Creato da luvif il 12/06/2008

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IL CLEBBE CAP.3

Post n°49 pubblicato il 16 Marzo 2012 da luvif
 

– statemi bene a sentire, entrate in azione  nel corteo vestiti di jeans,  maglione, giubbotto e passamontagna, e mi raccomando i guanti. Portate con voi solo catene, niente coltelli, spranghe o bastoni. Voglio un lavoro pulito, picchierete per dieci minuti di seguito, poi vi darete alla fuga,  vi libererete dei giubbotti e passamontagna. Quando i celerini caricheranno, voi dovrete essere gia fuori dal corteo, senza raggrupparvi, sparpagliatevi e non fatevi beccare.-

 A conti fatti mi rimangono settanta milioni, i ragazzi si comportano esattamente come ho detto e nessuno viene preso,  la manifestazione diventa un calvario per dimostranti e poliziotti.   Prevenendo che presto il pescecane sarebbe venuto a cercarmi ,  seleziono altri dieci elementi da istruire per il futuro;  prendemmo addirittura un maestro di arti marziali per la palestra, Con somma felicità di Stecca.  Er secco invece si occupa del bar e non vuole sapere altro. (scommesse clandestine a parte)

Il politico è di nuovo di sopra, nel mio privè.

– ascolta bene Amedeo, questa volta mi serve un lavoretto di precisione, nel corteo ci saranno dei sindacalisti molto rompipalle, dovrete colpire loro.-

Getta  sul tavolo delle fotografie.

 – senta eccellenza, già è un rischio così, mo addirittura a persona? -

Lui ghigna:

- se è per i soldi, non sono un problema; il partito ha finanziato mezzo miliardo per quest’operazione, faremo a metà.

– trecentomila – dico io. – sei ragionevole. –

risponde lui, e allunga la mano che io gli stringo volentieri. E  dico:

- senza morti però. – si fa serio: - per quelli ci sono i servizi segreti.-

e se ne và. 

Scelgo quattro ragazzi per quel compito. Gli altri si dedicheranno a rompere teste e gettare scompiglio nel corteo. Il piano è semplice;  il politico li vuole invalidi e questo avrà. I ragazzi hanno una settimana di tempo per allenarsi a rompere la spina dorsale con un colpo secco. Il tutto mi costerà cento testoni. Accidenti oh! Me sembro diventato Agnelli, me sembro.

Na sera capito per caso lungo la via che dalle case popolari conduce a casa dei vecchi mia. Volevo starmene da solo, credo.     Pe fumamme na sigaretta, senza nessuno intorno a rompere le palle. C’avevo bisogno de riflette su er futuro mio e de li due amici mia. Le cose annavano bene ar clebbe, ma alcune cose non mi quadravano. In giro erano tutti convinti che erano i fasci a sabotare le manifestazioni proletarie, invece eravamo noi. E de politica nu ncè ne fregava proprio un cazzo a noi, le svastiche, i fasci e i capelli rasati erano solo na facciata. Si qualche citrullo convinto, veniva in palestra pe mparasse a spezzà le ossa pe motivi politici ma era raro trovare gente così in borgata. Nu me crederete mai ma c’erano parecchi padri de famiglia disoccupati ( oddio, magari non è che avevano tanta voglia de lavorà) ma voglio dire, ero ben felice di aiutare sti poveri disgraziati, ad andare avanti. Bella cosa la politica, una sera il deputato mi confidò che erano gli americani a pagare per boicottare la crescita proletaria nel paese in tutti i modi.

