GIURIDICO
lavoro,polizia municipale, mobilita, giurisprudenza, dottrina brunetta, malattia,polizia municipale, concorsi, preparazione
MOBILITA ASL
per inserire disponibilita di mobilità fra dipendenti ASL questo è il link:
http://blog.libero.it/doctormobilita/
Questo blog sta dalla parte degli italiani onesti che si difendono da un governo che mira all'interesse di pochi sacrificando il presente ed il futuro dell'intera nazione."
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se avete bisogno da avere informazioni, sulla mobilita' volontaria interscambio, problemi di qualsiasi genere con la P.A., arbitrati, conciliazioni, concorsi ecc, scrivetemi sarò lieta di dirvi come fare, e GRATIS senza alcun impegno, solo perche mi va di farlo, perche sono stanca di vedere continui soprusi su colleghi, da parte della pubblica amministrazione.
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CONTEGGIO STATI
Post n°128 pubblicato il 18 Febbraio 2012 da sandra4510
Gent.mi avrei bisogno di una consulenza. Il Comune di Brindisi ha indetto un bando : Selezione per mobilità volontaria esterna indetta dal Comune di Brindisi per la copertura nel triennio 2011/2013 di n. 21 posti di "Istruttori di Vigilanza" cat. 'C' Avrei bisogno di sapere se un tenente dell'esercito,nato a Lecce, in regolare servizio da più di dieci anni, in possesso di tutti i requisiti richiesti e della stessa categoria ( C ) può presentare regolare domanda e a quale normativa deve fare riferimento oltre all' articolo 30 del D.lgvo 30.03.2001, n. 165. Ringrandiano anticipatamente si porgono Cordiali Saluti. Ten. Christian Esposito |
Post n°127 pubblicato il 18 Febbraio 2012 da roberto.nedile
Roberto: sono un agente della Polizia di Stato, a breve presso un'autorità di bacino si dovrà bandire un concorso per mobilità di un dirigente ingegnere. Ti chiedo, avendone i requisiti di studio, se io posso fare domanda di mobilità volontaria, se è superabile la differenza di categoria essendo mobilità volontaria e se possono negarmi il nulla osta. Grazie |
Post n°125 pubblicato il 18 Febbraio 2012 da giuiva
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Post n°124 pubblicato il 18 Febbraio 2012 da ricco.lucia
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Post n°123 pubblicato il 18 Febbraio 2012 da saraielmoli
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Post n°122 pubblicato il 18 Febbraio 2012 da newbraveheart
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Post n°121 pubblicato il 18 Febbraio 2012 da nick1830
Ciao Laura, finalmente sono riuscito a raggiungere il tuo blog. Volevo ulteriormente ringraziarti per l'aiuto datomi per il dissequestro del motoveicolo e attendo una tua risposta in merito all'eventuale contestazione della cartella esattoriale notificatami sempre riferita al verbale del sequestro.
GRAZIE!!!!! |
Post n°120 pubblicato il 18 Febbraio 2012 da geraldbraho
L’orientamento (recente e nuovo) secondo il quale alla luce del tenore e significato letterario della nuova normativa alla luce della Riforma Brunetta, per il passaggio diretto del personale tramitte la mobilità, non occorrerebbe più alcuna autorizzazione - nulla osta dell’amministrazione di appartenenza.
A dire la verità, tale orientamento è rappresentato maggiormente dal contributo del prof. Amedeo Bianchi della Bocconi. Per completezza della questione e per speditezza di ragionamento riporto qui in seguito l’impostazione del Prof. Bianchi originaria:
“Se l’interpretazione della legge può essere definita come l’attività tendente a determinare il significato della norma giuridica al fine della sua applicazione, ogni qual volta questo processo riguardi un nuovo testo normativo, si finisce inevitabilmente per confrontarsi con il diritto vivente, ossia con quella parte di vita concreta, che si sviluppa, agisce e determina parallelamente all’atto di creazione della norma. Inevitabilmente, il caso concreto sfugge allo schema astratto e qui interviene la visione del singolo interprete cui spetterà di misurarsi, oltre che con quello schema, anche con opposte visioni, destinate a permanere diversificate fintanto che non intervenga un’interpretazione autentica del legislatore, posto che se è vero - come insegna Emilio Betti - che "Il senso (della norma) deve essere quello che nel dato si ritrova e da esso si ricava, non già un senso che da esso si trasferisca dal di fuori", raramente una soluzione interpretativa è destinata a rimanere in assoluto “la soluzione”. Ciò posto, e preannunciando una disponibilità al confronto che tenga conto di tale assunto, il caso con il quale ci misuriamo in questa sede è quello, non ancora affacciatosi con forza sulla scena del dibattito dottrinale e giurisprudenziale del nuovo articolo 30 del D. lgs.vo 30 marzo del 2001 n. 165 così come consegnatoci dopo la Riforma Brunetta di cui al D. lgs.vo 27 ottobre 2009 n. 150 a mente del quale “Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Le amministrazioni devono in ogni caso rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta. Il trasferimento è disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire”. L’aspetto maggiormente innovativo della disposizione è racchiuso nella previsione per cui tali passaggi diretti possono essere attuati “previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato” e dunque senza alcuna necessità del nullaosta da parte dell’amministrazione da cui la risorsa proviene. Sul punto, però, comincia a delinearsi una visione che appare scettica, sostenendosi, al contrario di quanto la stessa norma afferma, che il nulla-osta dell’amministrazione di provenienza sia ancora necessario, pur se richiesto in forma diversa. A parere di chi scrive, tale interpretazione “conservativa” può essere superata facilmente, facendo riferimento a diversi canoni ermeneutici, non senza tener presente, per dirla con Herbert Hart, che "lo scettico sulle norme è talvolta un assolutista deluso". Invero, il primo canone ermeneutico da utilizzare è quello dettato dall’articolo 12 – 1° comma, delle disposizioni della legge in generale secondo cui: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”. Ebbene, il testo dell’art. 30 in commento dice: “Il trasferimento è disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato”. Il senso, fatto palese dalla norma è, dunque, la necessità di acquisire il parere dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici dove il personale ha richiesto di essere trasferito. E consideriamo presupposti consolidati, sia la privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico, sia il principio di separazione delle competenze. Infatti, nonostante la necessità del nulla-osta dell’amministrazione cedente potrebbe adombrarsi nella successiva espressione “cui il personale è …. assegnato”, il significato proprio di tale espressione va piuttosto ricercato nell’ipotesi di dipendente che sia già in servizio in posizione di comando o di fuori ruolo presso l’amministrazione che deve rilasciare il parere, altrimenti l’espressione sarebbe stata completata con “…e sarà assegnato”, e non con l’alternativa “o sarà assegnato”. Ciò per un ovvio duplice ordine di motivi. Il primo sta nel fatto che, se così non fosse, potrebbe, paradossalmente, bastare il parere favorevole solamente dell’amministrazione cedente senza che quella ospitante nemmeno esprimesse il proprio gradimento. Il secondo motivo, che ovviamente vede distratti i commentatori più scettici e conservatori, risiede nel disposto normativo che ha visto l’art. 30 del Decreto 165, integrarsi con l’art. 2 bis, aggiunto dall'articolo 5 – 1° comma quater della legge n. 43 del 2005. Infatti, tale norma vuole che le amministrazioni, prima di procedere all'espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, attivino le procedure di mobilità, provvedendo, in via prioritaria, all'immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui prestano servizio. Ecco perché il legislatore, confermando la combinazione tra le diverse disposizioni dello stesso previgente articolo, ha ritenuto di considerare anche il personale che .