suo alter-ego avrà progettato regole ferree a cui nemmeno se stesso potrà sottrarsi.  La condizione del narratore - Tyler Durden si è detto, è quella tipica della sua generazione.  La solitudine innanzi tutto, ed il bisogno di sentirsi accolto e ascoltato che lo spingeranno a rifugiarsi nei “Gruppi di sostegno per malati terminali” in cui si reca per guarire dall’insonnia: “Per questo amo tanto i gruppi di sostegno, se la gente pensa che stai morendo, ti presta tutta la sua attenzione. Se questa può essere l’ultima volta che ti vedono, ti vedono davvero. Tutto il resto finisce fuori dalla finestra, il conto in rosso e le canzoni alla radio e i capelli in disordine. Hai la loro piena attenzione. La gente ti ascolta invece di aspettare il suo turno per parlare” L’altra caratteristica peculiare del protagonista che lo rende in tutto e per tutto figlio del suo tempo è la ricerca di un’identità personale come negazione  di quella che la società gli ha assegnato: “Quando sei al fight club, tu non sei i soldi che hai in banca. Non sei il tuo lavoro. Non sei la tua famiglia e non sei quello che dici di essere a te stesso…Tu non sei il tuo nome,…Tu non sei i tuoi problemi…Tu non sei la tua età…Tu non sei le tue speranze”. Ed infatti nel Progetto Caos “le scimmie spaziali”, così vengono definiti nel libro gli adepti, non hanno un nome se non nel momento in cui muoiono. In questo i personaggi, non avendo un’identità, sono lo specchio della Generazione X, una generazione che stenta a riconoscersi, a definirsi, a trovare una collocazione storica: “Noi non abbiamo una grande guerra nella nostra generazione, o una grande depressione, e invece sì, abbiamo una grande guerra dello spirito. Abbiamo una grande rivoluzione contro la cultura. La grande depressione è quella delle nostre vite. Abbiamo una depressione spirituale”. 

La grande rivoluzione contro la cultura si concretizza nel rifiuto dei modelli consumistici di vita imposti dalle multinazionali:”La pubblicità ha spinto questa gente ad affannarsi per automobili e vestiti di cui non hanno bisogno. Intere generazioni hanno svolto lavori che detestavano solo per comperare cose di cui non hanno veramente bisogno”.

Ad un certo punto Palahniuk introduce nella narrazione un elemento grottesco assolutamente geniale e dissacrante che dimostra il disprezzo dell’autore per l’opulenza della società americana.  Per finanziare il famigerato “progetto Caos”  “le scimmie spaziali” si introducono nel cuore della notte nei locali dove vengono stipati i rifiuti ospedalieri  di una clinica estetica per rubare, come dei novelli Robin Hood,  i sacchi contenenti il grasso delle liposuzioni. Con questo “cremoso” bottino nel saponificio di “Paper Street”  le scimmie produrranno sapone da rivendere nelle migliori profumerie a 20 dollari il pezzo. 

La filosofia di Tyler Durden è un vero e proprio attentato alla colonna portante della cultura americana ossia al mito del self-made man, del successo e dell’automiglioramento: “Forse l’automiglioramento non è la risposta…Forse la risposta è l’autodistruzione”. Nel corso del romanzo Tyler afferma “di non voler morire senza cicatrici”. Tra i tanti segni che porta addosso c’è una bruciatura chimica a forma di labbra che si è procurata da solo sul dorso della mano con la lisciva.  Per il Mister Hyde del romanzo questo è il primo passo verso il fondo: “E’ solo dopo che hai perso tutto, dice Tyler, che sei libero di fare qualunque cosa. Quello che sento io è illuminazione prematura”.

