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Commento alle letture della liturgia del giorno

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Messaggi di Giugno 2014

 

LA TEMPESTA FA PAURA SOLO QUANDO L'AFFRONTIAMO DA SOLI

Post n°820 pubblicato il 30 Giugno 2014 da sebregon

1 LUGLIO

PREZIOSISSIMO SANGUE

DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO


 

 

 


 

Mt 8,23-27

 

In quel tempo, essendo Gesù salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva. Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, uomini di poca fede?» Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia. I presenti furono presi da stupore e dicevano: «Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono?». 

Seguire Gesù, salendo nella barca della vita, non mi faceva certo prevedere che durante la navigazione avrei incontrato più di una tempesta. Sapevo che certo le tempeste si possono incontrare su altri mari e altri laghi.

.

 

 

.

 

E poi forse, tutti segretamente pensiamo che non sarà questa volta, non sarà in questo viaggio, che la nostra fede e la nostra prospettiva di vita verranno messe a dura prova. E invece, è proprio su questo lago, sulle sue acque profonde, che mi misuro con la la paura che mi paralizza e mi blocca.  

.

 

 

 

Sono chiamato a vivere una vita piena di imprevisti, senza una vocazione particolare. Con la bonaccia che la fede profonda di Gesù procura ai suoi amici, guardo con occhi diversi alla mia vita e capisco che mi viene chiesto di far funzionare la memoria per far emergere quelle linee di  forza che mettono in rapporto il mio presente e il mio futuro,  mettendoli in relazione con la Sua presenza e con tutti coloro credenti o non credenti che vivono secondo la logica dello Spirito. La paura non vince se il mio orecchio resta in ascolto.

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Livio Cailotto

 
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LA NOSTRA GRANDE MADRE MARIA CI AMA E NON CI LASCERA'MAI PRIVI DEL SUO AIUTO.

Post n°819 pubblicato il 27 Giugno 2014 da sebregon



CUORE IMMACOLATO 


DELLA BEATA VERGINE MARIA 



  


 


 
Lc 2, 41-51


 
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 

 

Questa festa è grandissima perché l’umanità ha avuto in sorte non solo il peccato ma anche la possibilità di opporvisi e Maria è colei che con l’aiuto di Dio e con la sua libera decisione d’essere tutta per Dio consegna anche a noi la stessa forza di dire no al male per un amore più grande.

 

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Noi non riusciamo ad immaginare cosa significhi ‘essere di Dio sempre’ perché abbiamo conosciuto la disobbedienza ma Maria ha potuto godere sempre di una unione perfetta con il suo Dio. La sua immacolatezza però non la esenta  dal patire per le nostre persone quando, lontane da Dio, si ingolfano in sentieri tortuosi e privi di luce. Lo vediamo con le sue apparizioni che sono sempre legate al suo essere madre e dunque sempre preoccupata per la nostra sorte.

 

.

 

 

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Celebriamo dunque oggi la sua grandezza ma nello stesso tempo, per un suo riverbero sulle nostre vite, un richiamo potente ad essere anche noi immacolati e cioè votati all’amore per Dio e per i nostri fratelli.  Gesù stesso ci ha detto d’essere perfetti come il Padre celeste e dunque ne abbiamo veramente la possibilità che sappiamo essere sempre legata al suo aiuto ma anche alla consegna del nostro cuore. Dio chiede a noi solo la decisione d’essere per Lui non la capacità d’esserlo perché a questo pensa Lui. Noi, lo sappiamo, non potremmo arrivare mai ad alcun gradino di perfezione, ma Dio ci può portare avanti quanto vuole sempre secondo i suoi disegni. La riconosciuta nostra incapacità attira su di noi i suoi tesori. Maria è stata la perfetta ricettrice dei fiumi di grazia divina e nello stesso tempo ne è la perfetta dispensatrice.

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E’ la più cara delle persone umane mai esistite ed un giorno la vedremo e con essa gioieremo e sicuramente entreremo anche noi in questo perfetto gioco del ricevere tutto e dare tutto.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo che hai inabitato fin dal primo momento nel corpo immacolato di Maria riversa in noi, per l’amore che Ella nutra nei nostri confronti, i tuoi tesori di sapienza e di grazia perché possiamo ben vivere e santamente morire.