…è assegnato. La norma, a dire il vero, sembra avere il senso di una disciplina di carattere speciale, destinata a prevalere sullo schema ordinario della cessione – rispetto a cui, peraltro, il nulla-osta si pone come una inutile duplicazione – altrimenti la precisazione avrebbe il senso di un’affermazione pleonastica e priva di rilievo pratico. Del resto, l’art. 12 citato, in presenza di problemi interpretativi per insufficienza del dato letterale o equivocità, oltre che del significato grammaticale delle parole, invita l’interprete a tener conto dell’intenzione del legislatore, riferita non soltanto alla volontà di coloro che hanno formulato il testo, quanto alla norma immessa nel sistema di norme che disciplinano la stessa materia. A ulteriore conferma di quanto si sostiene, basti ricordare che la norma generale de quo, già prima di essere novellata dalla Riforma Brunetta, in ossequio ai principi privatistici che ormai dal 1993 caratterizzano il rapporto di pubblico impiego, considerava il passaggio diretto (mobilità volontaria), come cessione di contratto, prevedendo, però, in maniera assolutamente chiara e inequivocabile che presupposto sarebbe stato il nulla-osta dell’amministrazione cedente. Presupposto giuridico che, certamente non per semplice casualità, è stato espunto dalla norma riformata. Ebbene, anche in tal senso, le intenzioni specifiche della Riforma Brunetta, sono quelle di attuare una maggiore flessibilità, soprattutto per quanto attiene alla disciplina della mobilità, che diventa uno strumento per superare la tradizionale rigidità applicativa dell’istituto nel settore pubblico. L’obiettivo del legislatore delegato è stato quello di rimuovere insormontabili ostacoli che da anni impedivano o limitavano il passaggio da un’amministrazione ad un’altra. Non a caso è stato da più parti rilevato che le norme in materia di mobilità, sia intercompartimentale che tra amministrazioni diverse, saranno salutate con favore dai dipendenti pubblici interessati a transitare ad altre amministrazioni. Se, dunque, la linea tracciata per il futuro è quella di rendere le amministrazioni più aperte al cambiamento, anche sul fronte del reclutamento del personale, in vista di ottimizzare l’allocazione dello stesso, non è possibile pensare che per perseguire tale obiettivo sia stata scelta una strada più impervia della precedente. Traccia evidente di tale nuovo percorso è rinvenibile anche in altri ambiti di riforma riguardanti pur sempre il pubblico impiego. Ci si riferisce alla norma di cui all’art. 23 – 2° comma, dettata per i dirigenti, che, confermando le previsioni contrattuali collettive, in un’ottica volta ad assicurare la più ampia mobilità degli stessi, privilegiandone la libera scelta, fa rimando proprio al medesimo art. 30: se questa norma prevedesse solo per tale categoria di dipendenti il sistema esposto, il rinvio, avrebbe dovuto sancire una particolarità per questo diverso caso, adottando una tecnica normativa diversa dal rinvio formale. Invero, il favor verso la mobilità, pur se storicamente “indigesto” in ambito pubblico, non costituisce affatto una novità. In altri comparti è da tempo diritto pacificamente vivente e la sua disciplina differenziata nei diversi settori pubblici, ha determinato fino ad ora ingiustificate disparità e, di fatto, la pietrificazione del sistema di reclutamento in alcuni comparti, come quello locale. E’ dato ritenere, alla luce di ciò, che il legislatore abbia voluto iniziare un percorso di omogeneizzazione della disciplina della mobilità in ambito nazionale, facendo riferimento a normative sviluppatesi nel contesto della contrattazione collettiva, ma pur sempre riferite alla necessità di rendere operativo il diritto alla mobilità. Basti pensare alla normativa di cui al C.C.N.L. integrativo del personale del Comparto Sanità, concernente la mobilità volontaria tra aziende ed enti del comparto o verso altre amministrazioni di comparti diversi – che nel sostituire la disciplina già prevista dagli articoli dal 12 al 15 del D.P.R. 384/90 (C.C.N.L. Sanità), semplificando l’istituto previsto dall’art. 30 del D. lgs.vo 165/2001 - richiede obbligatoriamente la concessione del solo nulla-osta da parte dell’ente a cui si chiede la mobilità in entrata. Infatti, il dipendente che intenda trasferirsi non deve recedere dal rapporto di lavoro in corso con l’azienda di appartenenza, ma deve semplicemente limitarsi a produrre una comunicazione di “preavviso” per poter effettuare alla sua scadenza il trasferimento. A questo punto pare assolutamente opportuno consentire alle amministrazioni che non lo avessero già fatto, di adeguare i propri ordinamenti interni in modo da evitare che il dettato normativo, pur se logico e ragionevole, possa creare problemi di destabilizzazione dell’organizzazione. Infatti pare logico che i Regolamenti interni e, comunque, i bandi di selezione e i contratti individuali di lavoro, prevedano, nel rispetto delle previsioni normative generali, un vincolo di permanenza di almeno cinque anni dalla data dell’assunzione. E, in analogia al contratto dei dirigenti, qualora non fosse previsto il vincolo di permanenza, sarebbe opportuno prevedere un minimo periodo di preavviso che potrebbe, anche per i dipendenti, essere di quattro mesi. Se dunque, sono questi, allo stato, i dati dai quali si può evincere la voluntas legis, attraverso la rappresentata interpretazione teleologica e sistematica, può legittimamente supporsi che, proprio, a questa più snella modalità di azione abbia inteso richiamarsi il legislatore nel formulare il nuovo art. 30 D. lgs.vo 30 marzo del 2001 n.165. Opinare diversamente significherebbe sovvertire lo spirito della legge, e, se è vero che “la Pubblica Amministrazione non ha alcun obbligo di conformarsi alla interpretazione dottrinale e giurisprudenziale, mentre ha invece l'obbligo - dovendo svolgere ogni sua attività con la rigorosa osservanza del principio di legalità - di applicare la legge dandone, in base ai prescritti canoni ermeneutici, una interpretazione conforme alla sua effettiva portata normativa” (Cassazione Civile Sent. n. 14086 del 01-10-2002), ritornare al passato, svalutando la portata innovativa delle Riforma, significherebbe svolgere questo prezioso compito adottando un “canone inverso” rispetto all’ordinamento vigente e al suo progresso, al solo fine di ostacolarne l’evoluzione.” |
Post n°119 pubblicato il 23 Novembre 2011 da lasolaris
Legge di Stabilita' 2012 Mobilita' dei pubblici dipendenti: rilevazione delle eccedenze e sindacati all'angolo La legge di Stabilita' 2012 modifica radicalmente la mobilita' nella Pubblica Amministrazione ed il collocamento in disponibilita' dei dipendenti pubblici, obbligando la PA ad effettuare almeno annualmente una ricognizione del personale per verificare eventuali soprannumeri ed eccedenze, ed escludendo le RSU e le OO.SS. dalla procedura che rimangono esclusivamente oggetto di un'informativa. L’art. 16 della Legge di Stabilità 2012 (legge n. 183 del 12/11/2011) non introduce nella Pubblica Amministrazione la “Mobilità” e la “Cassa Integrazione” per i dipendenti pubblici, come si vocifera un po’ ovunque, ma va semplicemente a modificare degli istituti già esistenti nel pubblico impiego per cui è sicuramente utile fare un po’ di chiarezza sull’argomento. Innanzitutto la prima modifica apportata dal maxiemendamento all’art. 33 del D.Lgs. n. 165/2001 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) – relativo all’eccedenza del personale ed alla mobilità collettiva – consiste nel fatto che mentre prima era prevista la rilevazione di eventuali eccedenze di personale senza alcun riferimento temporale, adesso le pubbliche amministrazione sono obbligate ad effettuare almeno annualmente una ricognizione per verificare situazioni di soprannumero o eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria, e sono, inoltre, tenute a darne immediata comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica. L’obbligo è tanto serio da comportare