Anche il mito della bellezza viene dissacrato. Robert Paulson il Big Bob del gruppo di sostegno “Restare uomini insieme” è un ex culturista, proprietario di una nota palestra, che ammalatosi di cancro ai testicoli è stato abbandonato da moglie e figli. L’intervento chirurgico e la successiva cura ormonale a cui è stato sottoposto hanno reso il suo fisico pachidermico con due “enormi zinne”. Anche Marla Singer (una strepitosa Helena Bonham Carter), l’eroina del libro, la femme fatale di cui si innamorerà il narratore – Tyler,  tutto è fuorché la classica ragazza americana che risponde ai canoni estetici  del momento. L’autore ce la descrive con “Capelli corti nero opaco, occhi grandi come quelli dei cartoni animati giapponesi, magra come una garza, lattiginosa nel suo vestito con un motivo di rose scure come di tappezzeria”.  Marla non risponde allo stereotipo della donna americana.  Conduce una vita da bohemienne: “Marla vive dei pasti  che la Meals on Wheels recapita ai suoi vicini che sono morti”. Per procurarsi il denaro rivende la biancheria rubata nelle lavanderie a gettone. Anche l’abbigliamento della ragazza è inconsueto ed è la dimostrazione della sua condizione di indigenza: “Quello che ama, dice Marla, sono tutte le cose che la gente adora e poi butta via un giorno o un’ora dopo”. In questo particolare io ci vedo una certa somiglianza con le opere del nouveau realism di cui Arman è stato il fondatore ed uno dei massimi esponenti. Nelle “accumulazioni” dell’artista francese, che ha trascorso buona parte della sua vita negli Stati Uniti, c’è appunto il recupero di tutto ciò che la società americana getta via, delle scorie, di quegli utensili prodotti in serie che vengono buttati perché non servono più. 

L’altra connotazione tipica della Generazione X presente in “Fight Club” è quel senso di impotente rassegnazione al proprio destino universale di sconfitti, il fatto di essere cresciuti in un contesto economico in cui le aspettative di successo e di affermazione per un giovane sono ridotte al minimo.  Questa rassegnazione sfocia inevitabilmente nel pessimismo, nel nichilismo, nel sentirsi dei reietti: “Quello che devi considerare…è la possibilità che a Dio tu non sia simpatico. Potrebbe essere che Dio ti odi. Non è la cosa peggiore che può capitare. Il modo in cui la vedeva Tyler era che attirare l’attenzione di Dio per essere stati cattivi era meglio di non ottenere attenzione per niente. Forse perché l’odio di Dio è meglio della sua indifferenza. Se tu potessi essere o il peggior nemico di Dio o niente di niente, che cosa sceglieresti? Noi siamo i figli di mezzo di Dio, secondo Tyler Durden, senza un posto speciale nella storia e senza speciale attenzione. Se non otteniamo l’attenzione di Dio non abbiamo speranza di dannazione o redenzione. Che cosa è peggio, l’inferno o niente? Brucia il Louvre…e pulisciti il culo con la Gioconda. Almeno così Dio saprà come ci chiamiamo. Più in basso cadi, più in alto volerai. Più lontano corri, più Dio ti vuole indietro. Se il figliol prodigo non avesse mai lasciato casa sua…il vitello grasso sarebbe ancora vivo”.  In questo brano è contenuta la summa del pensiero di Palahniuk.

La rassegnazione, il bisogno di aggregazione e la necessità di dare libero sfogo alla rabbia repressa sono la ragione stessa della nascita dei fight club, di quei circoli che esistono soltanto “dalle due alle cinque del mattino” in cui ci si affronta due alla volta, scalzi e senza camicia e in cui valgono regole ben precise: “E la settima regola, grida Tyler, è che se questa è la vostra prima sera al fight club, dovete combattere”. I fight club non sono altro che la trasposizione letteraria delle attuali strret gang americane che per gli appartenenti hanno soppiantato la famiglia come riferimento affettivo in cui trovare la propria sicurezza.

Leggevo a tal proposito qualche tempo fa sull’Espresso che alcuni gruppi giovanili neofascisti  ispirandosi al romanzo di Palahniuk hanno organizzato in Italia dei circoli simili al fight club. A mio avviso l’interpretazione  che l’estrema destra ha elaborato è assai riduttiva, grossolana e priva di fondamento.  “Valori” come il coraggio, l’ostentazione della forza e il combattimento come espressione di tali “qualità”  non sono quelli che hanno ispirato Chuck Palahniuk.  Il fight club altro non è   che il luogo in cui manifestare la propria rabbia impotente e nichilista nei confronti del mondo. Se c’è rancore questo non è nei confronti dell’avversario, che non è visto come un nemico da abbattere, ma nei confronti della società ritenuta responsabile dell’insoddisfazione e dell’infelicità dell’individuo: “Invece che su Tyler, ho sentito che finalmente potevo mettere le mani su tutto quello che nel mondo non funzionava, gli indumenti che tornavano dalla tintoria con i bottoni del colletto spezzati, la banca che dice che sono sotto di centinaia di dollari. Il mio lavoro dove il mio capo si mette al mio computer e smanetta i miei comandi. E Marla Singer, che mi ha soffiato i gruppi di sostegno. Niente era risolto alla fine del combattimento, ma niente contava”. “Non c’è niente di personale contro il tuo avversario al fight club”. 