 

Michele Sebregondio

 
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LE PAROLE DEL SIGNORE SONO ROCCIA PER LA VITA: CON LUI NON VACILLA

Post n°818 pubblicato il 26 Giugno 2014 da sebregon

XII SETTIMANA - GIOVEDÌ


 

 

 


Mt 7, 21-29


 
in quel tempo, gesù disse ai suoi discepoli: «non chiunque mi dice: signore, signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del padre mio che è nei cieli. molti mi diranno in quel giorno: signore, signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? io però dichiarerò loro: non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità. 
cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande». quando gesù ebbe finito questi discorsi, le folle restarono stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi. 

 

Amo questa metafora della casa. La sento e la vivo anche nel mio quotidiano, nel senso che lavoro, su me stessa e con gli altri – miei allievi o miei clienti di counseling – sull’importanza del “radicamento”, del grounding, della stabilità.Fisica, in primo luogo: è necessario avere i piedi per terra e lavorare sulla propria corretta posizione eretta, perché su questa si basa il nostro senso di identità.

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E se ci sentiamo davvero stabili, perché lo siamo, ecco che anche sul piano emotivo possiamo affrontare le vicissitudini dell’esistenza e le relazioni in modo più equilibrato. E da questo equilibrio discende la possibilità di essere più centrati, più nel qui e ora, più presenti.

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La presenza, la consapevolezza, la capacità di essere in contatto con il nostro vero sé diventa il contenitore del nostro rapporto con l’Altro, la base della nostra spiritualità.Noi siamo la casa di noi stessi… Ma edificarla sulla roccia è il lavoro di una vita.

 

Alessandra Callegari

 
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GRANDE SAGGEZZA E' RIMANERE DISPONIBILE VERSO L'IMPOSSIBILE PERCHE' E' PER QUESTA VIA CHE TRANSITANO I DONI DI DIO

Post n°817 pubblicato il 24 Giugno 2014 da sebregon

NATIVITA' DI SAN GIOVANNI BATTISTA

 

 


 


 
Lc 1, 5-17

 
Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccarìa, della classe di Abìa, che aveva in moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta. Ambedue erano giusti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni. Avvenne che, mentre Zaccarìa svolgeva le sue funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua classe, gli toccò in sorte, secondo l’usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per fare l’offerta dell’incenso. Fuori, tutta l’assemblea del popolo stava pregando nell’ora dell’incenso. Apparve a lui un angelo del Signore, ritto alla destra dell’altare dell’incenso. Quando lo vide, Zaccarìa si turbò e fu preso da timore. Ma l’angelo gli disse: «Non temere, Zaccarìa, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita, perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio. Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto».

 

Il panorama umano in cui si inserisce l’azione di Dio privilegia  ciò che per l’uomo è impossibile. Tuttavia la sua azione non è mai contro il volere dell’uomo ed infatti l’angelo precisa che Dio interviene nella coppia Zaccaria-Elisabetta grazie anche alle loro preghiere. L’insistenza da parte del Signore nell’intervenire dove le forze umane sono incapaci di ottenere un risultato è un indicatore importante per l’umanità chè non si illuda che tutto l’esistente si racchiuda in ciò che può vedere e toccare.

 

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Vi sono non solo forze e realtà nascoste che con il tempo potranno apparire grazie alla crescita umana ma anche un livello di realtà che non potrà mai apparire in questo mondo solo grazie all’intento umano. E questo livello è la fonte da cui provengono tutti i beni materiali e spirituali che nascono dalla relazione tra Dio e l’uomo. Tutto ciò dà alla nostra umanità un senso di consolazione e di speranza perché per quanto possa essere appagata dalle sue conquiste esse sono limitate ed incapaci di colmare quell’abisso di desideri che si porta nel cuore.

 

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I passi di Dio sono sempre causa di gioia, di apertura e di grande significato non solo per chi è investito da un Suo mandato ma anche per coloro che sono i destinatari veri del messaggio divino, in questo caso, i figli d’Israele. Una particolarità poi delle parole dell’angelo del Signore è data dal fatto che qui non sono i figli che devono ricondurre il cuore verso i padri ma quello dei padri verso i figli.

