Un blog creato da molinaro il 04/06/2007

Carlo Molinaro

Pensieri sparsi, poesie e qualsiasi cosa

 
 
 
 
 
 

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Vecchia tiritera di Natale

Post n°787 pubblicato il 25 Dicembre 2009 da molinaro
Foto di molinaro

Sono le dieci di sera della notte di Natale.
Ho cenato da solo al ristorante cinese mio solito
e alla televisione davano il circo,
sotto le feste danno sempre il circo:
probabilmente a Montecarlo,
ma non mi sono soffermato a guardare,
ho visto solo che c'era una tigre
che attraversava lo schermo da sinistra verso destra.
Ora sono tornato a casa, da solo,
e scrivo. Il problema non è essere da solo
la notte di Natale: delle festività
non m'importa granché: sono stato in compagnia
oggi a pranzo, lo sarò domani a pranzo
e nei giorni successivi. Il problema è...
Pensandoci, non c'è nessun problema.
Sono qui da solo e liberamente scrivo,
senza nessuno scopo né preoccupazione stilistica.
Non mi prendo nemmeno il fastidio di decidere
se è prosa e poesia, faccio come le avanguardie Anni Sessanta,
che buttavano giù le cose proprio così come gli veniva
una riga cortissima
e una riga lunga tutta la pagina e certe volte anche di più, andando a capo nell'a capo, due a capi.
Sono le 22.05 della notte di Natale
e un sacco di gente, tantissima gente, sta finendo il cenone
e poi qualcuno andrà alla messa di mezzanotte
perché ci crede o perché è folclore.

Scrivere a caso nella notte di Natale
mi fa venire in mente certe notti (non di Natale) che avevo quindici anni
e la mia nuova macchina da scrivere
e in quel periodo è stato l'unico periodo che ho provato a fumare
tre o quattro mesi, non di più, poi ho deciso che mi faceva schifo
il fumo in bocca, ma in quei tre o quattro mesi ho passato alcune notti
con il pacchetto di sigarette
e la mia nuova macchina da scrivere
(era una Facit, meccanica solida, piccola ma solida, era il 1968)
sul tavolo della cucina, che era un buon posto,
e scrivevo e fumavo e spesso descrivevo soltanto,
scrivendo e fumando, il fatto che scrivevo e fumavo,
molto autoreferenziale, però mi sentivo un maledetto
poeta maledetto, un poeta maledetto fumante
e scrivente nella notte, mi davo un gran tono.
Ho ritrovato qualche foglio battuto a macchina di quell'epoca
e non mi sono commosso per nulla a rileggerlo: stronzate,
scrivevo solenni stronzate, si vedeva proprio
che non avevo niente da dire e scrivevo
così per posa, per essere poeta fumante e maledetto.
Infatti poi smisi di fumare e di scrivere.
A scrivere ho ripreso, a fumare no.
Adesso forse sto facendo la stessa cosa
di allora, scrivo così alla cazzo nella notte di Natale
(adesso sono le 22.14, nell'alloggio vicino discutono ad alta voce)
però adesso, a questa età, mi prendo la libertà
di farlo perché mi va, senza pensarmi né poeta né maledetto,
scrivo perché mi va. Per la cronaca a quindici anni
le sigarette che provavo a fumare erano le HB,
anche quelle le avevo scelte per posa, per il colore del pacchetto
e perché nessun altro le fumava nel gruppo
e io volevo fare le cose diverse.

Al cinese c'erano tre o quattro tavolini con uomini da soli
e poi tre o quattro gruppi, uno più numeroso.
La cameriera cinese è simpatica,
il cameriere maschio troppo cerimonioso.
Piuttosto che in certi gruppi di famiglia
a me va bene di essere solo stanotte.
Certo ci sono delle persone con cui starei volentieri,
ma è la notte di Natale e quindi hanno altri impegni
oppure non mi vogliono oppure entrambe le cose.
Parlando di donne, il pensiero vaga
su donne che mi vogliono e su donne che non mi vogliono,
presenti, passate, eventualmente future.
Io lo so che il fatto di volermi o non volermi
(cioè, in definitiva, di esserci o non esserci nella mia vita presente)
è molto, moltissimo rilevante, è decisivo;
però il pensiero vaga a modo suo, seguendo
gli impulsi di una macchina desiderante
che ho dentro di me: una macchina desiderante
come quelle di Deleuze e Guattari, per intenderci.