Comunque vabbè,  cammino lungo la via quanno dar ciglio erboso vedo sbucà no stivale cò la sola bucata, sembra uscito da una vignetta de strmtruppen. Annavo a due all’ora, co lo spider decappottato. A grulli che ve pensate c’annavo a piedi in territorio rosso?  Rallento guardo mejio e che te vedo? Na bella figa a cosce de fori svenuta drento er fosso. Scenno de corsa, l’avvicino bocconi e che te vedo? Sti fiji de mignotta l’anno scippata ar collo, ed è tutta insanguinata. Sento se respira ancora, le mollo due schiaffetti sulle guance cercando di raddrizzarla da quella posizione sconcia, co le gambe divaricate come na mignottona. Corro alla macchina a

prendere dell’acqua, e je spruzzo la faccia, con un gemito rinviene. – mamma mia – dice sconvorta. E te credo, co qua tranvata. Le dico calmo: - bona, bona, senti te poi move?- ci prova poverina, prima una gamba poi l’altra. Sembra che va tutto bene. – ce la fai ad alzarti che te porto al pronto soccorso? – lentamente annuisce. L’aiuto a sollevarsi, molto piano la guido a sedere e chiudo la coppotta del duetto. Che posso fa? La porto all’ospedale de Frascati. E sti stronzi de madama che fanno? Me tengono tutta la notte in questura: - a marescià, ma come vo devo da dì? L’ho trovata lungo la strada, riversa nella cunetta priva de sensi. – Calma pischè! Mo sentimo la ragazza, se conferma la tua storia ti lasciamo andare.-  poco dopo giunge un appuntato alto e piazzato, un cliente del clebbe, riconosco. Lui mi guarda senza battere ciglio, e allunga un foglio al collega dietro la scrivania. Poi mi dice: - la ragazza ha chiesto di voi, potete andare.-

- fanculo- mormoro uscendo fuori dall’ufficio. Sono le cinque del mattino. La ragazza è sveglia, tutta fasciata al collo e le mani. Quando mi vede sorride contenta. – ciao-  le dico  – come stai?-  parla a fatica; - sto bene, grazie a te. Mi chiamo Valeria e tu? – Amedeo – bofonchio a bassa voce, come se avessi detto: “merdaccia.”  La ragazza allunga una mano fasciata che le stringo con delicatezza: - Amedeo- ripete tenendomi la mano : - mi piace il tuo nome. E anche tu mi piaci. Sei fidanzato?- strofino l’anfibi sul pavimento di linoleum azzurro chiaro; - frequento qualche scajia ma niente de serio.- dico orgoglioso di me. Lei mi rimprovera: - non è carino definire così una ragazza.- la guardo scemito: - no, no. So proprio mignotte. Belle ragazze, ma zoccole de prima categoria.- lei si mette a ridere. – ho capito, vuoi dire che non sei fidanzato.- ecco l’hai detto.-  sbotto serio. Poi le dico: - aspetta, pè caso me stai a di che te voi fidanzà co me? – sento sto stronzo der core che s’agita ner petto, manco fossi ar primo pelo. – e se fosse che mi diresti?- me domanda facendo l’occhi dorci. E mo che ie dico? Me interrogo barbino. Alla fine me decido

– che se piace a te sta bene pure a me. –

me chino e le do un bacio d’assaggio.

All’alba non viene un granchè bene. Famo na cosa veloce che c’avemo na bocca amara come er veleno. Sto pe annammene quando te vedo sbucà un rosso de quelli c’avemo pestato la settimana scorsa. Dritto entra nella stanza di Valeria e si china a baciarla sulla guancia. Sto per prenderlo al braccio quando incrocio il suo sguardo pieno de lacrime e lo lascio subito andare.

– grazie – dice singhiozzando – grazie per aver soccorso mia sorella. - 

Valeria si è addormentata, sotto l’effetto dei farmaci. Il rosso mi segue fuori in corridoio è sconvolto;

- mi resta solo lei, i nostri genitori sono morti qualche anno fa, ti ricordi il pullman che precipitò dal raccordo sulla strada sottostante schiacciando una macchina? –

lo ricordavo eccome, ero li poco distante alla fermata del tranvetto. Così mormoro come un pivello: - erano i tuoi genitori quelli? – scorgo nuove lacrime sul volto del ragazzo, lo guardo meglio e noto che siamo alti uguali, anche di corporatura siamo simili. Solo che i suoi vestiti sono sdrucidi dall’uso. Ci sediamo su una panchina lungo il corridoio. Strano, sembra che il rosso ha un’anima. E sogna di poter dare a sua sorella tutto quello che le serve.  A un certo punto mi chiede:

- mi chiamo Andrea e tu? Di te conosco solo le botte.- conclude ridendo. Così sono costretto a dire ancora il mio odioso appellativo.

