Nient’altro che del bianco a cui badare Arthur Rimbaud
Inizia una settimana diversa, il mulinello di bassa pressione non smette di dispensare coriandoli bianchi sulla Romagna e tutto il lavoro rallenta, rattrappito dalla morsa di ghiaccio. Una nevicata che passerà alla storia: i paesi dell’entroterra sono passati dalla misurazione in centimetri a quella per metri, o frazioni immediate. Alcuni amici mi raccontano che perfino i cingolati faticano a guadagnare la strada del loro cocuzzolo dove corrente elettrica e forniture essenziali si interrompono con frequenza, dove non è riuscita ad arrivare la Protezione Civile c’è riuscito il CAI. Sulla costa fortunatamente non è così, il mare che io amo tanto ricambia questo affetto proteggendo con il suo ultimo scudo tiepido, così da concedere una situazione più vivibile pur nel disagio. È Inverno: puntuale nei giorni della merla alla faccia del cambiamento climatico, è il banco di prova della nostra volontà e della capacità di adattarci alla severa lezione del gelo. Uno splendido momento per dimostrare dal vivo quello che altrimenti è la teoria predicata in palestra limitatamente all’uso della spada. Nuovi e più delicati equilibri si richiedono al passo ed alla postura, la solidità del terreno lascia posto al ghiaccio, incita la sensibilità personale, regala nuove movenze. Il freddo insegna a respirare correttamente, soprattutto quando le narici si espongono a Grecale e il nevischio turbinante impone la corretta necessità di impiegare il diaframma. Sento l’Inverno così: un esame da superare con caparbietà, possibilmente con il sorriso; arrivando davanti al portone del mio ufficio questa mattina un gruppo di bambini era intento ad accumulare neve per realizzarne un pupazzo, ho pensato che modo migliore di dimostrare uno spirito samurai non esistesse, partecipando con gioia a questo Kangeiko che ha prodotto un risultato nobilissimo: un tributo di gratitudine verso questa stagione dura, come la insegnavano i racconti dei nonni, che da forma ai nostri limiti e stimolo a superarli. Si riacquista il piacere del tepore domestico come un abbraccio amico dopo la scarpinata nella tormenta per ritornare a casa, il sapore di una zuppa calda che ridona energia, e la luce… la luce che resta a confortare dal canto lugubre del Furiano e che permette la lettura di una favola come di quelle di una volta durante i trebbi, quando il lieto fine si chiama semplicemente Primavera. Gambatté
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il 03/10/2024 alle 10:31
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