penalità e sanzioni, infatti: - le amministrazioni che non adempiono alla ricognizione annuale non possono effettuare assunzioni o instaurare rapporti di lavoro con qualunque tipologia di contratto pena la nullità degli atti posti in essere; - il dirigente responsabile che non attuerà le procedure previste dal nuovo art. 33, D.Lgs. n. 165/2001 ne sarà disciplinarmente responsabile (mentre in passato era previsto una responsabilità per danno erariale ma si ricorda che non vi era obbligo di effettuare la ricognizione). Proseguendo con le modifiche rispetto al passato, non si può non sottolineare come cambi la procedura che prevede solo un’informativa alle RSU ed alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del comparto o area, a fronte di una precedente procedura che – solo nel caso in cui l’esubero riguardasse almeno 10 dipendenti - prevedeva un’informazione preventiva, con indicazione dei motivi dell’esubero e dei motivi tecnici e organizzativi per i quali si ritenesse di non poter adottare misure idonee a riassorbire le eccedenze all'interno della medesima amministrazione, con eventuali proposte per risolvere la situazione di eccedenza e la relativa tempistica di attuazione. Oggi, quindi, i sindacati e le RSU sono semplicemente oggetto di un’informativa e non possono neanche, come in passato, esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza di personale e, soprattutto, verificare la possibilità di pervenire ad un accordo sulla ricollocazione. La nuova disciplina prevede che, trascorsi 10 giorni dalla comunicazione ai sindacati, l’Amministrazione: - risolve unilateralmente i contratti di lavoro del personale dipendente che ha raggiunto l’anzianità massima contributiva di 40 anni ; - in subordine verifica la ricollocazione totale o parziale del personale in situazione di soprannumero o di eccedenza nell’ambito della stessa amministrazione, anche mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro o a contratti di solidarietà, ovvero presso altre amministrazioni, previo accordo con le stesse, comprese nell'ambito della Regione. Tuttavia è previsto che i contratti collettivi nazionali possano stabilire criteri generali e procedure per consentire, tenuto conto delle caratteristiche del comparto, la gestione delle eccedenze di personale attraverso il passaggio diretto ad altre amministrazioni al di fuori del territorio regionale che, in relazione alla distribuzione territoriale delle amministrazioni o alla situazione del mercato del lavoro, sia stabilito dai contratti collettivi nazionali. Trascorsi 90 giorni dalla comunicazione ai sindacati, l’amministrazione collocherà in disponibilità il personale che non sia possibile impiegare diversamente nell’ambito della medesima amministrazione e che non possa essere ricollocato presso altre amministrazioni nell’ambito regionale, ovvero che non abbia preso servizio presso la diversa amministrazione secondo gli accordi di mobilità. Quindi, per sciogliere qualsiasi dubbio residuo, è chiaro che quando si parla di “mobilità” nella PA non ci si riferisce alla mobilità del settore privato ma di un “trasferimento” geografico e/o presso altre amministrazioni. Resta, invece, identica al passato l’indennità che spetterà al lavoratore pubblico dalla data di collocamento in disponibilità per la durata massima di 24 mesi: l'80% dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro emolumento retributivo comunque denominato. I periodi di godimento dell'indennità saranno, come adesso, riconosciuti ai fini della determinazione dei requisiti di accesso alla pensione e della misura della stessa e sarà riconosciuto anche il diritto all'assegno per il nucleo familiare. tratto da IPSOA |
Post n°118 pubblicato il 10 Ottobre 2011 da lasolaris
mi ero dimenticata che tutti coloro che hanno figli minori ad anni 3 militari compresi, possono chiedere il trasferimento momentaneo alla sede più vicina alla famiglia, per meglio capire ho inserito l'art. del testo unico sulla maternita e paternita, la nota del dipartimento l'unica sentenza esistente per i militari. Testo unico sulla maternità e paternità(Dlgs 151/2001) Art. 42-bis. (1) 1. Il genitore con figli minori fino a tre anni di eta' dipendente diamministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decretolegislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, puo' essereassegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodocomplessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicatanella stessa provincia o regione nella quale l'altro genitore esercita lapropria attivita' lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un postovacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assensodelle amministrazioni di provenienza e destinazione. (1) Articolo aggiunto dalla Legge 24 dicembre 2003, n.350.
nota n.192/04 del 4.5.2004, che diseguito si riporta integralmente. Prot.n.192/04 Roma, 4 maggio 2004 Al Ministero dell’Interno Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali Direzione Centrale per le risorse umane 00100 ROMA Oggetto: Art.3, comma 105, della legge 24 dicembre 2003,n.350 – Quesito. Si fa riferimento alla nota n.A/100 del 19 aprile 2004,con la quale viene posto un quesito circa le modalità di applicazione della disposizione in oggetto, che inserito nel D.Lgs.n.151/01, l’art.42/bis. Detto articolo prevede, com’è noto, la possibilità per igenitori con figli minori fino a 3 anni, dipendenti di amministrazioni pubbliche, di essere assegnati, per un periodo nonsuperiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore svolge la propriaattività lavorativa. Il dubbio sollevato da codesto Ministero in ordine a taledisposizione riguarda, nello specifico, l’ambito temporale del beneficio, ovvero se l’assegnazione temporanea in esame debbaessere, in ogni caso, limitata fino al compimento dei tre anni di età deiminori. Al riguardo, lo scrivente Dipartimento è dell’avviso cheil limite di età (…figli al di sotto di tre anni), stabilito dalladisposizione, è il requisito soggettivo che da diritto al beneficio,determinandone l’arco temporale entro il quale va fatta la richiesta e non illimite entro cui deve necessariamente concludersi l’assegnazioneprovvisoria. L’espressione utilizzata dal legislatore “per un periodocomplessivo non superiore a tre anni” pertanto, la durata massima (tre anni) dell’agevolazione,senza alcun riferim ento all’età dei minori. IL DIRETTORE DELL’UFFICIO –Francesco Verbaro
ASSEGNAZIONETEMPORANEA
il TAR Lazio -Roma, Sentenza, Sez. I, 24/08/2007 n. 200708127, riapre il diritto ai Militari
(estratto dellasentenza) DIRITTO:
“La questionesottoposta all’esame del Collegio concerne l’ambito applicativo dell’art. 42bis del D.Lgs. 26.3.2001, n. 151, in base al quale “il genitore con figliminori fino a tre anni di età, dipendente di amministrazioni pubbliche di cuiall’art. 1, coma 2, del decreto legislativo 30.3.2001, n. 165 e successivemodificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato eper un periodo non complessivamente superiore a tre anni, ad una sede diservizio ubicata nella stessa provincia o regione, nella quale l’altro genitoreesercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza diun posto vacante e disponibile di corrispondete posizione retributiva e previoassenso delle amministrazioni di provenienza e di destinazione”.
Lagiurisprudenza, finora intervenuta in materia, non si è espressa in modoconvergente, essendo stati espressi indirizzi di opposto segno, circa lapossibilità che la norma riguardi tutto il personale dipendente daamministrazioni pubbliche (senza distinzione fra personale civile e militare),nonché circa la riferibilità dello stesso testo normativo solo a passaggi fraamministrazioni diverse, ovvero anche a trasferimenti dall’una all’altra sededi lavoro, nell’ambito della medesima Amministrazione (cfr. in senso estensivoTAR Emilia Romagna, Bologna, n. 7/2007; TAR Lazio, Roma, sez. I. n. 57/2006;TAR Lazio, Roma, sez. I quater, nn. 6027/2006 e 7417/2006; in senso contrario,cfr. Cons. St., sez. IV, n. 7472/2005).