– mi chiamo Amedeo, ma tu puoi chiamarmi spadino.- anzi ti conviene - 

asserisco scuro in volto. Sono stanco morto,  e mi alzo stiracchiandomi:

- io vado a dormire, di a tua sorella che vengo a trovarla stasera.- lo guardo meglio e gli chiedo: - ne hai soldi?- lui interpreta male le mie parole:

- al momento sono al verde, ma al più presto mi sdebito.

– ma che dici sei scemo pe caso? –

tiro fuori un par de centoni e glie li allungo con una scusa; - tiè compra dei fiori a Valeria. Anzi no, comprate qualche vestito nuovo che i fiori a tua sorella li porto io -  resta li come un salame a fissarmi mentre sparisco a bordo del mio duetto alfaromeo nuovo di zecca. A dì sconvorto è poco. Ma che mi sta succedendo? Ho dato due centoni a un rosso proletario. E mi sta pure simpatico. Non trovo le parole, ma ho visto un uomo dietro i capelli lunghi, le sue lacrime mi hanno spiazzato. Sicuramente deve essere colpa di Valeria, il suo bacio mi ha rammollito.

 
 
 

IL CLEBBE CAP.2

Post n°48 pubblicato il 16 Marzo 2012 da luvif
 

Guarda, nun sapevo davero che fa. Nu faceva freddo perchè eravamo ad agosto e provai a dormire nel garage de Stecca, ma era pieno de sorche lunghe du parmi boni. Mamma che schifo. Ancora me s’accappona la pelle solo a pensacce. Volete sapè chi m’ha sarvato da na brutta fine? E che cazzo, mo vò dico. Vanda a ninfomane. Se semo ncontrati pè caso na sera, che vagavo per quartiere.


 – a ber moretto voi salì stasera a casa mia?
O  sapevo che mè spompava ma nu sapevo davvero nd’annà.  Mortacci sua quanto m’ha cavarcato! Comunque m’ha detto bene, è rimasta invaghita de me  e vole che dormo da lei. Pè magnà però ce devo da pensà io. Lei er giorno dorme e la notte batte sulla prenestina, fino a mezzanotte, poi viene a casa e mi tromba fino all’alba. Vedeste che bella figa è Vanda, vi sacrifichereste anche voi. Nu po’ durà però. Un mese così e muoio, ho perso otto chili e quindi la manno a quer paese. Si ma mò ndò vado?  Er Stecca me da la dritta:


- senti Spadì, conosco uno che fitta un garage, cor soppalco per dormire, e niente topi.
-  sei sicuro che non ci sono sorche? -


 bella cosa l’amici. Mo ve chiederete perché no n’appartamento? Ma sinceramente voi me ce vedete a rifà er letto e a passà o straccio pè terra? Ecco cosa feci; er garage mi piacque molto, era adatto per la mia fissa de aprì un clebbe o club? Boh. Si un locale pè gente tosta, con tanto de palestra gestita da Stecca. E che soffitti! Quattro metri d’artezza. Dovreste da vede er soppalco tutto in truciolato col lettone, la scaletta per salire e il bagno nuovo de zecca. Tutto pè ducento cucuzze ar mese.    Che c’è, volete sapè come me chiamo? Prima damo n’occhiata al clebbe. Aspetta che apro a serranda. Ecco alla sinistra c’è la palestra, i tappeti, er ringhe. Er garage è enorme, quasi trecento metri quadri. A destra invece si trova er ritrovo vero e proprio, coi tavoli er bancone del bar  e li in fondo, dietro quer pannello c’è la scala che porta al soppalco. Cio so, è na
figata. Si io me chiamo Nanducci Amedeo. Che nome der cazzo! Voi chiamateme Spadino.  Perché me chiamo così voi sapè? Dimme ndove abiti che lo capisci da solo perchè me chiamo Spadino. Accidenti, neanche un mese e me ritrovo er clebbe pieno de gente in gamba, tutti tipi a posto e niente capelloni. Una sera viene a trovarci un tipo strano, col lungo cappotto di pelle e  l’occhiali scuri della lozza. Io pensai che era finocchio. Artro che finocchio! Ci fà cagare addosso, quando spara in aria la destra sbattendo forte i tacchi.
–    Hail Hitelr! -
 urla. Nessuno di noi risponde, lo guardiamo ammutoliti. A un certo punto gli dico:
-    aho ma da andò sei uscito? -
 lui mi viene vicino sorridendo, ha una voce rauca, da fumatore.

