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Di mare e di musica

Post n°450 pubblicato il 21 Agosto 2013 da Zero.elevato.a.Zero
 

La musique souvent me prend comme une mer !
Vers ma pâle étoile,
Sous un plafond de brume ou dans un vaste éther, Je mets à la voile;
La poitrine en avant et les poumons gonflés
Comme de la toile,
J'escalade le dos des flots amoncelés
Que la nuit me voile;
Je sens vibrer en moi toutes les passions
D'un vaisseau qui souffre ;
Le bon vent, la tempête et ses convulsions
Sur l'immense gouffre
Me bercent. D'autres fois, calme plat, grand miroir
De mon désespoir!
(Charles Baudelaire)

Spesso la musica mi prende come fa il mare;
Verso la mia pallida stella
Sotto una volta di bruma o in un vasto etere metto vela.
Petto in avanti e polmoni gonfi
Come con la tela,

Scalo la cresta dei flutti accavallati
Che la notte mi nasconde;
Sento vibrare in me tutte le passioni
D’un vascello che soffre,

Il vento gagliardo, la tempesta e i suoi moti convulsi

Sull’immenso abissoMi cullano. Altre volte, piatta bonaccia, grande specchio
Della mia disperazione!

Attraversando il mare

 

Sono tornate le piogge di fine Agosto a raccontare il compimento dell’Estate, ancora una volta, ancora diverse.
Una stagione che mi ha concesso giorni in mare, questa volta solo con la mia famiglia, una piccola vela e le isole al di là dell’Adriatico: rotta ad Est incontro al sole.
Torno da questo viaggio con consapevolezze consolidate ed alcune nuove, torno con una scoperta intima sconvolgente, che prima non avevo compreso nei dettagli, per questo mi chiede tempo e meditazione così da essere accolta nel palmo della mano e infine riposta nel cuore. È una canzone dell’anima, scevra di dettagli, da comprendere ancora una volta con la pelle e non con la ragione, impossibile da spiegare meglio di così e per questo povera di immagini registrate come di parole esaustive.
Ho trovato ancora una volta l’abbraccio del mare, il mugghio del vento che al termine delle placide brezze agostane si fa bora e suona sulle sartie con incanto stregato quasi fosse l’ archetto del violino sullo strumento del Diavolo.
Ho trovato l’incontro di cuori amici e l’ebbrezza di navigare affiancati: piccole luci ansanti nel tripudio notturno di stelle.
Ho migliorato la percezione del mio senso del mare, di questo timoroso eppure necessario abbraccio di infinito che sento, soprattutto quando mi regala l’impegno delle raffiche piene di vigore e di onde imperiose che fortissime chiamano con voce di sirena.
Capisco così soltanto adesso, dopo molti anni di vita salata, che non mollo gli ormeggi per giungere ad una destinazione, che il carteggio, la precisione della rotta e la matematica del punto sono solo pretesti, non necessità. Restano una scorza colorata, ma non sono il midollo che porta nutrimento.
Muovo la prora chiamato dal vento e dal Pelago, così che i momenti più vivi di questa recente esperienza non sono gli anfratti, le cale piene di pesci e gabbiani, le vespe gentili che cercano un sorso di dolcezza senza aggressività. Non sono nemmeno le pietre mosse dagli uomini per farne case, monumenti o città, con la storia che racconta questo florilegio di vite intrecciate.
Il primo richiamo, quello più profondo e irresistibile è quello del vento potente, del mare alto, dell’acqua che passata sotto alla prora concede un borbottio di approvazione dopo la linea di poppa, nei gorghi che si fanno schiuma e lasciano una traccia evanescente, effimera come la linea di matita sulla carta che sarà presto cancellata per lasciare posto a nuove rotte, come le note che inevitabilmente salgono alla gola per esaltare un momento di perfetta pace interiore.
Questo tempo compreso tra il tramonto e l’alba che chiede il mio piccolo mare per essere intessuto da costa a costa è sempre troppo breve: come una bella canzone.
Oggi nasce quindi un sogno consapevole, anzi un peccaminoso desiderio, quello di conoscere oceani più grandi con molti giorni di infiniti orizzonti e di cieli squarciati di stelle, o di pallide nubi solitarie; di quelli che lasciano tanto spazio ai pensieri  e di conseguenza poco alle parole, che povere, non possono raccontare l’immensità, ma possono suonarla, con il riverbero che presto si spegne come il solco spumeggiante di poppa, una sinfonia di colori e di suoni, che accompagna le raffiche della vita.
A questi pensieri accompagno una immagine che non descrive fatti straordinari o colori imprevedibili o riverberi che suscintano meraviglia, ma solo il murmure quieto della rotta, salutata dal tramonto; quelle piccole nuvole sul mare senza confini raccontano bene la dimensione minima dei miei pensieri cullati  dalla canzone che più di tutte mi parla di mare, quella che tante volte asseconda senza volontà cosciente il basculare del timone, perfettamente concorde al pensiero di Carlos Ruiz Zafon:
Il mare ha questa capacità; restituisce tutto dopo un po’ di tempo, specialmente i ricordi.
Duc in altum.


Procol Harum - A Salty Dog

 
 
 
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