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Mercato ortofrutticolo: sulla Sicilia l'ombra della mafia

Post n°18 pubblicato il 04 Dicembre 2018 da daniela.g0
 

 

Il 14 agosto scorso sono stati confiscati dalla Dia di Palermo beni per 150 milioni di euro ad Angelo e Giuseppe Ingrassia, entrambi palermitani di 61 anni, ritenuti dagli investigatori vicini a cosa nostra. Confiscati molti beni immobili, quote di partecipazione societaria a ditte che si occupano di costruzioni, autocarri, auto e moto veicoli e anche rapporti bancari e prodotti finanziari. L'inchiesta della Dia sul mercato ortofrutticolo di Palermo iniziò nel 2014 ed emerse rapidamente come a gestire tutto ciò che regolava la compravendita, il trasporto, l'imballaggio della frutta e persino le cassette di contenimento, era la potente cosca dell'Acqua Santa capeggiata dalla famiglia Galatolo. Si gestiva e prestabiliva il prezzo della merce, si controllava il trasporto su gomma da e per la Sicilia occidentale e si gestivano le attività connesse al commercio interno. Grave il danno al mercato e alla libera concorrenza garantendo ingenti incassi all'associazione criminale che si presentava tramite un'attività apparentemente lecita. Tra gli indagati anche Gaetano Riina, fratello del capomafia morto lo scorso anno, che controllava il trasporto su gomma da e per i mercati ortofrutticoli di Fondi, Aversa, Parete, Trentola Ducenta e Giugliano e da tali mercati verso quelli del sud Italia, interessando particolarmente i mercati siciliani di Palermo, Catania, Vittoria, Gela e Marsala. Giuseppe Ingrassia, considerato dagli inquirenti "socialmente pericoloso", è stato sottoposto a sorveglianza speciale per quattro anni.    

Da Palermo a Pachino, in provincia di Siracusa, dove, il 25 luglio di quest'anno, sono state arrestate 19 persone, infliggendo un duro colpo al clan Giuliano. Le 19 misure cautelari sono state emesse dal gip del tribunale di Catania per associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alle estorsioni, traffico di stupefacenti, furti in abitazioni e aziende agricole. Le indagini sono state svolte dalla Squadra Mobile di Siracusa coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Catania, documentando, dal maggio 2015 al maggio 2017, l'azione, nella zona sud della provincia di Siracusa, del gruppo Giuliano, con a capo Salvatore Giuliano, il quale, "servendosi della forza di intimidazione avrebbe condizionato le attività economiche della zona, traendone indebiti vantaggi". Giuliano,  con l'ausilio di Giuseppe Vizzini e i fratelli Aprile, avrebbe ottenuto il monopolio nella produzione e nello smistamento dei prodotti ortofrutticoli coltivati nelle molte serre presenti sul luogo, grazie al legame con il clan catanese Cappello e all'accordo di pace stipulato con i Trigila. Il clan ha costituito una attività imprenditoriale che si occupa di prodotti ortofrutticoli all'ingrosso, "La Fenice s.r.l.", le cui quote erano ripartite a metà tra Gabriele Giuliano, figlio di Salvatore, e Simone Vizzini, figlio di Giuseppe. La titolarità delle quote sociali intestate ai figli di entrambi era solo di facciata con lo scopo di mettere la gestione ed il controllo del mercato ortofrutticolo nelle mani del capoclan. Infatti Salvatore e Gabriele Giuliano insieme a Simone Vizzini sono anche indiziati di trasferimento fraudolento di valori, aggravato dal fine di agevolare l'associazione mafiosa. Secondo gli investigatori, la "Fenice", operava contro le regole del libero mercato facendo oggetto di intimidazioni gli altri operatori del settore ed obbligandoli a versare il loro raccolto nei magazzini della "Fenice". In tal modo otteneva il versamento di una somma di denaro come corrispettivo dell'attività di mediazione per la vendita successiva della merce agli operatori della grande distribuzione. I commercianti che erano interessati all'acquisto di prodotti coltivati nelle serre di Pachino venivano costretti nello stesso modo alle trattative con la "Fenice". Ne scaturiva inoltre la pretesa di una "provvigione" in percentuale della merce raccolta, ceduta agli operatori della piccola e grande distribuzione. Salvatore Giuliano esercitava pressione sugli operatori del settore attraverso l'opera violenta dei fratelli Aprile, braccio armato del clan. Il clan non si limitava all'illecito condizionamento del mercato ortofrutticolo: venivano imposti versamenti di denaro ai gestori di parcheggi a pagamento ubicati vicino alle zone balneari e si commissionavano furti di macchinari agricoli, nello specifico trattori e mezzi per la lavorazione della terra, rubati alle aziende agricole di Noto, Rosolini e Palazzolo Acreide. Contestata l'associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, con ingenti quantità di cocaina che venivano immesse sul mercato. Coinvolto anche un poliziotto che prestava servizio al Commissariato di Pachino, Nunzio Agatino Lorenzo Scalisi, che avrebbe posto in atto condotte estorsive, aggravate dal metodo mafioso, insieme a Salvatore Giuliano, ai danni dei proprietari dell'abitazione di cui Scalisi era affittuario.    