– devo parlarti da solo.-
Lo faccio salire con me sul soppalco facendo cenno a Stecca di seguirmi, lui si dirige alla vetrata a guardare di sotto, e dice: 
 - ho bisogno di gente dura, so che tu sei il capo qui.
 “non mi piace.”
Decido,
 - hai capito male,
e ora ricordo pure di chi si tratta.
- Noi  non siamo quello che pensi.
 si mette a ridere indicandomi di sotto; sui tappeti ci sono quattro che si stanno allenando con spranghe e catene. Si accende una sigaretta;


 - ho bisogno di venti di voi per la manifestazione dei compagni domenica mattina a piazza del popolo.-

così dicendo tira fuori una busta

- qui dentro ci sono cento milioni, te la senti di  guadagnarteli? –
Stecca mi guarda, io guardo lui
- e cosa dovremmo fare? – l’uomo torna a dire: - spaccare più teste possibile.-  
 Torno a guardarmi intorno, le cose vanno bene ma io quel tipo lo conosco di fama, è un pezzo grosso dello scudo crociato… Non sarà facile toglierselo dai piedi, e lui lo sa. E commenta:
 - quanto tempo potrai tenere aperto senza licenza? Guarda caso ne ho una pronta qui in tasca. –

sento chiaramente Stecca scandire le parole:
- a Spadì, ma te sei rincoglionito! Cosa aspetti a prendere quella busta? –
 io dico:
-  prima  la licenza.  mi porge la licenza, la leggo attentamente, ci sono pure le marche da bollo. Allungo l’altra mano a ricevere il pesante plico e lui si mette a ridere:
- non penserai che stanno qui dentro i cento milioni? –
si affaccia alla vetrata e fa un gesto verso la porta e entra un altro tipo con una grossa valigetta e me la consegna in mano. Istupidito la apro e guardo le mazzette dei soldi.
- d’accordo allora, ci vediamo domenica a Piazza del Popolo.-
- non ho dubbi che ci sarete.-
dice quel maiale andandosene via come era venuto.  
Ho convocato venti dei più duri e intelligenti del folto gruppo di persone che si identifica col clebbe. Gente disposta a tutto, capace di tenere la bocca chiusa. Siamo nei primi cinque anni del settanta e un milione è tanto. In borgata si amazza per cinquantamilalire, altro che milione...

 
 
 

IL CLEBBE CAP.1

Post n°47 pubblicato il 13 Marzo 2012 da luvif
 

  Sono circa le due di notte e siamo accucciati come levrieri ansimanti dietro le casse di legno ammonticchiate lungo il pontile a formare file disuguali, in attesa di essere caricate sui camion. Da quello ove siamo nascosti noi vien fuori un invitante profumo.
 – aho, quasi, quasi mo apro sta cassa, senti che odore d’ananas!
 esclama Pino, er secco, per gli amici.  Gli mollo una gomitata al fianco:
- voi facce scoprì nevvero? Guarda la, c’è qualcuno che si avvicina, e mo che famo?
 chiedo sgomento a nessuno in particolare.

– tranquilli.

– afferma sicuro Stecca

– è quello che aspettavamo.


