Creato da simona.bua il 16/02/2010

ENDOMETRIOSI

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Terapia dell’endometriosi

Post n°5 pubblicato il 19 Febbraio 2010 da simona.bua


La terapia dell’endometriosi si propone vari scopi:

  • la risoluzione del dolore
  • l’enucleazione o distruzione delle lesioni
  • il trattamento dell’infertilità, cercando il più possibile di prevenire o ritardare la progressione della malattia.

Nella terapia medica attualmente si fa uso di diverse tipologie di farmaci: gli antinfiammatori e i preparati in grado di agire sul milieu ormonale. I primi ( Diclofenac, Ibuprofen, Acido Mefaminico ) sono in grado di ridurre la sintomatologia dolorosa in quasi il 72% dei casi ma non hanno impatto sull’evoluzione della malattia.

I preparati ormonali invece agiscono a livello dei focolai ectopici e, sfruttando la loro ormonodipendenza, li disattivano almeno temporaneamente.

I contraccettivi orali non sono ancora stati studiati con studi formali, ma i dati disponibili suggeriscono la loro utilità come trattamento di prima linea nelle donne con endometriosi e sintomatologia dolorosa.

Il Danazolo, un agente antiandrogenico, inibisce il rilascio di gonadotropine, induce anovulazione e interferisce con la steroidogenesi ovarica, ma si associa a numerosi effetti collaterali ( aumento di peso, acne, irsutismo ).

L’efficacia dei progestinici è dovuta al loro effetto antinfiammatorio, alla capacità di inibire l’ovulazione e di provocare atrofia endometriale. Sono disponibili diversi preparati, tra cui il Medrossiprogesterone acetato e il Noretisterone acetato.

Studi recenti hanno dimostrato l’efficacia dei dispositivi intrauterini a rilascio di Levonorgestrel nel controllo del dolore associato ad endometriosi.

Gli agonisti del GnRH inducono artificialmente una situazione ormonale simil menopausale, causando la comparsa di vampate di calore, secchezza vaginale, calo della libido e perdita di massa ossea. Per tale motivo è stato proposto di associare una add-back therapy con progestinici o estroprogestinici che antagonizzino gli effetti negativi dell’ipoestrogenismo, in specialmodo in quelle pazienti in cui si pensa di prolungare il trattamento per più di un semestre.

Al momento attuale viene rivolto particolare interesse agli inibitori dell’aromatasi ( Anastrozolo e Letrozolo ): la base biologica per il loro impiego nel trattamento dell’endometriosi è data dalla recente scoperta di un’aumentata espressione di questo enzima nei focolai ectopici rispetto all’endometrio normale. I loro effetti collaterali sono nausea, diarrea ed emicrania di grado lieve ma le modificazioni dell’assetto emocoagulativo delle pazienti sono meno importanti che quelle causate dai preparati estroprogestinici o dai soli progestinici.

In futuro gli antagonisti del progesterone e i modulatori del suo recettore potrebbero rappresentare delle valide alternative terapeutiche, dato il loro effetto antiproliferativo sull’endometrio, senza il rischio dell’ipoestrogenismo o della perdita di massa ossea.
Le prospettive terapeutiche future comprendono anche gli inibitori delle metalloproteasi e gli immunomodulatori. Per quanto riguarda i primi si sta cercando di chiarire quali siano le metalloproteasi coinvolte nello sviluppo e progressione dell’endometriosi e quale sia il loro ruolo. Invece a proposito degli immunomodulatori si ipotizza che gli antagonisti per il recettore dei leucotrieni potrebbero essere utilizzati nelle pazienti non rispondenti agli inibitori della sintesi delle prostaglandine.

La terapia chirurgica dell’endometriosi prevede un approccio quasi esclusivamente laparoscopico, vista la minore morbilità, la migliore visualizzazione delle lesioni e la notevolediminuzione di aderenze con questo tipo di tecnica.
Inoltre in molti casi la laparoscopia diagnostica per confermare la presenza di endometriosi diviene anche operativa, allo scopo di rimuovere per quanto più possibile i focolai individuati.
La laparotomia invece deve essere riservata ai casi più severi, con importante coinvolgimento rettovaginale o in caso di stenosi ureterale o intestinale.

Le indicazioni ad un trattamento chirurgico di tipo conservativo comprendono condizioni quali l’infertilità, il dolore non rispondente a terapia medica e la presenza di endometriomi di diametro superiore a 5 cm; vengono praticate la lisi di aderenze, la mobilizzazione dell’ovaio, la cauterizzazione di piccoli focolai, l’aspirazione del contenuto di endometriomi cistici o la loro enucleazione. L’effetto immediato sul dolore è in genere soddisfacente, ma la recidiva di dismenorrea ad un anno di distanza avviene in circa il 50% dei casi.

Interventi quali la neurectomia presacrale o la resezione dei legamenti utero-sacrali non sono giustificati perchè non interrompono gli stimoli algici derivanti dalle aree annessiali o dal peritoneo che riveste l’intera pelvi, intervenendo solamente sulla componente centrale o ipogastrica del dolore.

In presenza di sintomatologia algica incoercibile con i farmaci, se la paziente ha più di 40 anni o non manifesta desiderio di gravidanza, le linee guida del GISE ritengono adeguata la chirurgia demolitiva.

Per quanto riguarda la combinazione tra terapia medica e chirurgica, in letteratura sono presenti pareri discordanti sia sull’utilizzo dei GnRH analoghi prima della chirurgia ovarica, sia sull’impiego degli stessi post-intervento in previsione di un ciclo di fecondazione in vitro.

L’endometriosi è una patologia complessa e spesso recidivante tanto che il ripresentarsi della malattia a distanza di 1-3 anni dalla sospensione del trattamento ormonale soppressivo, come dopo chirurgia conservativa, si verifica in circa il 30-50% dei casi.
In letteratura sono descritti casi di recidiva dolorosa anche dopo chirurgia demolitiva e terapia medica, vista la possibilità di conversione periferica, a livello del tessuto adiposo, degli androgeni circolanti in estrose.

Relazione di Antonio Ambrosiani, Università di Padova, al Meeting Endometriosi: percorsi e qualità di vita – Ministero della Salute, 2005

 
 
 
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