L’Amministrazioneintimata ha in effetti basato, “per relationem”, il rigetto della domanda,presentata dall’attuale ricorrente, sulle ragioni esposte nella citatapronuncia del Consiglio di Stato, ragioni che possono essere sintetizzate neiseguenti termini:
a) riferibilitàdel D.Lgs. n. 165 alla disciplina dello stato giuridico del solo personalecivile dello Stato, come emergerebbe dalla “rubrica” della norma;
b) confermaesplicita, nell’art. 3 del medesimo D. Lgs. n. 165/01, della diversa disciplina– ricondotta ai “rispettivi ordinamenti” e non al D.Lgs. stesso – dideterminate categorie di personale, fra cui, per quanto qui interessa, “ilpersonale militare e le forze di Polizia di Stato”;
c)applicabilità dell’art. 42 bis del D.Lgs. n. 151/2001 – che consentel’assegnazione temporanea di cui trattasi al personale, da individuare a normadei precedenti punti a) e b) – solo ad “ipotesi di trasferimento daun’amministrazione ad un’altra”, con esclusione di fattispecie, in cui sichieda il “trasferimento tra sedi di servizio della medesima amministrazione”.
Dette ragioni,recepite come motivazioni dell’atto amministrativo, che esplicitamente richiamala sentenza in questione, non sono condivise dal Collegio, che ritienepreferibile attenersi all’orientamento interpretativo, già precedentementeespresso da questa sezione.
Deve essere inprimo luogo ricordato, infatti, che la disposizione di cui si discute rientrafra le norme dettate a tutela di valori costituzionalmente garantiti, inerentila famiglia ed in particolare la cura dei figli minori fino a tre anni di età,con entrambi i genitori impegnati in una attività lavorativa (attività che soloove svolta – quanto meno – nella stessa “Provincia o Regione” – può prestarsi aforme di coordinamento fra i genitori, tali da consentire la cura ottimale deifigli).
Una discriminazione, sotto tale profilo, del personale militare e degliappartenenti alle Forze di Polizia (peraltro pacificamente destinatari di altrenorme a tutela della famiglia, come quella – inerente ai congiunti disabili –di cui all’art. 33, comma 5 L. n. 104/1992) presenterebbe, con ogni evidenza,problemi di costituzionalità.
Appare agevole,tuttavia, una interpretazione del più volte citato art. 42 bis D.Lgs. n.151/2001 che escluda i problemi anzidetti e consenta una interpretazioneestensiva, che non appare in contrasto con la lettera della legge.
Conriferimento, infatti, alle ragioni negative in precedenza enunciate, possonoformularsi le seguenti argomentazioni:
a) ladisposizione in esame riferisce il beneficio dell’assegnazione temporanea alpersonale “di cui all’art. 1, comma 2 del D.Lgs. n. 165/01”, ovvero, secondol’epigrafe del testo normativo richiamato, al personale interessatodall’”ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche”(quali sono, indubbiamente, le Amministrazioni che si occupano di Forze Armatee di Polizia); la valenza ampiamente estensiva della normativa in questione –da riferire a “tutte le amministrazioni dello Stato”, anche locali e adordinamento autonomo – è ribadita dall’art. 1, comma 2, del medesimo D.Lgs(ovvero dalla norma, cui fa esplicito richiamo l’art. 42 bis del D.Lgs. n.151/01);
b) l’art. 3 delpiù volte citato D.Lgs. n. 165/01 dispone che alcune categorie di personale –fra cui il personale militare e le Forze di Polizia – “rimangano disciplinatedai rispettivi ordinamenti”, ma “in deroga all’art. 2, commi 2 e 3, delmedesimo D.Lgs., ovvero con riferimento al rinvio – operato da queste ultimenorme – alle disposizioni del codice civile ed alle leggi sui rapporti dilavoro subordinato nell’impresa, nonché ai contratti collettivi di lavoro:quanto sopra, per le ovvie peculiarità di alcune tipologie di rapporti dilavoro, che per ragioni istituzionali possono essere sottratte allacontrattazione collettiva e ad altre disposizioni privatistiche, ma chericadono comunque, in assenza di deroghe esplicite, nell’alveo applicativo dinorme dettate – per tutti coloro che siano dipendenti, in via generale, da pubblicheamministrazioni – a tutela di altri valori costituzionalmente protetti, comequelli della famiglia ed in particolare dell’assistenza ai figli minori;
c) l’incisodell’art. 42 bis D.Lgs. n. 151/01, che prevede “assenso dell’amministrazione diprovenienza e di destinazione” può ben riferirsi sia a passaggi fraamministrazioni diverse che a trasferimenti ad altre sedi della medesimaamministrazione: quanto sopra, sia per la palese illogicità di una norma, cheimponesse per il soddisfacimento di esigenze di assistenza dei figli minori dilasciare l’Amministrazione di appartenenza e non cambiare più semplicementesede di lavoro, sia perché – come già osservato dalla giurisprudenza (TAREmilia Romagna, n. 7/07 cit) – in una previsione normativa di contenuto ampionon possono non essere comprese fattispecie analoghe minori, sia infine perchéanche le singole sedi di lavoro di una medesima amministrazione costituisconoapparati organizzatori, identificabili quali centri di imputazione di specificiinteressi pubblici, come quelli – riconducibili a situazioni di carenza oesubero di personale – che giustificano le esigenze di assenso, specificatedalla norma in esame.
Per le ragioniesposte, in conclusione, il Collegio ritiene fondato ed assorbente il primomotivo di gravame, riferito a violazione del combinato disposto dell’art. 42bis del D.Lgs. n. 151/01 e dell’art. 1 del D.Lgs. n. 165/01; il ricorso vienepertanto accolto, con conseguente annullamento dell’atto negativo impugnato efatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione; quanto alle spesegiudiziali, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, tenuto contodel non univoco orientamento giurisprudenziale, esistente in materia.""
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Post n°117 pubblicato il 10 Ottobre 2011 da lasolaris
Ricorsi al giudice di pace, si cambia. Dal 6 di ottobre, è divenuto effettivo, per fare ricorso al giudice di pace abbiamo solo 30 giorni di tempo dalla notifica o dalla contestazione immediata Si dimezzano i tempi. Dal giorno in cui è avvenuto l'accertamento (in caso di contestazione nell'immediatezza della violazione) o dal giorno della notifica (in caso di violazione contestata successivamente) ci sono solo 30giorni di tempo per fare ricorso al giudice (60 giorni se si risiede all'estero) Possibile chiedere la sospensione dell'efficacia del verbale. Nel ricorso è possibile chiedere la sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato (per esempio della sospensione della patente), che il giudice può disporre con decreto fuori udienza, cioè nell'immediatezza del deposito del ricorso in cancelleria, ma solo "in caso di pericolo imminente o di un danno grave e irreparabile", e che il magistrato deve comunque confermare alla prima udienza, pena la sua decadenza. Almeno dieci giorni prima dell'udienza, il comando di polizia che ha fatto la multa deve depositare in cancelleria "copia del rapporto con gli atti relativi all'accertamento,nonché alla contestazione o notificazione della violazione". Per le sanzioni pecuniarie, dato che è previsto che il giudice disponga il pagamento entro 30giorni dalla notifica di deposito della sentenza (ovviamente se il ricorso èrespinto), l'iscrizione a ruolo non potrà che avvenire dopo che sarà trascorso tale termine. Ricorso respinto se non ci si presenta in aula. Se non ci si presenta in udienza in assenza di "legittimo impedimento" il giudice convalida il verbale contro il quale si è presentato ricorso e provvede sulle spese, ameno che l'illegittimità del provvedimento impugnato risulti dalladocumentazione allegata dall'opponente, oppure il comando di polizia non depositi i documenti. Con la sentenza che accoglie l'opposizione il giudice può annullare in tutto o in parte il verbale. Il giudice accoglie l'opposizione anche quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell'opponente. Il giudice può determinare l'importo della sanzione. Se invece il ricorso è respinto, il giudice determinerà l'importo della sanzione in una misura compresa tra il minimo e il massimo edittale stabilito dal codice della strada per la violazione accertata. Per esempio, in caso di superamento de limite di velocità di oltre 10 km/h ma non oltre 40 km/h, violazione che comporta il pagamento di una sanzione di 159 euro (e la perdita di 3 punti), il giudice può fissare la sanzione in un importo compreso tra 159 e 639 euro. Il pagamento della somma dovrà avvenire entro i trenta giorni successivi alla notificazione della sentenza ed essere effettuato con modalità stabilite dall'amministrazione a cui appartiene l'organo accertatore. Ovviamente, se il ricorso è respinto il giudice non può escludere l'applicazione delle sanzioni accessorie o la decurtazione dei punti dalla patente di guida. Attenzione alla data in cui è stata commessa la violazione. Come precisato dal ministero dell'interno con una circolare del 30 settembre 2011,le novità si applicano a tutte le violazioni accertate a partire dal 6 ottobre.Per tutte le violazioni accertate prima del 6 ottobre i tempi di presentazione del ricorso restano di 60 giorni, anche se il verbale è stato notificato dopo il 6 ottobre. Resta il contributo unificato. Nulla cambia, infine, per quanto riguarda il contributo unificato, l'"obolo" che si deve pagare al momento della presentazione del ricorso e che dallo scorso 6 luglio è aumentato a 37 euro (per le sanzioni di importo fino a 1.033 euro). E nulla cambia perquanto riguarda modalità e procedure del ricorso al prefetto. In questo caso ci sono sempre 60 giorni dal giorno in cui è avvenuto l'accertamento (se laviolazione è contestata immediatamente) o dal giorno della notifica (in caso diviolazione contestata successivamente). Ricordiamo che il ricorso al prefetto non costa nulla ma se è respinto l'importo della sanzione raddoppia (con possibilità di presentare ulteriore ricorso al giudice di pace, entro 30giorni, contro l'ordinanza-ingiunzione prefettizia).
