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"L'ultima Intervista" a Mussolini nell’anno che cambiò le sorti del nostro Paese - Seconda parte

Post n°131 pubblicato il 25 Maggio 2023 da daniela.g0
 

 

"La verità è una: non ebbi pressioni da Hitler. Hitler aveva già vinta la partita continentale. Non aveva bisogno di noi. Ma non si poteva rimanere neutrali se volevamo mantenere quella posizione di parità con la Germania che fino allora avevamo avuto. I patti con Hitler erano chiarissimi. Ho avuto ed ho per lui la massima stima. Bisogna distinguere fra Hitler ed alcuni suoi uomini più in vista...".  
A queste considerazioni Mussolini ne aggiunse varie altre. Questa ad esempio:
"Ho parlato sempre col Führer della sistemazione dell'Europa e dell'Africa. Non abbiamo mai avuto divergenze di idee. Già all'epoca delle trattative per lo sgombero dell'Alto Adige, controprova indiscutibile delle sue oneste e solidali intenzioni, il Führer dimostrò buon volere e comprensione".  
La sistemazione dell'Europa avrebbe dovuto attuarsi in questo modo: 
"L'Europa divisa in due grandi zone di influenza: nord e nord-est influenza germanica, sud, sud-est e sud-ovest influenza italiana. Cento e più anni di lavoro per la sistemazione di questo piano gigantesco. Comunque, cento anni di pace e di benessere. Non dovevo forse vedere con speranza e con amore una soluzione di questo genere e di questa portata?  
"In cento anni di educazione fascista e di benessere materiale il Popolo italiano avrebbe avuto la possibilità di ottenere una forza di numero e di spirito tale da controbilanciare efficacemente quella oggi preponderante della Germania.
"Una forza di trecento milioni di europei, di veri europei, perché mi rifiuto di definire gli agglomerati balcanici e quelli di certe zone della Russia anche nelle stesse vicinanze della Vistola; una forza materiale e spirituale da manovrare verso l'eventuale nemico di Asia o di America.  
"Solo la vittoria dell'Asse ci avrebbe dato diritto di pretendere la nostra parte dei beni del mondo, di quei beni, che sono in mano a pochi ingordi e che sono la causa di tutti i mali, di tutte le sofferenze e di tutte le guerre. 
"La vittoria delle Potenze cosiddette alleate non darà al mondo che una pace effimera e illusoria.  
"Per questo voi, miei fedeli, dovete sopravvivere e mantenere nel cuore la fede. Il Mondo, me scomparso, avrà bisogno ancora dell'Idea che è stata e sarà la più audace, la più originale e la più mediterranea ed europea delle idee.  
"Non ho bluffato quando affermai che l'Idea Fascista sarà l'Idea del secolo XX. Non ha assolutamente importanza una eclissi anche di un lustro, anche di un decennio. Sono gli avvenimenti in parte, in parte gli uomini con le loro debolezze, che oggi provocano questa eclissi. Indietro non si può tornare. La Storia mi darà ragione".  
A questo punto Mussolini tacque. Scosse alcune volte la testa come per scacciare un pensiero molesto. Quando, due giorni dopo, gli portai il dattiloscritto di queste dichiarazioni, fece in più punti, specie là ove mi aveva parlato di una forza di trecento milioni di europei, di "veri europei", alcuni segni di distacco: segni di lapis. Mi disse che avevo dimenticato molte cose importanti. Oggi le ricordo benissimo tutte.  
Mussolini parlò della sua presa di posizione nel 1933-'34 fino ai colloqui di Stresa (aprile '35). Affermò che la sua azione non era stata interamente compresa e tanto meno seguita né dall'Inghilterra né dalla Francia. E soggiunse: "Siamo stati i soli ad opporci ai primi conati espansionistici della Germania. Mandai le divisioni al Brennero; ma nessun gabinetto europeo mi appoggiò. Impedire alla Germania di rompere l'equilibrio continentale ma nello stesso tempo provvedere alla revisione dei trattati; arrivare ad un aggiustamento generale delle frontiere fatto in modo da soddisfare la Germania nei punti giusti delle sue rivendicazioni, e cominciare col restituirle le colonie; ecco quello che avrebbe impedito la guerra. Una caldaia non scoppia se si fa funzionare a tempo una valvola. Ma se invece la si chiude ermeticamente, esplode. Mussolini voleva la pace e questo gli fu impedito".  
Dopo qualche istante di silenzio ardii chiedergli: 
"Avete detto che l'eventuale vittoria dei nostri nemici non potrà dare una pace duratura. Essi nella loro propaganda affermano... "  
"Indubbiamente abilissima propaganda, la loro. Sono riusciti a convincere tutti. Io stesso a volte...".  
Mussolini sottolineò la frase: "Io stesso, a volte..." e sorrise. Posò il lapis sul tavolo e sollevò due o tre volte le mani fino all'altezza delle tempie. Poi, parlando lentamente e staccando le sillabe, aggiunse: 
"Qualunque cosa detta da loro è la verità. Mi sono chiesto la ragione di questa specie di ubriacatura collettiva. Sapete che cosa ho concluso?".  
Alzò il capo e mi fissò. E proseguì: "Ho concluso che ho sopravvalutato l'intelligenza delle masse. Nei dialoghi che tante volte ho avuto con le moltitudini, avevo la convinzione che le grida che seguivano le mie domande fossero segno di coscienza, di comprensione, di evoluzione. Invece, era isterismo collettivo...".  
"Ma il colmo è che i nostri nemici hanno ottenuto che i proletari, i poveri, i bisognosi di tutto, si schierassero anima e corpo dalla parte dei plutocrati, degli affamatori, del grande capitalismo".  
Mussolini ha segnato fortemente queste righe. Sono convinto di non aver saputo riferire bene tutto il suo pensiero. Mi disse:
"Non avete detto tutto. Avete rimpicciolito la mia idea. Ne riparleremo...".
Invece, non ci fu più né tempo e né modo di riparlarne. Pochi giorni dopo, fu Dongo, fu l'esecuzione, fu Piazzale Loreto.   

***   

La vittoria degli alleati riporterà indietro la linea del fronte delle rivendicazioni sociali. La Russia? Il capitalismo di stato russo (credo superfluo insistere sulla parola bolscevismo) è la forma più spinta e meno socialista di un ibrido capitalismo, che si può solamente sostenere in Russia, appoggiato all'ignoranza, al fatalismo e alle storie di cosacchi, che hanno lasciato lo "knut" per il mitra.  
Questo capitalismo russo dovrà cozzare fatalmente con il capitalismo anglosassone. Sarà allora che il Popolo italiano avrà la possibilità di risollevarsi e di imporsi. L'uomo che dovrà giocare la grande carta...".  
"Sarete voi, Duce...".  
"Sarà un giovane. Io non sarò più. Lasciate passare questi anni di bufera. Un giovane sorgerà. Un puro. Un capo che dovrà immancabilmente agitare le idee del fascismo. Collaborazione e non lotta di classe; carta del Lavoro e socialismo; la proprietà sacra fino a che non diventi un insulto alla miseria; cura e protezione dei lavoratori, specialmente dei vecchi e degli invalidi; cura e protezione della madre e dell'infanzia...".  
Mussolini volle sottolineare queste frasi programmatiche.  
Mi disse più precisamente: "Onora il padre e la madre". Depose il lapis col quale segnava le correzioni sul dattiloscritto e si passò una mano sulla fronte. Poi, dopo un attimo di silenzio soggiunse: "A volte si torna indietro nel tempo. E' pur grande la nostalgia del tepore sicuro del petto materno". E continuò: assistenza fraterna ai bisognosi; moralità in tutti i campi; lotta contro l'ignoranza e contro il servilismo verso i potenti; potenziamento, se si sarà ancora in tempo, dell'autarchia, unica nostra speranza fino al giorno utopistico della suddivisione fra tutti i popoli delle materie prime che Iddio ha dato al mondo; esaltazione dello spirito di orgoglio di essere italiano; educazione in profondità e non, purtroppo, in superficie come è avvenuto per colpa degli avvenimenti e non per deficienza ideologica.  
"Verrà il giovane puro che troverà i nostri postulati del 1919 e i punti di Verona del 1943: freschi e audaci e degni di essere seguiti. Il Popolo allora avrà aperto gli occhi e lui stesso decreterà il trionfo di quelle idee. Idee che troppi interessati non hanno voluto che comprendesse ed apprezzasse e che ha creduto fossero state fatte contro di lui, contro i suoi interessi morali e materiali...".  
Anche qui Mussolini trovò che non avevo detto tutto quanto egli aveva espresso. Nella riga in cui si registravano le sue parole a proposito della utopistica suddivisione delle materie prime fra i popoli della Terra, corresse un errore madornale. Arrossii. Egli se ne accorse e rise. Poi disse: "Quando vi si incolpa di avere sbagliato, dite pure che Mussolini sbaglia dodici volte al giorno!". Quindi proseguì: "Abbiamo avuto diciotto secoli di invasioni e di miserie, e di denatalità e di servaggio, e di lotte intestine e di ignoranza. Ma, più di tutto, di miseria e di denutrizione. Venti anni di Fascismo e settanta di indipendenza non sono bastati per dare all'anima di ogni italiano quella forza occorrente per superare la crisi e per comprendere il vero. Le eccezioni, magnifiche e numerosissime non contano".  
"Questa crisi, cominciata nel 1939, non è stata superata dal popolo italiano. Risorgerà, ma la convalescenza sarà lunga e triste e guai alle ricadute. Io sono come il grande clinico che non ha saputo fare la cura... ".  
Qua corresse: "cura". (Io avevo scritto: diagnosi). Ci pensò su un attimo, poi aggiunse: "la diagnosi era giusta!". Mi guardò. Mi disse: "aggiungeremo qualche altra considerazione...".  
"...esatta e che non ha più la fiducia dei familiari dell'importante degente. Molti medici si affollano per la successione. Molti di questi sono già conosciuti per inetti; altri non hanno che improntitudine o gola di guadagno. Il nuovo dottore deve ancora apparire. E quando sorgerà, dovrà riprendere le ricette mie. Dovrà solo saperle applicare meglio".
"Un accusatore dell'ammiraglio Persano, al quale fu chiesto che colpa, secondo lui, aveva l'Ammiraglio: "quella di aver perduto" rispose.  
"Così io. Ho qui delle tali prove di aver cercato con tutte le mie forze di impedire la guerra che mi permettono di essere perfettamente tranquillo e sereno sul giudizio dei posteri e sulle conclusioni della Storia".  
Nel dire "ho qui tali prove", indicò una grande borsa di cuoio. Mi sembra, delle tre, fosse quella di pelle gialla. Poi toccò una cassetta di legno......  
"Non so se Churchill è, come me, tranquillo e sereno. Ricordatevi bene: abbiamo spaventato il mondo dei grandi affaristi e dei grandi speculatori. Essi non hanno voluto che ci fosse data la possibilità di vivere. Se le vicende di questa guerra fossero state favorevoli all'Asse, io avrei proposto al Fuhrer, a vittoria ottenuta, la socializzazione mondiale".  
Mussolini sorrise lievemente quando parlò della sua serenità e tranquillità. Sorrise di nuovo quando fece cenno a Churchill. Il sorriso si mutò in una smorfia di disprezzo allorché parlò degli affaristi e degli speculatori.  
"La socializzazione mondiale, e cioè: frontiere esclusivamente a carattere storico; abolizione di ogni dogana; libero commercio fra Paese e Paese, regolato da una convenzione mondiale; moneta unica e, conseguentemente, l'oro di tutto il mondo di proprietà comune e così tutte le materie prime, suddivise secondo i bisogni dei diversi Paesi; abolizione reale e radicale di ogni armamento".  
"Colonie: quelle evolute erette a Stati indipendenti; le altre, suddivise fra quei paesi più adatti per densità di popolazione, o per altre ragioni, a colonizzare ed a civilizzare; libertà di pensiero e di parola e di scritto regolate da limiti: la morale, per prima cosa, ha i suoi diritti".  
Mussolini disse precisamente: "Libertà di pensiero, di parola e di stampa? Sì, purché regolata e moderata da limiti giusti, chiaramente stabiliti. Senza di che, si avrebbe anarchia e licenza. E ricordatevi, sopra tutto la morale deve avere i suoi diritti".
"Ogni religione liberissima di propagandarsi: siamo stati i primi, i soli, a ridare lustro e decoro e libertà e autorità alla Chiesa cattolica. Assistiamo a questo straordinario spettacolo: la stessa Chiesa alleata ai suoi più acerrimi nemici".  
Mussolini aveva dettato: "alla Chiesa". Poi aggiunse: "cattolica". Quindi spiegò: "La Chiesa cattolica non vuole, a Roma, un'altra forza. La Chiesa preferisce degli avversari deboli a degli amici forti. Avere da combattere un avversario, che in fondo non la possa spaventare e che le permetta di avere a disposizione degli argomenti coi quali ravvivare la fede, è indubbiamente un vantaggio". Strinse le mani assieme e proseguì: "Diplomazia abile, raffinata. Ma, a volte, è un gran danno fare i superfurbi. Con la caduta del fascismo, la Chiesa cattolica si ritroverebbe di fronte a nemici d'ogni genere: vecchi e nuovi nemici. E avrebbe cooperato ad abbattere un suo vero, sincero difensore". 
"Nel sud, nelle zone così dette liberate, l'anticlericalismo ha ripreso in pieno il suo turpe lavoro. L'Asino è, in confronto a pubblicazioni di questi ultimi tempi, un bollettino parrocchiale".  
"Anche in questo campo, gli stessi uomini che oggi non vogliono vedere, saranno unanimi a deprecare la loro pazzia o la loro malafede. Se la vittoria avesse arriso a noi, questo programma avrei offerto al mondo e ancora una volta, sarebbe stata Roma a dare la luce all'Umanità".  
A questo punto Mussolini tacque. Si alzò e si avvicinò alla finestra. Avevo cercato di fissare gli appunti nel modo il più esatto possibile, tenendo dietro a mala pena alle sue parole, specie quando la foga del discorso gli faceva affrettare la velocità dell'espressione. Le cartelle erano oramai più di trenta. Finalmente Mussolini si distaccò dalla finestra. Si rivolse di nuovo a me e riprese: "Mi dissero che non avrei dovuto accettare, dopo l'armistizio di Badoglio e la mia liberazione, il posto di Capo dello Stato e del governo della Repubblica Sociale. Avrei dovuto ritirarmi in Svizzera, o in uno Stato del sud America. Avevo avuto la lezione del 25 luglio. Non bastava, forse? Era libidine di potere, la mia? Ora chiedo: avrei dovuto davvero estraniarmi?".  
Nell'esemplare del dattiloscritto dell'intervista che gli presentai all'indomani, Mussolini sottolineò energicamente le frasi interrogative.  
"Ero fisicamente ammalato. Potevo chiedere, per lo meno, un periodo di riposo. Avrei visto lo svolgersi degli avvenimenti. Ma cosa sarebbe successo?".  
"I tedeschi erano nostri alleati. L'alleanza era stata firmata e mille volte si era giurata reciproca fedeltà, nella buona e nella cattiva a sorte. I tedeschi, qualunque errore possano aver commesso erano, l'otto settembre, in pieno diritto di sentirsi e calcolarsi traditi".  
"I "traditori" del 1914 erano gli stessi del 1943. Avevano il diritto di comportarsi da padroni assoluti. Avrebbero senz'altro nominato un loro governo militare di occupazione. Cosa sarebbe successo? Terra bruciata. Carestia, deportazioni in massa, sequestri, moneta di occupazione, lavori obbligatori. La nostra industria, i nostri valori artistici, industriali, privati, tutto sarebbe stato bottino di guerra".  
"Ho riflettuto molto. Ho deciso ubbidendo all'amore che io ho per questa divina adorabile terra. Ho avuta precisissima la convinzione di firmare la mia sentenza di morte. Non avevo importanza più. Dovevo salvare il più possibile vite ed averi, dovevo cercare ancora una volta di fare del bene al Popolo d'Italia. E la moneta di occupazione, i marchi di guerra, che già erano stati messi in circolazione, sono stati per mia volontà ritirati. Ho gridato. Oggi saremmo con miliardi di carta buona per bruciare".  
"Invece nel Sud, i governanti legali, hanno accettato le monete di occupazione. La nostra lira nel regno del Sud non ha praticamente più valore. La più tremenda delle inflazioni delizia quelle regioni così dette liberate. Quando arrivammo nel Nord, in questo Nord che la Repubblica Sociale ha governato malgrado bombardamenti, interruzioni di strade, azioni di partigiani e di ribelli, malgrado la mancanza di generi alimentari e di combustibili, in questo Nord dove il pane costa ancora quanto costava diciotto mesi fa e dove si mangia alle Mense del Popolo anche a otto lire, quando arriveranno a liberare il Nord, porteranno, con altri mali, la inflazione. Il pane salirà a 100 lire il chilo e tutto sarà in proporzione...". Credo di aver qui reso abbastanza bene il pensiero di Mussolini perché all'indomani, rileggendo queste cartelle egli approvava con frequenti cenni del capo.  

