Creato da middlemarch_g il 24/01/2008
'Fallisci meglio' è il mio secondo nome
 

Messaggi di Aprile 2012

Dei deliri dell'antropomorfizzazione

Post n°782 pubblicato il 30 Aprile 2012 da middlemarch_g
 

Mentre corro lungo l'argine del Bacchiglione, come accade spesso, a una certa distanza scorgo venirmi incontro la sagoma familiare della diade padrone con guinzaglio al braccio+cane sgaloppante che lo procede di qualche metro. Ché insomma non è certo raro da queste parti, soprattutto visto che siamo in un'area abbastanza centrale della città, e gli spazi verdi risultano particolarmente ambiti.

Ma mentre mi si avvicinano mi rendo conto che questa particolare coppia di mammiferi ha qualcosa di diverso dal solito, e non è nè la razza del cane nè la faccia della padrona. Piuttosto è l'outfit. Quello del cane, per la precisione. Che si presenta all'incirca così:

 

 

Onestamente la borsa non era griffata come quella della foto. E anche il cane era più il genere metalmeccanico che non la variante pelosa di Nicole Minetti che si vede qui sopra. Ma a parte questo, si presentava proprio nello stesso modo.

Mi sono fermata mentre mi passava accanto e mi sono tolta anche un auricolare dell'iPod per osservarlo meglio. Così, come gesto atto a dare sostanza al mio sconcerto. Anche lui si è fermato, mi ha guardata dal basso in alto, e ho visto benissimo che lo sconcerto era all'incirca pari al mio. Lui, in più, credo si vergognasse anche come un ladro: ghè to visto che parecio assurdo me gà piasà ensima? No ghe posso credare, varda. Xè una roba massa trista.

Poi ha abbassato la testa sconsolato e si è rimesso in cammino prima che lo raggiungesse la padrona, che, come era prevedibile, non aveva borse di nessun tipo. Insomma aveva scaricato quello che competeva a lei dentro le sacche del cane da soma.

Ho guardato con desiderio il Bacchiglione che scorreva placido e zozzo lì accanto. Ho guardato il cane che si allontanava gravato dalle sue miserie. Ho cercato in giro se per caso c'era un pezzo di legno. Da tirare in modo che sfilasse proprio sotto gli occhi del cane. Per finire dritto nel Bacchiglione. Dove sarebbe stato fantastico che il cane si gettasse a razzo con tutte le sue masserizie sulla schiena impestandole di fango e merda.

Ma poi ho perso l'attimo. E mi sono fatta sfuggire l'occasione di vendicare l'insulto. Magari prima o poi li ritrovo, chi lo sa. Perché ci terrei proprio.

 
 
 

Volevo solo mangiare un cornetto in relax

Post n°781 pubblicato il 24 Aprile 2012 da middlemarch_g
 

Ho pensato: potrei sforzarmi di farmela passare.

Oppure: perché non approfittarne per dirottarla su qualcosa che davvero demerita? Detto. Fatto.

Ieri sono stata a un convegno sull'Information Literacy. O meglio. Sulla scuola elementare dell'Information Literacy. Nel senso che quasi tutti gli oratori si sono sforzati di partire da zero, anche se l'uditorio non sembrava così disastrato sotto il profilo delle competenze di base.

Come sovente accade in questi solenni contesti accademici, quando il moderatore ha chiuso i lavori alle cinque del pomeriggio, ho serenamente concluso di aver buttato nel cesso 9 ore della mia vita senza nessun effettivo costrutto. Ma non importa. Ci sono abituata.

Ed ero anche preparata. Mi ero portata Harry Potter and the Prisoner of Azkaban - preciso il titolo in inglese in quanto ci tengo a farvi sapere che lo sto leggendo solo ed esclusivamente a beneficio dell'incremento delle mie competenze linguistiche, e non certo per indurre il sospetto che mi stia divertendo come una pazza! - e devo dire che ascoltare in sottofondo citazioni estratti a caso dal bignami dell'Information literacy for dummies, mentre sbirciavo sul libro i punti salienti dello scontro mortale fra Harry e Sirius Blake, non è stata in fondo la peggiore esperienza della mia vita. Tanto più che io amo le contaminazioni letterarie di qualsiasi genere e specie.