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Il dono deve avere, per sua prima natura, una traiettoria discendente e dunque sono i padri che devono far vedere ai figli che cosa significhi un amore disinteressato e cioè veramente donato. Ora lasciando stare i legami parentali è sempre vero che l’amore, e quindi il mondo del dono, deve transitare per una via rivestita da una patina di libertà che pur trattenendo la memoria di chi lo ha dato non lo metta nella condizione di d'essere grato in modo forzato. Di per sè la riconoscenza è una buona da ricevere ma solo perché è un segnale che destinatario l'ha inserito  nel mondo della sua pienezza e cioè quello in cui si riceve e si ringrazia rimanendo  a sua volta  pronto a far continuare questa meravigliosa catene di san’Antonio.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo che sei per eccellenza il donatore che libera veramente il cuore e lo fa progredire in seno alle realtà di questo mondo accresci in tutta la nostra umanità la capacità di saper donare senza ritorno e di saper ricevere con l’intento di continuare ancora questa meravigliosa catena d’amore.

 

Michele Sebregondio

 
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SE VIVIAMO NON PREOCCUPANDOCI DEL FUTURO RICEVEREMO SEMPRE IL NOSTRO PANE MATERIALE E SPIRITUALE

Post n°816 pubblicato il 20 Giugno 2014 da sebregon


SAN LUIGI GONZAGA (m) 
Religioso

 


 

 



 
 Mt 6, 24-34



In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».

 

‘A ciascun giorno basta la sua pena”: sembra che Gesù sappia bene che la vita non sia tutta rose e fiori e quindi ci dà delle indicazioni per non appesantirla ulteriormente. Mi pare che egli delimiti due campi quello del presente-presente che  può portare  cose non belle, e qui sta la pena, e quello del presente-futuro che può deviare la nostra attenzione verso le preoccupazioni per il mangiare, il bere  il vestire come pure per la nostra riuscita umana.

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Ora nel primo caso ci troviamo davanti a qualcosa che viene dall’esterno, che non possiamo controllare e a cui siamo chiamati a dare una risposta od a  trovare delle soluzioni,   nel secondo caso invece corriamo il pericolo di non vivere più il presente, buono o meno buono che sia, perché invasi dall’angoscia del come potremo dare risposta nel futuro a dei bisogni pur legittimi  . Gesù vuole che spostiamo lo sguardo dai nostri limiti e dal nostro sentirci miseri e vuoti alla ricchezza del Padre celeste.

 

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Se infatti partiamo solo da noi stessi è giusto che rimaniamo preoccupati ed arrabbiati quando non riusciamo a dare una risposta risolutiva ai nostri bisogni. Tutte le filosofie che fanno perno sulla realizzazione del sé se si fondano solo sull’acquisizione di conoscenze o di tecniche non escono fuori dalla preoccupazione di cui parla il Signore. Coloro, ad es., che passano in continuazione da un corso all’altro inseguendo la chimera della propria realizzazione rimangono comunque nell’ambito infruttifero della preoccupazione.

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Queste persone sono pagane perché non affidano completamente al Signore la realizzazione dei propri legittimi desideri. In quest’ottica si possono pure fare tutti i corsi che si vogliono ma solo come materiali da usare di volta in volta perché si ha già in tasca il disegno della cattedrale che l’Architetto supremo ha donato a ciascun uomo. La cosa importante dunque è il rapporto con il Padre celeste che conosce tutti i nostri bisogni e che dunque a tutto provvederà. Questa fede, come di bambino che non deve preoccuparsi di niente perché a lui provvedono mamma e papà, è quella che ci libera dalla preoccupazione insana e ci fa sbarcare nella virtù della prudenza, di una sana speranza e soprattutto di un amore infinito verso il nostro Signore Dio.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo aiutaci nei momenti difficili ed accresci in noi la fiducia nel Padre celeste soprattutto colmando, per quanto è possibile, la distanza affettiva che lo fa percepire distante. 