Il passo successivo alla costituzione e alla diffusione dei fight club è il Progetto Caos. Questo altri non è che la trasposizione letteraria del tentativo utopistico della Generazione X di trovare una soluzione, una via per il cambiamento di una società in cui i “baby buster” non si ritrovano e che detestano. Il tentativo risulta alquanto velleitario, improponibile e irrealizzabile, ma è la riprova dell’incapacità di trovare un’alternativa plausibile allo stato delle cose.   La soluzione auspicata da Tyler è infatti il ritorno ad una società pre-industrializzata, primitiva: “Distruggeremo la civiltà per poter cavare qualcosa di meglio dal mondo”. “Sarà il progetto Caos a salvare il mondo. Un’era glaciale culturale. Un secolo buio prematuramente indotto. Il Progetto Caos obbligherà l’umanità a entrare in catalessi o in fase di remissione il tempo necessario alla Terra per riprendersi. Giustifica tu l’anarchia, dice Tyler. Risolvila tu. Come fa il fight club con impiegati e commessi, Il Progetto Caos disarticolerà la civiltà perché si possa fare qualcosa di meglio del mondo. Immaginati, ha detto Tyler, a far la posta all’alce dalle finestre dei grandi magazzini tra file puzzolenti di splendidi abiti da sera e smoking che vanno in malora appesi alle loro grucce, porterai indumenti di pelle che ti dureranno fino all’ultimo dei tuoi giorni e ti arrampicherai per i rami grossi come tronchi del kudzu rampicante che abbraccia la Sears Tower. Come Jack sulla pianta di fagioli, sbucherai dalla volta gocciolante della foresta e l’aria sarà così tersa che vedrai figure minuscole battere il granturco e disporre a essiccare strisce di carne di cervo nella corsia d’emergenza vuota di una superstrada abbandonata che si allunga, larga otto corsie e torrida ad agosto, per mille chilometri. Questo era lo scopo del Progetto Caos, ha detto Tyler, la completa e immediata distruzione della civiltà. Che cosa viene dopo nel Progetto Caos nessuno lo sa salvo Tyler. La seconda regola è che non si fanno domande”.

Per questi motivi “Fight Club”, il secondo romanzo di Palahniuk ed il primo ad essere stato pubblicato, costituisce uno dei tanti possibili autoritratti della Generazione X. L’atmosfera è surreale ed il tono è grottesco e questo probabilmente è il grande merito dell’autore, quello di aver narrato della disperazione dovuta alla mancanza di prospettive di una generazione fragile, infantile e al tempo stesso complicata proiettata costantemente verso la  ricerca di se stessa e della propria identità, riuscendo ad intrattenere il lettore e a farlo sorridere.  Il romanzo rappresenta chiaramente un momento di autocoscienza e il tentativo di spiegare a noi stessi chi siamo.

Qualche breve considerazione sul film. David Fincher ha intrapreso la sua carriera di regista girando video clip musicali per Madonna,  i Rolling Stones, Sting,  Michael Jackson e spot pubblicitari di successo per conto della Nike e della Coca Cola  E’ passato poi al cinema vero e proprio dimostrando con pellicole di qualità come Seven, The Game, Panic Room e Alien 3 tutto il suo talento e l’abilità di narratore.  La trasposizione cinematografica di Fight Club è pressoché fedele al testo originale di Palahniuk.  Il regista americano ha la grande abilità di ricostruire l’atmosfera “malata” e claustrofobica che pervade il romanzo. La scelta degli interpreti è ricaduta su tre fra gli attori più “cult” della scena holliwoodiana. Helena Bonham Carter è una strepitosa Marla Singer, Edward Norton nei panni del narratore – protagonista dimostra di essere uno dei migliori attori della sua generazione. Non a caso Spike Lee lo ha scritturato per il ruolo principale ne “La venticinquesima ora”. Infine Brad Pitt è un Tyler Durden “luciferino” bello e dannato.  Fight Club è un film, ma soprattutto un libro che consiglio  di acquistare a tutti i costi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
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