Visto che ero proprio dietro il Duomo, in pausa caffè ho ritenuto di essermi meritata un cornetto da Tadiotto. E poi, siccome avanzava tempo, ho fatto un giro nella libreria Gregoriana lì accanto. Non entro mai volentieri nelle librerie religiose. Ma insomma questa è grande e moderna, e sapevo che avrei trovato anche roba moderatamente digeribile.

E mi sono imbattuta in questo: La fine è un buon inizio. L'autore non lo cito perché spero con questo post di dare inizio a una damnatio memoriae che perseguiti lui e tutti i suoi discendenti fino alla settima generazione. E ho intenzione di essere proprio la primissima a tirare sul nome una palata di terra. Vi spiego di che si tratta, che sennò è difficile crederci.

Un florilegio - cito dalla terza di copertina - dei finali più belli di tutta la letteratura. Che già di base è una puttanata di ampiezza fotonica. Cos'è? Che vuol dire? Che mi rappresenta? E' come fare un libro fotografico del dito anulare delle donne più belle della storia. Dopodichè?

Ma poi la cosa che supera i confini dell'umano è che all'interno, tra gli altri, c'è il finale di un Dan Brown. Non so esattamente di quale delle sue megaminchiate, che tanto sono tutte uguali, cambia solo la città sullo sfondo, ma il dettaglio è irrilevante. Quale tipo di sottomarca di estetica da discount stai professando, se all'interno della categoria 'più bello del mondo' - non importa il prodotto, può essere libro, quadro, manufatto, gioiello, stoviglia o scopino da cesso - ci fai rientrare un Dan Brown?

E finché sono i paradeliri letterari dell'autore della prestigiosa antologia, glielo passo. La etichetto sotto la tag: "deiezione della ghiandola della vanità" e me la spiego così. Ma l'editore? Quale editore, in un paese come questo dove la gente non legge mai niente per nessun motivo manco a rischio della vita, si impegna in un'operazione di tale incalcolabile impatto alla fuffa? 

Non so. Non capisco. Non mi spiego. Ma secondo me vi fate del male. Ne fate a noi. E non mi siete simpatici. Neanche un po'.

 
 
 

Muddy mood

Post n°780 pubblicato il 24 Aprile 2012 da middlemarch_g

Secerno energia negativa da tutti i pori e, com'è giusto che sia, l'universo mi restituisce fiele e caos.

La gente mi spintona per strada e non chiede scusa, il caffè fa schifo, gli utenti sono insolenti e molesti, l'amore non fluisce libero e sotterraneo a benedire la terra, ma si mescola al fango e trabocca dai tombini intasati di foglie.

Di cosa mi sorprendo? Non la conosco questa legge cosmica? Non la pratico con applicazione religiosa? Non la predico a chiunque mi presti un soldo di cacio di attenzione?

Ostìnati a rinnegare la merda che ti porti dentro come se fosse prodotta da qualcosa o qualcuno diverso da te, e per le Leggi delle Termodinamiche Interiori, sta' tranquillo che l'universo te la restituirà moltiplicata.

 

 
 
 

Sembrava piccola e fragile

Post n°779 pubblicato il 18 Aprile 2012 da middlemarch_g

Ieri pomeriggio, in biblioteca, per effettuare un controllo su un'utente femmina di una certa età, ho aperto il gestionale per verificare i dati. Appena mi cade l'occhio sulla pagina amministrativa mi si spalanca un orizzonte interstellare: la signora risultava regolarmente iscritta all'università - nessuna interruzione, nessuna rinuncia agli studi, nessuna scadenza imponibile evasa - dal 1983.

Millenovecentottantatrè. Il secolo scorso. Ventinove anni consecutivi.

Vero è che ormai ha quasi finito. Di preciso quanto le manca non lo so, ma gli esami sono parecchi e con questo ritmo entro la seconda decade del XXI secolo senz'altro arriva. In prospettiva cosmica si può dire che è proprio agli sgoccioli.