 

Michele Sebregondio

 
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PADRE NOSTRO LIBERACI DAL MALE PERCHE' COSì POTREMO UN GIORNO GIOIRE DELLA TUA PRESENZA

Post n°815 pubblicato il 19 Giugno 2014 da sebregon

XI SETTIMANA DEL T.O. - GIOVEDÌ



 

 

 

 

Mt 6, 7-15
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.
Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male.
Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».

 

Mi piacerebbe che nella la recita del Padre nostro si prendesse  l’uso di introdurre dei leggeri movimenti che diano più anima e più corpo alla preghiera che il Signore ci ha donato. Si tratta di seguire il senso delle parole e di accordargli il movimento delle braccia. Noi siamo abituati ad alzare le braccia ed a tenerle ferme per tutta  la durata della preghiera. Ora vi propongo i seguenti movimenti: all’inizio  alziamo le braccia al cielo come se volessimo con questo gesto toccare idealmente il nostro Padre celeste, poi a seguire quando si dice:  'sia santificato il tuo nome' si elevano ancora più in su le mani come per sottolineare ciò che si sta dicendo e poi nel ‘venga il tuo regno’ si abbassano un po’ per indicare che il regno lo vogliamo qui sulla terra (tutto deve essere fatto in modo non esagrato ma sempre conseguente a ciò che si sta dicendo). Poi al 'sia  fatta la tua volontà’ si alzano ancora le mani in modo impercettibile ed al ‘come in cielo’ si elevano un pò di più per indicare appunto il cielo e poi si abbassano per indicare la terra.  Al ‘dacci oggi il nostro pane quotidiano’, le braccia si portano all’altezza delle spalle e le palme  delle mani vengono rivolte verso il nostro corpo. Al’ rimetti a noi i nostri debiti’ le  mani si portano più in basso all’altezza del cuore in atto di penitenza e con le  palme sempre rivolte verso il cuore poi al ' come noi li rimettiamo ai nostri debitori' le palme si girano verso l'esterno assieme agli avanbracci  in modo da rivolgersi idealmente 'ai debitori'. Al ‘non abbandonarci nella tentazione’ o nella dizione corrente ‘non ci indurre in tentazione’ le mani si alzano e si allargano sul davanti con le palme in su verso il Signore e nel ‘liberaci dal male’ si abbassano come per mimare il momento in cui il male grazie all’aiuto del Signore sta andando via dal nostro corpo e quindi anche con un movimento di leggero scrollo. Ognuno poi può apportare delle variazioni a questo schema ma l’importante è entrare in quest’ordine di idee in modo che  il ‘Padre nostro’ diventi non solo una preghiera della mente ma anche del corpo. Ripeto non c’è bisogno di fare gesti esagerati ma basta un leggero ed armonioso movimento e così si attiva meglio l’attenzione verso le parole che si stanno pronunciando e, dalla mia esperienza, la preghiera diventa più piena.


La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo che animi l’universo anima anche il nostro corpo in modo che ogni fibra del nostro essere si colleghi con il Padre celeste.

 

Michele Sebregondio

 
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AMARE I PROPRI NEMICI E' LA VERA CURA PER GUARIRE L'UMANITA'

Post n°814 pubblicato il 17 Giugno 2014 da sebregon

XI SETTIMANA  - MARTEDÌ

 


 

 

 

 

 

 

 

 Mt 5, 43-48


 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo” e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

 

Come il Padre celeste così anche noi: Gesù ci mette sullo stesso piano creando tra Dio e le sue creature un piano di possibile parità almeno nell’ordine dell’amore. Dipendesse solo da noi questa parità ‘tendenziale’, tendenziale perché Gesù usa qui il congiuntivo, non potrebbe mai esserci ma se invece ad amare è soprattutto Dio in noi allora la perfezione di Dio potrebbe abitare il nostro cuore e le nostre azioni.

 

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Poi Gesù cerca di convincerci anche che l’amore verso chi ci ama è qualcosa di scontato e che invece quello verso i nemici è più meritevole. Ora chiediamoci come si può amare un nemico che vuole la nostra vita? Umanamente parlando non si può e solo la venuta di Gesù su questa terra ha potuto aprirci la strada verso questa possibilità. Egli infatti amando i suoi nemici ha dato la possibilità a molti altri di fare lo stesso seguendo il suo esempio.

