C’è uno spettacolo di Primavera che tutti gli anni torna a raccontare ai marinai il ritorno della bella stagione, è un racconto di migrazione poco diverso dal volo delle rondini, ma meno visibile dei loro voli agili e nervosi. Con l’aumento delle temperature dall’entroterra nord-africano, in genere dal deserto algerino e dalla Libia, iniziano ad affluire masse d’aria piuttosto calde, visto il deciso irraggiamento indotto dal passaggio zenitale del Sole sulla fascia sub-sahariana. Proprio in questo periodo dell’anno, i venti di Scirocco, Ostro e Libeccio che risalgono dall’entroterra nord-africano, cominciano a trasportare aria molto più calda che è costretta ad attraversare il “mare Nostrum”, freddo dopo la lunga stagione invernale, visto che tutto il calore accumulato durante l’estate viene gradualmente smaltito nei mesi invernali. Così il sospiro caldo e secco del deserto si carica di umidità per raggiungere zone d’acqua più fredde fino a coprirle con un manto nebbioso, il cui lembo si alza solo all’arrivo sulla costa: sono le nebbie di mare, il canto salato della Primavera. Primo Maggio in mare, per godere di questo incanto, il porto avvolto dall’ultima propaggine ovattata che si alza seguendo il calore della terra e più avanti la caligine dentro le onde, con lo Scirocco che spinge comunque la vela dentro questo piccolo infinito senza orizzonti e senza colori. Questo strano universo dove all’esperienza abituale della vista è da preferire l’ascolto attento dei suoni portati dal vento. Poi solo all’ultimo istante si svelano le visioni spettrali delle altre barche, quelle rumorose che annunciano col motore il loro approssimarsi, e quelle a vela delicate come cigni, quasi fossero ballerine avvolte in questo tutù opalino che si avvicinano improvvise ma discrete, sempre eleganti e pronte a cambiare delicatamente direzione con un Pas de bourrée. Veleggiare in queste condizioni ha un sapore mistico, anche il tono della voce si abbassa e i pensieri si allontanano, ma senza fretta. Il senso solido del timone si confonde con il vuoto tutto attorno: il tonfo di un pesce che salta, un gabbiano fatto di nebbia anche lui che si fa riconoscere solo dal suo grido rauco. Allo smarrito vagare della mente, alla paura di questo labirinto senza pareti, porta consolazione la bussola, che sempre conosce la strada del Nord, e quelle trappole moderne che, con satelliti e segnali radio, sanno mostrarti attorno il mondo che non vedi e che ancora c’è; il porto che si svela all’improvviso, come un’ombra che presto torna familiare nei contorni con la gente che passeggia, pesca e vive un giorno di festa, la visione rosea di un mattino pieno di certezze, dopo il sogno dolcissimo sulle acque coperte di nebbia del perennemente instabile.
Ciao, a me la nebbia non piace, per me è claustrofobica e noi solo. Mi viene in mente la nebbia londinese con il jack lo squartatore e anche le navi fantasma che vagano per i mari condannati al viaggio eterno. Insomma a me fa un po paura le nebbia. :)
Eppure a me la nebbia piace, mi chiedo spesso perché: a ben ragionare comprendo adesso che non è poi diversa dalla mia scelta di andare a vela. Per quello che conosco della gente del porto, ma soprattutto per quelle che sono le mie emozioni, il mare è un richiamo ad un infinito senza pareti, c’è durante la navigazione in acque alte quel tempo, breve o lungo che sia, dove la costa sparisce e si perdono i punti di riferimento. Restano comunque il sole, o a volte le stelle di notte, che danno un’idea sommaria su dove trovare l’oriente (da cui orientarsi), però affidarsi all’ago della bussola o al nonio del sestante, piuttosto che all’infallibile GPS, regala allo stesso tempo quella paura che bene descrivi, ma grazie a questa anche la gioia di trovare la meta desiderata al termine del viaggio, felici della nostra capacità di esserci riusciti ancora una volta.
È per questo che accetto il dono prezioso del grande largo e allo stesso modo della nebbia, trovo importante sapermi perdere per ritrovare la strada, quella che profuma di pane e di casa.
Un saluto pieno di bruma che presto si dissolve al sole
L'età ti fa capire certe cose. Per esempio, adesso so che la vita di un uomo si divide fondamentalmente in tre periodi. Nel primo, uno non pensa neppure che invecchierà, né che il tempo passa, e che fin dal primo giorno, quando nasciamo, camminiamo verso un unico e identico fine. Passata la prima giovinezza, comincia il secondo periodo, nel quale uno si rende conto della fragilità della propria vita, e quello che in principio è una semplice inquietudine va crescendo nell'animo come un mare di dubbi e incertezze che ti accompagnano durante il resto dei tuoi giorni. Per ultimo, alla fine della vita, si apre il terzo periodo, quello dell'accettazione della realtà e, di conseguenza, quello della rassegnazione e della speranza. Lungo la mia vita ho conosciuto molte persone che sono rimaste agganciate a uno di questi stadi senza mai riuscire a superarli. È qualcosa di terribile... è un cammino che ognuno di noi deve imparare a percorrere da solo, pregando Dio di aiutarlo a non perdersi prima di arrivare alla fine. Se tutti fossimo capaci di comprendere all'inizio della nostra vita questa cosa, che sembra così semplice, buona parte delle miserie e delle pene di questo mondo scomparirebbero. Però, e questo è un incomprensibile paradosso, ci viene concessa questa grazia solo quando è troppo tardi.
dal libro "Il principe della nebbia" di Carlos Ruiz Zafón
:-*
… Il volto di lei, dapprima appena spettrale,
schiarì in un'ombra più bianca del pallido A Whiter Shade Of Pale – Procol Harum
Come posso non essere d’accordo, pienamente d’accordo con queste parole che mi ricordano d’istinto una poesia di Spoon River così cara da averla citata troppe volte, quella che termina con l’epigrafe Genio è saggezza e gioventù.
