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Grazie a Google Earth un meteorite tutto “italiano”

Post n°122 pubblicato il 01 Agosto 2010 da prosalvo
 

Si trovava lì da sempre, sotto gli occhi di tutti, ma nessuno se n’era mai accorto. Rimasta ignota fino a pochi mesi fa quando, nel corso di un’esplorazione virtuale al computer con Google Earth, il dottor Vincenzo De Michele, già curatore del Museo civico di storia naturale di Milano, ha notato qualcosa di strano. Una depressione circolare sospetta, nello specifico.

Era l’età della pietra, circa curatore del Museo civico di storia naturale di Milano, e nell’Egitto meridionale già avanzava il processo di desertificazione, quando un blocco metallico di una decina di tonnellate, poco più di un metro di diametro, piombò dallo spazio sulla Terra e colpì una località che oggi si chiama Kamil, al confine con Libia e Sudan, non lontana da un villaggio neolitico. Sul terreno fumante rimase una buca grande una cinquantina di metri e profonda poco meno di venti: uno dei crateri da impatto che costellano la superficie del nostro pianeta. Queste le poche notizie a disposizione sull’argomento ma occorreva saperne di più.

Una consultazione con l’astronomo professor Mario Di Martino, dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), poi la decisione di organizzare un’esplorazione sui luoghi del presunto impatto, coinvolgendo anche Massimo D’Orazio dell’Università di Pisa, ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) dell’Università di Bologna, del Museo nazionale dell’Antartide di Siena e di altri enti specializzati in storia egizia. Infine l’attesa conferma con tanto di consacrazione da parte della rivista internazionale Science, che ha dato notizia ufficiale della scoperta del meteorite di Kamil con un articolo in cui vengono menzionati numerosi ricercatori italo-egiziani coinvolti.

Il cratere rivela una grande importanza scientifica, perché piccolo e ben conservato grazie al contesto desertico che ne ha preservato l’integrità, tranne un modesto riempimento con materiale sabbioso. «Ha l’apparenza di un catino circondato dal bordo rilevato, tipico dei crateri da impatto», spiega il dottor Stefano Urbini dell’Ingv, che assieme a Iacopo Nicolosi, ha curato i rilevamenti geofisici con apparati Gps, radar a penetrazione, e magnetometri». I rilievi geologici e geofisici hanno permesso pure di risalire alla velocità del meteorite all’ingresso con l’atmosfera, pari a circa 18 km al secondo, e a quella residua al momento dell’impatto, dopo il frenamento esercitato dall’atmosfera: circa 3,5 km al secondo. Tanto bastò perché il “ferro caduto dal cielo” come lo chiamavano gli antichi, liberass, un’energia equivalente a circa 20 tonnellate di tritolo.

Ma l’aspetto peggiore dell’impatto fu legato alla frammentazione del meteorite che si comportò come una gigantesca granata militare, generando una pioggia di proiettili incandescenti e taglienti capaci di arrivare anche a un chilometro di distanza. Se c’erano esseri viventi entro quel raggio, nessuno poté sopravvivere. All’epoca una vera tragedia. Oggi invece una scoperta fondamentale per la ricostruzione di alcune importanti condizioni storico-ambientali. E per di più dal sapore tutto italiano.

Katiuscia Provenzani

 
 
 
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