Un blog creato da molinaro il 04/06/2007

Carlo Molinaro

Pensieri sparsi, poesie e qualsiasi cosa

 
 
 
 
 
 

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Cinque poesie in questi giorni

Post n°922 pubblicato il 25 Luglio 2010 da molinaro
Foto di molinaro

IO NON SO ASPETTARE

Il futuro dei bambini è sempre oggi. Domani sarà tardi.
 Gabriela Mistral (1889-1957)


Io non so aspettare, lo ammetto, non so aspettare,
e difficilmente maturerò perché
non so neppure darmi torto per questo non sapere:
aspettare che cosa? Domani sarò
più vecchio di oggi, e poi morto, e poi basta.
Certo, lo so, un vero uomo sa aspettare
e progettare anche su tempi lunghissimi:
il mio non saper aspettare ha un suo prezzo,
mi vieta alcune cose: i lavori lunghi mi mandano
fuori di testa, vorrei concludere subito, probabilmente
è per questo che faccio poesie e non romanzi,
perché per il romanzo ci vanno mesi o anche anni
e io mi stufo, mi stufo, mi snervo, domani
non sono lo stesso di oggi, come faccio
a continuare il romanzo di ieri?
E se un amore mi dura una vita
è perché ogni giorno mi ricomincia nuovo.
Datemi tutto oggi, per favore:
domani non esiste e non esiste
neppure ieri: ieri è oggi, oggi
è il mio piccolo eterno che tutto vuole
e che nulla dimentica mai.



MEGLIO ANCORA

Le mansarde sono luoghi d’amore.
Certo, ci si può amare anche al pianterreno
e forse addirittura nei piani intermedi
che sono i più stupidi, né carne né pesce;
ma le mansarde e i sottotetti sono
privilegiati luoghi dell’amore.

Io se penso una coppia innamorata
e non so dove metterla, la metto
sicuramente dentro una mansarda:
ce la metto davvero, non solo scrivendo,
e meglio ancora se lui sono io
e lei si abbraccia e si bacia con me.


LAPIDE

 

QUI GIACE
SOTTO MUCCHI DISORDINATI DI PENSIERI E COSE VARIE
USADUSDACES (*)
NATA A TORINO, VIA SILVIO PELLICO, IL 25 SETTEMBRE 2008
MORTA A TORINO, CORSO VALDOCCO, IL 21 LUGLIO 2010
LA SUA BREVE (MA FORSE FIN TROPPO LUNGA) VITA
FU TRAVAGLIATA MA BELLA
AVEVA QUALCHE DIFETTO CONGENITO
MA TENTÒ UGUALMENTE IN TUTTI I MODI DI CRESCERE
PERCHÉ LE PIACEVA ESISTERE
ERA PICCOLA MA VOLEVA ESSER GRANDE
EBBE E DIEDE PROBLEMI
CADDE STRONCATA DA UNO SGUARDO INDIFFERENTE
COME DA UNO SGUARDO SORRIDENTE ERA NATA
TU VIAGGIATORE CHE PASSI
ACCANTO A QUESTA LAPIDE
SOFFERMATI UN MINUTO IN UN PENSIERO
CON TENEREZZA SE TI È POSSIBILE
POI CONTINUA IL TUO CAMMINO
SERENAMENTE

(*) Una speranza assurda di una storia d’amore con Eva S.


 


CICALECCIO

Mezzo assopito con la finestra aperta
ho ascoltato le cicale, dai pini vicini:
ho pensato che il loro non è un cicaleccio,
non è confuso, ha il suo ritmo, è un coro regolare
a due o tre voci, non è quello che gli uomini
chiamano cicaleccio. Prima ho guardato il mare:
mosso al mattino, con il vento, poi calmo
a mano a mano che sale il calore. E ho guardato
le ragazze sulla riva passeggiare o prendere il sole
o immergersi in acqua, con i loro
bikini o topless,
e ho ascoltato i motori delle barche al largo
e il
coccobello coccofresco coccobello
dell’uomo scuro con la maglietta bianca
e il secchiello blu pieno di foglie e di spicchi.

Ho pensato che tutte queste cose le ho viste e ascoltate
per tante estati, tantissime estati
qui in Liguria, questo mare vicino, questo mare
domestico che in due ore lo raggiungi:
anno dopo anno dopo anno le cicale
e il mare e il vento e le ragazze e le barche.

M’ha preso una stanchezza: ma non delle cose,
né delle stagioni che ritornano, né
del mare, né del vento, tantomeno
delle ragazze, né delle cicale né delle barche:
m’ha preso una stanchezza di me stesso,
di questo corpo e di questo pensiero,
di questo uomo che si muove goffo
urtando tutto con i gomiti, come
i ragazzi dinoccolati che uscendo da una stanza
abbattono tavoli sedie tovaglie
e lampade, inciampando nei fili:
escono veloci, distratti, affrettandosi verso
non sanno cosa – eppure sì che lo sanno
e corrono e non badano e hanno voglia.

Io sono quello e non sono più quello
e non so essere altro e non so più nemmeno
– o non ho mai saputo – essere quello
che sono, o che non sono: il paesaggio
mi guarda con sospetto, con distacco,
mi dice: tu non sei di queste parti,
tu in queste parti non hai il passo giusto,
con quei tuoi grossi piedi puoi far danni.

E sono stanco e ho voglia di andare
senza badare, strappandomi la tasca
sulla maniglia e rovesciando vasi
di porcellana preziosa e neppure
sentire i tetri rimproveri inseguirmi,
il cicaleccio dei tetri rimproveri:
e camminare, camminare verso.



CHI TI AMA LO SA

Lei pedala veloce in bicicletta
dopo il bagno nel fiume:
fresca, ancora bagnata
pedala veloce e mi manda un messaggio
forse senza nemmeno fermarsi
pericolosamente armeggiando
con il telefonino
per dirmi che lo fa.

Io leggo il messaggio e la vedo pedalare
fresca e bagnata e soprattutto contenta
come una bambina;
la vedo con l’aria e con tutti i colori
addosso, bionda, bionda tutta, una scia
di colore sull’argine:
 sarà
vestita d’azzurro e di bianco ma è gialla
come quando riverbera il sole
nelle giornate limpide, senz’afa.

La vedo bene, da cento chilometri:
non c’è bisogno che mi racconti altro
o mi spieghi: la vedo bene, nitida,
perché è contenta e ha tutti i colori
addosso, io la vedo bene
perché i colori è meglio averli addosso
che raccontarli:
chi ti ama lo sa.

 
 
 
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