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Fuga da Babele verso le pietre che cantano

Post n°522 pubblicato il 28 Dicembre 2016 da Zero.elevato.a.Zero
 

Perché sprechi il tuo fiato per lamentarti della folla
Non si può far nulla per fermare le grida
Se anche ogni lingua si fermasse, il rumore continuerebbe ancora
Perfino i sassi e le rocce comincerebbero a cantare:
...
Cantatemi le vostre canzoni, ma non solo per me
Cantate per voi stessi, perché siete benedetti
Non c'è nessuno tra voi che non possa guadagnarsi il Regno
Nemmeno lo sciocco, il sofferente, l'intelligente, il morto.
(Hosanna - Jesus Christ Superstar)

Sant'Antimo

È da molti anni che sono alla ricerca del Natale, di quello sereno e spensierato dell’infanzia fatto di pensieri armoniosi e di tenerezza, fatto di uno sguardo al cielo oscuro della notte confidando di trovarci una Luce che possa portare chiarezza ai pensieri e levità allo spirito.
I figli sono ormai grandi ed indipendenti, nonostante il predicato voglia il Natale trascorso in famiglia, quest’anno è arrivato il momento di una esperienza vivificatrice: stanco di obblighi natalizi costituiti da corse ai regali, corse a pranzi e cene, corse alle visite di amici con tombolate ed altre amenità varie, con l’assenso del tutto complice della moglie ho preferito una fuga dalla Babele rumorosa per cercare un nostro Natale, fatto di riscoperte personali, di dialogo fuori da quello dei quotidiani problemi della famiglia e di momenti semplici dove godere la vita senza luci sfavillanti o notizie sensazionali, fra una ribollita e un calice di Brunello.
Per questo viaggio durato pochissimi giorni abbiamo scelto un deserto davvero meraviglioso, in quella terra toscana che è già una visione morbida soltanto arrivarci.
Il contatto con le acque calde e sulfuree delle terme, i sapori semplici di una cucina senza fronzoli per ritemprare il corpo, e per quanto riguarda lo spirito il recupero di qualche radice essenziale.
Così per la Messa di Natale, ci siamo diretti verso una abbazia romanica di suggestiva bellezza, dove ancora si celebra il rito cantato in gregoriano, un posto dove le antiche pietre di travertino ed alabastro cantano.
Sono del tutto consapevole che oggigiorno il gregoriano risulta per molti, al massimo una curiosità storica, eppure questa protoforma musicale nasce per cantare preghiere nella lingua allora universale della chiesa (ma anche della scienza): il latino.
La Chiesa ha abbandonato da tempo una lingua comune per rendere più comprensibile la ritualità ai propri fedeli, diversamente da quanto avviene nella tradizione musulmana dove l’arabo rimane la lingua con la quale pregare e leggere le fonti.
Non trovo per niente scontato il fatto che in questa nostra cultura dove l’analfabetismo è sconfitto e il bilinguismo si sta consolidando, possa riapprofondirsi lo studio di quella lingua apparentemente morta del latino, che possiede il sincretismo e la sinteticità capaci di rendere in pochi fonemi il senso di concetti profondi. Altrettanto conseguente appare quindi la permanenza di gruppi di persone che continuano a pregare e cantare nella lingua antica, ma è una radice rara, purtroppo in via di estinzione.
L’abbazia di Sant’Antimo sorge alle pendici di Montalcino, fondata dopo il 350 su resti romani preesistenti di un tempio con fonte sacra, è divenuta nel corso dei secoli tappa importante del cammino devozionale lungo la via Francigena, conoscendo fasti ed onori da Carlo Magno con la leggenda della freccia capace di sconfiggere la peste, fino al Papa Pio II che ne decreta la soppressione.
Dopo secoli di dimenticanza viene recuperata al culto, dagli anni 80 è occupata da una comunità monastica di canonici regolari premostratensi che perpetuano il rito cantato gregoriano, ma che presto, per mancanza di vocazioni lasceranno il monastero a chi la curia riterrà più opportuno.
C’è in questa forma di preghiera la gioia della musica e la leggerezza che deriva dal canto, nonostante le chiese romaniche siano tradizionalmente poco luminose, ma qui la luce profonde dall’inconsueto deambulatorio posto dietro all’altare, c’è anche quella radiosità della monofonia che rimarca la scelta monastica del tornare tutti simili, allo stesso modo vestiti, ed all’unisono oranti.
Per me c’è soprattutto la riscoperta di una fondamenta importante della tradizione cristiana cui anche io appartengo, che si tramanda con sempre maggiore difficoltà, ma che, come un faro piantato nella roccia, serve a ritrovare il cammino quando la bufera carica delle nuvole scure di odio e violenza cancella gli altri punti di riferimento.
Lascio un commento musicale del canto natalizio proposto all’Eucarestia, racconta di un bambino nato a Betlemme ed ancora vivo nel cuore di tanti con il suo sorriso che porta pace e serenità: le stesse che auguro a ciascuno per molti giorni a venire.

 
 
 
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