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per tutte le richieste che mi pervengono per l'obbligatorieta del trasferimento per gravi motivi o possessori della 104 ho inserito le sentenza dei vari TAR e della cassazione che rendono obbligatorio il trasferimento con la legge 104/92. Il 9 novembre 2010 è stata pubblicata il Gazzetta Ufficiale la Legge 183/2010 (il cosiddetto Collegato Lavoro) che contiene nuove disposizioni sui permessi lavorativi a favore dei dipendenti che assistono familiari con handicap grave. L’articolo 24 modifica, infatti, la Legge 104/1992 che, in origine, ha introdotto quelle agevolazioni. L’INPS, l’Istituto previdenziale che assicura gran parte dei lavoratori privati, ha prontamente diramato le proprie disposizioni con una specifica e articolata Circolare (3 dicembre 2010, n. 155), a cui è seguita la Circolare del Dipartimento Funzione Pubblica n. 13 del 6 dicembre 2010. Le due Circolari sono, opportunamente, molto simili fra loro tanto da rendere evidente una intesa fra i due enti, “intesa” che il Dipartimento indica espressamente nelle premesse. Entrambe ripercorrono le novità introdotte dalla Legge 183/2010 e forniscono, su ciascun aspetto, nuove indicazioni operative per i propri assicurati. Gli aventi diritto Ambedue le Circolari ricordano che – in base al nuovo dettato normativo – hanno ora diritto ai permessi lavorativi i parenti e gli affini entro il secondo grado (figli, nonni, suoceri, cognati ecc.) oltre al coniuge. Solo in particolari condizioni le agevolazioni possono essere estese ai parenti e affini di terzo grado della persone con disabilità da assistere. Queste “eccezioni” sono fissate dall’articolo 24 della citata Legge 183: i genitori o il coniuge della persona in situazione di disabilità grave abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. INPD e Dipartimento interpretano l’espressione “mancanti”, “non solo come situazione di assenza naturale e giuridica (celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto), ma deve ricomprendere anche ogni altra condizione ad essa giuridicamente assimilabile, continuativa e debitamente certificata dall’autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità, quale: divorzio, separazione legale o abbandono, risultanti da documentazione dell’autorità giudiziaria o di altra pubblica autorità”. La possibilità di estendere dal secondo al terzo grado di parentela/affinità la concessione dei permessi si verifica anche nel caso in cui anche uno solo dei soggetti menzionati (coniuge, genitore) si trovi nelle situazioni di assenza, decesso, patologie invalidanti. Si motiva tale interpretazione con l’analisi letterale della norma laddove viene utilizzata la congiunzione disgiuntiva (“qualora i genitori o il coniuge”). Quindi, ad esempio, se in una famiglia uno solo dei due genitori affetto da una patologia invalidante, mentre l’altro non lo è e non ha più di 65 anni, un parente o un affine di terzo grado può comunque godere dei permessi. Patologie invalidanti L’INPS e il Dipartimento entrano anche nel merito della definizione di “patologie invalidanti”, cioè della terza condizione che dà luogo alla possibilità di estendere dal secondo al terzo grado di parentela/affinità la concessione dei permessi Il Legislatore è stato molto generico e quindi il dubbio è stato posto al Ministero della salute il cui parere è stato che le patologie da prendere a riferimento sono quelle indicate dall’articolo 2, comma 1, lettera d), numeri 1, 2 e 3 del Decreto Interministeriale n. 278 del 21 luglio 2000. E cioè:
Non si fornisce una indicazione circa la documentazione sanitaria “accettabile” per dimostrare quelle condizioni. La questione centrale da chiarire sarà se le relative attestazioni possano essere rilasciate dai medici di famiglia o debbano essere rilasciate esclusivamente da medici specialisti. Parenti ed affini di minori di tre anni INPS rammenta che la Legge 183/2010 ha eliminato all’articolo 33, comma 3, della Legge 104/92 le parole “successivamente al compimento del terzo anno di età del disabile”. Conseguentemente è stata introdotta anche per i parenti e gli affini del minore di tre anni in situazione di disabilità grave la possibilità di godere dei tre giorni di permesso mensili. Il referente unico per l’assistenza La Legge 183 ha sottolineato come non possano essere concessi i permessi mensili ex Legge 104/1992, a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con disabilità grave. Già in precedenza era chiaro che il limite di tre giorni mensili era riferito a ciascuna persona disabile. Dipartimento e INPS interpretano tale indicazione come un divieto all’alternatività fra più beneficiari, a meno che essi non siano i genitori di figli con grave disabilità. In effetti il nuovo articolo 33, comma 3 della Legge 104/92 prevede in favore dei genitori, anche adottivi, di figli con disabilità grave, la possibilità di fruire dei permessi in argomento alternativamente, sempre nel limite dei tre giorni per persona disabile, condizione esclusa per i parenti e gli affini. Se la logica sostenuta è certamente motivata anche dal diverso ruolo dei genitori rispetto agli altri familiari, la disposizione appare – al momento – piuttosto fumosa. Di fatto, agevolmente, si sostanzia nel divieto di dividere i permessi fra aventi diritto (es. due giorni all’uno, uno all’altro). Ma appare più difficoltoso sostenere il divieto all’alternanza degli aventi diritto in mesi diversi, in presenza di una rinuncia espressa di uno di questi. Si tratta, quindi, di una indicazione che senz’altro subirà degli assestamenti dopo la prima applicazione. Genitori che assistono figli in situazione di disabilità grave Correttamente INPS e Dipartimento sottolineano come la nuova norma abbia impresso un maggior rilievo alla particolarità del rapporto genitoriale dettando specifiche norme per i genitori che assistono un figlio in situazione di disabilità grave. La prima novità risiede nell’opportunità per i genitori di minori di tre anni di fruire anche i tre giorni di permesso, in alternativa alle altre due forme di agevolazione già previste e cioè il prolungamento del congedo parentale e le due ore di permesso giornaliero. In realtà, agli effetti pratici, non si tratta di un significativo vantaggio in termini quantitativi o qualitativi. INPS rammenta che, mentre il prolungamento del periodo di congedo parentale e le due ore di riposo giornaliero retribuito possono essere utilizzati a partire dalla conclusione del periodo di normale congedo parentale teoricamente fruibile dal genitore richiedente, i tre giorni di permesso (comma 3, art. 33, legge 104/92) possono essere goduti, da parte dei genitori o da parte degli altri familiari, dal giorno del riconoscimento della situazione di disabilità grave. Inoltre, trattandosi di agevolazioni volte alle medesime finalità di assistenza al disabile, “la fruizione dei benefici dei tre giorni di permesso mensili, del prolungamento del congedo parentale e delle ore di riposo deve intendersi alternativa e non cumulativa nell’arco del mese”. Sulla stessa linea interpretativa è anche il Dipartimento. Il che significa che i tre benefici sono incompatibili se fruiti nello stesso mese. L’assenza di ricovero Ambedue le Circolari sottolineano che uno dei requisiti essenziali per la concessione dei permessi lavorativi è l’assenza di ricovero a tempo pieno della persona con grave disabilità. L’indicazione ha una chiara e consolidata fonte normativa. Rispetto alle indicazioni interpretative, l’INPS riprende in larga misura indicazioni già espresse in precedenza, mentre il Dipartimento Funzione Pubblica per la prima volta le fa proprie. Per per ricovero a tempo pieno si intende quello, per le intere ventiquattro ore, presso “strutture ospedaliere o simili, pubbliche o private, che assicurano assistenza sanitaria continuativa”. Le parole “assistenza sanitaria continuativa” non sono trascurabili; l’Istituto sembra negare infatti l’eventuale rilevanza della necessità assistenziale “non sanitaria” (aiuto all’igiene, all’alimentazione, al supporto personale) di cui molto spesso i familiari di una persona ricoverata di fanno carico. È una lacuna di non poco conto, senza dubbio non nuova, che risiede già nella normativa. INPS e Dipartimento da parte loro, ribadiscono tre eccezioni. I permessi, anche in caso di ricovero, possono essere concessi in tre casi:
