Sono passati giorni dalla notte sciagurata del 13 gennaio, in rete, raccontate in tutte le lingue del mondo, ci sono cronache e interviste, dettagli e congetture di ogni spessore. Non è mia intenzione aggiungere niente a tutto questo. Le righe che seguono sono invece una riflessione ed un invito: un invito a conoscere il mare nella sua dimensione più vera. Sono stato anche io ospite di questi giganti del mare, vere e proprie città dove la vita di bordo è una festa continua, le luci non si spengono mai, le tavole sono sempre imbandite e ricche di ogni delizia; ma il mare, quello che dovrebbe essere il protagonista di questa avventura, rimane decine di metri sotto il ponte, distante, indifferente, nonostante il suo mutare continuo, al prosieguo della crociera alla ostinazione della rotta. Oggi si viaggia così: autostrade veloci dove dall’auto non si vedono i dettagli del cammino e vie d’acqua che solo tempeste estremamente violente rendono impraticabili, altrimenti solcate da immensi organismi d’acciaio che schiacciano le onde sotto il proprio peso, invece di arrampicarle e scenderle. La prima volta che ho preso il timone di una piccola imbarcazione a vela avevo 8 anni, col sole di giugno ed uno scirocco leggero, un giorno che rimane nel ricordo per questa confidenza di elementi naturali, con la paura di lasciare il porto e la soddisfazione di saperci tornare. A me piace andare per mare in questo modo, senza l’arroganza della potenza dei motori, con la necessità di fare inchini soltanto al vero signore che governa le onde: il vento. Su di una barca a vela ci sono piccoli fori nel tavolo per inserire i bicchieri, a vela si viaggia spesso sbandati, non si usano i cristalli e le tovaglie di raso, i piatti sono prudentemente infrangibili, l’arredo è essenziale, eppure non manca niente, ci sono quadri fissati per bene alle pareti e libri di poesia negli scaffali. La crociera diventa un conveniente adattarsi, questo insegna la potenza superiore del mare, ci sono giorni in cui la barca viaggia più veloce e consente di percorrere maggiori distanze, ci sono giorni di maltempo, dove il riparo in porto o dietro a un ridosso sapientemente cercato sul portolano o dall’analisi della carta nautica consente di sentirsi al sicuro, per fare manutenzione alla barca, per scendere a terra o dedicarsi ad altre migliori meditazioni. In mare non si contano i minuti, ci sono ritmi più veri: quello lungo del giorno e della notte, quello più breve della marea che segna i passi della danza del sole e della luna sull’acqua. C’è ancora l’incresparsi delle rughe del cielo, con le nuvole che raccontano dell’incontro delle masse d’aria altrimenti invisibili, ammoniscono o invitano tra le onde, anticipano il respiro, il segno della vita: il vento, al quale si affida la spinta della barca, perché il motore serve solo per il governo in porto, oppure resta pronto per l’emergenza, che si prevede sempre peggio di quello che sarà. Un passeggero che non sa di vela sale su queste imbarcazioni, che sono formiche al confronto dei transatlantici, dove invece di imparare molte lingue di terra, nomi di balli o di cocktail, apprende altre parole, piene d’amore, come il nome della gassa d’Amante che è un nodo tenace e duttile, o come il Giardinetto, che nella zona poppiera era destinato un tempo ad ospitare la coltivazione nel lungo sciorinare dei giorni di navigazione, ancora oggi è il luogo migliore per sedersi e conversare. Non ho trovato questa poesia nelle grandi navi, qui le tradizioni si perdono, la tecnologia regala il sapore della invincibilità, ma taglia troppe preziose radici. Io ho un GPS anche nel mio cellulare, che pure rudimentale sbaglia di pochi metri la posizione della barca, eppure apprezzo il gesto antico del sestante, con le sue inesattezze macroscopiche di miglia, ma anche con la necessità di sentire in modo intimo il sole e dare un nome alle stelle fino a farle diventare amiche. Soprattutto apprezzo il senso di appartenenza ad un universo potente che costringe a nuovi eppure antichi equilibri, quelli che stabilizzatori giroscopici e camere di compenso fanno dimenticare nelle grandi navi. Sono gli equilibri che cerco in mare, per saperli apprezzare anche sul terreno solido di ogni giorno. Si perde altrimenti quel abbraccio lasciato dal mare una volta ritornati a terra, con un senso di onde che rimane ancora nella percezione: qualcuno lo chiama mal di terra, io lo vivo come l’emozione calda di un saluto quando le mani non vogliono lasciarsi. È un arrivederci nel segno di un legame profondo, annodato con la stessa sapienza antica di una gassa, che vincola l’uomo e la grande acqua in un sodalizio, che è allo stesso tempo un anelito indispensabile di libertà. Verso questo andare per mare lascio il mio invito, con il suo dondolare lento, dove l’approdo non sia la tappa programmata al minuto, che appunto in mare non esiste, ma la conquista attesa senza impazienza dell’isola che si apre allo sguardo con tutto il tempo necessario ad impararla per lasciarla entrare nel cuore e mai più davvero alle spalle dell’orizzonte lasciato. A questo mare, che io credo più vero, invito di cuore: Buon vento
È talmente tangibile l'amore e il rispetto che hai per il mare e il suo compagno vento, che vien voglia di salire su di una piccola imbarcazione e partire lasciandosi trasportare dalle onde. Ovviamente mi serviresti come skipper, perché io di mare e di navigazione ne so molto poco, anzi meglio dire zero ;O))) E le carte nautiche sono peggio di geroglifici per me ;O)
Le carte nautiche hanno un sapore antico e romantico, oggi in effetti ci sono quelle elettroniche nei plotter, ma seguire i contorni della costa, immaginare colline e rade, i ghirigori delle correnti e le acrobazie del vento resta un sapore di mare e di voglia di scoprire alla quale non è possibile resistere.