Il 17 novembre scorso, su delega della Procura Distrettuale della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia - di Catania, la Polizia di Stato ha dato esecuzione ad ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 28 persone. Gli indagati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata ad una serie indeterminata di delitti, tra cui l'esercizio abusivo di gioco e scommesse, la truffa aggravata ai danni dello Stato, il riciclaggio, l'intestazione fittizia di beni, nonché per il connesso reato-fine di truffa ai danni dello Stato per aver svolto una funzione strumentale ed agevolatrice nei confronti dell'associazione per delinquere di stampo mafioso denominata Cappello - Bonaccorsi, consentendone, in modo determinante, l'infiltrazione e la connessa espansione nel settore dei giochi e delle scommesse on line (Redazione PrimaStampa, 19 novembre 2018). Il procedimento penale ha preso le mosse dal monitoraggio del clan Cappello - Carateddi e del suo capo Salvatore Massimiliano Salvo, detto "Massimo 'u carruzzeri". Dalle indagini emerge anche la capacità di quest'ultimo di diversificare i propri affari, sostenendo un altro degli arrestati, il suo "fratellino" Salvatore Bosco, uno dei principali riferimenti nel ragusano e nel siracusano. Bosco aveva dato il via all'attività lecita di coltivazione di pomodori di Pachino e cercava sbocco nel mercato catanese. "Massimo 'u carruzzeri" Salvo interessa alcuni membri di spessore del clan Cappello per poter assicurare clientela all'amico e alla sua "Sapori di Sicilia orientale Srl": è così che viene delineato l'accordo perché i pomodori di Pachino finiscano nel Maas, il mercato ortofrutticolo di contrada Jungetto. Inoltre, i Cappello con il loro capo Salvo, contano anche sull'appoggio di un imprenditore amico (interessato da un provvedimento di sequestro milionario per le sue attività), Michele Guglielmino, titolare della catena di supermercati "Giemme", il quale si dimostra subito disponibile alla vendita dei pomodorini nei suoi supermercati, assicurandone in tal modo la vendita massiccia.                 

Poco tempo fa, una mia amica mi ha parlato di un libro di recente pubblicazione dal titolo: "Un morto ogni tanto", del giornalista ragusano Paolo Borrometi. Manco a farlo apposta, in quel libro, scritto da un siciliano più volte minacciato e pesantemente malmenato da cosa nostra, si scrive di quanto accade nella zona sud orientale della Sicilia, una "provincia" considerata "babba", ovvero stupida, perché tranquilla, senza storie degne di nota. Ma essa si trova ad essere invece lo scenario di loschi traffici milionari, come il giro di sfruttamento e violenza che ruota attorno alla filiera del pomodoro IGP di Pachino e al settore agroalimentare, il cui volume di affari è uno dei più remunerativi per la criminalità organizzata, preceduto soltanto dal traffico di stupefacenti.       

Ma di province "babbe", nella nostra Sicilia, se ne contano molte: se si possiedono occhi attenti per vedere, se non ci si volta, come scrive Borrometi, "dall'altra parte", non si può non vedere come le invasioni, vuoi dei pomodorini, vuoi di altra frutta o verdura, caratterizzino i nostri mercati, giungendo inevitabilmente alle nostre tavole. Perché, pur girando tra molti negozi o ancor più numerosi supermercati, ci si imbatte quasi sempre nella stessa merce, o comunque in merce di qualità scadente. Difficilmente, anche nel pieno del periodo di coltivazione, si riesce, ad esempio, a mangiare mele fresche, di prima scelta, o magari le tipiche albicocche locali, piccole e saporite, che una volta caratterizzavano la nostra terra. Eppure, se torno indietro con la mia memoria di bambina, le mele dolci e croccanti rappresentavano la quotidianità nei lunghi mesi invernali accompagnate dalle immancabili, dolcissime, albicocche estive. Persino per i fichi d'India, uno degli emblemi della Sicilia, sta diventando a volte difficoltoso trovarne la freschezza.    