"Mi sono imposto e ho avuto uomini che mi hanno ubbidito. Non si è stampato che il minimo occorrente, di moneta. Ho però autorizzato le banche ad emettere degli assegni circolari, questi tanto criticati assegni. Non sono tesaurizzabili: ecco la loro importanza. La lira-moneta automaticamente viene richiesta, acquista credito, le rendite e i consolidati sono a 120, e dobbiamo frenare un ulteriore aumento. Tutto questo, ho fatto". "Ho impedito che i macchinari venissero trasportati in Baviera. Ho cercato di far tornare migliaia di soldati deportati, di lavoratori rastrellati. Anche su questo punto, occorre parlar chiaro: ho dei dati inoppugnabili".

 

Secondo quanto ha scritto il Professor Antonio Pantano: "L'attivo di bilancio si raggiunse nel 1924 e 1925 e, per 20,9 miliardi di lire nel 1944/45, addirittura durante la guerra, grazie alla Repubblica Sociale Italiana, che ebbe Ministro delle Finanze il prof. Domenico Pellegrini Giampietro, il quale commissariò, ponendola a TOTALE dipendenza dello Stato, la Banca d'Italia"  

 

"Oltre trecentosessantamila lavoratori hanno chiesto volontariamente di andar a lavorare in Germania, e hanno mandato, in quattro anni, alcuni miliardi alle famiglie. Altri trecentoventimila operai sono stati arruolati dalla Todt. (Dalla Germania sono tornati oltre quattrocentomila soldati ed ufficiali prigionieri, o perché hanno optato per noi, o per mio personale interessamento secondo i casi più dolorosi".  
"Ho impedito molte fucilazioni anche quando erano giuste. Ho cercato, con tre decreti di amnistia e di perdono di procrastinare il più possibile le azioni repressive che i Comandi germanici esigevano per avere le spalle dei combattenti protette e sicure. Ho distribuito a povera gente, senza informarmi delle idee dei singoli, molti milioni. Ho cercato di salvare il salvabile. Fino ad oggi l'ordine è stato mantenuto: ordine nel lavoro, ordine nei trasporti, nelle città".  
"I ribelli ci sono. Sono molti; ma, salvo qualche aliquota di illusi, la grande massa è composta di renitenti, di disertori, di evasi dalle galere e dai penitenziari. Gli alleati sanno perfettamente questo, ma sanno anche che queste formazioni sono utilissime per i loro sforzi di guerra. Poi, a liberazione avvenuta, succederà come in Grecia. Sul vostro giornale avete messa in giusta evidenza la disperata trasmissione dei partigiani greci in lotta contro i liberatori inglesi".  
Era stata captata una radiotrasmissione clandestina di partigiani greci in lotta contro i britannici. Detti risalto alla notizia, e feci distribuire alcune migliaia di copie del giornale nelle zone partigiane. "Dovevo, di fronte ad una situazione che vedevo tragicamente precisa, disertare il mio posto di responsabilità? Leggete: sono i giornali del Sud. Mussolini prigioniero dei tedeschi. Mussolini impazzito. Mussolini ammalato. Mussolini con la sua favorita. Mussolini con la paralisi progressiva. Mussolini fuggito in Brasile". Mussolini mi mostrava i ritagli. Ne leggeva i titoli ad alta voce. Ogni volta, dopo aver scandito le sillabe di ogni titolo, sollevava gli occhi per vedere la mia reazione. Poi strinse il pugno e lo batté con energia sul tavolo.  
"Invece sono qui, al mio posto di lavoro, dove mi troveranno i vincitori. Lavorerò anche in Valtellina. Cercherò che il mondo sappia la verità assoluta e non smentibile di come si sono svolti gli avvenimenti di questi cinque anni. La verità è una".  
"Ma c'è ancora una speranza? Ci sono le armi segrete?".  
"Ci sono. Se non fosse avvenuto l'attentato contro Hitler nell'estate scorsa, si avrebbe avuto il tempo necessario per la messa in azione di queste armi. Il tradimento anche in Germania ha provocato la rovina, non di un partito, ma della patria".  
Più esattamente Mussolini disse: "Ci sono: sarebbe ridicolo e imperdonabile bluffare". 
E quando pronunciò la parola "tradimento" esclamai: "Ma noi vi siamo stati e vi saremo sempre fedeli". Egli, allora, mi pose la mano sul braccio e mi disse con accento triste: "Quanti giuramenti! Quante parole di fedeltà e di dedizione! Oggi solo vedo chi era veramente fedele, chi era veramente fascista! Siete voialtri, sempre gli stessi fedeli delle ore belle e delle ore gravi. Facile era osannare nel 1938! Ho una tale documentazione di persone che non sapevano più che fare per piacermi! E al primo apparire della tempesta, prima si sono ritirati prudentemente per osservare lo svolgersi degli avvenimenti. Poi si sono messi dalla parte avversaria. Che tristezza. Ma che conforto, finalmente, poter vedere che vi sono i puri, i veri, i sinceri. Tradire l'idea... tradire me... ma tradire la Patria".  
Quindi, proseguendo a parlare delle armi segrete tedesche, dichiarò: "Le famose bombe distruttrici sono per essere approntate. Ho, ancora pochi giorni fa, avuto notizie precisissime. Forse Hitler non vuole vibrare il colpo che nella assoluta certezza che sia decisivo".  
"Pare che siano tre, queste bombe e di efficacia sbalorditiva. La costruzione di ognuna è tremendamente complicata e lunga. Anche il tradimento della Romania ha influito, in quanto la mancanza della benzina è stata la più terribile delle cause della perdita della supremazia aerea. Venti, trentamila apparecchi fermi o distrutti al suolo. Mancanza di carburante. La più tremenda delle tragedie".  
"Duce, pensate che inglesi e americani possano vedere i russi arrivare nel cuore dell'Europa? Non sarà possibile una presa di posizione...?".  
"I carri armati che penetrano nella Prussia Orientale sono di marca
americana". A questo punto Mussolini volle precisare che non riteneva, oramai, più possibile sperare in un capovolgimento del fronte. Disse anche: "Forse Hitler si illude". Poi aggiunse: "Eppure, si sarebbe ancora in tempo, se ...". Alzò le sopracciglia, fece un ampio gesto con le mani, come per farmi capire: "Tutto è possibile". Quindi riprese: "Il compito degli alleati è di distruggere l'Asse. Poi...".  
"Poi?". "Ve l'ho detto. Scoppierà una terza guerra mondiale. Democrazie capitalistiche contro bolscevismo capitalistico. Solo la nostra vittoria avrebbe dato al mondo la pace con la giustizia. Mi hanno tanto rinfacciata la forma tirannica di disciplina che imponevo agli italiani. Come la rimpiangeranno. E dovrà tornare se gli italiani vorranno essere ancora un Popolo e non un agglomerato di schiavi".    
"E gli italiani la vorranno. La esigeranno. Cacceranno a furor di popolo i falsi pastori, i piccoli malvagi uomini asserviti agli interessi dello straniero. Porteranno fiori alle tombe dei martiri, alle tombe dei caduti per un'idea che sarà la luce e la speranza del mondo. Diranno, allora, senza piaggeria, e senza falsità: Mussolini aveva ragione". 
Mussolini a questo punto prese le cartelle dove avevo messo gli appunti.  
"Non farete un articolo. Riprendete da questi appunti quello che vi ho detto. Dopodomani mattina mi porterete il dattiloscritto. Se ne avrò tempo riprenderemo fra qualche giorno questo lavoro".  
Dissi al Duce che in anticamera era il mio redattore capo, già direttore di un settimanale di Brescia. Mussolini lo fece chiamare. Rimanemmo ancora dieci minuti in udienza.  