- chi il contrabbandiere?


 interrogo ansimando per la tensione che sale lungo i visceri. L’uomo intanto si è avvicinato,  vestito con il cappotto nero, lacero e dal colletto bisunto, rialzato sulla nuca rasata a zero, il pancione da birra sotto l’ampie falde, le mani in tasca, indossa scarpe da marinaio sdrucide.

– spassiba tovarish-

dice in una lingua che deve essere russo.

– spassiba a te Josif –

dice stecca.

– hai portato la vodka?-

continua a chiedergli impassibile il nostro amico. Il russo fa il gesto universale dei soldi, con le dita della grossa mano destra. I soldi li ho io, al sicuro in una tasca cucita da mia sorella sulla maglietta interna. Due milioni di lire. Ne tiro fuori una parte gia in precedenza preparata e glie li faccio vedere. Sempre con la mano ci fa segno di seguirlo lungo il molo. Apriamo delle bottiglie a caso, dalle casse ordinate una sull’altra. Sembra buona. Ci guardiamo intorno nella notte, finalmente due fari si avvicinano, si tratta del nostro autista. Carichiamo  in fretta le casse nel furgone Wolkswagen e fuggiamo lasciando Josif a contarsi soddisfatto il danaro nella notte. Il secco esclama tutto contento:

- a spadi! Quanto pensi che ci frutteranno?-

mi liscio i baffi se cosi posso dire, secondo i miei calcoli due milioni a testa. certo è un bel traguardo, mio padre guadagna a mala pena duecentomila al mese. Ci tocca sgobbare tutto il giorno, la vodka va a ruba nelle bische e nei locali notturni della circonvallazione casilino/prenestina. La sera sul tardi non ci resta neanche una bottiglia da scolare tra di noi. Poco male, abbiamo rimediato le tasche piene di bigliettoni fruscianti. Compriamo a due e rivendiamo a sei.   i gestori dei locali comprano a sei e rivendono a sessanta volte tanto.  Coi primi due bicchierini si  pagano la bottiglia da un litro e non tre quarti come quello schifo del monopolio. Si l’abbiamo studiata davvero bene. Nessuno immagina un traffico d’alcool nei bassifondi di periferia con tutta la polvere che circola, alternata a LSD e oppio; per non parlare  della marijuana  che viaggia a sacchi da mezzo quintale sotto il naso dei madama che neanche immaginano l’esistenza di tanta porcheria.

- a regà-

esclama euforico il secco:


- se dovemo procurà un camioncino cor telo. –

interviene sognante anche stecca; l’asso del bigliardo:
- sicuro, così potemo amplià er giro.
non mi sento affatto tranquillo e non ne faccio mistero: - cercamo de nun esagerà adesso! Due milioni a settimana vanno più che bene. C’avemo sti clienti che so fidati, c’hanno visti cresce, e stanno ar gioco.
er secco se gratta la testa pensieroso  
me sa che c’hai ragione, io nu me la sento de da uscì fori borgata. Già è un rischio annà e venì da Fiumicino cor Bulli; pensa in camion.-
 a stecca non rimane che capitolare:
- vabbè, famo come dite voi due cacasotto. Ma nu finisce così però eh!
- e come voi finì  stecca, ar gabbio forse?
se infuria davvero
 – ma quale gabbio! E  famme er piacere, mica c’è er coprifuoco.
concludo quella inutile discussione:
- si vabbè, ma che je racconti alla pula se te trova  carico de bottiglie senza er marchio del monopolio e senza bolla d’accompagno? Ar gabbio finisci stecchetto bello, e mo piantala. -


Sono il capo indiscusso della banda, e picchio duro quando serve. Spesso a sprangate co la catena der Suzuki  cinquecento che porto allucchettata in vita, a doppio giro, sotto er chiodo zippato due dita sotto l’ombelico. Anche i miei compagni sono armati bene, uno addirittura tiene nello stivale una Berta sei e trentacinque; io oltre la catena porto un bel siciliano a scatto taglia venti. Stecca  invece s’arrangia coi bastoni cinesi, infilati dietro la schiena, è da sempre fissato col cung fu e non si perde neanche un urlo di Chen.

