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間合いLa giusta distanza

Post n°404 pubblicato il 15 Marzo 2012 da Zero.elevato.a.Zero
 

Il grande cammina con il piccolo,
il mediocre si tiene a distanza
(R. Tagore)

Maai

Nella pratica delle arti marziali, certamente anche nel Kendo, si deve prestare particolare cura alla ricerca della giusta distanza, quello scarabocchio del titolo si pronuncia Ma ai e significa Intervallo, rappresenta la necessità di percepire la posizione migliore nei conforti del proprio opponente. Di primo impatto è una considerazione topologica, geometrica: la distanza migliore è quella che consentemangnete di portare correttamente il colpo senza essere troppo prossimo all’avversario per non scatenare il suo attacco; nemmeno si deve preferire troppa distanza, altrimenti l’esecuzione sarà sbilanciata e priva di efficacia nello sforzo di raggiungere il punto migliore per esercitare la tecnica. Su piani più complessi rappresenta anche una distanza psicologica e di spirito, come quella alla quale galleggia una calamita respinta da un campo magnetico.
Ci penso da un po’ di giorni, da quando il maestro di Fano di mi ha fatto notare che insisto a tenere troppa distanza in combattimento, senza arrivare al contatto della punta della spada, in questo modo perdendo la possibilità di sentire attraverso lo strofinio il comunicare dell’altro, di comprendere il suo dialogo.
Quando mi succede così mi accorgo che le mie azioni non sono il contenuto della sola pratica nel Dojo, semmai questa pratica è un tratto semplificato di quel disegno più complesso che è la mia vita. La pratica del Kendo risulta così un metodo analitico fatto di sensazioni elementari, uno specchio lucido come la lama della spada nella quale gli occhi si riflettono per avere una visione da un punto prospettico diverso. Allo stesso modo provo ad analizzare se questa troppa distanza ci sia anche nel mio muovermi di tutti giorni, non tanto nello spazio geografico, ma in quello più importante del sentire.
Credo questo il posto migliore per comprenderlo, anche qui sono distante e senza contatto diretto eppure non senza emozioni, non privo di segnali limpidi di vita. Rientra poi nell’armonia della vita il fatto che i miei occhi non vedono più con il necessario nitore e invitano le braccia ad aumentare l’intervallo, gli occhi non possono ritrovare (a meno di alterazioni chirurgiche che non desidero) la focalità giovanile, ma il cuore invecchia davvero al punto di perdere la sua giovinezza e tendere a posizioni meno prossime?
Così distante non va bene quindi, è troppo: in ogni errore del Kendo si nasconde una paura o il suo lato rovescio che risulta un peccato di orgoglio, capisco meglio che imporre la mia distanza, o peggio arretrare per mantenerla, è un errore da correggere quanto prima, è il mio Kendo desiderato che non tiene conto dell’altro; come sempre dal desiderio nascono solo cose cattive. Tenere la giusta distanza mi aiuterà spero ad ascoltare meglio strofinando i Kensen, intrecciando allo stesso modo le parole con chi si avvicina per uno scambio di emozioni, accettando questa visita come occasione per imparare e non per dimostrare alterigia. Attendere senza arretrare, un nuovo esperimento con la spada o con l’anima in mano, fa poca differenza, perché come afferma il credo del samurai: il tuo cuore sia una spada.
Gambatté

Christina Perri - Distance

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Commenti al Post:
melania4ever2
melania4ever2 il 15/03/12 alle 18:02 via WEB
perdona la mia domanda forse ingenua... perche dici che dal desiderio nascono solo cose cattive....
 