Ho terminato stanotte, 21-22 aprile queste note, che porterò domani al Duce. Per mancanza di carta, ho dovuto scrivere le ultime quattro cartelle al rovescio delle prime quattro.  
Spero di aver interpretato il pensiero del Duce. Viva Mussolini! Viva la Repubblica Sociale! Viva il Fascismo!  
Terminata la dettatura entrò il redattore capo sottotenente Lucarini. Mussolini si intrattenne con noi ridendo e scherzando per circa un quarto d'ora. Quando uscimmo nell'anticamera, fummo circondati da gerarchi e camerati. Vittorio Mussolini volle vedere la fotografia. Mezzasoma disse: "E' ben raro che egli scriva delle dediche così".
Dopo di che mi accinsi al lavoro. Lavorai tutta la notte al giornale. Quel numero del 21 aprile, però, non uscì più. La notte seguente misi in ordine gli appunti. Lavorai come potei. Tre allarmi aerei; tre volte la luce si spense. La mattina del 22, alle 11, tornai in Prefettura. Mussolini era fuori.  
Fece ritorno alle 12,40. Attraversò l'anticamera con passo rapido. Rispose con aria stanca ai nostri saluti. Quando fu sulla soglia della sua stanza da lavoro, si voltò e mi fece cenno di attendere.  
Barracu, dopo una decina di minuti, mi introdusse da lui. Stava mangiando. Avevano portato un "cabaret" con una zuppiera. Sorbì alcune cucchiaiate di minestra. Mangiò un po' di verdura, un pezzettino di lesso, due patate e una carota bollita. Poi una mela. Bevve due dita di acqua minerale. Quindi si volse verso di me, e mi disse: "Fatemi vedere il vostro lavoro". Scostò delle carte. Lesse con attenzione, lentamente. Il suo volto aveva visibili tracce di stanchezza. Alla distanza di sole quarantott'ore, sembrava molto invecchiato. Corresse e tracciò molti segni, come risulta dal dattiloscritto. Alla fine mi disse: "Va bene. Ci rivedremo forse in questi giorni. Qualunque cosa accada, non fate vedere ad alcuno questo scritto. Se dovesse accadere il crollo, per tre anni tenetelo nascosto. Poi fate voi, secondo le vicende e secondo il vostro criterio. Ora andate".
Salutai senza poter dire una parola. Mi sorrise e fece un gesto di arrivederci. Uscii dalla Prefettura con l'animo in tumulto. Non dovevo più rivederlo.  
Milano, 22 aprile 1945.    

 

Qui la prima parte dell'articolo.

 
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"L'ultima Intervista" a Mussolini nell’anno che cambiò le sorti del nostro Paese - Prima parte

Post n°130 pubblicato il 22 Maggio 2023 da daniela.g0
 

 

Cari Lettori, mi soffermo ancora sugli avvenimenti che caratterizzarono un anno drammatico che cambiò la Storia del nostro Paese, fino ad oggi: il 1945.  

Qui di seguito troverete - per chi non ne fosse già a conoscenza - il testo di un'intervista che Benito Mussolini concesse nel suo studio presso la Prefettura di Milano al giornalista Gian Gaetano Cabella, direttore del "Popolo di Alessandria", nel pomeriggio del 20 aprile 1945, a soli sei giorni dalla sua esecuzione che avvenne il 28 aprile dello stesso anno. 

Il testo dell'intervista - a mio parere - si presenta controverso almeno in un punto. In particolare, mi riferisco a una visione antitetica che vedrebbe il Duce vagheggiare una moneta unica fra gli Stati: lui, che, come è noto, aveva posizioni saldamente e spiccatamente nazionalistiche. 

Ma, d'altra parte, l'intervista è di eccezionale importanza storica e umana, unica testimonianza del pensiero di Mussolini in quegli ultimi fatidici giorni e ha il pregio di offrire preziosi riferimenti circa accadimenti storici poco noti oggi, come le circostanze in cui Mussolini fu arrestato a Dongo (provincia di Como), il 27 aprile 1945. 

Il Duce aveva infatti con sé una grande busta di cuoio contenente riservatissimi documenti che riguardavano gli avvenimenti storici degli ultimi anni. Questa busta scomparve nel nulla e non fu più ritrovata. 

Evidentemente conteneva documenti di portata storica assai rilevante, che non dovevano divenire pubblici per nessuna ragione. I giornali e i vari commentatori dell'epoca costruirono dal nulla, senza possedere alcuna prova, un fantomatico carteggio che Mussolini avrebbe avuto con Winston Churchill e che sarebbe stato contenuto in quei documenti scomparsi. 

Durante l'intervista, che di fatto costituisce anche il testamento politico del Duce, egli stesso indicherà come in quei preziosi documenti invece fossero contenute le prove che avrebbero trasformato Benito Mussolini da "accusato" ad "accusatore", in un eventuale processo che poteva paventarsi imminente contro di lui. 

Ecco perché quei documenti dovevano sparire per sempre e Mussolini avrebbe dovuto essere eliminato in fretta. Il Duce era ben consapevole infatti che non gli sarebbe mai stata concessa la possibilità di continuare a vivere e di difendersi, perché questo avrebbe significato anche "l'accusa" dei suoi stessi "accusatori". 

E purtroppo così avvenne. Mussolini non ebbe diritto ad alcun processo, a differenza di tanti gerarchi nazisti che si erano macchiati di gravi crimini di guerra. 

Mentre alti gerarchi al servizio di Hitler - sembrerà assurdo ma è così - ebbero, negli anni che seguirono il termine del conflitto, prestigiosi incarichi nella Nato con il plauso degli americani, loro "nemici" durante la guerra mondiale. 

Un elenco: Adolf Heusinnger, Capo di Stato Maggiore di Hitler, diventò poi Presidente del Comitato militare della Nato dal 1961 fino al 1964. Ernst Ferber, fu Comandante della Nato per l'Europa centrale dal 1973 al 1975. Hans Speidel, Comandante della Nato per l'Europa centrale dal 1957 al 1963. Johann Steinhof, fu Presidente del Comitato militare della Nato dal 1971 al 1974. Johann von Kleimansegg, Comandante della Nato per l'Europa centrale dal 1967 al 1968. Carl Schnel, fu Comandante della Nato per l'Europa centrale nel triennio 1975-1977. Franz Josef Schulze, Comandante della Nato per l'Europa centrale dal 1977 al 1979. Ferdinand von Senger und Etterlin, Comandante della Nato per l'Europa centrale dal 1979 al 1983. 

D'altronde è storicamente accertato che i tedeschi fossero ben equipaggiati con armamenti di produzione statunitense. E Hitler intrattenesse ottimi rapporti con molti ricchi banchieri e dirigenti di varie corporation americane. 

E non è tutto. L'FBI era a conoscenza del fatto - secondo quanto ha riportato il giornalista Cesare Sacchetti - che Adolf Hitler non si fosse mai suicidato ma invece avesse riparato in Argentina, come tanti altri nazisti scampati e rimasti impuniti per i loro crimini di guerra. Altri documenti provano inoltre come lo stato profondo americano avesse aiutato la sua fuga. 

Come si è visto, in seguito tutto l'apparato nazista passò al soldo degli Stati Uniti. 

In Italia invece, sin dal primo giorno dell'inizio del conflitto, fu un susseguirsi di tradimenti, di cui si accenna nel corso di questa straordinaria intervista, che riguardarono tutti i settori della vita nazionale e che amareggiarono tanto il Duce. 

Fu lunghissimo infatti l'elenco delle spie italiane a servizio del nemico che determinarono pesantemente l'esito del conflitto. Contrariamente a quanto sostenuto dai tanti storici del dopoguerra, la potenza militare italiana, specialmente navale, era di tutto rispetto. 

Dalla Casa Reale sabauda agli alti vertici militari, fino ad arrivare a settori chiave dell'industria nazionale, che si attivarono all'unisono allo scopo di "far perdere la guerra a Mussolini". 

Un nome emblematico: quello dell'ammiraglio Franco Maugeri, che verrà decorato dagli Alleati a fine conflitto "per la condotta eccezionalmente meritoria nell'esecuzione di altissimi servizi resi al governo degli Stati Uniti come Capo dello spionaggio navale italiano [...]". 

La causa di questa lunga serie di tradimenti? L'appartenenza della maggioranza degli alti vertici militari alla Frammassoneria e perciò legati fraternamente ai loro colleghi britannici. Essi prestarono giuramento nelle mani della Casa regnante dei Savoia, aderendo soltanto esteriormente al governo fascista. La medesima posizione fu condivisa dai Savoia, da altri noti circoli dell'aristocrazia italiana e da una parte degli industriali. 

Traditori non tanto di Benito Mussolini, come rimarcherà egli stesso, ma della Patria, dell'Italia. 

Ma torniamo ora a quei documenti. Che fine fecero? 

Già in quel momento, di fatto, si annovera la presenza di agenti dei servizi segreti inglesi sul territorio lombardo. Non è difficile pensare che finirono nelle mani dei servizi segreti anglo-americani e, forse, non soltanto. Il resto lo immaginerete. 

Un'altra nota di particolarissimo interesse storico è il tentativo che Mussolini dichiarerà, nel corso dell'intervista, di aver compiuto sin dall'inizio per scongiurare lo scoppio della guerra mondiale in ogni modo. Tentativo che smentisce categoricamente alcune convinzioni molto comuni e ormai radicate, come quella che vedrebbe proprio Benito Mussolini a volere il conflitto a causa della sua smisurata brama di potere. 

Dichiarazioni del Duce inoltre supportate da altre fonti indipendenti, e confermate anche dallo stesso Vladimir Putin in un'intervista rilasciata nel 2020, quando dichiarò come il Secondo conflitto mondiale fu voluto in realtà da Inghilterra e Francia con il deliberato, quanto lucidamente calcolato, proposito di spingere Hitler ad invadere la Polonia per poi dirigersi verso la Russia, vero obiettivo del conflitto. E Putin dichiarò, in quella circostanza, di possedere anche i documenti comprovanti quella tesi. 

La potentissima finanza anglo-americana neoliberista desiderava infatti occupare la Russia e sottomettere anche Italia e Giappone, potenze allora fuori dalla loro orbita e caratterizzate dal forte senso nazionalistico. Fu il primo vero tentativo di instaurare un Nuovo Ordine Mondiale. 