Non sembra ma facciamo molta palestra, a modo nostro s’intende, riusciamo a sopportare una badilata nello stomaco, e ci alleniamo a suon di pugni e sberle in faccia che fanno davvero male.   Ma quando si tratta di darle, non ci batte nessuno e vi assicuro che capita spesso nel nostro quartiere. Portiamo i capelli rasati e questo ci crea qualche problema coi rossi delle zone popolari ma non siamo fascisti, e neanche porci kartoffel come qualcuno ci chiama erroneamente; allora siamo costretti a spiegarci con le dovute maniere e la cosa non viene molto apprezzata. Io in modo particolare vado fiero della svastica che porto cucita alle spalle, sul giubbotto. In realtà la politica non ci interessa, noi vogliamo solo spazio, rispetto. Per il resto ci facciamo i fatti nostri.

Che glie ne deve fregare ai rossi se a noi piace la svastica? Non abbiamo mica ucciso nessuno. Invece no, arrivano come dei tanti corsari coi loro capelli lunghi, i fazzoletti attorno al collo, le magliette rosse col volto di quel fallito sudamericano che si è sparato da solo nel campo di miglio e vogliono darci una lezione. Dio quanto fa male la mia catena quando colpisce di taglio, dura più d’una spranga di ferro. A volte ne troviamo qualcuno svelto, ma nun c’è trippa pè gatti. Loro non passano due ore al giorno ad allenarsi come noi, e cadono subito sotto i nostri colpi. 

L’urtima vorta in tre ne abbiamo stesi nove, armati tutti di catena che er più delle vorte se davano in faccia da soli. Mannaggia a me mannaggia; abito in una bicocca da paura, proprio vicino na marana(tipo di ruscello che funge da scolo fognario a cielo aperto che ancora oggi attraversa molte campagne romane) de quelle toste, mi padre è fissato cò la pesca e mangiamo sempre ruelle(ruelle, tipo di pesce che assieme alle arborelle e le anguille abita le marane) merdose, sia fritte che infarinate. Tant’è che l’anrtra sera dopo l’ennesima litigata ho preso la decisione d’andar via di casa. Soprattutto dopo che m’ha gettato e quattro cianfrusaglie mia pè strada urlandome dietro:


- morto de fame si, ma disonesto no. Sparisci de qua e nun te fa vede più in casa mia!- 


Che tipo er mi padre, ha preso d’aceto vedendo li sordi mia. E io fregnone glie li volevo pure mprestà! Pe compra na cucina nova alla povera mamma  che se deve sdrumà l’ossa a cucinà sur foco drento ar camino.

 

 
 
 

Lilly e il ciliegio

Post n°46 pubblicato il 28 Febbraio 2012 da luvif
 
Foto di luvif

io e Lascrivana stiamo scrivendo una favola "Lilly e il ciliegio" linkate a fianco per andare a leggere sul suo blog. (chissa forse anche voi avete voglia di tornare alla vostra fanciullezza fra folletti, animali del bosco e storie d'amore a lieto fine

 
 
 

Incontro con la Dea

Post n°45 pubblicato il 27 Agosto 2011 da luvif
 

Vagavo tempo fa ai confini del mio impero in cerca di nuovi sbocchi per partire dopo anni che sembravano secoli, ancor nell'avventura.

Dovete sapere che  sono figlio di un semidio, schivo di carattere e poco incline a frequentare le discoteche. Neanche i bar per la verità. Però non disdegno i ristoranti che sanno cucinare bene gli spaghetti con le vongole.

Dicevo sono figlio di un semidio e regno su un minuscolo impero che si chiama Gizi. Per gli amici e anche i nemici sono il Re dei Gizi. La mia arte è lenire i mali dei miei sudditi con l'ausilio di un'arte millenaria e realizzare strumenti che contribuiscano al loro benessere che in cambio mi provvedono di tutto, anche di una bella moglie.

