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paura del bosco

Post n°81 pubblicato il 13 Dicembre 2011 da m_de_pasquale
 
Foto di m_de_pasquale

 

percorso: c. Pezzente (41°46'24.92" N, 15°50'6.54" E) - coppa del Monaco - bosco Spigno - caserma delle guardie - c. Pezzente [12 km]

Tradizionalmente il bosco, per la sua natura caotica e selvaggia, è sempre stato associato ad una esperienza inquietante e minacciosa. Se fatta nella stagione fredda, in una mattinata nebbiosa che a fatica fa penetrare i raggi del sole, nel sonno silenzioso della natura invernale dove si amplifica anche il più piccolo rumore, la camminata solitaria nel bosco può riservare sensazioni uniche capaci di farci accedere alla parte più antica e remota della nostra psiche. Quella parte in cui si producono le emozioni fondamentali che hanno salvato la vita dei nostri antenati, perché le emozioni costituiscono i meccanismi di risposta necessari per far fronte in tempo reale alle emergenze della vita. Nel silenzio ovattato del bosco anche la foglia che cade, facendoci percepire un rumore insolito, potrebbe spaventarci; un gruppo di uccelli nascosti tra gli arbusti che all’avvicinarsi dell’uomo si levano compatti in volo, producono un intenso fruscio, un rumore non familiare, tale da spaventarci se non ne conosciamo l’origine. Dallo spavento si può passare alla paura quando si incrociano animali che ti puntano minacciosi. Ma cosa accade nella mente quando ci spaventiamo, quando percepiamo sensorialmento un segnale di pericolo? Come si produce quello stato di apprensione? Come si genera la paura? I neuroscienziati ipotizzano che la sequenza complessa che dalla sorpresa procede verso l’incertezza, per giungere all’apprensione ed infine alla paura, avvenga in un secondo circa. Nel processo evolutivo la paura ha rivestito un’importanza particolare perché più di ogni altra emozione ha avuto rilievo per la sopravvivenza. Quando abbiamo una percezione sensoriale insolita (uditiva, visiva, olfattiva, …), il segnale viene inviato al talamo (centro di raccolta di tutti gli impulsi esterni e interni) dove è tradotto nel linguaggio del cervello. Gran parte del messaggio viene poi smistato alla corteccia cerebrale che lo analizza e lo valuta per comprenderne il significato e produrre una risposta appropriata. Una porzione più piccola del segnale originale va, invece, direttamente dal talamo all’amigdala (una struttura a forma di mandorla posta sopra il tronco cerebrale vicino alla parte inferiore del sistema limbico) percorrendo una via di trasmissione più breve e consentendo così una risposta più veloce. L’amigdala è una sorta di sentinella delle emozioni, l’archivio della memoria emozionale che custodisce, quindi, le strategie di risposta messe in atto dall’uomo quando si è trovato nelle condizioni di affrontare le emergenze della vita. E’ quella parte del cervello derivante dalla struttura più primitiva, quella che regola le funzioni vegetative fondamentali, che abbiamo in comune con gli animali. Si colloca qui, davvero, la possibilità di accedere alla parte più nascosta della nostra psiche dominata dalla logica associativa (vedi le associazioni libere operanti nel mondo onirico), senza tempo (non c’è distinzione tra passato e presente, ma confusione), senza senso della realtà (non si colgono le sfumature, tutto è semplificato): è la mente emozionale impulsiva, potente, illogica. L’amigdala può, quindi, innescare una risposta emotiva ancor prima che i centri corticali abbiano del tutto compreso ciò che sta succedendo, coordinando una reazione di vasta portata: il sangue fluisce verso i grandi muscoli scheletrici (le gambe) rendendo così più facile la fuga e al tempo stesso facendo impallidire il volto, momentaneamente meno irrorato (quando si ha paura sembra che “il sangue si geli”); il corpo si immobilizza, come congelato, anche solo per un momento, forse per valutare se non convenga nascondersi; i circuiti dei centri cerebrali preposti alla regolazione della vita emotiva scatenano un flusso di ormoni che mette l’organismo in uno stato generale di allerta, preparandolo all’azione e fissando l’attenzione sulla minaccia che incombe per valutare quale sia la risposta migliore. E’ evidente che quando la risposta immediata ma anche semplificata ed approssimativa di questo circuito viene a coordinarsi con quella più elaborata del circuito che interessa la corteccia cerebrale, il nostro organismo capisce che una reazione del genere è spropositato ad esempio per un gruppo di uccelli che si alza in volo o per alcuni maiali selvatici incontrati sul cammino. Però è importante essere consapevoli che la prima reazione di fronte ad un segnale di pericolo è gestita dalla parte più antica della nostra psiche (la mente emozionale) e che solo successivamente – ragioniamo sempre di tempi equivalenti a frazioni di secondo – intervenga la mente razionale, che, appunto, si è evoluta da quella emozionale. Infatti dalla struttura molto primitiva del tronco cerebrale, sede dei centri emozionali, si sono evolute le aree del cervello pensante, la neocorteccia. Ci fa bene ricordare che prima che esistesse un cervello razionale esisteva già quello emozionale. E’ vero che le inclinazioni biologiche ad un certo tipo d’azione sono comandate dalla mente emozionale, ma è anche vero che queste sono state ulteriormente plasmate e perfezionate dal cervello pensante che ha affinato e reso più complessa la vita emozionale con l’esperienza personale, la cultura. Se la reazione grezza ed approssimativa, anche se più veloce, gestita dalla mente emozionale, di fronte alle emergenze della vita deve interagire con la mente razionale, questa ultima non deve dimenticare la sua provenienza e quindi le emozioni primordiali che la animano fosse anche per un periodico rimmergersi nelle sue origini al fine di vivificare il suo rapporto col mondo. Insomma per quanto la nostra mente razionale si proponga giustamente di governare le emozioni (intelligenza delle emozioni), essa non può dimenticare che è profondamente influenzata dai fantasmi della sua parte emozionale (mente emozionale).  (camminare - 7  precedente  seguente)

 
 
 
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