La Storia ci attesta che tale sogno tuttavia si infranse proprio in Russia, con la solenne disfatta di Kubinka nella fine del 1941, alle porte di Mosca, che segnò l'inizio della caduta del Terzo Reich. 

Proprio il 9 maggio scorso, in Russia, si è da poco conclusa con grande festa delle Forze Armate la commemorazione della Vittoria sul Nazismo di Hitler, e Putin, in occasione del suo discorso, ha lanciato un monito contro la Nato e le "elite globaliste occidentali" perché non ripetano ancora gli errori del passato, ricordando come fu proprio la Russia a sconfiggere realmente il Nazismo.  

L'intenzione che da sempre si propone questo blog è infatti far luce sulla Storia, tra presente e passato, per rivelarne le dinamiche più nascoste, che una facile e abile propaganda ha voluto occultare e cancellare nel tempo. 

"Abilissima propaganda!", dirà Mussolini fra poco. 

Senza voler prendere le parti di nessuno (ricordando anche come in Italia sia reato l'apologia del Fascismo!) ma cercando di offrire al Lettore una visione più autentica e, al contempo, più oggettiva possibile degli avvenimenti, al fine di giungere alla conoscenza della verità. 

Ritorniamo - prima di chiudere e lasciarvi infine alla lettura dell'intervista - agli ultimi drammatici momenti della vita di Benito Mussolini: la narrazione che ne fece il suo carnefice, verosimilmente Walter Audisio, "Colonnello" della Brigata Garibaldi, fu di un Duce tremante di fronte all'esecuzione. Tuttavia, altri due partigiani (Aldo Lampredi e Michele Moretti) presenti in quel giorno - 28 aprile 1945 - resero negli ultimi anni di vita due versioni tra loro concordanti e in sedi separate: il Duce morì in realtà chiedendo ai suoi esecutori di mirare dritto al cuore e gridando a gran voce: "Viva l'Italia!".  

Il resto è cosa nota. Il vile tradimento, la barbarie, non meritano di essere raccontati. 

Significherebbe narrare di una delle pagine più nere - profondamente nere - della Storia del nostro Paese.  

Buona lettura.

 

 

L'ultima Intervista  

 

Chi scrive è il giornalista Gian Gaetano Cabella, ex direttore del "Popolo di Alessandria", giornale che nel 1944 si pubblicò anche a Milano in una edizione destinata alla Lombardia.
Nell'aprile del 1945 il Cabella, non appena seppe che Mussolini, proveniente da Villa Feltrinelli sul Garda, era arrivato a Milano, chiese e ottenne un'udienza dal Capo della Repubblica Sociale.
Lasciamo al Cabella il compito di narrare egli stesso le varie fasi dell'intervista. Cominciò come una delle tante conversazioni che Mussolini aveva non di rado con questo o con quel direttore di giornale.
Ma ben presto l'intervista assunse una portata eccezionale: sia perché fu l'ultima che Mussolini concesse, sia perché egli stesso volle rivederla, completarla, correggerla, annotarla, nella sua redazione definitiva.  

 

Fu il ministro Zerbino che il 19 aprile mi comunicò l'invito. Mussolini mi avrebbe ricevuto all'indomani, in Prefettura. Feci subito rilegare i numeri del giornale: tutta la edizione milanese dal settembre 1944 fino all'ultimo numero, uscito con la data del 21 aprile 1945. Volevo offrire al Duce l'intera collezione, insieme coi prospetti e i grafici della tiratura, del "Popolo", che, da 18 mila copie stampate e 16 vendute nel primo anno di vita, era ora asceso a 270 mila copie tirate e vendute, senza contare i numeri speciali, che avevano ottenuto un successo anche maggiore. Le richieste, negli ultimi tempi, superavano la tiratura. 
Molti camerati mi consegnarono scritti e messaggi da presentare al Duce. Divisi queste carte in tre gruppi: 1) quelle che gli avrei dato in ogni caso; 2) quelle meno importanti; 3) quelle che avrei consegnato solamente se il colloquio si fosse svolto in modo particolarmente favorevole. 
Preparai anche una breve relazione delle lunghe trattative che avevo condotto con elementi partigiani, i quali, in un primo tempo, mi avevano scritto invitandomi a prendere contatto con alcuni loro rappresentanti. Avevo accettato senz'altro questo abboccamento che avvenne il 7 febbraio a Rondissone, vicino a Torino: incontro interessante sotto molti rapporti e che permise utili intese nell'interesse superiore del Paese. 
Alle 14.30 del 20 aprile ero in Prefettura. Nella prima sala d'aspetto passeggiavano e discorrevano ufficiali e gerarchi. Il Prefetto, capo della Segreteria particolare, attraversava spesso la sala che divideva lo studio di Mussolini dal suo ufficio. Nel secondo salone c'erano il colonnello Colombo, comandante della "Muti" con il vice comandante e altri.
Alle 15 giunsero il comandante Borghese accompagnato da alcuni ufficiali, e il Capo di Stato Maggiore della GNR. Il ministro Fernando Mezzasoma parlava con un gruppo di giornalisti, fra i quali ricordo Daquanno, Amicucci, Guglielmotti. Si unì al gruppo, poco dopo, anche Vittorio Mussolini. 
Un'apparente serenità regnava fra quelle persone e, specialmente nella prima sala, c'era il più discreto silenzio. Un ufficiale delle SS germaniche passeggiava fumando. Il servizio di guardia era limitato al portone d'ingresso del Palazzo del Governo e a due sentinelle armate (una SS tedesca e un milite della Guardia) alla postierla della scaletta che dal cortile conduceva all'appartamento occupato dal Duce e dai membri del governo.
Alle 15.20 giunse il Questore, che parlò col Prefetto Bassi. Poco dopo uscì dallo studio del Duce il personaggio che vi stava già da venti minuti; ma non ricordo chi fosse. Forse Pellegrini. Entrò un usciere, che chiuse la porta dietro di sé; ma non tanto velocemente da impedirmi di scorgere Mussolini seduto dietro una piccola scrivania. Nel frattempo, mi aveva raggiunto il mio redattore capo, già direttore di "Leonessa", settimanale della Federazione bresciana: il sottotenente dei bersaglieri Galileo Lucarini Simonetti.
Finalmente, la porta del Duce si aprì. L'usciere disse forte il mio nome. Mi precipitai dentro. Deposti i pacchi sopra una sedia alla mia destra, salutai sull'attenti. Mussolini mi accolse con un sorriso. Si alzò e mi venne vicino. Subito osservai che Mussolini stava benissimo in salute, contrariamente alle voci che correvano. Stava infinitamente meglio dell'ultima volta che l'avevo visto. Fu nel dicembre del 1944, in occasione del suo discorso al Lirico. Le volte precedenti che mi aveva ricevuto - nel febbraio, nel marzo e nell'agosto del '44 - non mi era mai apparso così florido come ora. Il colorito appariva sano e abbronzato; gli occhi vivaci, svelti i suoi movimenti. Era anche leggermente ingrassato. Per lo meno, era scomparsa quella magrezza, che mi aveva tanto colpito nel febbraio dell'anno avanti e che dava al suo volto un aspetto scarno, quasi emaciato. Quel ricordo, dinanzi ad un uomo ora tanto diverso, si dileguò immediatamente dalla mia memoria.
Egli indossava una divisa grigio-verde senza decorazioni, né gradi. Lasciò i grossi occhiali sul tavolo, sopra un foglio pieno di appunti a matita azzurra. Notai che il tavolo era piccolo: molti fascicoli erano stati collocati sopra un tavolino vicino. Alcuni giacevano perfino in terra, presso la finestra. M'è rimasta l'impressione visiva che sulla scrivania, in un vaso di cristallo, ci fosse una rosa rossa; ma non potrei garantire l'esattezza di questo particolare. Sopra una sedia, scorsi tre borse porta documenti: due in cuoio grasso, una di pelle giallo scura. 
Mussolini mi posò la destra sulla spalla e mi chiese: "Cosa mi portate di bello?". Queste le prime parole, che già mi aveva dette quattordici mesi prima, benché con altro tono: un tono più lento, con voce più bassa e stanca. 
Non seppi rispondere lì per lì. Come al solito, e come succedeva a molti davanti a lui, mi sentii alquanto disorientato e dopo una breve esitazione risposi che ero felice di vederlo, e che gli portavo la raccolta del giornale. Mi batté la mano sulla spalla. Fissandomi, mi disse: "Vi elogio per quanto avete fatto per il consolidamento della Repubblica Sociale. Pavolini mi ha riferito del vostro discorso a Torino per il 23 marzo e del successo che avete ottenuto. Non vi sapevo anche oratore".
Gli offersi la raccolta del giornate e gli mostrai i grafici della diffusione, della vendita, delle lettere ricevute. Gli consegnai diversi scritti di fascisti, di combattenti, di giovanissimi. Mi fu largo di elogi, specialmente per i tre numeri speciali, ricchi di illustrazioni, dedicati a "Stellassa" (Umberto di Savoia), a "Pupullo" (Badoglio) e a "Bazzetta" (Vittorio Emanuele III). 
Sfogliò la raccolta, soffermandosi su alcuni numeri. Rise.
"I tre numeri illustrati per "Bazzetta", " Pupullo" e "Stellassa" sono fatti veramente bene. Mi hanno divertito. Che tiratura hanno avuto?". 
" Duecentosettantamila copie vendute. Per mancanza di carta non ho potuto far fronte alle trecentottantamila richieste...". 
"Avrete la carta che vi occorre...". Prese la matita e, stando in piedi, tracciò qualche nota su un foglio di appunti. Allora mi feci animo e gli esposi il caso disgraziato di due camerati bolognesi. Il suo volto si rattristò. 
Farò aver loro diecimila lire. Va bene?". Volle sapere i nomi e gli indirizzi. Li scrisse egli stesso, negli appunti. Poi mi chiese: " Desiderate qualche cosa da me?". Dopo un momento di perplessità risposi: "Il mio premio l'ho già avuto, è stato l'elogio che avete voluto farmi. Oso troppo se vi chiedo una dedica?". Gli mostrai una grande fotografia. La fissò un attimo, scosse il capo. Evidentemente, non era troppo soddisfatto dell'immagine. Poi tornò al tavolo, si sedette, prese la penna e scrisse: "A Gian Gaetano Cabella, pilota de Il Popolo di Alessandria, con animo della vecchia guardia. B. Mussolini, 20 aprile XXIII".  

