Creato da Manfredi.E il 24/04/2007

Spremi-acume di film

Personaggi e registi o come ciascuno a suo modo spettatori vanno contro altri attori

 

 

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LA NUOVA MISERIA E NOBILTA'

Post n°13 pubblicato il 13 Agosto 2007 da Manfredi.E
 

 

Ma sì, è Agosto. Ecco il loco ove ti convien che di fortezza t’armi. Che l’inferno boschivo di qualche agente forestale interessato al suo posto di lavoro non venga ripreso, filmato, è anche possibile. Ma qualcuno avrà letto qualcosa di giusto prima di fare l’esempio di cui sto per narrare. Avrà letto invece che proprio lì si è candidata Hillary Clinton, avranno letto che lì si è messo a ragionare Obama, avranno letto che così in Francia si arriva pure all’Eliseo, avranno letto che ogni anno ci sono 30 milioni di nuovi iscritti, che c’è un Tizio “top rated”, un Caio “most discussed”, un Sempronio “top favorites”, un Sarkozy “most linked”, un altro “most responded”. Avranno letto che bisogna avvicinarsi ai cittadini, che bisogna rivoluzionare la democrazia, svecchiare la politica, rivolgersi ai giovani, condividere, aggregare, e tutte queste frasi fatte come a parlare “a culo di Giovanna”…Insomma, qui cari signori, serve un video. Così avranno detto, tra un incendio e un altro. Serve You Tube. E così ha fatto Enrico Letta per la sua candidatura, così ha fatto DiPietro, così Capezzone, così Sarkozy, così come continua a fare la Merkel e tanti altri.

Avrà ragione Aldo Grasso, il critico televisivo, secondo il quale purtroppo non sei proprio nessuno se sul cellulare non hai una basilica che crolla, se non hai una tragedia da documentare, uno tsunami da raccontare, un attentato da esorcizzare o magari un divorzio da riportare? E funziona così, la sindrome dell’esclusivo, il desiderio dell’online, l’adrenalina del “live”. Attienti ben, ché per cotali scale, conviensi dipartir da tanto male? Perché se prima dell’immagine c’era il terrore, se prima, di fronte al proprio volto su uno schermo, c’era la sacralità, ora l’immagine non la si doma più, ora invece si prova a trovare un po’ di carisma con un video, si pensa di diventare veri politici con YouTube e si pensa che sia necessario fissare il proprio volto da qualche parte e si pensa che bisogna immortalarlo, quello scalpo. Che bisogna filmarlo.

 

Perché tu comunque sei lì, in diretta. Sei lì e sei qui. Come avere l’ubiquità di Gasparri. Sei accanto l’uragano reality. Quell’immagine può servire per beccare un terrorista, per incastrare un ladro, per arricchire i siti dei giornali. Ma non si dice mai “hai visto che bel video che ha fatto su YouTube” ma si dice solo “Visto? Ha fatto un video su YouTube”. Che c’era dentro? E chi se lo ricorda? Ed è per questo che un lama ballerino vale di più di un video sul Partito Democratico. O un bambino in tribunale vale più di un politico. Bisogna armarsi di fortezza, coraggio, per vedere cose sorprendenti in questo ultimo canto dell’inferno, diceva Dante.

 

