Creato da antoniolaretino il 13/11/2007

rumore

Silenzio§Rumore... disordinati pensieri sonorizzati.

 

 

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25 aprile '45

Post n°93 pubblicato il 25 Aprile 2008 da antoniolaretino
 
Foto di antoniolaretino

VASCO PRATOLINI."Ma anche quei franchi tiratori che si difesero di tetto in tetto, erano
fiorentini.
La Repubblica Sociale Italiana salvò la faccia a Firenze. Una faccia che spuntava
coi mitra dai comignoli e dagli abbaini. Soltanto a Firenze ci fu tra patrioti e fascisti
vera guerra civile,; fu li e solo li vera Spagna. Rossi e neri dietro le barricate.
al riparo di una cantonata, nella linea di fuoco sugli argini di un torrente nelle stesse
ore dell'agosto '44 in cui anche Parigi lottava per la sua liberazione. I partigiani
scesero dalle montagne ed i fascisti li aspettarono. Non era più nazi-fascismo contro
nazioni unite. Erano fiorentini di due opposte fazioni che si ritrovavano ad
uno dei tanti appuntamenti della loro storia. I tedeschi, fatti saltare i ponti, piegavano
in ritirata e lasciavano le bande nere a vendere cara la pelle.
Gli alleati avevano segnato il passo davanti alle rovine dei ponti e affidavano
ai «volontari della libertà», l'onore di cavare la castagna dal fuoco espugnando
la città. Durò otto giorni, e sulla stessa pietra che ricorda il rogo di fra Savonarola
venne fucilato Pietro Tesi: trionfatore con distacco di una Milano-S. Remo che fa
testo negli annali del ciclismo italiano.
Dietro Santa Croce, dove riposano Macchiavelli e Foscolo, fu passato per le armi
Alfredo Magnoldi: primo classificato al campionato europeo dei pesi gallo.
I partigiani dissero: "Alfredino era una carogna, ma è morto bene".
Morirono bene questi sportivi».
 
MALAPARTE così descrive la fucilazione dei ragazzi fascisti davanti a
Santa Maria Novella, a Firenze:
«I fascisti seduti sulla gradinata erano
ragazzi di 15-16 anni, dai capelli liberi sulla fronte alta, gli occhi neri
e vivi nel lungo volto pallido. Il più giovane, vestito di una maglia nera
e di un paio di calzoni corti che gli lasciavano nude le gambe dagli
stinchi magri, era quasi un bambino. C'era anche una ragazza, fra
loro, giovanissima, nera d'occhi e dai capelli, sciolti sulle spalle
di quel biondo scuro che s'incontra spesso in Toscana fra le donne
del popolo. Sedeva col viso riverso, mirando le nuvole d'estate sui
tetti di Firenze lustri di pioggia, quel cielo pesante e gessoso e qua
e là screpolato, simile ai cieli del Masaccio negli affreschi del Carmine...
Ad un tratto i ragazzi presero a parlar fra loro, ridendo.
Parlavano con l'accento popolano di S. Frediano, di Santa Croce
di Palazzolo. "E quei bighelloni che stanno a guardare, non hanno
mai visto ammazzare un cristiano?
E come si divertono quei mammalucchi, li vorrei vedere al nostro
posto e che farebbero quei finocchiacci, scommetto che si butterebbero
in ginocchio, li sentiresti strillare come maiali i poverini".
I ragazzi ridevano, pallidissimi, fissando le mani dell'ufficiale partigiano
"Guardalo, bellino, con quel fazzoletto rosso al collo. Oh chi
 gliè mai?
oh chi gli da essere, Garibaldi! Quel che mi dispiace" disse il ragazzo
in piedi sullo scalino "è di essere ammazzato da questi bucaioli".
"Un la fa tanto lunga" gridò una dalla folla.
"Se lei ha furia, venga al mio pasto" gridò il ragazzo ficcandosi le mani in tasca.
L'ufficiale partigiano alzò la testa e disse: "Fa' presto. Non mi far perdere tempo.
Tocca a te".
"Se gli è per non farle perdere tempo" disse il ragazzo con voce
di scherno "mi sbrigo subito".
E, scavalcati i compagni, andò a mettersi davanti ai partigiani armati di mitra
accanto al mucchio di cadaveri, proprio in mezzo alla pozza di sangue
che si allargava sul pavimento di marmo del sagrato della Chiesa.
"Bada di non sporcarti le scarpe" gli gridò uno dei suoi compagni.
E tutti si misero a ridere. In quell'istante il ragazzo gridò: "Viva Mussolini"
e cadde crivellato di colpi».