Posò la penna. Volle vedere i grafici. La tiratura del giornale era descritta da un diagramma. Vi era tracciata una linea ascendente, con leggere contrazioni, qua e là.
A che cosa attribuite queste diminuzioni di vendita?".
Credo che occorra ogni tanto, specie dopo numeri di grande rilievo esteriore, fare uscire qualche numero pallido, senza forti titoli". 
Esposi, poi, brevemente i criteri che seguivo e che mi parevano giusti, quindi soggiunsi: "Mi siete stato maestro. Conservo la raccolta de "l'Avanti!" e quella del "Popolo d'Italia"...". 
Mussolini scosse la testa, stette un attimo pensoso e osservò: "Si nasce giornalisti come si nasce compositori o tecnici. Creare il giornale è come conoscere la gioia della maternità. Il criterio di non monotizzare è giusto. Non si può dare un concerto con soli tromboni e grancasse. Il pubblico, dopo i primi istanti di sbalordimento, finirebbe con l'abituarvisi. Vedo che siete anche un abile amministratore. Siete genovese...".
Si soffermò sul grafico che riguardava la corrispondenza ricevuta dal pubblico, lettori e lettrici e osservò: "Molte lettere anonime, vedo". 
Ricevo al giornale circa un dieci per cento di anonime. Però quando le vicende dell'Asse vanno meglio, le lettere anonime diminuiscono". Gli dissi anche che in Alessandria avevo appiccicato le più divertenti ad una parete. 
Mussolini sorrise: "Ho visto le fotografie della vostra redazione". 
"Nel mese di marzo - precisai - su 2785 lettere ricevute, 360 sono state anonime".
"Oltre 2400 lettere non anonime in un mese: sono moltissime. Fate rispondere?".
Gli dissi che rispondevo personalmente a tutti e nella rubrica "Il Direttore risponde" e, in gran parte direttamente. 
"Ho constatato che, così facendo, si ottiene una grande pubblicità. Chi riceve, specie in un piccolo centro, una lettera personale del direttore, la fa vedere a più persone. Automaticamente diventa un fedele propagandista". Mussolini prese il pacchetto delle lettere che gli avevo portato insieme con altre cose. Gli feci osservare che avevo diviso le missive in tre gruppi. Volle tenerle tutte. 
"Se avrò tempo, le leggerò stasera". 
Intanto aprì tre lettere che avevo messo più in vista: una di una signora che abitava presso Torino; un'altra di un giovane volontario, Puni, di Torino; la terza di una personalità ligure. 
"Ringrazierete la signora e il ragazzo. Lasciatemi l'altra: farò rispondere direttamente. Avete qualche cosa ancora da dirmi?". 
"Ho due collaboratori, un fascista e un vecchio socialista fiorentino...". 
Mussolini mi disse subito i nomi di entrambi e aggiunse: "Fate loro i miei elogi. Dite loro che leggo gli articoli che scrivono, con interesse". 
Ebbi l'impressione che l'udienza fosse per finire. Mussolini aveva riaperta la raccolta del giornale e, in ultimo, aveva trovato le copie del giornale "Il Monarchico", che avevo stampato alla macchia facendo finta fosse l'organo di un gruppo monarchico "C. Cavour" di Torino, e una copia del "Grido di Spartaco", che avevo stampato clandestinamente. Mussolini rise, ed esclamò: "Mi sono piaciuti. Anche per questo lavoro vi elogio". 
Allora mi feci animo: "Duce, permettete che vi rivolga qualche domanda?". 
Mussolini si alzò. Mi venne vicino. Guardandomi negli occhi, con un accento e un'espressione che non dimenticherò mai, mi chiese d'improvviso: 

***  
"Intervista o testamento?".  

***  

A quella domanda inaspettata io rimasi esterrefatto. Non seppi cosa rispondere. Non sfuggì la mia emozione a Mussolini, che cercò di dissipare la mia confusione con un sorriso bonario. "Sedetevi qui. Ecco una penna e della carta. Sono disposto a rispondere alle domande che mi farete".

 

Mussolini lascia la prefettura di Milano il 25 aprile 1945. Questa è l'ultima fotografia di Benito Mussolini vivo  

 

In preda ad una grande agitazione , mi sedetti alla sua sinistra. La sua mano era vicina alla mia. Molte idee mi si affollavano nella mente, ma tutte imprecise. Finalmente formulai una domanda assai generica: "Qual è il vostro pensiero, quali sono i vostri ordini, in questa situazione?". Invece di "ordini" dissi "disposizioni"; ma siccome nel testo dell'intervista, che il giorno dopo Mussolini rivide, corresse e siglò, sta scritto "ordini", lasciò l'espressione ch'egli stesso approvò. Debbo aggiungere che, quantunque io abbia preso nota con la maggiore attenzione possibile di quanto Mussolini mi andava dicendo, non ho potuto, nelle giornate che seguirono il colloquio, riferirlo con esattezza minuta, rigorosa. 
Solo a distanza di tempo, oggi, ricordo bene; con assoluta precisione. Perciò posso completare ciò che non mi fu possibile allora. Ecco il perché di queste note, delle note che seguiranno. 
Alla mia domanda, Mussolini, a sua volta domandò: 
"Voi cosa fareste?".  
Debbo aver accennato un gesto istintivo di sorpresa. Mussolini mi toccò il braccio, e sorrise di nuovo: "Non vi stupite. Faccio questa domanda a tutti. Desidero sentire il vostro parere". 
"Duce, non sarebbe bello formare un quadrato attorno a voi e al gagliardetto dei Fasci e aspettare, con le armi in pugno, i nemici? Siamo in tanti, fedeli, armati...".
"Certo, sarebbe la fine più desiderabile... ma non è possibile fare sempre ciò che si vuole. Ho in corso delle trattative. Il Cardinale Schuster fa da intermediario. Non sarà versata una goccia di sangue". 
Veramente disse: "Ho l'assicurazione che non sarà
versata una goccia di sangue". "Un trapasso di poteri. Per il governo, il passaggio fino in Valtellina, dove Onori sta preparando gli alloggiamenti. Andremo anche noi in montagna per un po' di tempo".  
Osai interromperlo: "Vi fidate, Duce, del Cardinale?". 
Mussolini alzò gli occhi e fece un gesto vago con le mani. 
"E' viscido. Ma non posso dubitare della parola di un Ministro di Dio. E' la sola strada che debbo prendere. Per me è, comunque, finita. Non ho più il diritto di esigere sacrifici dagli italiani". 
"Ma noi vogliamo seguire la vostra sorte...". 
"Dovete ubbidire. La vita dell'Italia non termina in questa settimana o in questo mese.
L'Italia si risolleverà. E questione di anni, di decenni, forse. Ma risorgerà, e sarà di nuovo grande, come l'avevo voluta io". 
Dopo una brevissima pausa, continuò: 
"Allora sarete ancora utili per il Paese. Trasmetterete ai figli e ai nipoti la verità della nostra idea, quella verità che è stata falsata, svisata, camuffata da troppi cattivi, da troppi malvagi, da troppi venduti e anche da qualche piccola aliquota di illusi".
Forse Mussolini non disse: "troppi". Ho l'impressione che dicesse solo: "malvagi e venduti". Quando rilesse le righe che seguono, le segnò a lato; e fece un gesto con la testa come per farmi comprendere che l'espressione non gli era troppo piaciuta. Tuttavia non la cancellò. 
La sua voce aveva i toni metallici che tante volte avevo udito nei suoi discorsi. Poi, con fare più pacato, continuò: 
"Dicono che ho errato, che dovevo conoscere meglio gli uomini, che ho perduta la testa, che non dovevo dichiarare la guerra alla Francia e all'Inghilterra. Dicono che mi sarei dovuto ritirare nel 1938. Dicono che non dovevo fare questo, e che non dovevo fare quello. Oggi è facile profetizzare il passato". 
"Ho una documentazione che la storia dovrà compulsare per decidere. Voglio solo dire che, a fine maggio e ai primi di giugno del 1940 se critiche venivano fatte erano per gridare allo scandalo di una neutralità definita ridicola, impolitica, sorprendente. La Germania aveva vinto. Noi non solo non avremmo avuto alcun compenso; ma saremmo stati certamente, in un periodo di tempo più o meno lontano, invasi e schiacciati".
Mussolini mi disse di far risaltare che le frasi da lui sottolineate riguardavano i discorsi della gente. Egli stesso sottolineò con segno più forte l'espressione: "La Germania aveva vinto", con tutto ciò che segue. 
"E cosa fa Mussolini? Quello si è rammollito. Un'occasione d'oro così, non si sarebbe mai più ripresentata". Così dicevano tutti e specialmente coloro che adesso gridano che si doveva rimanere neutrali e che solo la mia megalomania e la mia libidine di potere, e la mia debolezza nei confronti di Hitler aveva portato alla guerra.   

 

Fine prima parte. Qui la seconda parte dell'articolo.

 

 
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Il giorno in cui furono trucidati Luisa Ferida, Osvaldo Valenti e il loro bimbo non ancora nato

Post n°129 pubblicato il 30 Aprile 2023 da daniela.g0
 

 

Da pochi giorni si è celebrato il 25 aprile. Come ogni anno, ci sono state celebrazioni, ricordi, memoriali. Ma non tutto quel che accadde in quei giorni viene ricordato, anzi su una gran parte di ciò che avvenne allora fu calato negli anni il silenzio più totale.  

Un esempio? Accadde oggi, l'oggi di 78 anni fa. 

Era il 30 aprile 1945 quando Luisa Ferida venne fucilata, a 31 anni, in stato di gravidanza avanzato, insieme con il convivente, Osvaldo Valenti. Furono trucidati a Milano, in via Poliziano, Ippodromo di San Siro, senza prove, senza processo, senza appello, dai partigiani. L'accusa: la partecipazione ai crimini di guerra e alle torture della cosiddetta "banda Koch". 

Luisa Manfrini Farnet, in arte Ferida, era nata a Castel San Pietro Terme, in provincia di Bologna, nel 1914 e fu una delle più note attrici del cinema italiano nel periodo del Fascismo. Incontrò il collega Osvaldo Valenti sul set del film diretto da Alessandro Blasetti, Un'avventura di Salvator Rosa, nel 1939, che fu il periodo di maggior successo della sua carriera: tra i due sbocciò una relazione che li avrebbe legati profondamente fino alla fine. Nei suoi ultimi anni di vita, la Ferida venne sempre più apprezzata come attrice dalla grande sensibilità interpretativa e dalla notevole maturità espressiva. 

Osvaldo Valenti nacque a Costantinopoli nel 1906, da padre messinese e madre greco cipriota. Anche lui attore, acquistò notorietà in seguito all'incontro con il regista Blasetti. Furono tre grandi successi: Un'avventura di Salvator Rosa (1939), in cui recitò per la prima volta con Luisa Ferida, La corona di ferro (1941) e La cena delle beffe (1942). 

Nell'estate del 1943, avvenne il crollo del regime fascista e i bombardamenti aerei degli Alleati sulla città di Roma, mentre l'attività cinematografica nazionale subiva un durissimo contraccolpo. Quando fu costituita la Repubblica di Salò, Valenti insieme alla Ferida si trasferì a Venezia, dove riprese l'attività cinematografica insieme alla compagna di lavoro oltre che di vita. 

Nel 1944, la coppia Valenti Ferida si spostò a Milano, dopo che Osvaldo Valenti era entrato col grado di tenente nella Xª Flottiglia MAS. Allora, arruolarsi nella Decima MAS era "simbolo di dignità e onore". Infatti aveva scritto ad un amico: «Non voglio più sentir parlare di arte e di cinema, e non mi voglio più recare nella Spagna dove pur ho un contratto vantaggiosissimo. Io sento che il mio dovere sarebbe di fare qualcosa di positivo per questo pezzo di terra che ancora ci rimane» (Luigi Cazzadori, Osvaldo Valenti-Luisa Ferida, Novantico Editore, 1998, p. 40).

Valenti, per arruolarsi, rifiutò anche l'incarico di Commissario Nazionale per lo spettacolo offertogli dal ministro della cultura popolare Ferdinando Mezzasoma. Divenne anche, a Milano, ufficiale di collegamento con il Comando della Kriegsmarine in Italia, riscuotendone l'apprezzamento (Luigi Cazzadori, Osvaldo Valenti-Luisa Ferida, Novantico Editore, 1998, p. 45).

 

Osvaldo Valenti insieme a Luisa Ferida  

 

Come ufficiale di collegamento della Decima MAS, Valenti ebbe contatti con la famigerata banda di Pietro Koch, ma in tali rapporti rimase del tutto estranea la Ferida, ricoverata in ospedale dopo incidente automobilistico, proprio in quel periodo. Inoltre, come confermato da molte testimonianze, la frequentazione di "Villa Triste" da parte della Ferida, e la sua presunta complicità con i torturatori di partigiani, si dimostrarono solo calunnie prive di fondamento. 