Veniamo all’aspetto che avrà maggiori ricadute operative. Le due Circolari prendono atto che il Legislatore ha abrogato i requisiti della continuità e dell’esclusività quali presupposti necessari ai fini del godimento dei permessi in argomento da parte dei beneficiari. “Pertanto – conferma INPS - oltre al requisito della convivenza, già eliminato dall’art. 20 della suddetta legge 53/2000, anche la “continuità” e l’ “esclusività” dell’assistenza, non sono più elementi essenziali ai fini del godimento dei permessi di cui all’art. 33 della legge 104/92.” Ricordiamo che INPS aveva rielaborato quei due confusi concetti facendone derivare due altre definizioni: quelle di sistematicità e all’adeguatezza dell’assistenza, poi fatti propri anche dal Ministero del Lavoro. Anche queste, congruamente, decadono e l’Istituto raccomanda che “Gli uffici (...) non dovranno più acquisire le dichiarazioni relative alla sistematicità e all’adeguatezza dell’assistenza al disabile, prima richiesti (...).” Come già detto l’abrogazione di quei due requisiti, riapre la possibilità per moltissimi lavoratori di ripresentare domanda nel caso in cui, precedentemente, ad esempio, fosse stata rigettata per assenza di continuità (distanza notevole dall’abitazione del familiare da assistere). La concessione e la decadenza Il nuovo comma 7-bis dell’articolo 33, legge 104/92, prevede espressamente la decadenza, per il lavoratore, dal diritto a beneficiare dei tre giorni di permesso, “qualora il datore di lavoro o l'INPS accerti l'insussistenza o il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei medesimi diritti”. Va ricordato che gli assicurati INPS quando richiedono i permessi, firmano una dichiarazione di responsabilità in cui si impegnano a comunicare entro 30 giorni dall’avvenuto cambiamento, le eventuali variazioni delle notizie o delle situazioni autocertificate nel modello di richiesta ed in particolare:
INPS ricorda le conseguenze penali e civili derivanti dal rilascio di dichiarazioni mendaci o false sia per il lavoratore che per i medici preposti agli accertamenti. Inoltre, anche in forza del nuovo comma 7-bis, INPS provvederà alla verifica a campione delle situazioni dichiarate dai lavoratori richiedenti i permessi. Diversa la procedura prevista dal Dipartimento Funzione Pubblica. Il dipendente pubblico al momento della domanda di concessione dei permessi deve presentare, oltre al certificato di handicap grave (art. 3 comma 3, Legge 104/1992), la documentazione sanitaria relativa alle patologie del coniuge o dei genitori della persona disabile, nel caso in cui questi sia un parente o affine di terzo grado. Inoltre viene richiesta una dichiarazione sottoscritta in cui risulti che:
Appare chiaro che la sottoscrizione di queste dichiarazioni comporta una maggiore efficacia nelle eventuali rivalse da parte dell’Amministrazione nel caso di abusi. La verifica è una responsabilità affidata ai dirigenti responsabili. Cosa succede ora e cosa fare. Sotto il profilo operativo, sia INPS che Dipartimento (cioè tutte le Amministrazioni pubbliche) applicheranno i nuovi criteri (entrati in vigore il 24 novembre 2010) nell’analisi di tutte le nuove richieste. Per gli assicurati INPS, a breve dovrebbero essere disponibili (online sul sito www.inps.it) anche i nuovi moduli di richiesta. L’aspetto di maggiore cambiamento riguarda le richieste già evase e i permessi già concessi prima del 24 novembre 2010. Saranno riesaminate: a. le domande e i permessi già concessi a parenti e affini di terzo grado delle persone disabili in situazione di gravità. b. le domande e permessi già concessi più familiari (a meno che non si tratti dei due genitori) per l’assistenza allo stesso soggetto con disabilità in situazione di gravità. Su queste verifiche INPS è più dettagliato del Dipartimento. Nel primo caso, verrà richiesto al lavoratore tutti gli elementi utili a verificare la sussistenza o meno dei nuovi requisiti (età del genitore o del coniuge della persona assistita, patologia invalidante degli stessi; assenza o mancanza degli stessi). Nel secondo caso, visto che i permessi possono essere fruiti esclusivamente da un solo lavoratore, verrà richiesto ai lavoratori interessati di indicare un unico beneficiario degli stessi. È, quindi, facilmente prevedibile che i lavoratori che rientrano in queste due “categorie” saranno prossimamente raggiunti da comunicazioni da parte di INPS. L’INPS non formula indicazioni, per ora, circa la possibilità da parte del lavoratore, che sia a conoscenza della decadenza del proprio diritto, di comunicare in proprio all’Istituto e al datore di lavoro la nuova condizione, cessando la fruizione dei permessi. Lo stesso “silenzio” riguarda il datore di lavoro che sia a conoscenza delle medesime situazioni. Quest’ultimo, comunque, in linea con la prassi adottata da INPS non può revocare la concessione dei permessi se prima non ha appurato formalmente l’assenza delle eccezioni previste dal Legislatore (età del genitore o del coniuge della persona assistita, patologia invalidante degli stessi; assenza o mancanza degli stessi). Il Dipartimento Funzione Pubblica, al contrario, è molto chiaro. Ogni amministrazione dovrà procedere a “riesaminare i provvedimenti di assenso già adottati al fine di verificare la sussistenza delle condizioni previste dalla nuova legge.” In caso di insussistenza dei requisiti, salvo integrazione della documentazione già prodotta, i benefici vengono revocati. Discorso diverso riguarda i lavoratori ai quali in passato sia stata negata la concessione dei permessi lavorativi per assenza dei requisiti di continuità ed esclusività dell’assistenza, criteri ora abrogati. Questi lavoratori hanno oggi l’opportunità di ripresentare la domanda, contando su diversi e molto più favorevoli criteri di valutazione. Particolari indicazioni del Dipartimento Nella sua Circolare, il Dipartimento Funzione Pubblica, reca due indicazioni che in quella dell’INPS non ci sono e che quindi interessano più da vicino i dipendenti pubblici. La prima indicazione riguarda cumulabilità dei permessi in capo allo stesso lavoratore che assista più familiari con handicap grave o in capo al lavoratore disabile che assista a sua volta familiari con handicap grave. Il Dipartimento corregge una sua precedente indicazione (Parere n. 13/2008), precisando che nessuna disposizione impedisce o condiziona tale ipotesi. Pur sottolineando che tali situazioni dovrebbero essere eccezionali, che creano disagio alle attività amministrative, e che i permessi “cumulativi” dovrebbero essere richiesti solo nel caso in cui non ci siano altri familiari in grado di prestare assistenza, il Dipartimento conclude che le considerazioni devono essere rimesse “alla valutazione esclusiva e al senso di responsabilità del lavoratore interessato (...).” Il secondo aspetto riguarda la programmazione dei permessi lavorativi. Nessuna norma indica espressamente entro quanto vanno richiesti i permessi: vanno, quindi, contemperate le esigenze del lavoratore (o meglio del disabile da assistere) e quellle di buon andamento delle amministrazioni. In tal senso la Circolare del Dipartimento precisa che “salvo dimostrate situazioni di urgenza, per la fruizione dei permessi, l’interessato dovrà comunicare al dirigente competente le assenze dal servizio con congruo anticipo, se possibile con riferimento all’intero arco temporale del mese, al fine di consentire la migliore organizzazione dell’attività amministrativa.”