quanti modi di vivere il mare. quanti modi per voler conoscere un mondo liquido, fatto di onde che non appartengono a nessuno e che possono solo dare l'illusione di saperle cavalcare. l'altra sera papà mi raccontava del suo viaggiare e di quelle onde, che alte sopra la nave, rischiavano di inabissarla. mi raccontava papà di quella paura che attanagliava tutti, in quei momenti. momenti nei quali il mare ti fa capire quanto siamo piccoli e impotenti al suo confronto. è vero sai che ci sono stelle buone che ci accompagnano, ma è anche vero che il rispetto della vita è legato sempre e comunque ad un destino. quello che si spera sempre è che la storia possa essere d'esempio e di lezione. spesso purtroppo non è così. buon vento!
Ancora più spesso non si legge la storia, non si ha tempo per i vecchi racconti, nelle grandi navi non ci sono giorni di tempesta che costringono in porto, non si incontrano gli anziani nel bar di fronte al grande molo che in cambio di un sorriso e di un bicchiere aprono la propria anima come un libro antico e saggio.
Buon Vento! (di mare)
è bello come racconti e vivi il mare ...luogo in cui si è ospiti e non dominatori. Perchè il mare è una dimensione di vita e non si può non rispettarla. buonaserata:)
Il mare vissuto a livello dell'acqua inquieta è così, anche consapevoli che le grandi onde passeranno sotto alla chiglia e la barca procederà oltre, ad ognuna di loro si deve prima una preghiera e poi un ringraziamento.
Bello quello che dici...
ma cozza come uno spintone con la foto della nave colata così, come una triste balena spiaggiata.
Non ci sono mai salita in queste navi da crociera proprio perchè non mi sono mai piaciute vacanze così. Il mare..è come lo descrivi tu, lo si deve vivere, quella, quella... è la dimensione giusta. Il resto, non so dargli nome. No, forse ora, quello che ho piu' in mente, quello che piu' deve far pensare, ha una parola sola: egoismo.
Egoismo, forse arroganza, queste navi troppo grandi per essere fatte e condotte da un solo uomo, addirittura da un equipaggio che si conosca tutto, rompono un equilibrio antico dove l’uomo viveva in maniera quotidiana la natura, i venti le correnti e gli spuntoni che invitano a passare distanti se si naviga piano e con la dovuta attenzione. È in questo modo che immagino i pensieri del marinaio che osserva la grande nave diventata relitto. La presunzione rende possibile la sensazione di invincibilità come se fosse possibile dominare completamente un elemento più potente di noi, questo fa chiudere gli occhi, finche la tragedia non costringe a riaprirli: buon Vento:
è vero sai che ci sono stelle buone che ci accompagnano, ma è anche vero che il rispetto della vita è legato sempre e comunque ad un destino. quello che si spera sempre è che la storia possa essere d'esempio e di lezione. spesso purtroppo non è così.
buon vento!
Buon Vento! (di mare)
ma cozza come uno spintone con la foto della nave colata così, come una triste balena spiaggiata.
Non ci sono mai salita in queste navi da crociera proprio perchè non mi sono mai piaciute vacanze così. Il mare..è come lo descrivi tu, lo si deve vivere, quella, quella... è la dimensione giusta. Il resto, non so dargli nome. No, forse ora, quello che ho piu' in mente, quello che piu' deve far pensare, ha una parola sola: egoismo.