Tanto che la madre della Ferida, Lucia Pasini, nell'ottobre 1956 ottenne che le autorità italiane scrivessero nero su bianco che la sua unica figlia era stata trucidata senza alcuna colpa. 

Infatti, fece domanda al Ministero del Tesoro per ottenere una pensione di guerra, poiché la figlia era anche la sua unica fonte di sostentamento. 

Pertanto si rese necessaria un'accurata inchiesta da parte dei Carabinieri di Milano per accertare le reali responsabilità della Ferida, al termine della quale si concluse che «la signora Manfrini Luisa, in arte Luisa Ferida, non consta abbia fatto parte di formazioni militari ausiliarie della Repubblica sociale italiana». 

«La Manfrini dopo l'8 settembre 1943 si è mantenuta estranea alle vicende politiche dell'epoca e non si è macchiata di atti di terrorismo e di violenza in danno della popolazione italiana e del movimento partigiano». 

La madre di Luisa Ferida ottenne così non solo che venisse alla luce la verità sul massacro della figlia ma anche la pensione di guerra comprensiva di arretrati. 

I partigiani che fucilarono Luisa e Osvaldo in quel giorno di fine aprile a Milano, erano appartenenti alla divisione "Pasubio", al comando di Giuseppe Marozin, che rispondeva al nome di battaglia di "Vero". 

Essi celebrarono un processo sommario, con un verdetto già scritto. 

Giuseppe Marozin, detto Vero, aveva preso parte alla guerra civile spagnola dalla parte dei franchisti. Nel periodo tra febbraio e novembre 1944 fu comandante della divisione Pasubio operante tra Verona e Vicenza nelle valli del Chiampo, dell'Alpone, d'Illasi, e poi fu a Milano, fino al termine del conflitto. Guidò diversi agguati e battaglie contro l'esercito nazifascista, azioni che causarono spesso violente ritorsioni da parte dei tedeschi nei confronti della popolazione civile locale, soprattutto nei comuni di Chiampo, Crespadoro, Arzignano e Vestenanova, dove aveva sede il suo rifugio (località ai Cracchi). Sul suo capo pendeva una condanna a morte decretata dal Comitato di liberazione di Padova a causa dei suoi numerosi omicidi, stupri e rapine (Gianfranco Stella, Compagno mitra. Saggio storico sulle atrocità partigiane, Gianfranco Stella Editore, 2018, p. 244). 

Secondo quanto riferito vent'anni dopo dallo stesso Morozin, in un memoriale scritto negli anni Sessanta (Odissea Partigiana. I 19 della Pasubio, Azione Comune, 1965), fu Sandro Pertini in persona, futuro Presidente della Repubblica Italiana, a spingere per l'esecuzione. Anche per quella della Ferida. 

Marozin scrisse: «La Ferida, non aveva fatto niente, veramente niente». E, in riferimento a Pertini: «Quel giorno - 30 aprile 1945 - Pertini mi telefonò tre volte dicendomi: "Fucilali, e non perdere tempo!"››. 

Sandro Pertini si sarebbe rifiutato di leggere anche il memoriale difensivo che Valenti aveva scritto durante i giorni di prigionia, dove erano elencati i nomi dei testimoni a difesa e dei tanti partigiani aiutati, che scagionavano la coppia di attori da ogni accusa. 

Giuseppe Marozin morirà prematuramente nel 1966 a Milano, all'età di cinquant'anni.  

Fu il giornalista Raffaello Uboldi, autore anche della prima biografia di Pertini, Il cittadino Sandro Pertini, cui seguì poi il volume Pertini soldato che di Sandro Pertini fu collaboratore e amico, a scrivere nel suo 25 aprile. I giorni dell'odio e della libertà, che Pertini «non muoverà un dito per salvare dalla fucilazione Valenti e la Ferida, nemmeno lei, che era colpevole di nulla; anzi, si sarebbe speso a favore dell'esecuzione».  

Scrive ancora Uboldi, primo biografi di Pertini: «La loro sorte è comunque segnata, li vogliono morti, sono considerati un simbolo, al di là delle colpe che vengono loro contestate senza uno straccio di prova. Vogliono morta anche lei, che un qualsiasi altro tribunale manderebbe assolta, per di più è incinta, attende un bambino, non c'è luogo al mondo dove la condanna non verrebbe sospesa. Non nella Milano di questo aprile 1945». 

Luisa cadde a terra, travolta dai proiettili, con in mano una scarpina azzurra destinata a riscaldare i piedini di quel bimbo che non avrebbe mai visto la luce. Non ebbero pietà di lei neppure dopo la morte: sul suo corpo straziato portato all'obitorio comunale si legge chiaramente, da una fotografia scattata quello stesso giorno sul cadavere, nel cartello infamante che le misero al collo: "Giustiziata perché collaboratrice del seviziatore O. Valenti". 

Le sue ginocchia sono coperte di sangue, segno di violenze inferte quando era viva. La bocca ancora aperta, tesa in un ultimo disperato grido.   

Cominciò quel giorno di fine aprile, in quella via, via Poliziano, e a guerra ormai finita, l'assalto alla Famiglia.  

Cominciò quel giorno l'assalto alla Vita, anche quella non ancora nata.

Quel 30 aprile in modo simbolico iniziò un assalto che è arrivato intatto fino a noi: tra legittimazione dell'aborto e diritti delle donne, con la regia sapiente dei nuovi dominatori dell'Italia - come il ricchissimo finanziatore George Soros -, fino alla propaganda gender, che l'Italia "civile" vuol far arrivare ai bambini fin dentro le scuole. 

E poi il reato di opinione, anche quello, nella civile Italia liberata, se dovesse passare un "nuovo DDL Zan". Mentre c'è chi, come Bill Gates, pensa a legittimare persino la pedofilia

Un assalto alla famiglia che ha assunto dimensioni epocali e che ha ridotto la popolazione italiana alla crescita zero, tra disoccupazione e inadeguatezza delle retribuzioni. 

Cominciò quel giorno, nuovamente, per voler qui ricordare le parole pronunciate da Giacinto de' Sivo all'indomani della proclamazione tra mille nefandezze del Regno d'Italia, "l'arte del boia". 

Perché quei giorni di "liberazione" furono bagnati di sangue, del sangue di tanti innocenti, e di tanti civili, uccisi a guerra finita e a sangue freddo. Era cominciata la mattanza in Italia, e di stragi se ne annoverano tante, con un numero di vittime che solo Dio conosce!

Come l'eccidio di Codevigo, avvenuto tra il 28 aprile a metà giugno 1945, tramite torture e sevizie raccapriccianti, di 136 persone tra civili ed militi della Guardia Nazionale Repubblicana, da parte di ex partigiani e militari del Gruppo "Cremona", un'unità di fanteria dell'Esercito Cobelligerante passata a fine febbraio 1945 alle dipendenze del V Corpo d'armata britannico, che aveva inquadrato i partigiani della 28ª Brigata Garibaldi comandata da Arrigo Boldrini, detto "Bulow".  

Come riporta la stessa Wikipedia: 

«La Magistratura di Padova trattò la vicenda in numerosi procedimenti dal 1945 al 1950 e poi dal 1961-62 sulla base d'indagini condotte fin dall'inizio dalla polizia Alleata e dai Carabinieri. Furono giudicati anche quattro partigiani della 28ª Brigata Garibaldi, tutti e quattro furono assolti. 

I Comandi della 28ª e del "Cremona" non furono mai soggetti a procedimenti penali poiché i fatti si svolsero al di fuori e contro gli ordini da loro emanati e "a loro insaputa" (anche se la strage si svolse nell'arco di un mese e mezzo, e nonostante il servizio d'ordine e di polizia della zona fosse mantenuto dal C.L.N.)». 

E' difficile pensare - è necessario qui rimarcarlo - che i vertici in questione fossero davvero all'oscuro di tutto. 

«Sergio Bozza sostiene (Sergio Bozza, 90 Uomini in fila allineati sul mirino della '37', Greco & Greco, 1989) che all'eccidio, avvenuto in varie località in prossimità di Codevigo, parteciparono elementi provenienti dalle formazioni partigiane locali, elementi provenienti dalla 28ª Brigata Garibaldi "Mario Gordini", militari inquadrati nel gruppo di combattimento "Cremona", unità dell'esercito italiano alle dipendenze dell'VIII armata Britannica, sotto il cui comando era anche la 28ª Brigata Garibaldi "Mario Gordini", comandata da Arrigo Boldrini. Nell'atto della Prefettura di Padova del 25 maggio 1945 oltre all'attribuzione certa di alcune esecuzioni a militari del "Cremona" (Corinna Doardo, maestra, Bubola Mario o Ludovico) si comunicò che la Polizia Alleata aveva deciso di disarmare i militari del "Cremona" presenti a Codevigo. Il territorio era stato occupato dalla 28ª Garibaldi, da varie formazioni partigiane venete e dai reparti del "Cremona" e l'azione di polizia e d'ordine pubblico era svolta dal CLN locale. 

Si tratta di uno degli episodi più gravi tra quelli avvenuti nell'Italia nordorientale nei giorni a cavallo della resa incondizionata in Italia delle forze tedesche e fasciste repubblicane, effettiva a partire dal 3 maggio 1945. Nella sola zona di Treviso, dopo la fine della guerra, furono almeno 630 le esecuzioni ad opera dei partigiani nei confronti dei fascisti arresi ed altre 391 nella zona di Udine».  

Un'altra grande strage, tra le tante che avvennero, occorre ancora ricordare. 

Riporto ancora Wikipedia, per una visione più obiettiva possibile: 

«La strage della cartiera di Mignagola fu perpetrata da elementi partigiani delle Brigate Garibaldi tra il 27 aprile e i primi giorni del maggio 1945, nella frazione di Mignagola, comune di Carbonera (Treviso) ai danni di numerosi militari della Repubblica Sociale Italiana e di civili fascisti o presunti tali rastrellati nella zona. I corpi rinvenuti occultati nei dintorni della cartiera di Mignagola furono 83, senza tener conto di quelli uccisi altrove o gettati nel fiume Sile».

Le vittime furono infatti molto maggiori di quelle contate. Secondo la testimonianza di un sopravvissuto, un maresciallo della Guardia Nazionale Repubblicana, ci furono 2000 fascisti internati, di cui ben 900 trucidati (Tribunale Penale di Treviso, fasc. proc. 487/45 Deposizione del maresciallo Carlo Pampararo al giudice istruttore Aldo Loasses il 24 marzo 1949). 

«Un gruppo di partigiani delle Brigate Garibaldi, negli ultimi giorni di guerra, predispose alla "Cartiera Burgo" di Mignagola di Carbonera (Treviso) un centro di detenzione improvvisato dove furono incarcerate e spesso uccise numerose persone, molte delle quali civili; alcune di esse furono torturate in modo efferato, e un centinaio furono uccise. Secondo alcuni autori e testimoni, non tutti i corpi sarebbero stati ritrovati, perché occultati, sotterrati in luoghi nascosti, bruciati nei forni della cartiera o sciolti nell'acido, gettati nei fiumi, in particolare nel Sile [...]. 

Le maggiori efferatezze avvennero all'interno della cartiera, dove il comando era affidato a Gino Simionato, detto "Falco". I responsabili dell'eccidio sarebbero stati appartenenti a due brigate partigiane Garibaldi. Il comando fu inizialmente posto il 26 aprile 1945 a villa Dal Vesco, i cui tre proprietari erano stati assassinati in febbraio. Vennero creati dei posti di blocco nella strade [...]. 