Sono evidentemente nato vecchio :), il percorso fin qui tracciato mi insegna come una imperdibile verità che la via migliore sia quella della rassegnazione e della speranza. Forse queste parole vanno interpretate con qualche sinonimo, perché rassegnare significa semplicemente togliere i sigilli della propria volontà per affidarsi a mani altrui, possibilmente quelle che portano alla meta migliore dell’anima. In questa rotta complicata della vita, che senso ha cercare di navigare controvento, sbattuti dai marosi che percuotono la chiglia dolorosamente? Non è più saggio cercare l’angolo migliore, certamente non il più diretto, accettando il vento e rassegnandosi alla corrente in modo che scivolino lievi sulla vela e sull’opera viva, così da consentire il progresso nel cammino? È questo sciabordio di acqua, questo avanzare meno diritto ma anche meno tormentato che dona la speranza più importante, quella di vedere sulla linea dell’orizzonte sbucare tra la nebbia l'isola desiderata.
Di fronte al procedere impetuoso di un urto che vuole travolgerti non ci sono solo due scelte, il mondo non è quasi mai una dualità aristotelica: puoi farti travolgere, oppure scansarlo perdendo però la posizione che avevi preferito, ma puoi ancora trovare il modo gentile per lasciarlo scorrere con cedevolezza con le movenze di un inchino. Si tratta io credo di affinare i sensi per cogliere il fluire delle cose, interpretando e diventando quindi parte delle stesse, ecco perché la rassegnazione spegne il rumore del nostro orgoglio e permette di ascoltare il canto del mondo, anche anche solo la nota umile di una goccia che scivola attraverso senza rompersi e senza perdere la propria identità.
Le gocce sono singole ma non sempre vivono in modo solitario, molto spesso trovano più opportuno solidarizzare e unirsi nel difficile tentativo di tornare dal cielo alla terra alla quale sono state strappate, con una fratellanza di intenti che permette di vincere il dubbio e l’incertezza, quasi a donare il coraggio di procedere, anche nella nebbia quando necessario, per scoprire con molta magia, che il mondo che calpestiamo ci appartiene e che l’isola di Avalon pare scomparsa forse dai nostri occhi, ma mai, davvero mai, dal nostro cuore, che rimane una bussola imperdibile.
Un saluto di speranza come la nebbia quando si dirada.
È per questo che accetto il dono prezioso del grande largo e allo stesso modo della nebbia, trovo importante sapermi perdere per ritrovare la strada, quella che profuma di pane e di casa.
Un saluto pieno di bruma che presto si dissolve al sole
schiarì in un'ombra più bianca del pallido
A Whiter Shade Of Pale – Procol Harum
Come posso non essere d’accordo, pienamente d’accordo con queste parole che mi ricordano d’istinto una poesia di Spoon River così cara da averla citata troppe volte, quella che termina con l’epigrafe Genio è saggezza e gioventù.
Sono evidentemente nato vecchio :), il percorso fin qui tracciato mi insegna come una imperdibile verità che la via migliore sia quella della rassegnazione e della speranza. Forse queste parole vanno interpretate con qualche sinonimo, perché rassegnare significa semplicemente togliere i sigilli della propria volontà per affidarsi a mani altrui, possibilmente quelle che portano alla meta migliore dell’anima. In questa rotta complicata della vita, che senso ha cercare di navigare controvento, sbattuti dai marosi che percuotono la chiglia dolorosamente? Non è più saggio cercare l’angolo migliore, certamente non il più diretto, accettando il vento e rassegnandosi alla corrente in modo che scivolino lievi sulla vela e sull’opera viva, così da consentire il progresso nel cammino? È questo sciabordio di acqua, questo avanzare meno diritto ma anche meno tormentato che dona la speranza più importante, quella di vedere sulla linea dell’orizzonte sbucare tra la nebbia l'isola desiderata.
Di fronte al procedere impetuoso di un urto che vuole travolgerti non ci sono solo due scelte, il mondo non è quasi mai una dualità aristotelica: puoi farti travolgere, oppure scansarlo perdendo però la posizione che avevi preferito, ma puoi ancora trovare il modo gentile per lasciarlo scorrere con cedevolezza con le movenze di un inchino. Si tratta io credo di affinare i sensi per cogliere il fluire delle cose, interpretando e diventando quindi parte delle stesse, ecco perché la rassegnazione spegne il rumore del nostro orgoglio e permette di ascoltare il canto del mondo, anche anche solo la nota umile di una goccia che scivola attraverso senza rompersi e senza perdere la propria identità.
Le gocce sono singole ma non sempre vivono in modo solitario, molto spesso trovano più opportuno solidarizzare e unirsi nel difficile tentativo di tornare dal cielo alla terra alla quale sono state strappate, con una fratellanza di intenti che permette di vincere il dubbio e l’incertezza, quasi a donare il coraggio di procedere, anche nella nebbia quando necessario, per scoprire con molta magia, che il mondo che calpestiamo ci appartiene e che l’isola di Avalon pare scomparsa forse dai nostri occhi, ma mai, davvero mai, dal nostro cuore, che rimane una bussola imperdibile.
Un saluto di speranza come la nebbia quando si dirada.