ultimo aggiornamento: 12 dicembre 2010
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Post n°114 pubblicato il 30 Settembre 2011 da lasolaris
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Post n°113 pubblicato il 30 Settembre 2011 da lasolaris
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE |
Post n°112 pubblicato il 30 Settembre 2011 da lasolaris
Sentenza della Corte Suprema di Cassazione su permessi legge 104/92
La Corte Suprema di Cassazione – Sezione Lavoro - con la sentenza n. 9557 depositata lo scorso 22 aprile, ha riaffermato il principio che per avere diritto alla fruizione dei tre giorni di permesso previsti dalla legge 104/92, non è necessario il requisito della convivenza con il disabile ma occorre soltanto che l’assistenza al congiunto, portatore di handicap, sia in atto, continuativa ed esclusiva. |
Post n°111 pubblicato il 30 Settembre 2011 da lasolaris
REPUBBLICA ITALIANA |
Post n°110 pubblicato il 30 Settembre 2011 da lasolaris
Tar Lazio Sez. I Quater - Sent. del 13.02.2009, n. 1461 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO - Sezione I -quater -
ha pronunciato la seguente Sentenza sul ricorso n. 9629 del 2008, proposto da C. Marcello, contro il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui è legalmente domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi n. 12; per l’annullamento previa sospensione, del provvedimento prot. n. 0236318-2008 reso dal Direttore Generale del Personale e della Formazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia in data 7 luglio 2008, notificato al ricorrente in data 4 agosto 2008, nonché di tutti gli atti ad esso presupposti, connessi e conseguenti; Visto il ricorso con la relativa documentazione; Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata; Visti le memorie ed i documenti prodotti dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza dell’8 gennaio 2009 il Primo Referendario Antonella MANGIA; uditi, altresì, i procuratori delle parti come da verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: Fatto Attraverso il ricorso in epigrafe, notificato in data 2 ottobre 2008, il ricorrente impugna il provvedimento prot. n. 0236318-2008, con il quale il Ministero della Giustizia - DAP - Direzione Generale del Personale e della Formazione ha confermato le determinazioni di cui al provvedimento n. 0180262-2008 del 26 maggio 2008 di diniego del trasferimento richiesto ai sensi dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104/92, “non rilevando ulteriori elementi di valutazione”. In particolare, riferisce: - di essere assistente di Polizia Penitenziaria, con sede di servizio presso la Casa Circondariale di Sanremo (IM), distaccato per mandato elettorale presso la Casa di Reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi; - di aver inoltrato in data 6 maggio 2008 istanza di trasferimento, ai sensi dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104/92, presso la C.R. di Sant’Angelo dei Lombardi o, in alternativa, presso la C.C. di Ariano Irpino, per provvedere all’assistenza continua di suo nonno, il sig. Rocco C., riconosciuto portatore di grave handicap; - che, con provvedimento prot. n. 0180262-2008 del 22 maggio 2008, il Direttore Generale del Personale e della Formazione del D.A.P. respingeva la predetta istanza per carenza del requisito soggettivo dell’esclusività nell’assistenza; - di aver prodotto in data 28 giugno 2008 istanza di riesame, presentando nuove dichiarazioni, rese da tutti i parenti, da cui si desumeva che per motivi fondati ed obiettivi nessuno era in grado di assicurare al disabile l’assistenza continua necessaria; - che, in data 7 luglio 2008, detta istanza veniva rigettata dal Direttore Generale del Personale e della Formazione del D.A.P., “non rilevandosi ulteriori elementi di valutazione”. Avverso il provvedimento da ultimo menzionato il ricorrente solleva le seguenti censure: 1) Violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/90, in quanto l’Amministrazione si è astenuta dal comunicare il c.d. preavviso di rigetto; 2) Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90, atteso che l’Amministrazione si è limitata ad opporre una giustificazione del tutto generica, inidonea a dare conto, neppure in minima parte, delle nuove informazioni (suffragate da documentazione) fornite; 3) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104/92 e dell’art. 20 della legge n. 53/00. Dalla documentazione allegata all’istanza di trasferimento si evince che tutti i parenti ed affini entro il terzo grado del disabile risiedono in località lontane dal luogo di residenza di quest’ultimo o sono affette da gravi patologie e - ovviamente - non sono disponibili (né oggettivamente potrebbero esserlo) ad assistere il loro congiunto. In base a tali incontrovertibili dati non è dato comprendere quali ulteriori elementi sarebbero dovuti essere forniti per provare il requisito dell’esclusività. Con atto depositato in data 6 novembre 2008 si è costituita l’Amministrazione intimata, la quale - nel prosieguo e precisamente in data 10 novembre 2008 - ha depositato una memoria, corredata di allegati, nell’ambito della quale ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso, adducendo la natura meramente confermativa del provvedimento in epigrafe rispetto alla precedente nota prot. n. 0180262-2008 del 26 maggio 2008, non tempestivamente impugnata. Nel merito, ha sostenuto la legittimità del provvedimento di diniego adottato in quanto “la documentazione prodotta dal ricorrente a corredo dell’istanza di trasferimento non prova in alcun modo l’esclusività dell’assistenza dal medesimo prestata”. In particolare, afferma che sono state presentate “solo generiche dichiarazioni di indisponibilità relative a problemi di salute non univocamente comprovanti l’impossibilità a prestare l’assistenza in questione”. Con ordinanza n. 5327/2008 il Tribunale ha respinto la domanda incidentale di sospensione, “considerato che le peculiarità del caso .. inducono a ritenere necessaria una pronta definizione del ricorso nel merito”. Con memoria depositata in data 4 dicembre 2008 il ricorrente ha confutato la natura meramente confermativa del provvedimento impugnato. Nel merito, ha ribadito che “non si comprende quale ulteriore prova avrebbe dovuto fornire” al fine di dimostrare la sussistenza del requisito dell’esclusività. Il ricorso è stato introitato per la decisione alla pubblica udienza dell’8 gennaio 2009. Diritto 1. In via premiare, deve formare oggetto di esame l’eccezione di inammissibilità, sollevata dall’Amministrazione sulla base del carattere meramente confermativo che caratterizzerebbe il provvedimento impugnato. Tale eccezione è infondata. In proposito, è necessario considerare che il provvedimento impugnato rappresenta l’atto conclusivo del procedimento attivato dal ricorrente con l’istanza inoltrata al fine di ottenere un riesame della richiesta di trasferimento in origine avanzata. Atteso che tale istanza era corredata da ulteriore documentazione, innovativa rispetto a quella prodotta in precedenza, appare evidente che l’Amministrazione non ha potuto esimersi dall’effettuare una nuova valutazione della situazione del ricorrente, anche se al solo fine di confermare la decisione già assunta. Ciò detto, il provvedimento in epigrafe va inteso come una nuova manifestazione di volontà dell’Amministrazione, suscettibile di produrre un’autonoma lesione e, dunque, impugnabile. 