Il giorno 29 aprile, domenica, il sacerdote don Giovanni Piliego si recò alla cartiera per confessare i prigionieri. Ma il giorno dopo apprese che vari prigionieri visitati il giorno prima erano stati fucilati. Il prete andò il giorno stesso dal vescovo di Treviso, informandolo di quel che aveva visto e chiedendogli di intervenire. 

Lo stesso giorno 30 una jeep americana con tre militari arrivò alla cartiera ordinando la cessazione delle attività. In seguito all'intimazione degli americani, la situazione si modificò alquanto, e il giorno 1º maggio il comando della prima brigata fu spostato all'asilo parrocchiale di Carbonera. Tuttavia gli arresti le torture e le uccisioni sarebbero continuati ancora nei locali della cartiera Burgo. Nei giorni successivi furono uccisi: Galli Ilio (4 maggio), Linari Umberto (1º maggio), Menegaldo Angelo (2), Scarano Rocco (3),Spinelli Enzo (3), Bellio Giacomo Arturo (7), Zamboni Luigi (5), Testa Mario (4), Vocialta Guido (3), Sartori Giovanni B. (8), Mollica Giuseppe e Monaco Nicola (primi di maggio), Morani Benito (8), Pianca Emilio (primi di maggio), Polesel Antonio (3). Il sottotenente Lorenzi Luigi della Guardia Nazionale Repubblicana fu ucciso l'8 maggio. Il milite diciottenne della Guardia Nazionale Repubblicana Tullio Fontebasso fu ucciso il 3 maggio nella cartiera Burgo dopo un processo sommario. 

L'atteggiamento dei partigiani di "Falco" lascia intendere una supposta garanzia di impunità che il partigiano Romeo Marangon "Andrea" arrivò a definire come una sorta di Carta bianca della durata di cinque giorni».  

Un nome, fra i tanti trucidati, è qui da ricordare: è quello del sottotenente Luigi Lorenzi della Guardia Nazionale Repubblicana assassinato l'otto maggio.  

Giano Accame nel suo La morte dei fascisti, Mursia, 2010, fra le pagine 182-183, ha riportato il racconto di come quel giovane tenente morì per mano di questi partigiani.

Morì come un martire della Chiesa Cattolica.

 

Il sottotenente Luigi Lorenzi  

 

Il giovane Luigi, detto Gino, era originario della provincia di Bergamo. Fu colpevole di aver combattuto fino all'ultimo, legato ai valori di Patria e famiglia e fervente cristiano. 

Il 28 aprile 1945, a Oderzo in provincia di Treviso, alla presenza del parroco Abate Domenico Visentin i reparti della Repubblica Sociale presenti in zona concordarono il cessate il fuoco e la deposizione delle armi con il C.L.N. che concesse il relativo lasciapassare per il ritorno a casa. Tra questi vi era anche il sottotenente Gino Lorenzi che si mise in cammino verso la sua città natale in compagnia dei suoi uomini, tutti disarmati. Nei pressi del Ponte di Piave, una pattuglia di partigiani della Garibaldi, che rispondeva ai comandi del famigerato Falco, li catturò in palese violazione dell'accordo. 

Il giovane sottotenente Lorenzi, quando fu decisa la sua esecuzione, portava al collo un'immaginetta sacra con un'effige religiosa e così i partigiani gli proposero l'abiura della fede in alternativa alla crocifissione. Ma il giovane ufficiale del reparto "M" d'assalto "Romagna", senza mostrare paura, né implorare clemenza, pronunciò fra gli ascoltatori sbalorditi una frase degna di un antico martire cristiano: 

"Muoio come Nostro Signore nella croce. La croce che Gesù Cristo ha portato non può far paura a un cristiano."  

Secondo alcuni testimoni, poi allargò le sue braccia offrendosi spontaneamente al sacrificio. I partigiani avevano costruito una rozza croce con due tronchi di legno su cui lo trafissero senza pietà, con grossi chiodi alle mani e alle caviglie. Venne poi frustato e abbandonato tra atroci sofferenze fino a essere divorato dalle volpi.  

Gino, a soli 20 anni, muore: è l'8 Maggio 1945.

 

La tomba del sottotenente della Guardia Nazionale Repubblicana Luigi Lorenzi  

 

La sua crocifissione non fu purtroppo un episodio isolato, ma solo uno di una lunga e sanguinosa serie di episodi simili. Le scene della Via Crucis rividero inchiodati a rozze assi molti altri "perdenti" fra cui il Capitano della G.N.R Mario Corticelli crocifisso su un tavolo d'osteria a Stellaneto (SV) e il S. Ten. Walter Tavoni crocifisso sulla porta di un cascinale. 

Contro gli autori della strage fu istruito un processo fin dall'estate del 1945, sollecitato dai familiari delle vittime. La Legione territoriale dei Carabinieri di Padova, stazione di Treviso, inoltrò un rapporto dettagliato al Tribunale civile e Penale di Treviso, in cui venivano indicati i luoghi in cui presumibilmente, secondo le testimonianze raccolte, erano stati occultati i corpi di numerosi fascisti. 

Le indagini risultarono difficoltose fin dal principio: le molte persone che pure avevano visto, non vollero testimoniare, perché sapevano che i colpevoli erano ancora in giro. Avevano il terrore delle rappresaglie, come fu riportato da un rapporto dei Carabinieri: "Nessuno vuole parlare, [...] tutti sono terrorizzati, perché i colpevoli sono in circolazione, [...] coloro che potrebbero dare preziose notizie, vivono ancora sotto l'incubo della rappresaglia". 

Il processo ebbe conclusione il 24 giugno 1954 con l'assoluzione in istruttoria di tutti gli imputati

Dopo aver appurato i gravissimi crimini commessi e i loro autori, si ritenne tuttavia corretto "non doversi procedere" poiché gli omicidi avvennero durante la guerra di liberazione e rientravano quindi nell'Amnistia Togliatti.  

Luisa Ferida non fu l'unica donna a cadere sotto il fuoco di gruppi partigiani.  

Fu enorme il numero di vittime tra le donne, molte delle quali appartenevano alle Ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana. 

Un articolo della giornalista e storica Ercolina Milanesi - "Le Ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana. Una storia di abnegazione, fedeltà ed eroismo" -, racconta che «secondo l'Associazione culturale Servizio Ausiliario Femminile, il numero delle Ausiliarie cadute sia in conseguenza di vicende belliche che uccise a guerra finita dovrebbe avvicinarsi alle duemila unità. La cifra esatta non è nota perché molte di loro furono date come disperse o uccise e sepolte in fosse comuni o, comunque, sparite nel nulla». 

Molte di esse furono ferocemente percosse e violentate più volte, come Marcella Batacchi e Jolanda Spitz, fiorentine ausiliarie della R.S.I. di appena 17 anni, per poi essere finite sotto le scariche dei mitra dei partigiani, sempre a guerra ormai finita. Si comportarono bene fino alla fine, difendendosi strenuamente e morendo con dignità e onore. 

Un caso emblematico fu l'assassinio di un'altra ex ausiliaria, Rosa Amodio, 23 anni, avvenuto nel luglio del 1947, dopo oltre due anni che il conflitto mondiale era terminato. 

Sembra davvero che si trattò - in ultima analisi - di un'operazione di "pulizia politica", che fu condotta a fine guerra con lucida freddezza e predeterminazione, con modalità molto simili agli eccidi condotti allo scopo di pulizia etnica.

 

Giuseppina Ghersi, classe 1931, in una fotografia scattata quando frequentò le scuole elementari  

 

Giuseppina Ghersi era ancora una bambina, all'età di 13 anni, quando fu trucidata il 30 aprile 1945 a Savona con l'accusa inverosimile e assurda di essere una "spia dei nazifascisti". Giuseppina non aveva ancora l'età della povera Anna Frank: ma per lei non ci fu giustizia, né ricordi, né memoriali; anzi, ancora oggi in certi ambienti di sinistra, negazionisti (perché i veri negazionisti sono loro e non coloro che vengono convenientemente etichettati come tali), si nega persino che il fatto sia realmente accaduto.   

Ricominciò in quei giorni di tarda primavera, in Italia, "l'arte del boia".  

Cominciò in quei giorni la nuova egemonia dei Rothschild.

 

 

 
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L'attacco del deep state non servirà a fermare la corsa di Trump alla Casa Bianca

Post n°128 pubblicato il 05 Aprile 2023 da daniela.g0
 

 

Come è noto, Donald Trump è arrivato il 4 aprile a New York nella sua Trump Tower sulla Fifh Avenue, dove ha passato la notte. In giornata gli sono state formalizzate le accuse circa la vicenda che riguarda la pornostar Stormy Daniels. 

L'intera area è stata blindatissima dalla polizia ed alcuni elicotteri hanno sorvolato la zona durante la notte scorsa. 

Già da quando ha lasciato il suo resort di Mar-a-Lago in Florida, Trump è super protetto da un lungo corteo di automobili che lo accompagnano scortandolo. La sua scorta supera persino quella del Presidente Biden: non si era mai vista una scorta simile, infatti, per un privato cittadino quale è tornato ad essere Donald Trump. 

In questo momento, negli USA ma anche in Italia, i giornali sono in fibrillazione: c'è chi parla addirittura di manette per Trump, benché nei giorni scorsi era già stata smentita categoricamente la notizia. 

Da quanto risulta, Donald Trump è stato formalmente arrestato. Ma non gli sono state certamente messe le manette, né sono state scattate foto segnaletiche.  

Tutto questo grande apparato mediatico, come avrete capito, è stato mosso ad arte per dipingere Trump come un pericoloso criminale. 

Le accuse però sono da provare e certamente non si tratta di reati così gravi come i media vorrebbero far credere. 

Come ha riportato il 3 aprile The Gateway Pundit, un quotidiano americano non allineato con il mainstream: «Il Presidente Trump è stato colpito da 34 capi d'accusa per falsificazione di documenti aziendali, secondo una soffiata al protagonista preferito del deep state, Michael Isikoff. 

La falsificazione dei documenti aziendali è sempre perseguita come un reato minore, ma Bragg [il procuratore Alvin Bragg, n. d. r.] ha elevato il caso a un crimine nel tentativo di "prendere Trump" e far deragliare la sua candidatura presidenziale.  

Il presidente Trump non sarà ammanettato e non ci saranno foto segnaletiche, secondo Isikoff di Yahoo. 

Trump non sarà tenuto in una cella di prigione. 

L'accusa è ancora segreta, ma l'ufficio di Bragg sta divulgando illegalmente informazioni ai media di sinistra: far trapelare informazioni da un atto d'accusa sigillato è un crimine. 

Secondo quanto ha riferito inoltre Yahoo: "L'ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan Alvin Bragg, che si è consultato con i funzionari dei servizi segreti e del tribunale di New York City, ha concluso che non c'era motivo di sottoporre l'ex Presidente a manette o foto segnaletiche"».    

D'altronde, dopo il mandato d'arresto spiccato contro Vladimir Putin, c'era da aspettarselo: è l'ennesimo tentativo di distruggere chi si sta opponendo realmente ai piani del deep state americano, che da lungo tempo dirige il corso degli avvenimenti mondiali. 

Trump lo disse a chiare lettere soltanto poco tempo fa, durante un comizio tenuto in Texas: 

"O noi distruggiamo il deep state o il deep state distruggerà l'America."      

Inoltre il procuratore democratico Alvin Bragg - secondo quanto ha riportato il New York Times -, figura nel libro paga di George Soros

Infatti Bragg ha ricevuto finanziamenti per la sua campagna nella carica di procuratore anche da Color of Change, Ong finanziata da Soros. La notizia è stata diffusa in Italia da Il Tempo a fine marzo. Il sito PolitiFact ha inoltre scoperto contributi diretti a cinque zeri verso Bragg da parte di stretti familiari di George Soros. 