Però mi ha fatto impressione. In senso buono. Avevo davanti una persona che si è iscritta all'università nell'anno in cui io - che non sono una fanciulletta impubere - finivo il ginnasio, un anno in cui non c'era ancora l'euro, un biglietto dell'autobus costava 200 lire, un caffè 250, e lo stipendio di un operaio si aggirava intorno alle 350 mila lire al mese. Le tasse le ha pagate tutte, dalla prima all'ultima, senza fermarsi mai. Se facciamo una botta di conti e includiamo anche spese per libri e trasporti, con quel che ha speso ci si sarebbe potuta comprare una casa. Piccolina forse. Ma un pied-à-terre decentrato non glielo toglieva nessuno.

La cosa più bella poi è che nemmeno la facoltà in cui sta per laurearsi esisteva al momento della sua iscrizione. All'epoca era ancora un corso di laurea di filosofia. Poi si è autonomizzata, e qualche anno dopo è passata dall'ordinamento quadriennale a quello quinquennale. Dalla fine degli anni novanta è entrato in vigore il modulo europeo del 3+2, che dalla prima istituzione è stato poi riformato altre due volte prima di assumere la configurazione attuale in cui, in una sorta di spirale ciclica che divora se stessa, ancora una volta la facoltà sparisce, e viene inghiottita da una nuova struttura istituzionale che sailcazzo cosa diventerà. La didattica si è magmaticamente evoluta e modificata come una fenice che nasce e muore dalle sue ceneri, e lei imperterrita è rimasta in mezzo al tornado evolvendo da una riforma all'altra senza che niente e nessuno potessero spazzarla via da lì.

Chenesò. Una determinazione impressionante. Oppure una totale perdita di senso, di scopi e obiettivi. Dipende. Bisognerebbe conoscerla per dire che significato ha questa scelta all'interno della sua vita. O che significato avrebbe avuto se a una ragionevole distanza di tempo dall'iscrizione avesse invece detto a se stessa: basta, evidentemente questa cosa non fa per me.

La vita è misteriosa. Quando ci fa fare cose imprevedibili e belle. Ma anche quando ci fa fare cose strane. Le cose strane sono più comuni e meno facili da capire. Ma non si può mai dire a priori se le cose strane non siano in effetti solo cose belle, osservate da un altro punto di vista.

 
 
 

She deserves a quiete night

Post n°778 pubblicato il 15 Aprile 2012 da middlemarch_g
 

A diciannove anni mi innamorai come una pazza.

Non ho nessuna pretesa di spacciarla per una condizione particolarmente originale, perché vista da fuori non lo era. Chi è che non s'innamora come un pazzo a 19 anni? Casomai sei strano se non lo fai. Io lo feci, e fu una cosa come un imprinting folgorante. In un certo senso non ho più amato nessuno quanto ho amato lui, anche perché era un amore senza nulla di umano. Non fu solo perché non si concretizzò - lui manco mi vedeva - fu più una questione di intangibilità emotiva. Era come se lui fosse una divinità, e io l'ultima ancella del suo culto. Interagivo con lui fingendo parità relazionale perché facevamo parte dello stesso giro di amici, ma nelle profondità cunicolari dei miei sentimenti lo osservavo come un marziano in lontananza attraverso un telescopio. Non mi diedi mai nessuna speranza, neppure per un minuto, anche perché eravamo abbastanza amici perché riuscissi a estorcergli confidenze sul tipo di donna in grado di piacergli, e il ritratto che me ne faceva mi confermava che non avevo nessun ottimismo da coltivare. Lo amavo così tanto e così male che non sono mai arrivata nemmeno a desiderarlo. Per dire le vette dell'assurdo che si possono raggiungere. Non si desidera un dio. L'amore carnale è una cosa da creature terragne e perdute, e in quel campo io mi sentivo sempre esclusa dal gioco.