O Dio sereno cantato negli anni
Più forti, ne' giorni più buoni,
Quand'ero bambino
E pensieroso di te;
Dio ch'eri grande in croce sul tu' altare
E più grande nel canto stellato
D'un maggio toscano:
Io non ti chiedo pietà del mio male,
Perché pietà di me sento anch'io
E so che questa compassione è tua
Nata per me nel tuo cuore
Come già al sangue ti còsse l'ardore
De' palmi trafitti.
Io non ti chiedo pietà del mio male
Dio di pietà, Signore
Di morte e di resurrezione.
Ben venga a me tempestosa vittoria
Bella di lagrime, bella di spine
E di troppo sudore.
Ma si rammenti il cuore di cantare
Sempre, in tramonti in aurore
E in notturne paure:
Questo ti chiedo Signore,
Ti domando questo in preghiera.
Un po' di voce e un campo spigato
Fanno felice chi t'ama,
Padre, per le tue voci
Segrete fuse nell'ampia natura,
Per i tuoi cieli fioriti
Da tutto il popolo de' tuoi splendori,
Per l'orda delle tue tenebre muta,
Per ogni respiro di mamma spaurita
Strinta al giaciglio del suo figlio e tuo,
O Dio cantato negli anni sereni
Quand'ero un bambino pensoso di te.

 
 
 
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                L'ENNEMI  
 
Ma jeunesse ne fut qu'un ténébreux orage,

Traversé çà et là par de brillants soleils;

Le tonnerre et la pluie ont fait un tel ravage,

Qu'il reste en mon jardin bien peu de fruits vermeils.

Voilà que j'ai touché l'automne des idées,

Et qu'il faut employer la pelle et les râteaux

Pour rassembler à neuf les terres inondées,

Où l'eau creuse des trous grands comme des tombeaux.

Et qui sait si les fleurs nouvelles que je rêve

Trouveront dans ce sol lavé comme une grève

Le mystique aliment qui ferait leur vigueur?

- O douleur! ô douleur! Le Temps mange la vie,

Et l'obscur Ennemi qui nous ronge le coeur

Du sang que nous perdons croît et se fortifie! 

                               
                                                                            
 
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"Nel Tempo
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"I politici
 non sono altro
 che i camerieri
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GuITTOnaTA
Tuttor, s'eo veglio o dormo,
di lei pensar non campo,
ch' Amor en cor m'atacca.
E tal voler ho d'òr mo,
com' di sappar in campo
o di creder a tacca.
Amor valeli pro:
ché più leggero è Po
a passar senza scola
che lo mondo a om pro'
senza Amor, che dà
cor e bisogno da
sprovar valor e forzo;
perché ciascun om, for zo
che briga e travagli' agia,
se vale, non varrà già.
Move, canzone, adessa,
vanne 'n Arezzo ad essa
da cui tegno ed ò,
se 'n alcun ben mi do;
e di' che presto so'
di tornar, se vol, so.




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Pequod
Como lo albero ven arcuato da acuto vento così fecer lor simili invelati pel gran soffiare chè di procella perigliuosa già avvicendeasi le minacciose nubi... acchè li marinai da tolda per scrutar marosi e correnti all'erta stavan e di coffa il timonier salì ,ratto...sì como pensiero alato..sì che potesse pria d'altri mirar greve minaccia che nera e livida di folgori il mare portava al legno.All'acuir di vista,refolo leggero rivelò nero scintillìo..e poc'anzi al tempestoso mugghio di natura, il giallo becco e l'ali nere d'un corvo palesaron la presenza.D'acuto volo precedea veloce,portando il guardo de' marinai ora a dritta ora a manca... nell'ondeggiar furioso de' primi flutti.Grido giungea da coffa,chè l'occhio esperto del nocchiero avea scorto rotta palesata da quel battito nero, e diede voce di rotta e coordinate ai quali fecer eco il correr veloce de' marinai alle manovre ed al brontolìo sommesso del legno che rispondea svogliato a rapida virata.Seguendo il volo del nero messaggero,le vele del Pequod ebber nuova forza..e spinti or in fil di ruota,ora al traverso, i marinai del legno antico gettaron prua verso oriente...ove'l sol ancor dorati rai spargeva,pria di lasciar posto a diafana Diana per la notturna caccia.Giunti in salvo da procella,il corvo posò sul cassero,stanco e stremato.. e quivi 'l timonier e l'equipaggio tutto dieder di voce ad uno ad uno ed intonaron del corvo e del Pequod il canto, ch'ancor nei mari è udito.Da quel giorno,in vicinanza di procella tutti li marinai,scrutan l'aere,in cerca non di flutti minacciosi,nè di nembi adirati...ma sol del nero luccichìo di due ali,tra i venti agitati....  
                                                                                                    Con sincerità,
il timoniere del Pequod.         
 
 

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