Quel Soros le cui enormi risorse finanziarie sono erogate in tutto il pianeta allo scopo di portare disordini, instabilità e guerre. E favorire i flussi migratori verso il Continente europeo allo scopo di ottenere una razza non più europea ma meticcia, priva di valori cristiani e identità nazionale. 

E ancora, come riporta The Gateway Pundit: «Secondo la mente legale di FOX News Gregg Jarrett, il procuratore distrettuale Alvin Bragg, finanziato da Soros, ha nascosto quasi 600 pagine di prove a discarico al Grand Jury di New York che indaga sul Presidente Trump». 

 

Donald Trump (a sinistra dell'immagine) e Alvin Bragg  

 

Chiaramente, il mainstream non diffonderà mai queste bollenti notizie che riguardano il procuratore Bragg. 

Dopo tutto questo, comunque un fatto è certo: anche se Donald Trump dovesse essere condannato, nel manifesto tentativo di fermare la sua corsa alla Casa Bianca, questo non servirà

Infatti i requisiti richiesti dalla Costituzione degli Stati Uniti sono solo tre: essere nati negli Stati Uniti, avere non meno di 35 anni e ed essere residenti negli USA da non meno di 14 anni. 

Inoltre questo maldestro tentativo di infangare Trump rischia di diventare un grosso boomerang per il deep state americano: l'enorme marea umana dei sostenitori del 45° Presidente degli Stati Uniti non si lascerà trarre in inganno ma diverrà ancora più motivata nel sostenerlo, mentre altro consenso confluirà invece dal Partito Democratico. 

Già in passato, gran parte degli americani ha dimostrato di non lasciarsi facilmente pilotare dai media e dalle campagne diffamatorie. 

Ancora una volta il disperato tentativo dello stato profondo americano, e da quelle lobby che lo compongono e sostengono, è destinato a fallire.

 

 

 

 

 
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Oltre un miliardo da Big Pharma, Gates, Pfizer a Bassetti, Burioni, Crisanti, Galli e Pregliasco

Post n°127 pubblicato il 01 Aprile 2023 da daniela.g0
 

 

L'avevamo detto già da molto tempo. Ora anche il mainstream finalmente se ne accorge: ovvero i finanziamenti milionari erogati da Big Pharma verso i camici bianchi

Fra questi ci sono i protagonisti assoluti del COVID, apparsi in TV in modo ossessivo non appena è iniziata la cosiddetta pandemia.  

Così scrive Il Giornale d'Italia, il 22 marzo scorso: 

«I virologi nostrani hanno beneficiato di lauti finanziamenti dai grandi nomi dell'industria farmaceutica. Tramite università e ospedali, la brigata di Crisanti, Bassetti e Burioni ha incassato circa 1 miliardo di euro da Big Pharma dal 2016 al 2022.»  

In compenso proprio nei primi mesi del COVID, marzo-aprile 2020, sono letteralmente spariti tutti quei risultati giudicati "fastidiosi" da Google: così quei pochi autori di articoli indipendenti, che denunciavano l'enorme giro di affari ruotante intorno alle case farmaceutiche, si sono visti cancellare improvvisamente i propri articoli. Persino le immagini relative sono state oscurate. 

Ma se il mainstream adesso parla, significa anche che i tempi stanno cambiando

Benché i giornaloni scrivano assurdità ridicole come quella che vedrebbe Russia e Cina costruire insieme il Nuovo Ordine Mondiale, la verità è che l'alleanza tra la Cina e la Russia ha posto invece la pietra tombale definitiva proprio su quel Nuovo Ordine Mondiale tanto voluto dalla finanza anglo sionista. 

I Paesi del BRICS stanno slegando la loro dipendenza dal dollaro, su cui si è fondata per secoli la fortuna dei Rothschild, mentre anche il Kenya si sgancia dalla dipendenza della moneta USA: il suo Presidente ha recentemente annunciato che il Paese pagherà il petrolio nella sua moneta nazionale. 

Come riportava Il Bollettino a gennaio scorso

«La possibilità e le prospettive di creare una moneta unica comune, basata su un paniere di valute dei Paesi BRICS, è in discussione. Gli Stati membri stanno studiando attivamente meccanismi che permettano lo scambio di informazioni finanziarie, col fine di sviluppare un'alternativa affidabile per i pagamenti internazionali», ha dichiarato il diplomatico russo Pavel Knyazev. I BRICS, infatti, prevedono di costruire un'infrastruttura finanziaria congiunta che consentirebbe di contrastare il dominio del dollaro e degli special drawing rights (i diritti speciali di prelievo - l'unità di conto del FMI, il cui valore è ricavato da un paniere di valute nazionali). «Estendendo gli insediamenti in moneta locale, verrebbe meno il rischio di essere puniti dagli Stati Uniti con mezzi finanziari, come il congelamento dei beni in dollari USA coinvolti nel commercio di questi Paesi», ha spiegato Dong Dengxin, Direttore del Finance and Securities Institute dell'Università di Wuhan.  

Alla luce di tutto questo si può comprendere allora come le maglie della censura, almeno per il mainstream - si badi bene, soltanto per loro - si stiano allentando. 

Così la trasmissione televisiva di Mario Giordano, "Fuori dal coro", settimana dopo settimana, sta facendo fuoriuscire parte di quella verità che già era nota a molti, o comunque si intuiva, da almeno due anni. 

Ovviamente non si parlerà mai della presenza di grafene nei sieri sperimentali, ma almeno il grande pubblico sta iniziando a risvegliarsi. 

Mentre Il Giornale d'Italia ci parla del noto Bill Gates, che adesso non è più visto solo nelle vesti di filantropo benefattore, ma inizia a rivelarsi per quello che è: un uomo ricchissimo e senza scrupoli appartenente a quelle lobby anglo sioniste che vorrebbero dominare il mondo. E ridurre la popolazione mondiale a non più di 500.000.000 di persone.  

«La "dottrina Gates" - scrive Il Giornale d'Italia -, che prevede una catena di sovvenzioni tra privati, aziende farmaceutiche e specialisti di settore, non è sconosciuta all'Italia. Si tratta di denaro in circolo: dalle tasche di benefattori e filantropi, come il magnate di Microsoft Bill Gates, flussi di finanziamenti giungono nelle casse di agenzie sanitarie pubbliche o industrie farmaceutiche, che poi erogano sussidi da destinare a progetti di ricerca in ospedali o università. O a singoli professionisti, medici o scienziati che siano. 

Secondo questo meccanismo, per esempio, l'ex professore ordinario di microbiologia all'Università di Padova Andrea Crisanti, ora deputato dem, ha potuto contare su sovvenzioni della Commissione Ue (circa 13 milioni di euro), dell'agenzia governativa britannica Bbsrc e del National Institute of Health (Nih) americano di Francis Collins e Anthony Fauci (oltre 5 milioni di sterline). Persino l'agenzia militare statunitense Darpa (Defense Advanced Research Projects Agency), tra il 2017 e il 2021, ha erogato al professore una dotazione di 2 milioni e 600mila dollari per il progetto Safe gene drive technology

Anche i due fondi privati più attivi al mondo, la Bill & Melissa Gates Foundation (Bmgf) e il Wellcome Trust, hanno mostrato un certo interesse per il lavoro di Crisanti. Dalla Bmgf sono infatti arrivati 5 milioni di sterline a sostegno del progetto dell'Imperial College Target Malaria e altri 50 milioni, questa volta di dollari, per un'altra ricerca sulle zanzare, specialità del microbiologo. Crisanti si è detto beneficiario, poi, anche della generosità del Wellcome Trust, la fondazione britannica che finanzia non pochi nomi di Big Pharma (Pfizer, Johnson & Johnson, Novartis, Roche).»  

Il Giornale d'Italia continua con altri grandi protagonisti della farsa pandemica, ovvero Bassetti, Burioni, Pregliasco e Locatelli: 

«La lista di Matteo Bassetti, infettivologo presso l'ospedale San Martino di Genova, è degna di nota quanto quella del collega di apparizioni tv. Tra comitati, consulenze e viaggi, Bassetti ha potuto contare sulle sovvenzioni di Pfizer, Angelini (Tachipirina), Astellas, AstraZeneca, Basilea, Bayer, BioMérieux, Cidara, Correvio, Cubist, Menarini, Molteni, Nabriva, Paratek, Roche, Shionogi, Tetraphase, Thermo Fisher, The Medicine Company. Un caso a parte, poi, è rappresentato dall'azienda farmaceutica tedesca Msd, ossia la Merck, produttrice della pillola anticovid Molnupiravir acclamata dall'infettivologo come miracolosa. Bassetti, infatti, ha incassato a 75.894 euro nel 2018, 55.044 euro nel 2019 e 17.562 nel 2021 (dati Msd-Efpia) per svariate consulenze. Peccato che, dopo un acquisto da parte dell'Italia di 51.840 cicli alla cifra di 32 milioni di euro, il farmaco si sia rivelato un completo flop per ammissione della stessa azienda produttrice. 

 

 

Più modeste, ma comunque rilevanti, sono state le sovvenzioni elargite a Roberto Burioni, che dal 2016 al 2018 ha ricevuto da Gsk, Biogen, Pfizer e Merck circa 16.000 euro, e a Fabrizio Pregliasco, che si è dovuto invece accontentare di 13.000 euro liquidati da Gsk e Sanofi. 

Franco Locatelli, ex presidente della cabina di regia del Comitato Tecnico Scientifico, dal 2016 al 2020 ha ricevuto sussidi per circa 25.000 euro da diverse aziende, tra cui Gilead, Sanofi, Novartis, Amgen e Pfizer. A Massimo Galli, ex primario del Sacco di Milano, è stata invece destinata una donazione di circa 55.000 euro da parte di Gsk e AbbVie. Il motivo? Viaggi e consulenze. 

L'ente preposto a tener conto di questi movimenti di denaro è la European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations (Efpia): insieme alla Farmindustria, che opera sul territorio italiano, redige report periodici con tutti i dettagli relativi a ogni finanziamento. Ogni azienda associata deve infatti precisare il nome dei medici e degli enti che hanno ricevuto bonifici per ricerche, consulenze, seminari, congressi e corsi. Il bilancio per il periodo 2016-2022 è esorbitante: circa 1 miliardo di euro di versamenti.»   

In questa passerella di camici bianchi che hanno beneficiato di lauti finanziamenti, a noi resta invece l'amarezza dei bollettini quotidiani dei malori improvvisi che colpiscono ogni giorno gli italiani

Italiani, ricordiamolo, un popolo che è stato invitato a vaccinarsi in massa perché i vaccini COVID erano considerati "sicuri ed efficaci"

Poi è venuta la volta dei bambini, allorquando i sieri COVID sono stati approvati anche per loro: la maggior parte dei nomi sopracitati hanno invitato insistentemente i genitori a vaccinare senza esitazioni i propri figli. Per Roberto Burioni, per esempio, i bambini erano pericolosi serbatoi del virus

Ed è lunga oggi la lista di quelli morti all'improvviso: gli ultimi, la bimba piacentina di sei anni, mancata per una miocardite fulminante e il bambino di otto, deceduto a Sant'Antonio Abate in provincia di Napoli, per un improvviso arresto cardiaco

Ma la lista si potrebbe allungare quasi all'infinito: pochi giorni prima si era accasciato al suolo mentre si allenava a basket un dodicenne di Favara, provincia di Agrigento. Mentre i malori che mietono giovanissime vittime colpiscono anche in casa: a febbraio se ne era andato a causa di un malore improvviso un ragazzo di quattordici anni dell'Aquila. E pochi giorni dopo era la stata la volta di un dodicenne di Ancarano, provincia di Teramo, ritrovato esanime dai genitori nel cortile della sua abitazione.

 

 

 

 
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