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l'immagine mobile dell'eternità

Post n°84 pubblicato il 12 Gennaio 2012 da m_de_pasquale
 
Foto di m_de_pasquale

percorso: piana di monte Calvo (41°43'54.56" N, 15°45'01.83" E) - monte Calvo [AR 5 km]

Sarà l’essenzialità di questa montagna (non c’è vegetazione, un monte calvo come dice il suo nome) che attenua ogni movimento, sarà il suono monotono del silenzio dell’altezza che riecheggia nelle orecchie, ma l’impressione prevalente che si avverte è quella della sospensione dello scorrere del tempo che fa pensare alla definizione platonica del tempo: immagine mobile dell’eternità. Noi che siamo abituati a pensare il tempo come un serbatoio da cui attingere (contiamo le ore, i giorni e li rapportiamo alla durata delle cose che facciamo, dei nostri progetti futuri), come qualcosa che abbiamo a disposizione riducibile a quantità misurabili per cui il tempo si può guadagnare o perdere alla stregua di un qualsiasi oggetto, sicuramente impattiamo in una esperienza del tempo inusuale. Probabilmente la convinzione di poter comandare sul tempo ci serve per esorcizzare l’angoscia più profonda che l’individuo possa provare: l’angoscia del divenire, quella, cioè, del tempo che ci possiede. Il tempo che passa ci rende consapevoli che la nostra vita coincide con un flusso continuo che procede verso il decadimento e la morte. Un flusso che per la sua inarrestabilità ed irreversibilità ci getta nello sconforto a cui reagiamo con i nostri vani tentativi di fermare il tempo (dalle creme ai lifting, agli stili di vita che vorrebbero perpetuare un’età ormai passata). Un’altra reazione alla temporalità è la proiezione nel futuro, pensare che se abbiamo continuamente progetti da realizzare, impegni da assolvere, il nostro desiderio di eternità avrà la meglio sulla temporalità della nostra esistenza. E’ il tempo progettuale in cui l’uomo non guarda il passato, ma il futuro, quel futuro immediato che si tiene in stretta relazione con il recente passato. Questa reazione al dominio del tempo è figlia di un’altra reazione, più antica, inaugurata dalla tradizione giudaico-cristiana: il tempo della salvezza che guarda però ad un futuro lontano, si rivolge alla fine del tempo quando si svelerà ciò che all’inizio era stato annunciato. Questa concezione escatologica del tempo disegna uno schema rassicurante per l’individuo angosciato dal flusso del divenire: la storia è un tempo fornito di senso visto che il futuro coincide con la salvezza e non con il nulla della fine. La natura, invece, ci insegna un tempo che non si nutre di illusioni in un futuro pieno di speranze, ma un tempo che vive della sua ciclicità: la montagna è lì da sempre, il sole scompare e sorge ogni giorno, un albero muore e ne ricresce un altro. E’ un tempo che non ha una finalità (= futuro) ma semplicemente una fine; anzi con la sua fine raggiunge il suo fine. Nel tempo ciclico non c’è futuro che non sia la pura e semplice ripresa del passato che il presente ribadisce. Non c’è nulla da attendere se non ciò che deve ritornare. E’ un tempo che ci cura dalla temporalità ponendoci nell’orizzonte dell’eternità  (ciclicità) come ci ricordano le parole del dialogo tra Zarathustra e il nano riportate da Nietzsche: “Guarda questa porta, nano! Ha due facce. Qui si incontrano due strade: nessuno le ha percorse mai fino alla fine. Questo lungo sentiero indietro dura un'eternità. E quel lungo sentiero in avanti è un'altra eternità. Si contraddicono, queste strade; battono la testa l'una contro l'altra: ed è appunto qui, a questa porta che si incontrano. Il nome della porta sta scritto in alto: Attimo. Ma chi andasse avanti per una di queste strade e sempre avanti e sempre più lontano -, credi tu, o nano, che queste strade si contraddirebbero eternamente? 'Tutto ciò che è diritto mente' mormorò sprezzante il nano. 'Ogni verità è curva; il tempo stesso è un cerchio.' 'Tu, spirito di gravità!' dissi adirato. 'Non prendere la cosa troppo alla leggera! O altrimenti ti lascio rannicchiato lì dove sei, a gamba zoppa, io che ti ho portato in alto!' 'Vedi' continuai 'questo attimo! Da questa porta-attimo corre un lungo, eterno sentiero all'indietro: dietro di noi sta un'eternità. Non deve forse tutto ciò che può correre esser già passato una volta per questo sentiero? Non deve forse tutto ciò che può accadere, essere già accaduto una volta, compiuto, trascorso? E se tutto è già stato: che cosa pensi tu, nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta già essere stato? E non sono tutte le cose concatenate in tal modo che questo attimo trascina con sé tutte le cose venture? Quindi, anche se stesso? Poiché tutto ciò che può camminare, anche per questo lungo sentiero che va avanti, deve una volta passare! E questo lento ragno che striscia nel chiarore della luna, e quello stesso chiarore, e io e tu sotto la porta, bisbigliando insieme, bisbigliando di cose eterne, non dobbiamo già essere stati una volta? e ritornare e passare per l'altro sentiero, davanti a noi, per questo lungo orribile sentiero, non dobbiamo ritornare eternamente?”. (camminare - 8  precedente  seguente)

 
 
 
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