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Glicini

Post n°511 pubblicato il 16 Aprile 2016 da Zero.elevato.a.Zero
 

藤の実は俳諧にせん花の跡
fuji no mi wa / haikai ni sen / hana no ato
Bacelli di glicini / come trama delle nostre poesie / dopo i fiori
(Basho)

Glicini

Ciascuno ha la propria natura, per quanto l’essere umano sia un animale sociale, ogni persona ha propensione più o meno spinta al contatto con gli altri. Si va dagli estremi di coloro che vivono di quotidiane intense relazioni a quelli che per scelta di vita le limitano il più possibile; io comprendo molto meglio quest’ultimo anelito rispetto al precedente, pur non avendo abbracciata l’esperienza estrema della navigazione in solitario che è la forma più sportiva dell’eremitaggio.
Non sono quindi un animale del tutto monastico, ho una schiera limitata di pochi fidati amici che, capaci di amarmi per come sono, trovano il tempo e la misura più efficace per la reciproca frequentazione.
Eppure non soffro di solitudine, il canto della natura è un palcoscenico capace di farmi sentire parte di un coro immensamente grande. Ci pensavo con grata intensità in questi giorni ricchi di florilegi soprattutto, ai miei occhi, quelli dei glicini.
L’origine di questo rispetto trae radice dalla mia esperienza di buddismo Jodo Shinshu (o Buddhismo Shin). L’immagine è quella dei rami e dei grappoli che pendono verso il basso in piena fioritura abbassando il capo umili come in un inchino, in questo modo offrono una supplica garbata al Buddha, così come l’uomo quando trova la pace interiore si raccoglie per onorare l'Entità superna. Il fiore del glicine è simbolo di semplice luminosità e della caducità dell’esistenza, ma anche di tenacia: nel suo breve fiorire racconta che tutto muta continuamente, paradigma della vita stessa, invitando ad apprezzare appieno l'eternità in ogni istante con dedizione. Da ciò si trae l’insegnamento che un essere umano non deve cadere nell’arroganza per emergere, ma piuttosto provare e dimostrare gratitudine. Tutti sono uguali agli occhi del Buddha, per il quale non è necessario pregare, ma è sufficiente avere fede.
Nella leggenda giapponese il glicine è impersonato da una ragazza timida, romantica e travagliata da delusioni d’amore alle quali resiste con caparbietà; è divenuta una celeberrima figura nel balletto classico giapponese Fuji Musume (La Nubile del Glicine):un capolavoro del teatro Kabuki. Rappresentato per la prima volta nel 1826 in una sequenza di cinque danze, è tuttora uno degli spettacoli di maggiore richiamo per coreografia e raffinatezza. La storia si svolge nella città di Otsu, affacciata sul Lago Biwa, vicino a Kyoto, un passante si sofferma a osservare uno degli innumerevoli dipinti esposti chiamati Otsu-e venduti come souvenir. Su questo quadro è dipinta una Ragazza, che rappresenta l’essenza del Glicine: è abbigliata alla moda, con uno stravagante kimono (Nagasode) con le maniche lunghe e con la fascia (Obi) che da tradizione riprende l’immagine del fiore. La Ragazza ritratta si infatua a tal punto dell'uomo che la guarda attentamente da prendere vita ed uscire fuori dalla tela. Scrive lettere d’amore senza ottenere riscontro e, danzando sotto un glicine frondoso, con un ramo in mano, esprime i sentimenti profondi che prova per l’amore non corrisposto, accompagnata dalla musica Nagauta (canto a lungo). Triste e disperata, rientra affranta dentro al dipinto, sotto al glicine, alla fine del balletto. Il pianto della Ragazza esprime il dolore che prova, il glicine diventa il fiore dell’amore perduto, che non recede, rappresenta anche la straordinaria resistenza come vitigno, in grado di vivere e di prosperare anche in condizioni difficili, così come il cuore ha la capacità di resistere nonostante sia provato per un amore difficile. Fuji Musume ha ispirato una fiorente produzione artistica in Giappone, comprese bambole, statuine e dipinti venduti come portafortuna per i matrimoni ed è lo stesso augurio che la Primavera tenace formula a tutti coloro che vivono la vita con cuore palpitante.
Sayonara


Michele - Ho Camminato (1970)

 
 
 
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