Per intenderci un cazzo, io se due anni fa mi avessero detto
Deleuze e Guattari avrei detto «eh?»
poi a causa (come al solito) di una ragazza
ho letto un loro libro e adesso più o meno so
quella storia delle macchine desideranti,
ma è stato un caso, non è che me la tiro.
La macchina desiderante che c'è dentro di me
adesso è orientata su tre donne
- lo è abbastanza spesso, ammettiamolo -
e pensa, la macchina desiderante, che vorrebbe essere
co una venexiana
(Mi fa le cuffiette per sentire il mare)
co una magnagati
(Charlie, non è la valigia il problema)
amb una reusenca
(Mi chiamo Camilla López e Arturo era innamorato di me: e io pensavo che era così sciocco...)
e qui abbiamo introdotto un elemento linguistico dialettale che fa davvero molto avanguardia.
Io li rispetto, i poeti che scrivono in dialetto, e pure i cantautori
che cantano in dialetto, adesso ce ne sono,
hanno certo le loro ragioni, le radici popolari, sfuggire alla lingua massificata del sistema,
lavorare in una nicchia per scavare profondo,
sono ragioni anche buone, Pasolini forse apprezzerebbe
(forse: facciamo attenzione a far dire le cose
a chi è morto da trentacinque anni e non può più precisare, andiamoci cauti,
perché pensieri e situazioni in trentacinque anni
possono cambiare)
però io non faccio così, io scrivo in italiano
perché sento che il mio italiano è già una lingua di nicchia
e lo so usare anche contro il potere.

Cosa stavo dicendo? Ah sì, le tre donne
(sono intanto le 22.36 della notte di Natale)
con cui vorrei essere stasera:
a due di loro credo non dispiacerebbe,
alla terza non credo che interessi,
con la terza ho anche avuto un incidente mediatico,
ma non è quello il problema. Il problema è...
Pensandoci, non c'è nessun problema.
Dall'alloggio vicino sento grida come per le partite di calcio in tivù,
non credo che stasera ci siano partite di calcio,
stasera c'è il circo e i film natalizi e forse più tardi c'è il papa
e questo mi induce a riconsiderare varie cose.
Se gridano così e non ci sono partite di calcio,
forse anche le altre volte non c'erano partite di calcio,
e io per anni ho sbagliato a interpretare.
Ma allora perché gridano?
Ma a me che cosa importa?
M'impiccio in ogni cosa. D'altronde il poeta
più che un fingitore è un impicciatore,
uno che ha da dire su qualsiasi cosa.

Più che da dire, è che qualsiasi cosa è dentro me,
sono molto affollato, pur essendo qui da solo.
Adesso sono le 22.43 e mando un sms
alle due donne a cui lo posso mandare:
alla reusenca non si può, mi spiace.
Certe volte mi è successo di mandare sms un po' uguali
(ti voglio bene, buona notte, bacio)
e soprattutto una delle due mi ha fatto notare
che è una cosa un po' da serial lover
è una cosa un po' poco d'amore
è una cosa d'amore un po' da poco
e forse ha ragione, ci devo pensare;
però ecco è vero mi succede come in questo momento
che sono le 22.47 della notte di Natale
ed effettivamente alcune parole mi verrebbero uguali
almeno buona notte e buon Natale
mi verrebbero uguali anche per la terza
se potessi mandarle un sms.
Però non mi sembra, per ciò, di amare meno.
Non so, è una cosa su cui c'è da meditare.
Adesso comunque interrompo questa tiritera
(alle 22.49) per mandare questi due sms.

Ecco, mandati. Li ho fatti diversi, completamente diversi,
perché effettivamente uguali non è mica bello,
è una stronzata. Io non è che so le cose, io ci penso
e poi ci arrivo. Alla terza lo manderei anche diverso
e pure in lingua diversa. Adesso magari però
ne mando uno anche a Helen e uno a Chiara.
Ecco un'altra stranezza: quando non ci sono intrallazzi d'amore
uno scrive il nome per esteso, tranquillo,
se invece c'è di mezzo l'amore ci si va più cauti.
È strano, no? Cosa ci sarà mai da nascondere
nell'amore? Non so, lo trovo strano. Altri no, non lo trovano strano.

Con Chiara in realtà qualche cosa c'è stato,
cinque o sei anni fa: una sera un pompino,
così, estemporaneo, abbastanza incredibile, e poi basta, amici come prima e basta.
Molto bello però, un gran pompino. Certe volte certe cose vengono meglio
così senza impegno, e anche questo è strano.
Nell'amore e nel sesso un po' tutto è molto strano.
Comunque Chiara è un nome abbastanza comune,
ne conosco almeno cinque e nessuno saprà mai
che Chiara è.

Fra scrivere qui e scrivere sms abbiamo fatto le 23.03
e penso a Gozzano, al suo melologo popolare:

- Oste di Cesarea... - Un vecchio falegname?
Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?
L'albergo è tutto pieno di cavalieri e dame
non amo la miscela dell'alta e bassa gente.
Il campanile scocca
le undici lentamente.

