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Saluto alla Bandiera

Post n°482 pubblicato il 11 Settembre 2014 da Zero.elevato.a.Zero
 

Kamon

Kendō è un modo di vita (ikikata) qualificato dalla ricerca della perfezione come essere umano (ningen‐keisei) attraverso l’addestramento (shugyō) nei principi (ri‐hō) dell’arte del maneggio della spada giapponese (Nihon‐no kenjutsu‐no waza).
(Il concetto di Kendo - CIK 2006)

Finisce un’altra estate, puntuali tutti i miei attesi segnali si manifestano, diversi eppure simili: il ricordo delle isole di là dal mare, le piogge che puliscono la strada sulla Via della spada che si apre nuovamente.
Parto da questa meditazione illuminante condotta dinamicamente in due giorni di stage a Ravenna, organizzato da un Dojo che adesso è anche il mio.
Sono destinato a vivere anomalie, che io trovo perfettamente armoniche: dopo l’esperienza pluriennale di un Dojo condotto in coppia con il mio Kohai, contrariamente alla tradizione che vuole una gerarchia piramidale, adesso è finalmente annunciata coram populo la fusione con il Dojo di Ravenna; assieme diventa un unico sodalizio romagnolo, cosa che succede mentre in altri posti, anche in tempi recenti, club si dividono per diverse visioni e difficoltà a vivere sotto allo stesso tetto l’esperienza del Kendo, che pure, come recita la dichiarazione di intenti dello statuto, dovrebbe tendere al perfezionamento dell’essere umano, quindi alla fratellanza.
La foto ritrae il primo stage di Kendo a San Marino orginazzato assieme da Rimini e Ravenna, sullo sfondo assieme alle bandiere nazionali i simboli dello Shomen che sono le calligrafie con i nomi del club di Ravenna e di quello di Rimini, vicini ma separati, esposti al saluto dei praticanti prima di diventare uno nuovo: fusione dei due. È per me un saluto alla bandiera, ad una conosciuta dai pochi che hanno calpestato il legno del dojo riminese e che ho personalmente sentito profondamente mia, per questo desidero lasciarle questo commiato. Da domani se ne farà una diversa.
Cadenzata dalla pioggia, inizia una stagione nuova alla quale sento di appartenere di meno, con la precisa sensazione che riverbera nel commiato del generale Mc Arthur: i vecchi soldati non muoiono, svaniscono lentamente. Ugualmente prende sfumature sempre meno precise il mio percorso di Kendo, che mi si palesa sempre più carnevale e sempre meno strada di perfezione. Sono quasi di sicuro segnali senescenti la mia incomprensione a un edonismo narcisistico verso la scelta dell’abbigliamento in palestra, che invece di vedere uniformità di divise si scompone in fogge e colori diversi, in personalizzazioni utili a mettere in mostra l’individualità esteriore invece del sincretismo delle anime. Sono troppo vecchio per capire il senso dell’esporsi con le pose fotografiche affidate al mare magnum della rete, dove apprezzo il senso di una foto di un gruppo numeroso da affidare al ricordo, ma trovo lontano dalla via le manifestazioni belluine fatte di pose e non di pratica. Ancora fatico con maggiore sofferenza a capire il clima ludico che potrebbe essere il lieto contorno al termine della lezione e che invece penetra quel luogo di pratica che possiede una sacralità sempre meno avvertita. Si perde sempre di più, forse per l’enfasi nell’uso della Shinai a scapito del Bokuto, il senso della spada, tradito dall’uso del bambù, che permette il gioco del combattimento, dove l’armatura protegge soprattutto dalla paure che viceversa bisognerebbe imparare a vincere. Oggi il Kendo è sempre più questo, rappresentato da una stadera dove contano le pergamene degli esami superati e le gare possibilmente foriere di pezzi metallici da appendere al collo; ma quello che cerco io non è aggiungere peso, semmai separare la zavorra degli errori alla ricerca di una migliore levità.
Mi mancherà quindi la leggerezza della mia bandiera, mentre orfano alla ricerca di una nuova cui possa aderire con il cuore, sento più forti e onuste le divergenze e le disarmonie, che il piacere del sudore e del silenzio quasi perfetto nella meditazione al termine dell’allenamento.

Il tappeto musicale di questi pensieri è una canzone famosa che parla di una bandiera; appoggiati ad una base musicale preesistente: l’inno della società Anacreontica di Londra, si intrecciano i versi del giovane poeta Francis Scott Key, che racconta della difesa di Forte McHenry; lì, trattenuto lontano dalla battaglia chiede con trepidazione all’amico nel trascorrere della notte se tra i lampi delle bombe ed il fulgore delle batterie vede sventolare ancora la sua bandiera di stelle, con la speranza che l’alba la incoroni ancora, ritta d’orgoglio, sulla terra dei liberi e dei coraggiosi, capaci di resistere all’assalto nemico. Oggi è diventato l’inno nazionale degli Stati Uniti d’America, viene cantato prima di ogni evento importante da star affermate, ho preferito però questa interpretazione a cappella che mi ha emozionato molto, anche senza fanfare o sorvoli di aerei rombanti, perché credo che conservi profondamente il senso di affezione che è possibile affidare ai colori ed ai simboli che descrivono lo strato più caldo e profondo del cuore.

 
 
 
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