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Diversamente se egli avesse odiato i suoi nemici oggi ci troveremmo come tanti fratelli di una religione a noi contemporanea che non riescono a trovare pace tanto si odiano. L’odio produce la morte fisica delle persone e coloro che restano molte volte non vogliono la giustizia ma la vendetta creando delle ferite sempre più profonde nel tessuto dell’umanità. Gesù invece opera al contrario e cioè dalle sua ferite e da tutte le sue parole nascono in continuazione punti di sutura e di cicatrizzazione che guariscono e non lasciano segno.

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Le continue notizie che ci arrivano dalla cronaca quotidiana della nostra Italia come dal mondo ci avvertono che il nemico colpisce in continuazione propagando a dismisura l’dio tra le persone ed i popoli. La nostra risposta non può essere che quella di amare in continuazione alla maniera di Gesù e se non ce la facciamo cerchiamo di non pretendere l’impossibile dalle nostre forze ma facciamoci aiutare da Chi può aiutarci veramente e così tutto sarà più facile per non dire divino.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo se ancora dopo duemila anni dalla venuta di Gesù ci troviamo messi così male allora non ci resta che invocare con tutte le nostre forze l’intervento della divina Trinità che abbia misericordia della nostra miseria e ci liberi dal male.

 

Michele Sebregondio

 
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RITENERSI FORTI TANTO DA POTER GIURARE CI ESPONE A MISERE CADUTE

Post n°813 pubblicato il 13 Giugno 2014 da sebregon

X SETTIMANA DEL T.O. – SABATO


 


 
 

 

 

Mt 5, 33-37


 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno».   

 

Se Gesù ha sentito la necessità di puntualizzare bene quale deve essere il modo con cui ci relazioniamo agli altri allora deve essere sicuramente un punto importante e molto delicato da trattare. Occorre dunque cominciare un esame di coscienza per vedere come agiamo nelle transazioni con il nostro prossimo.

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In prima istanza ci sembra che Gesù semplifichi troppo la complessità delle nostre relazioni che non ci permettono di dire con chiarezza 'si' o 'no'. Eppure occorre chiedersi che cosa vuol dirci il Signore e che cosa significa ‘giurare’. "Giurare significa, secondo la sua etimologia radicata nella voce jus (diritto, ragione è ciò che è dovuto a ad alcuno), chiamare la divinità in testimonianza di un diritto, di ciò che è giusto, della verità di ciò che si dice, imprecando contro di sé, ove si mentisca o non si adempia la promessa". (da www.etimo.it).

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Dunque Gesù non vuole che giuriamo né per il cielo, né per la terra, né per Gerusalemme perché non vuole che rimaniamo vittime di noi stessi. E’ come se chiudessimo noi stessi in una gabbia da cui non si può uscire sia che adempiamo il nostro giuramento sia che vi veniamo meno. Infatti se ben ci pensiamo il tutto gira in un caso sulla nostra capacità e forza di ottemperare al giuramento e nell’altro caso sulla nostra incapacità di adempierlo. Ora nella vita spirituale noi non possiamo mai contare su  noi stessi  perché è sempre con il Signore che portiamo avanti il nostro cammino ed è Lui che ci dà la forza di portare avanti le cose buone che abbiamo nel cuore, come pure in caso di caduta se tutto si fondasse su di noi non avremmo di fatto  la forza di tirarci su, ma se invece il nostro riferimento è sempre il Signore, e non le nostre forze sopraffate, allora è a Lui che possiamo chiedere di ridarci la forza e farci riprendere il cammino.

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Gesù dunque ci invita non ad essere dei superuomini che mai possono sbagliare, ma ad un cammino realistico dove  la nostra fragilità è da Lui protetta solo che il nostro riferimento costante sia la sua Persona.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito del Signore che ci illumini e ci fai penetrare negli intendimenti del Signore Gesù fa che mai ci sentiamo forti della nostra forza ma solo di quella che ci viene donata dal tuo Gesù.

 

Michele Sebregondio

 
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DIRE STUPIDO AL FRATELLO E' TOGLIERGLI LA FAMA E FARLO GUARDARE MALE DAGLI ALTRI: PERCHE'?