La lezione più amara e produttiva della vita l'ho imparata da lui. Perché quando me lo strappai dal cuore per poter sopravvivere, chiusi tutto, ogni possibile imbocco, ogni spiraglio. Dissi a me stessa che sarei andata avanti perché dovevo, ma che la porta che sprangavo non si sarebbe riaperta, perché se non aveva potuto amarmi lui, allora non l'avrebbe fatto nessuno. Ma poi un paio d'anni dopo lo incontrai per caso al braccio della sua fidanzata. Non so come riuscii ad avere una conversazione apparentemente normale con loro. Ero ipnotizzata da un'assurda evidenza: lei non corrispondeva affatto alle descrizione della donna ideale con cui mi aveva crocifisso alla mia inadeguatezza anni prima, ma nemmeno un po'. In effetti all'incirca non era molto diversa da me. Mi ricordo che sentii una sorta di cosmico boato metafisico alla mie spalle, diciamo come se l'intero empireo dei beati si fosse alzato per una gigantesca ola, mentre una voce roboante squarciando le nubi diceva: adesso l'hai capita, povera imbecille, che in amore non è mai la bellezza che ti premia, mentre è sempre la mancanza di ambizione che ti fotte?

Dopodiché sono passati gli anni. Moltissimi anni.

E poi ci siamo incontrati di nuovo. Prima via mail. Poi di persona. La vita aveva fatto di noi personcine fatte e finite: casa, matrimonio, lavoro, nel suo caso figli. Il rapporto è nato sulla base di una calda e solida amicizia, molto più forte di quella che era stata tanti anni prima. E a me è capitata un'esperienza metafisica: dentro di me, l'adolescente che avevo congelato in assenza d'amore perché quel dolore non la uccidesse di schianto, in sua presenza si è risvegliata.

Sia chiaro: non ero io. L'ho sentito distintamente. Alla mia vita di donna adulta non mancava niente e non avevo vuoti da riempire. Era la ragazzetta annichilita di vent'anni prima che reclamava spazio e che sgomitava per ritagliarsi aria in superficie. Per lei il tempo non era passato. Voleva vederlo. Voleva sentirlo. Stavolta addirittura voleva toccarlo, perché sul piano della didattica del desiderio io - l'organismo ospite - nel frattempo avevo pur sempre imparato qualcosa, e lei era perfettamente capace di apprezzare la differenza.

In quel periodo lei mi ha odiato. Mi guardava con occhi di rimprovero. Mi diceva: ti rendi conto di cosa mi hai fatto? Perché sono stata chiusa tutto questo tempo dentro un buco mentre tu vivevi la mia vita? E io non sapevo cosa replicare. Perché aveva ragione. Lo sapeva lei. E lo sapevo io.

Ma la verità è che non sono riuscita a salvarla. Ho smesso di dormire. Per un po' ho smesso perfino di mangiare. E chi mi conosce sa che questo può accadere solo se sto davvero male. Ma non ho trovato una soluzione. Non sono riuscita a prendere quell'adolescente per mano e a farle percorrere tutta la strada fatta per arrivare a fonderla con la donna che nel frattempo ero diventata.

Alla fine ho deciso che ancora una volta dovevo staccarmi da lei, altrimenti lo strazio mi avrebbe divisa in due come un'accetta che si abbatte con tutta la forza su un tronco di legna. L'ho lasciata indietro di nuovo. Le ho detto: mi dispiace, bisogna che ti fermi qui, perché non riesco a trascinarti con me, e devo tornare a vivere la mia vita.

Ho celebrato l'addio con una canzone, poi ho slegato tutto quello che c'era da sciogliere, e ho nuotato fino a raggiungere la superficie del mare. Ogni volta che mi capita di ascoltarla so che sono ancora viva e piena di entusiasmo. E ogni volta celebro la forza di quella ragazzina che non ha avuto diritto all'amore e malgrado questo si è sacrificata due volte perché io potessi continuare a camminare per il mondo libera e felice. Perché sono stata io a sciogliere il vincolo. Ma non avrei mai potuto farcela se lei non avesse accettato di lasciarmi andare.

La canzone, se per caso vi interessa, è questa. 

 
 
 

Great expectations

Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio.

Samuel Beckett

 

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