Vale la pena di ricordare che, da anni ormai, l'agricoltura siciliana combatte con una serrata concorrenza sleale, anche se legalizzata. Sulle tavole di tutta Italia arrivano prodotti coltivati in paesi lontani: fuori dall'Europa però le regole sanitarie sono molto meno severe, mettendo così a rischio la salute dei consumatori ma ponendo anche i produttori locali in grave affanno, dato che altrove il costo della manodopera va da pochi centesimi a due o tre dollari l'ora. In particolare per la Sicilia, da quando nel 2013 l'Unione Europea ha firmato con il Marocco un trattato di libero scambio, la produzione locale di arance ne ha gravemente risentito. Fra i vari illeciti commessi dalla criminalità organizzata, c'è anche quello della falsificazione dell'etichetta di origine dei prodotti, spacciando per Made in Sicily prodotti stranieri. Ma se i consumatori siciliani possono, più o meno, riconoscere i prodotti locali, altro è il discorso per i consumatori stranieri, che fidandosi della provenienza, saranno portati a scegliere comunque il prodotto meno caro. Il medesimo discorso va fatto anche per le olive marocchine e tunisine che, senza adeguate tutele, stanno rischiando di distruggere la produzione locale.      

"L'ortofrutta è sottopagata agli agricoltori su valori che non coprono neanche i costi di produzione, ma i prezzi moltiplicano fino al 300 per cento dal campo alla tavola anche per effetto del controllo monopolistico dei mercati operato dalla malavita in certe realtà territoriali. È quanto afferma la Coldiretti nel commentare l'operazione condotta (il 25 luglio scorso) dalla Polizia di Stato di Siracusa per associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alle estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti, furti in abitazioni ed aziende agricole, ma anche con l'accusa di aver monopolizzato l'intero mercato ortofrutticolo della zona. Il business delle agromafie - precisa la Coldiretti - genera un volume di affari di 21,8 miliardi nel 2017 con un aumento del 30% secondo il rapporto Coldiretti/Eurispes e Osservatorio Agromafie. I punti più sensibili per le infiltrazioni malavitose - rileva la Coldiretti - sono costituiti dai servizi di trasporto su gomma dell'ortofrutta da e per i mercati; dalle imprese dell'indotto (estorsioni indirette quali ad esempio l'imposizione di cassette per l'imballaggio); dalla falsificazione delle tracce di provenienza dell'ortofrutta (come la falsificazione delle etichettature: così, prodotti del Nord Africa vengono spacciati per italiani); dal livello anomalo di lievitazione dei prezzi per effetto di intermediazioni svolte dai commissionari mediante forme miste di produzione, stoccaggio e commercializzazione. Mettendo le mani sul comparto alimentare le mafie hanno infatti la possibilità di affermare il proprio controllo sul territorio. Potendo contare su una larghissima e immediata disponibilità di capitale e sulla possibilità di condizionare parte degli organi preposti alle autorizzazioni ed ai controlli, si muovono con maggiore facilità rispetto all'imprenditoria legale. Per raggiungere l'obiettivo i clan ricorrono a tutte tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo ed abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato (furto di capi di bestiame), macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni. Con i classici strumenti dell'estorsione e dell'intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente. Non solo, si appropriano di vasti comparti dell'agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l'imprenditoria onesta, ma - conclude Coldiretti - compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l'effetto indiretto di minare profondamente l'immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio Made in Italy ".             

 

 

Bibliografia:   

BORROMETI P., Un morto ogni tanto, Solferino, Milano 2018.     

BEGHIN T., "Arance, olive e pomodori: così i partiti minacciano il Made in Sicilia #SceglieteIlFuturo" (2017), https://www.ilblogdellestelle.it/2017/10/arance_olive_e_pomodori_cosi_i_partiti_minacciano_il_made_in_sicilia_sceglieteilfuturo.html               

MANNISI C., "Così il clan imponeva i pomodori di Pachino ai catanesi" (2018), https://www.lasicilia.it/news/cronaca/203967/cosi-il-clan-imponeva-i-pomodori-di-pachino-ai-catanesi.html      

REDAZIONE, "Pachino, l'ombra della mafia sul mercato ortofrutticolo: duro colpo al clan Giuliano con 19 arresti" (2018), http://www.siracusapost.it/1.68354/cronaca/sicilia-siracusa-provincia-pachino/104/pachino-lombra-della-mafia-sul-mercato        

REDAZIONE, "Mafia, col monopolio i prezzi aumentano del 300%" (2018), https://www.coldiretti.it/economia/mafia-col-monopolio-prezzi-aumentano-del-300      

REDAZIONE, "Mafia e ortofrutta, confisca di 150 milioni di euro a due palermitani" (2018), https://www.tp24.it/2018/08/14/antimafia/mafia-ortofrutta-confisca-milioni-euro-palermitani/123685       

REDAZIONE, "Catania, blitz della polizia: arrestate 28 persone nell'operazione 'Gaming off line'. Guarda nomi e video" (2018), https://www.primastampa.eu/2018/11/19/catania-blitz-della-polizia-arrestate-28-persone-nelloperazione-gaming-off-line-guarda-nomi-video/        

 

 

 
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