 
Zero.elevato.a.Zero
Zero.elevato.a.Zero il 16/03/12 alle 18:39 via WEB
Nella mia vita ho conosciuto il pensiero buddista, attraverso le azioni, più che le parole dalla pronuncia incerta, di un maestro giapponese. Sono rimasto illuminato anche io dal discorso di Benares, quando Siddharta enuncia le quattro verità: l’esistenza non può essere senza dolore, la causa del dolore è il desiderio impermanente, il desiderio va eliminato con compassione e distacco fino ad ottenere il nirvana, ed infine la via per ottenere il nirvana è l’ottuplice sentiero.
Oltre a queste parole, di per sé quasi dogmatiche e quindi teoretiche, c’è la possibilità di sperimentare con la vita la propensione al distacco dei desideri terreni, quel momento che avvicina alla serenità che corrisponde alla rinuncia dalle cose bramate, cose che non sono poi quasi mai indispensabili al buon vivere. Volere sempre, volere di più, è una ingordigia che personalmente mi conduce al dolore. Questa è solo una visione personale, ognuno può seguire il sentiero che gli è più consono, ma constato nei momenti di sofferenza come questi siano il frutto amaro di un desiderio cui potevo rinunciare. Ti ringrazio della curiosità che sempre manifesti: la tua voglia di capire e sapere ha lo stesso colore verde dell’erba nuova.
 
   
melania4ever2
melania4ever2 il 17/03/12 alle 07:22 via WEB
...Credo che proprio perche' umani e quindi fortemente "terreni",abbiamo bisogno di desiderare se ovviamente il concetto lo si intende come uno stimolo al raggiungimento di un obiettivo. E' chiaro che il desiderio fine a se stesso e' effimero e porta solo al conseguimento di una mera soddisfazione immediata e superficiale. Siamo esseri pensanti,intelligenti,in grado di scegliere...magari anche sbagliare....forse piu' che la perfezione del Nirvana (che comunque presuppone una rinuncia)dobbiamo costantemente cercare equilibrio... ciao...e grazie della tua attenzione... Melania ....^_^
 
     
Zero.elevato.a.Zero
Zero.elevato.a.Zero il 17/03/12 alle 09:05 via WEB
Ho speso questo Inverno per accontentare il desiderio di imparare a calcolare le rotte, un desiderio effimero che accarezzo sotto il nome di curiosità intellettuale, di quella fame che ha la mente umana di imparare cose nuove. Per soddisfare questa velleità ho rinunciato ad altro, ho fatto una scelta, senza chiedermi troppo se fosse per il mio bene.
Abbiamo questo dono splendido della libertà, che si traduce nel potere compiere scelte, ad ognuna delle quali corrisponde almeno una rinuncia. La saggezza sta tutta nel tessere una rete di equilibri e di compromessi tra il nostro volere e il nostro rinunciare. Così mentre cammino un passo dopo l’altro penso che ho rinunciato alla pigrizia di restare fermo, pago questa speranza di vedere cose nuove con la fatica, allontanandomi ancora un poco dal Nirvana, perché non mi sento ancora pronto, orgoglioso come sono del mio equilibrio instabile. Un saluto cordialissimo e un sorriso :)
 
lightdew
lightdew il 17/03/12 alle 15:39 via WEB
il kendo, come la fotografia, non sono poi così lontani da noi. perchè noi siamo il nostro kendo, la nostra fotografia e ogni cosa tocchiamo. Noi siamo, ma scegliamo sempre chi essere.
Coraggio :-)
 
 
Zero.elevato.a.Zero
Zero.elevato.a.Zero il 19/03/12 alle 09:36 via WEB
Kendo e fotografia come strumenti di introspezione: hai perfettamente ragione. Entrambi consentono scelte e modalità che facciamo nostre, entrambi consentono di cambiare prospettive e distanze, di fare perfino confronti nel tempo per comprendere il tratto che abbiamo percorso. Oggi il pensiero che mi scateni è cosa succede da un confronto tra le due arti contemporaneamente, l’occhio esteriore dell’obbiettivo accanto a quello interiore del vuoto mentale. Ho delle istantanee precise del mio agire dentro il casco da Kendoka. Soprattutto ho delle reminescenze quando, terminata la lezione, applicandomi all’abbandono della meditazione, rivedo i momenti, le tecniche, in modo particolare le emozioni che hanno arricchito il bagaglio di esperienza. Non è poi molto diverso dal rivedere con occhio critico gli scatti che hanno accompagnato la giornata :)
Gambatté
 
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