Post n°812 pubblicato il 12 Giugno 2014 da sebregon

X SETTIMANA  - GIOVEDÌ

 

 
 Mt 5, 20-26


 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.».

 

Ci viviamo come i dominatori del mondo. Non sempre però per cui ai nostri occhi possiamo essere anche miseri ma, c’è un ma…, quando ci  relazioniamo con gli altri ecco venir fuori, se non  stiamo molto attenti e ben protetti dall’umiltà, la gabbia mentale in cui ci siamo circonclusi e che reputiamo essere la nostra vera visione del mondo.

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Con questa nostra visione mentale ecco che siamo pronti a giudicare il nostro prossimo, da chi è nostro prossimo per legami di sangue o di parentela  a chi ci attraversa la strada, di cui non sappiamo niente, ma che se lo vediamo in un certo modo ecco che lo cataloghiamo nei nostri contenitori a perdere.

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Siamo maestri del giudizio ma non bravi nello stesso modo quando si tratta di giudicare noi stessi.  Per noi abbiamo tutte le giustificazioni di questo mondo per gli altri invece i giudizi dalla nostra sedia gestatoria quando funzionava a dovere e cioè dall’alto: siamo su ed il mondo ci scorre sotto pronto a rivedere i nostri. ‘stupido’ o i nostri’ ‘pazzo’. Lo stesso Gesù fu preso per pazzo da coloro che come noi praticavano lo stesso sport del giudizio.

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Come uscire da questa mania veramente stupida e pazza? Infatti se non capiamo i dinamismi della realtà alla fine siamo proprio noi che meritiamo quei titoli. Dobbiamo allargare il nostro cuore per farvi passare dentro i fiumi della misericordia, quella che Dio dona a tutti coloro che gliela chiedono per se stessi e per farne un filtro divino da cui guardare agli altri.

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Come possiamo giudicare la vita del prossimo? Che ne sappiamo dei loro percorsi di vita? Dei loro tentativi di vivere una vita buona, delle loro sconfitte e di quel filo di fede e di speranza che anche nelle situazioni peggiori si portano dentro? Noi siamo al mondo per aiutarci, tutto qua ed il Signore ha bisogno delle nostre mani e dei nostri piedi perché si aggiungano a quelli del fratello in difficoltà e gli permettano di osare e di riuscire nella vita.

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Del resto quante volte è capitato e capita ancora e capiterà d’essere aiutati da qualcuno? Anche chi scrive non ha la vittoria e la salvezza in tasca ma ha sempre bisogno che qualcuno gliela la doni e dunque siamo tutti pari, forse la differenza sta qui che noi sappiamo che abbiamo bisogno mentre altri si pongono il problema in modo diverso e cioè pensano d’essere autosufficienti. Tuttavia devo confessare che è facile slittare dalla consapevolezza d’essere umili e bisognosi d’essere salvati al credere di potercela fare da soli.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito santo che sei Spirito d’amore insegnaci a moderare la nostra lingua ed i nostri pensieri per disporci ad accogliere tutto ciò che ci viene incontro all’insegna della misericordia.

 

Michele Sebregondio

 
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PER IL CRISTIANO IL SUO SALE E' LO SPIRITO SANTO, SUA SALVEZZA

Post n°811 pubblicato il 09 Giugno 2014 da sebregon

II SETTIMANA DI AVVENTO – GIOVEDÌ

 

 


 

 

Mt 5,13

Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.

 

Nel 1967 usciva un disco dal titolo emblematico “Beggar’s Banquet” ossia il banchetto del mendicante, dei Rolling Stones. Conteneva una canzone che si chiamava salt of the earth, ossia il sale della terra. Questa canzone proponeva un brindisi al sale della terra, identificandolo con la gente di umili condizioni che lavora sodo e che svolge le attività quotidiane con serena umiltà e fiducia, anche in condizioni estreme.

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In realtà il Vangelo non dice proprio questo, ma in qualche modo l’autore ci ha azzeccato, perché proprio lavorando strenuamente si riesce a dare sapore nuovo al mondo. C’è da dire che purtroppo nel mondo di oggi non bisogna essere sale senza sapore per essere calpestati, ma il sale anche quello buono è già calpestato abbondantemente.