E il Marchese Frescobaldi? Quanto poteva valere se lo avessi filmato? Mi spiego. Fu prima di concludere il mio maggio primaverile, prima che la mia estate mi avesse fatto conoscere quel bellissimo inferno che è stata per me l’animazione turistica, finzione teatrale quotidiana dal metodo scientifico all’interno dell’industria del divertimento. Successe questo quel giorno: non solo a Firenze . Diceva Ezra Pound, che tutto quello che doni è eredità e che sarà tuo per sempre. E successe che all’improvviso in tutta la città rinascimentale italiana per eccellenza, gente qualsiasi aveva donato il proprio amore per quella magnifica opera poetica, amata anche dagli ignoranti, che è La Divina Commedia di Dante Alighieri. L’ultimo canto dell’Inferno era destinato ad esser recitato ai passanti nella corte di un palazzo bellissimo. Così come Bruto, Cassio, Giuda, i traditori di Cesare e Cristo, scontavano lo scherno capovolti e mangiucchiati da Belzebù, io e la mia collega teatrante avevamo motorini e scooter che rombavano tra i gruppi di turisti ignari, non era camminata di palagio là v’eravam, ma natural burella ch’avea mal suolo e di lume disagio scoprimmo più tardi almeno sotto il bell’arco con due colonne. Ci mancò la terra, infatti. Seduta dietro una porta vi era una della famiglia dei marchesi Frescobaldi (penso che l’epiteto “marchesi” faccia parte del cognome poiché per la Costituzione italiana i titoli nobiliari antecedenti il 28 ottobre 1922 sono aboliti), cotale, dicevo, era seduta a far da guardia al suo museo di cose inutili e a fare cose inutili: non l’enigmistica, scienza cui mi inchino ché almeno aguzza l’ingegno, ma inutile era lo sforzo per lei di riuscire a risolverla. Li per lì lo notai perché la guardiana coi capelli bianchi non si degnò di alzarsi ad ascoltare gli ospiti che in quel momento, e in contemporanea in tutti gli angoli storici della città, esprimevano l’attualità di Dante anche negli appartamenti dello stesso palazzo Frescobaldi, ma chiuse le porte del suo museo inutile di lì a poco rientrando nelle sue stanze. Senza un minimo sorriso o gratitudine o inchino o applauso o parvenza di spettatrice.

Pensavo avesse un malore ma poco più tardi capii che era un vizio di famiglia: in altri tempi invece i nobili, per l’appunto altro tipo di persone naturellment, avrebbero gradito cotanta festa in casa loro. Arriva proprio lui, dunque forse il marchese Frescobaldi in persona o un suo paggio in Maserati di ritorno forse dagli assaggi del vino della casata. Dove per tutte le strade di Firenze, i toscanacci, gli anziani, i contadini, i bottegai, i professori, i ragazzi, le casalinghe si facevano ascoltare dai passanti e anche dai motorini silenziosi, tra le logge, gli antri, i vicoli, le chiese….nel nostro angolo rombava invece il motore della fuoriserie e della manovra che durava tanto ma proprio non gli riusciva di entrare, sì perché una brusca curva avrebbe graffiato la sua carrozza per entrare nell’antro di servizio. E mentre pensavo ai traditori accanto Satana, pensavo agli scherzi di un altro traditore, il destino, pensavo a Mitijo, -storia sui prossimi schermi qui su Acume di un Agrume- pensavo alla storia DI NOI TRE di De Carlo e di una donna, più che contesa tra due, ma che scelse piuttosto l’altro amico arrivato dopo, come da copione; pensavo all’altro che sincero e leale mi rivelò il suo breve inciucio, che non era nel copione; pensavo a lui che ci tenevo venisse, pensavo a quella cosa finita lì e alla nostalgia dei tempi passati insieme a sognare di veder realizzate le nostre sceneggiature, pensavo più che a Jules e Jim alla imprevedibilità piuttosto e alla caparbietà delle donne, pensavo alla gelosia che è una forma di invidia, pensavo all’invadenza di quella storia che poteva finire con una scopata desiderata e rubata, pensavo a rassicurazioni del genere dopo aver fintamente sofferto o forse a quel finché Ataualpa o qualche altro Dio non ti dica descansate nino che continuo io, che Paolo Conte mi aveva insegnato, pensavo alla cecità come quel personaggio del libro di Saramago che all’improvviso in auto diventa cieco e vede tutto bianco luccicante, pensavo, tremando, all’indifferenza, ed ebbi appunto un lampo di fuoco. Pensai al sorriso pacifico che l’intuizione fiorentina degli Amici Miei riconosce in realtà la qualità di genio davanti a chi o un qualcosa che gli volta le spalle: il genio è fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione. Come il cinese in piazza Tienanmen davanti il carro armato, solo, pensando al destino traditore, col cuore infuocato gridai al Frescobaldi o simile, d’indicazione geografico tipico, bloccandolo:  Com’io divenni allor gelato e fioco, nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo, però ch’ogne parlar sarebbe poco. Io non morì e non rimasi vivo, pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno. S’el fu sì bel com’elli è ora brutto, e contra ‘l suo fattore alzò le ciglia, ben dee da lui procedere ogne lutto.

 

Ma io tutto questo non l’ho filmato. E questa volta non ce n’era bisogno. Perché nel cinema era già stato impresso così. E così fu anche tra la gente che acclamò, quel giorno a Firenze davanti palazzo Frescobaldi. Nel video, il perché.

                

 
 
 
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