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Il sapore della Spada

Post n°532 pubblicato il 14 Giugno 2017 da Zero.elevato.a.Zero
 

Ma cantare, sognare, ridere?
Splendido. Da solo, in libertà.
Avere l'occhio sicuro, la voce in chiarità,
mettersi, se ti va,
di sghimbescio il cappello,
per un sì, per un no,
fare un'ode o fare un duello

(Cyrano de Bergerac)

Birra_Podio

Succede che da tempo avrei voglia di raccontare dello snodarsi del sentiero della mia vita, il volere non corrisponde quasi mai al potere ma come recita il proverbio ne costituisce l’energia principale e così oggi provo a raccontare di spade e di duelli, di demoni e di amicizie, insomma del percorso intrapreso sulla Via della Spada.
Innanzi tutto mi sono chiesto spesso come mai dopo gli anni più verdi dedicati alla via delle arti marziali con sapore giapponese, a piedi nudi e soprattutto a mani vuote, io sia arrivato a provare la Via della Spada giapponese: il Kendo. La risposta che ho trovato rileggendo queste mie pagine (cosa che dà loro un senso altrimenti smarrito) penso risieda soprattutto nel fatto che il duello di spada concentra alcuni elementi essenziali e contenga una necessità umana affatto simile alla creazione poetica.
Il primo di questi è l’impossibilità di usare la logica dello scacchista, il duello si concentra in attimi ed in quelli devi imporre la tua energia creativa o reagire in modo efficace a quella del tuo avversario, attuando una replica che si basa sull’intuito affinato, anzi affilato, come si conviene a una lama, con passaggi infiniti di pomice pronta a togliere asperità e levigare a specchio errori, paure e incertezze. Il duello di spada mette di fronte, grazie al lucido metallo nel quale gli occhi si riflettono, le proprie insicurezze da scoprire come la meraviglia di un fiore e le proprie paure spinose da raccogliere con la dovuta delicatezza, per un ikebana che conservi il senso più prezioso della vita: creare energia positiva. È dunque una forma di meditazione dinamica che permette di allargare la percezione proprio quando il campo visivo si stringe per effetto di un casco protettivo o più semplicemente per la concentrazione verso un minuscolo punto focale.
La spada richiede inoltre la presenza di un altro essere umano: la necessità di riuscire a capirlo al di là delle parole, anzi prima di queste, semplicemente leggendo nei suoi occhi incertezze e decisioni, che poi sono le specchio delle tue, questo consente una compressione profonda grazie al confronto delle similitudini e delle differenze, è probabilmente il motivo per cui nonostante il confronto belluino crescano come radici profonde il rispetto e l’amicizia reciproci con una tenacia che sfida impunemente gli anni.
Il terzo motivo che mi porta alla spada è che il suo uso comporta ripercorrere la storia dell’uomo, seppure sul solco cruento della guerra, non a caso molte società hanno riservato per lungo tempo l’uso delle armi ad una casta guerriera che sapesse discernere l’uso corretto delle armi. In questo cammino si rende necessario comprendere il demone della violenza che ha radici in ogni cuore umano, per imparare a riconoscerlo ed educarlo nel nome prezioso della vita in armonia.
Come ho già raccontato ho cambiato spada da un paio di anni, allontanando la pratica quotidiana di quella giapponese per incontrare lo studio della spada storica europea; l’ho fatto per superare una fase di stallo e trovare nuovi stimoli, portando con me l’esperienza degli anni di Kendo, scoprendo che con tecniche diverse il corpo umano non mostra differenza tra oriente ed occidente, traducendo quindi l’uso della spada in alcuni meccanismi completamente simili.
In questo passaggio, con nuovi riti di iniziazione, nuovi amici da scoprire e differenti racconti, ho comunque portato con me alcune convinzioni pregresse, ammonito da letture importanti come quella sull’uso improprio della spada che mette in guardia da ambizioni di grado e dal desiderio delle medaglie nelle competizioni.
Ci pensavo fortemente una volta superato il corso di iniziazione, trovandomi di fronte all’imperativo del maestro di misurarmi in gara.
Sono decisamente l'allievo più vecchio della sala cui appartengo, lontano dalle capacità atletiche di giovani prestanti che si allenano anche per altri sport contemporaneamente, sono però ugualmente convinto che se il maestro ti chiede di fare, il suo non sia un ordine, ma un consiglio saggio per il bene della tua crescita nell’arte che insegna.
Mi sono ritrovato così a combattere in gara, cosa che anche precedentemente ho limitato per quanto possibile, ed ho scoperto un paio di cose fondamentali che portano sollievo alle mie preoccupazioni.
Nella scherma storica sopravvive un senso di cavalleria: ogni contendente è tenuto a dichiarare i colpi subiti aiutando l’arbitro a dipanare la matassa di un avvenimento rapido e apparentemente caotico quale si rivela un assalto di spada; la percezione dell’abilità dell’avversario diminuisce il proprio ego e la smania di primeggiare, insegnando invece il rispetto ed il desiderio di imparare tecniche nuove e diversi atteggiamenti mentali, che permettono il miglioramento nella disciplina e nel comportamento.
Nel torneo regionale al quale ho partecipato il premio per i frequentatori del podio non consisteva in un pezzo di latta, ma in una bottiglia di birra di dimensioni proporzionate alla classifica, la differenza non è da poco se si considera che la medaglia si appende ad un muro o finisce in un cassetto, mentre la bottiglia può essere condivisa con tutti, in modo da ringraziare le persone che hanno permesso una misura delle proprie capacità, mettendo in evidenza lezioni imparate e lezioni da imparare.
Il torneo ovviamente termina a tavola, dove, in analogia con altri sport britannici, si conclude la gara migliorando la conoscenza degli antagonisti diventati amici con un bicchiere levato al cielo, che rappresenta il futuro.


Francesco Guccini - Cirano

 
 
 
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