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La novità del Vangelo è però anche se calpestato il sale della nuova alleanza non perde mai sapore e allora tutto ciò che nel mondo va storto, tutte le fatiche degli umili, tutti i loro problemi diventano offerta gradita a Dio. Anche se questo in realtà non avviene automaticamente, ma solo se sappiamo soffrirlo in unione a Dio. E’ bello sapere che da qualche parte c’è qualcuno che fa un brindisi per te.

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E’, certo, chi fa il brindisi non Mick Jagger ma Dio stesso, insieme a tutti coloro che in qualche modo hanno capito quanto si è importante non calpestare il sale, non vessare gli umili, non crocifiggere nessuno ma anzi lasciarsi crocifiggere per amore di questa umanità che tanto per citare Fabrizio di André non va giudicata da buon borghese ma amata fino a darle la vita.

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Proprio come ha fatto colui che ha paragonato tutti noi al sale della terra, dando a tutti la speranza di poter rinnovare con un’offerta di gioia tutta la creazione. Dunque essere sale della terra, dobbiamo convincerci non è atto esterno a noi, quasi come se facessimo delle cose a noi estranee ma un atteggiamento vitale, quasi una presa di posizione a favore di un’umanità che attende di essere insaporita e che può così gustare il sapore della gioia.

 

 

La nostra vita e la Parola

 

Guidaci Signore nelle vie del mondo perché l’alleanza con te non sia qualcosa di estemporaneo ma tutta la nostra vita si insaporisca del nostro amore per te e per gli uomini.

 

P.Elia Spezzano o.cist

 

 
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OTTENEBRATI NEL PRENDERE COSCIENZA DI CIO' CHE SIAMO NON RIUSCIAMO A PASSARE AD ALTRI CIO' IN CUI CREDIAMO

Post n°810 pubblicato il 08 Giugno 2014 da sebregon

SABATO PRIMA DI PENTECOSTE

 


 

 


At 28,16-20.30-31

Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per conto suo con un soldato di guardia.Dopo tre giorni, egli fece chiamare i notabili dei Giudei e, quando giunsero, disse loro: «Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo o contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato nelle mani dei Romani. Questi, dopo avermi interrogato, volevano rimettermi in libertà, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte. Ma poiché i Giudei si opponevano, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere, con questo, muovere accuse contro la mia gente. Ecco perché vi ho chiamati: per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena».Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso in affitto e accoglieva tutti quelli che venivano da lui, annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento. 


Paolo  il discepolo che non ha conosciuto Gesù, ma che lo ama fino a farlo rivivere in lui, non si fa imbrigliare dai tormenti che limitano la sua liberta di movimento. Agli arresti domiciliari, nonostante nessuna colpa sia stata a lui addebitata. Ecco in questa situazione, Paolo è completamente dedito alla sua missione, insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo con tutta franchezza e senza impedimento ci dicono gli atti.

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Paolo è qui l’uomo rigenerato e trasformato che ha superato i conflitti della sua umanità ed è completamente pacificato anche con chi lo accusa. Tutto questo non è stato per lui un dono gratuito, ma una conquista arrivata dopo una lunga e faticosa opera, fino all’alto premio dell’unità coN Lui.  Un uomo, un apostolo a cui ispirarsi per la nostra vita oggi.


Vanruis Groendal

 
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GESU' FRATELLO NOSTRO VENTO DA LONTANO DAL SENO DEL PADRE PER DIRCI CHE E' ANCHE NOSTRO PADRE

Post n°809 pubblicato il 05 Giugno 2014 da sebregon


VII SETTIMANA DI PASQUA
- GIOVEDÌ
SAN BONIFACIO, VESCOVO E MARTIRE
(m)

 


 

 


 Gv 17,21


In quel tempo,
[Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:]«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».

 

Come accade a volte con il vangelo di Giovanni, certi brani mi appaiono più “filosofici” e, paradossalmente, mi piacciono di meno. Qui (terza e ultima parte del 17) Gesù parla dell’amore, l’amore che sente per gli uomini. Ma questo suo amore mi arriva meno diretto, meno di cuore che in altre pagine evangeliche più semplici.