2. Nel merito, il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto. 2.1. Come esposto nella narrativa che precede, il ricorrente sostiene l’illegittimità del provvedimento con cui l’Amministrazione, in esito al riesame dell’istanza di trasferimento dal medesimo inoltrata ai sensi della legge n. 104/92, ha confermato “le determinazioni di cui al provvedimento n. 0180262-2008 del 26/05/2008″, ossia il diniego di trasferimento in precedenza opposto sulla base della carenza del requisito dell’esclusività “in quanto scarsamente documentato”. A tale fine denuncia, tra l’altro, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 33, comma 5, della legge n. 104/92 e 20 della legge n. 53/2000 in quanto afferma che - attraverso l’integrazione della documentazione in origine prodotta - ha fornito prova dell’indisponibilità dei parenti e/o affini entro il terzo grado del disabile ad assistere il loro congiunto, tanto da non comprendere quali ulteriori elementi avrebbe dovuto fornire per provare la sussistenza del requisito dell’esclusività. Tale censura è fondata. 2.2. Come già osservato in numerosi precedenti della Sezione, l’esclusività nell’assistenza rappresenta un requisito soggettivo espressamente prescritto dall’art. 20 della legge n. 53/2000 per la concessione del beneficio del trasferimento di cui all’art. 33, comma 5, della legge n. 104/92. Detto requisito si identifica con l’”indisponibilità” soggettiva e/o oggettiva di altri parenti ed affini entro il terzo grado a sopperire alle esigenze del disabile. Tale interpretazione, la quale appare rispettosa della tutela offerta dal legislatore ai portatori di handicap in quanto meno rigorosa di quella imponente l’ “inesistenza”, conduce alla conclusione che l’esistenza di altri soggetti nelle vicinanze del disabile in posizione fattuale non differenziabile da quella del dipendente che aspira al trasferimento “fa venir meno la esclusività dell’opera assistenziale e dimostra la possibilità di assistenza alternativa” (Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, n. 814 del 2007). Tutto ciò premesso, si ravvisano le condizioni per affermare che in capo al dipendente grava l’obbligo di fornire una compiuta dimostrazione della sussistenza dell’esclusività nell’assistenza, con la conseguenza che, nei casi in cui la dimostrazione de qua risulta carente, il datore di lavoro è tenuto a negare il trasferimento. La dimostrazione che i parenti ed affini dell’handicappato, pur se residenti nelle sue vicinanze, non sono in grado di occuparsi dell’assistenza al disabile non può, comunque, trovare attuazione per mezzo di semplici dichiarazioni di carattere formale, attestanti impegni di vita di carattere ordinario e comune, bensì necessita della produzione di dati ed elementi di carattere oggettivo, concernenti eventualmente anche stati psico-fisici connotati da una certa gravità, idonei a giustificare l’indisponibilità sulla base di criteri di ragionevolezza tali da concretizzare un’effettiva esimente da vincoli di assistenza familiare, nel contemperamento delle posizioni dei soggetti interessati (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I quater, sent. n. 73 dell’8 gennaio 2008). Il Collegio si sente, pertanto, chiamato a valutazioni da effettuare caso per caso, al fine di verificare se il diniego opposto dall’Amministrazione ad una domanda di trasferimento, inoltrata ai sensi dell’art. 33 della legge n. 104/92, sulla base della carenza del requisito soggettivo dell’esclusività nell’assistenza sia o meno contrastante con il dato normativo, ossia trovi effettiva e concreta rispondenza nella situazione rappresentata dal dipendente. 2.3. Ciò detto, va rilevato che, dalla documentazione prodotta a supporto della domanda di riesame dell’istanza di trasferimento, risulta che il ricorrente - a riprova della sussistenza del requisito dell’esclusività nell’assistenza - ha fornito una dichiarazione, dal medesimo sottoscritto nella consapevolezza “delle sanzioni penali previste in caso di dichiarazioni mendaci”, nella quale attesta che l’unico familiare o affine entro il terzo grado domiciliato vicino alla residenza del disabile è “la nipote De Feo Maria” nonché numerose dichiarazioni, sottoscritte sia da quest’ultima che da altri parenti entro il terzo grado del disabile, le quali rivelano la sussistenza di effettivi impedimenti di carattere oggettivo a prestare assistenza al disabile. Orbene, la situazione familiare di cui è stata evidenza - oltre ad apparire completa, atteso che dall’esame sia degli allegati al ricorso che della memoria dell’Amministrazione non emerge la presenza di ulteriori parenti e/o affini entro il terzo grado - rivela condizioni tali da escludere che il disabile possa essere adeguatamente assistito da persone diverse dal ricorrente. In altri termini, le dichiarazioni prodotte in allegato all’istanza di riesame appaiono idonee a supportare in concreto lo stato di indisponibilità di altri parenti ed affini entro il terzo grado e, dunque, valevoli per rappresentare - sotto il profilo in trattazione - una situazione conforme alla fattispecie tutelata dalla normativa in esame. In ragione del quadro probatorio sopra sintetizzato, il Collegio ritiene che il provvedimento impugnato non sia rispondente alle circostanze documentate dall’interessato, tanto più ove si consideri che, a fronte della formulazione di una motivazione particolarmente generica, l’Amministrazione - regolarmente costituita in giudizio - si è del tutto astenuta dal fornire elementi integrativi, atti a rappresentare - mediante riferimenti concreti - le ragioni alla base della conferma della precedente determinazione. In tale situazione, il Collegio riscontra l’illegittimità della pronuncia negativa dell’Amministrazione, sotto il profilo della violazione dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104/1992 e dell’art. 20 della legge n. 53/00. 3. Tanto appare sufficiente per l’accoglimento del ricorso, sicché le ulteriori censure formulate sono assorbite. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate a favore del ricorrente in € 1.500,00, oltre IVA e CPA nei termini di legge. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione I quater accoglie il ricorso n. 9629/2008 e, per l’effetto, annulla il provvedimento prot. n. 0236318-2008, reso dal Direttore Generale del Personale e della Formazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia in data 7 luglio 2008. Condanna il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese di giudizio, liquidate a favore del ricorrente in € 1.500,00, oltre IVA e CPA nei termini di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
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Post n°109 pubblicato il 29 Marzo 2011 da senorainblues
ciao, sono una educatrice scolastica ,ruolo equiparato a insegnante scuola primaria. in seguito ad una malattia invalidante,ho un problema legato alla deambulazione,occupo una buona posizione,ma non riesco a tollerare piu' il viaggio.Posso far richiesta di essere assegnata ad u n ruolo d'ufficio?posso candidarmi ald altri enti per mobilita'? grazie +attendo fiduciosa invalidita' pewrmanente 75% martina |
Post n°108 pubblicato il 29 Marzo 2011 da renato.dib
Buongiorno, avrei bisogno di un chiarimento ! Avrei la possibilità di un interscambio con un collega inquadrato nella mia stessa fascia D, ma mentre io sono un architetto D1 lui è un ingegnere D3, entrambi dipendenti di enti locali. E' possibile in questo caso l'interscambio ? Cosa si intende esattamente con stessa qualifica funzionale, la sola fascia D o ci deve essere anche corrispondenza e quindi è possibile solo tra D1 e D1 o D3 e D3, posto che comunque siamo entrambi nel ruolo tecnico ? Avrei una certa urgenza di capire perchè dovremmo presentare la richiesta prima di Natale. Ma se la domanda è destinata ad essere respinta con certezza ne facciamo ovviamente a meno. Grazie ! Renato |
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