E così abbiamo inserito anche la citazione. Gozzano non credeva
in Dio, ma faceva lo stesso la poesia sul Natale.
La poesia il suo dio se lo inventa da sola.
A quindici anni una notte mi sono ubriacato
e sono andato da Chiara (non la medesima di quattordici versi fa)
e le ho vomitato sul pianerottolo. La amavo tantissimo,
la amavo immensamente. O forse era per posa,
come lo scrivere e come le sigarette. Chi può dirlo?
Io, io posso dirlo: la amavo tantissimo. Un po' la amo ancora,
io è difficile che se amo poi smetto di amare,
anche dopo dieci o venti o trenta o quarant'anni,
questo spiega fra l'altro perché la monogamia mi è del tutto impossibile.

Forse amavo anche il poeta quindicenne maledetto che fumava e batteva
a macchina le stronzate nella notte, anche se era tutta una posa,
un darsi un tono, lui era così, forse lo amavo o forse no, che poi
lo maltrattavo, ma lui che ci poteva fare
se non sapeva neppure chi era lui stesso?
Si può amare anche così senza sapere.

Quattordici versi fa ho scritto «quattordici versi fa»
e non «quattordici righe fa», mi è venuto così, è un segnale dell'inconscio
per svelare che questa è, per me, una poesia?
Anche qui ci andrei con una certa cautela.
Non tutti i lapsus sono freudiani e a volte una parola affiora solo per abitudine:
è possibile.
Adesso Helen mi ha scritto un sms in cui mi consiglia di scrivere in prosa e non in poesia.
Io mica le avevo detto che stavo scrivendo in prosa/poesia:
telepatia?
Anche qui ci andrei cauto. Sono cose che succedono. Non carichiamo di significati.
Sono le 23.19 e questo scrivere non serve a niente,
ma, a differenza che a quindici anni, adesso lo so.
Farei volentieri l'amore con una delle tre donne citate ormai tantissimi versi fa
o righe fa
o anche con altre, ne ho in mente alcune altre con cui credo che sarebbe bello,
qualcuna con cui l'ho fatto in passato
e qualcuna con cui non l'ho fatto e non lo farò presumibilmente mai.
Tutto sommato non è che poi se ne faccia tanto di amore in questo mondo.
Tante volte non lo si lascia scorrere, si mettono troppe dighe, condizioni, limiti.
Che assurdità.
Vabbè.
Sono le 23.26 e fra poco sapremo se stasera il campanile di Santa Zita,
che vedo dalla finestra,
lo spengono alle 23.30 oppure no. Sì, perché lo spengono alle 23.30 tutte le sere
tranne il venerdì e il sabato, che lo tengono acceso fino alle due.
Oggi non è né venerdì né sabato ma è la vigilia di Natale.
Se il dispositivo che accende e spegne è automatico, regolato sulla settimana,
certo si spegnerà adesso. Se no, potrebbero tenere conto
che è la vigilia di Natale.
Ecco adesso suonano le campane, credo per chiamare i fedeli alla messa di mezzanotte.
E sono al computer e in questo momento mi viene in mente che potrei guardare la posta elettronica:
che un sms no ma una mail la reusenca me la potrebbe scrivere,
per dirmi magari che non è arrabbiata con me,
se non è arrabbiata, ma forse lo è. Per dirmi bon Nadal.
Ma no, è assurdo, starà facendo la festa di Natale, di sicuro non mi scrive adesso.
A tutto starà pensando meno che a me...
Non la guardo la posta, è da idioti guardarla.

Zac! Si è spento il campanile. Se ne sbattono del Natale. Vuol dire
che c'è un dispositivo automatico che prolunga l'illuminazione
solo il venerdì e il sabato sera, senza eccezione alcuna.
Anche questa è una cosa un po' stupida.

(Perché ho scritto «anche»? Qual è la precedente cosa stupida?
Forse tutte le cose stupide del mondo? A volte non so perché scrivo le cose.)

Ora scrivo un sms a una delle donne che ho detto
per dirle che hanno spento il campanile.
Anzi no, le telefono a voce.

Ora mi domando se devo andare avanti a scrivere fino a mezzanotte,
per fare scrivendo la mezzanotte santa,
e mi rispondo che no, non è il caso, sarebbe una posa
come a quindici anni, e più che altro mi sono stufato
di scrivere. Concludo perciò alle 23.36. E telefono
per dire alla donna che hanno spento il campanile.
Buon Natale.

Poi però ho fatto una telefonata
lunga, e la mezzanotte è passata
mentre ero al telefono, e la pagina è ancora aperta
sul video del computer
quindi annoto ancora questo
alle 00.25
poi vado a dormire.

(Il Natale è sempre stato un giorno solitario,
un giorno ripiegato su me stesso,
anche quando ero bambino, aspettavo i regali
e poi mi cacciavo in un angolo con i giocattoli da solo,
il Natale è sempre stato un giorno solitario,
c'è molta gente che si suicida a Natale.)

 
 
 
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