Mi è andata storta, nulla da dire per carità, ma mi aspettavo una regina vera e non l'iraconda figlia di tempesta mastro sellaio nel villaggio antistante lo stagno dei cigni aurei.

Ero giovane all'epoca e poco incline alle sane riflessioni dei cinquantenni, ma aimè se avessi dato retta a mammà, a quest'ora non starei qui a sospirare il cielo...

Ma chi to fa fà! mi diceva sempre. ma io ero felice, fino al giorno in cui la Dea entrò nella mia vita.

Eterea creatura! la intravidi sofferente sul sentiero nell'abetaia dietro le regali stalle. La poverina si era scheggiata un'unghia del piedino inciampando su uno stelo di gramigna secca. Nessuno lo sa ma è molto dura dalle nostre parti la gramigna secca. 

Le corsi incontro folgorato dall'azzurro dei suoi occhi, il miele nei suoi capelli... chinatomi di scatto le passai e ripassai la mia celebre mano sulla scalfittura che come gia sapevo sparì due istanti dopo.

Lo confesso, il mio regale sguardo s'intenerì e sentii il cuore che diceva al costato li vicino: - è lei! è lei! -

affondando nei suoi occhi seppi che quella era la donna che da sempre io aspettavo. La mia Regina, così la sospiravo in sogno. Solo che lo sguardo mi tradì e l'occhio emise uno scintillio di desiderio come di fondermi in essa fino al totale annientamento. 

Nulla di carnale per carità, ma tanto bastò che si librò nell'aria come una libellula, ma che dico, una Dea sulla coda di una cometa che la trasse lontana nel cielo vellutato, ma un sottile filo ci tiene uniti, quel filo che le sanò il piedino impedisce alla cometa di allontanarsi e continua la voce di lei, fatata mi sussurra che il di in cui avrò spento la carne avrò diritto di dichiararle il mio amore poichè è vittima di un sortilegio per cui potrà esser liberata solo se in tutta purezza amata...Così stressato me ne vò di valle in valle di notte in notte a sospirar:

- dove sei mia Regina ch'io finalmente ti possa mirar, amar? O Dio, spero di non finire come quello della canzone e bussare per cento anni alla sua porta...

- E che pizza! Ma sti spaghetti so proprio scotti!!

 

 

 

 


 
 
 

DISTRAZIONE, IL RACCONTO A QUATTRO MANI

NASCE "DISTRAZIONE" IL RACCONTO A QUATTRO MANI, DALLA GENIALE INVENTIVA DI LOSCRIGNO10 E LUVIF.

SEGUITE GLI SVILUPPI E CERCATE DI CAPIRE QUALE DEI DUE ARTISTI DI VOLTA IN VOLTA INTERVIENE A DARE VITA AGLI INTRECCI DELLA TRAMA.

QUANDO VEDRETE RISTAGNARE L'OPERA, PUO' ESSERE CHE GLI AUTORI ACCETTINO SUGGERIMENTI, MA NON E' DETTO...

 

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PRIMA RECENZIONE A PICCOLE PERLE

 
ScarpetteRosse.60 il 14/03/09 alle 17:24 via WEB
Bel libro, molto scorrevole. Quando lo inizi hai voglia di leggere tutte le storie, in ognuna ti pare di trovarti dentro e di viverla. Davvero bravo al mio amicone Nicoletta

 

IL BLOG SI RINNOVA

I° chiedo scusa per la moderazione; tranne le frasi offensive, pubblicherò tutte le risposte.

II° Via via sto eliminando quei post che mi sembrano superflui o non in tema con tutto il resto.

III° Non nascondo a nessuno che lo scopo di questo blog è di far conoscere a più gente possibile il mio libro "PICCOLE PERLE". Quale padre non è orgoglioso di mostrare al mondo intero il proprio figliolo?

IV° I post pubblicati su questo blog sono  l'aperitivo offerto dalla casa.

buona permanenza a tutti.

 

 

 

 

 
 
 

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