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Una frase in realtà mi colpisce più delle altre: “perché tutti siano una sola cosa… perché siano perfetti nell’unità”. L’obiettivo di essere tutti Uno, che mi risuona molto e mi fa sentire il Divino nell’immanenza, più ancora che nella Trascendenza, sembra in queste parole di Gesù quasi una“preoccupazione”.

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E qui, sì, lo sento accorato e umano, come se esprimesse un desiderio che non sa quanto sia possibile realizzare… e si rivolgesse al Padre per ottenere da lui che questo desiderio di unione si realizzi.Come un fratello maggiore che si mette di mezzo e cerca di intercedere per il fratello più piccolo presso il padre severo…

 

Alessandra Callegari

 
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TUTTO QUELLO CHE E' DI GESU' E' DEL PADRE E VICEVERSA E CE LO VUOLE DARE: CHE FARE?

Post n°808 pubblicato il 02 Giugno 2014 da sebregon

3 GIUGNO
VII SETTIMANA DI PASQUA - MARTEDÌ
Ss. CARLO LWANGA E COMPAGNI MARTIRI (m) 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 



 Gv 17, 1-11


 
In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi al cielo, disse:«Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te». 

 
 

La vita di Gesù non è quella di un uomo che pur avendo tante relazioni crede che il suo compito nella vita sia quello di realizzare se stesso. Una realizzazione fatta mettendo in campo da singolo uomo tutte le  potenzialità per arrivare a dei risultati tangibili nell’ordine delle cose che valgono in questo mondo.

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Tutte le cose di Gesù sono, per sua confessione del Padre e nello stesso tempo quelle del Padre sono sue.  Ciò significa che il pensato e l’agito in Gesù hanno come contesto di riferimento una relazione profonda con il Padre e dunque pure essendo vissuti nel mondo hanno uno scenario intenzionale che non è del mondo.

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Quanto questo sia per noi difficile lo sappiamo bene tanto che quando per grazia di Dio riviviamo dei momenti simili a quelli di Gesù (ma sempre alla lontana naturalmente) ecco che ci pare di toccare il cielo, ma sono momenti. Gesù tuttavia insistendo nel presentarci il contesto del suo divino amore è come se ci spronasse a non scoraggiarci nel credere che anche per noi è possibile vivere questa modalità di rapporto permettendo così allo  Spirito Santo di darci i suoi doni.

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Gesù ci insegna ad essere dei passatori di amore: come egli riceve tutto dal Padre così egli prende tutto ciò che ha ricevuto e lo passa a noi. Non tiene niente per sé perché egli dandosi tutto riprende se stesso perché si è donato interamente. E’ una legge per noi difficile da capire ma forse uno sforzo possiamo farlo riflettendo come ogni volta che abbiamo agito un vero atto d’amore (e cioè senza un secondo fine ma solo perché,buono, vero e bello il dono che abbiamo fatto di noi stessi al nostro prossimo) ne abbiamo avuto un ritorno inimmaginabile in ricchezza interiore ed in aperture di mondi mai sospettati prima.

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Tutto ciò che Gesù ha fatto e donato è la sua gloria eterna che rimane per noi  come una fonte viva di amore e di alto significato umano a cui noi potremo sempre attingere. La sua vita è  una fonte talmente densa che egli desiderava andare via da questo mondo per lasciarci il suo Spirito che ce ne facesse gustare la grandezza e la profondità.

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Noi dunque siamo i destinatari di questa ricchezza ma nello stesso tempo siamo coloro che sono chiamati a svuotarsene perché se non la passiamo ne diventiamo i possessori e dunque tradiamo lo spirito con cui Gesù ci ha dato la sua vita e tutti i tesori che essa contiene.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo, aiutaci a non mettere dighe dentro di noi per conservare ciò che riceviamo dal Padre e da Gesù e fa che con generosità ridiamo tutto ciò che riceviamo proprio come un laghetto che permette all’acqua una piccola sosta nello stesso momento che fluisce verso altrove.

 

Michele Sebregondio

 
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