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Post n°209 pubblicato il 17 Dicembre 2025 da daniela.g0
Tag: Beatles, caccia alle streghe, canzoni, Chiesa Anglicana, Chiesa Cattolica, conversione, cristianesimo, fede, Gesù Cristo, Imagine, John Lennon, Paul McCartney, politica, religione, roghi, testamento spirituale
L'avversione di John Lennon per il Cristianesimo: fu costruita ad arte? È noto come John Lennon venga ancora oggi attaccato. La falsa chiesa ha spesso voluto ricordare canzoni del periodo immediatamente successivo allo scioglimento dei Beatles come "God", dove John scrive: "credo solo in me", per rimarcare il suo ateismo, dato arrogantemente per scontato. Ma per un ragazzo cresciuto senza genitori e proveniente dalla classe operaia, a cui era stato ben presto insegnato a guardarsi dalla polizia e a diffidare dalle autorità, questa lucida convinzione potrebbe risultare in fondo prevedibile. La Chiesa Anglicana, alle strette dipendenze della Regina, alto esponente della massoneria britannica, non aveva saputo veicolare probabilmente molti autentici valori cristiani. Ricordiamo come nel novembre 1969 l'artista di Liverpool avesse restituito al governo anglosassone, per protestare contro la guerra, la massima onorificenza conferitagli proprio dalla Regina nell'ottobre 1965. Lennon rimase così molto lontano dalla Chiesa Anglicana. D'altronde lui, che veniva dalla classe lavoratrice, non riusciva a tollerare l'ipocrisia dell'autorità costituita e non accettava gli abusi posti in essere dalle istituzioni. In una visione che oggi, alla luce degli avvenimenti odierni, si rivela lungimirante. Le sue parole nel brano "Working Class Hero" del 1970 sono più che eloquenti: "Appena nati vi fanno sentire piccoli non dandovi tempo, invece di darvelo tutto... Vi feriscono in casa e vi feriscono a scuola, vi odiano se siete intelligenti ma disprezzano uno stupido finché non diventate così fottutamente pazzi da non riuscire a seguire le loro regole... Vi mantengono drogati di religione, sesso e TV e voi pensate d'essere così intelligenti, fuori da qualunque classe e liberi ma siete ancora fottuti zotici, a quanto vedo." Ma John Lennon non nutriva affatto una cattiva opinione su Gesù Cristo. Chi scrive questo, scrive solo il falso. "Gesù El Pifico, uno piccolo bastardo fascista cattolico spagnolo, giallo, puzzolente e unto, che mangia aglio", di cui Lennon scrive nel suo A Spaniard in the Works del 1965, non si riferisce certamente a Gesù Cristo, come è stato scritto per accusare Lennon addirittura di blasfemia. Gesù è un nome molto comunemente usato in Spagna e il riferimento qui è ovvio. Anzi palese. Ma ai giornalisti piace far notizia con rivelazioni eclatanti, che però si rivelano del tutto prive di fondamento. John Lennon aveva stima per la persona di Cristo e lo dichiarò più volte apertamente, a cominciare da quando affermò nel 1966: "Gesù era nel giusto, ma i suoi discepoli erano ottusi e mediocri. È il modo in cui loro lo distorcono ciò che per me rovina il Cristianesimo". Certamente, se osserviamo la Chiesa oggi sotto l'assedio della massoneria, non è difficile comprendere lo sconcerto e lo smarrimento di chi ne è lontano. Mentre i cristiani continuano a mancare troppo spesso di rendere testimonianza. Così, quando Lennon dichiarò nel corso di un'intervista condotta da una sua amica giornalista, Maureen Cleave, avvenuta il 4 marzo 1966 per il giornale londinese The Evening Standard, che "i Beatles sono più famosi di Gesù Cristo", non intendeva offendere Cristo. Lo dirà con chiarezza durante una conferenza stampa, molto arrabbiato quando fu pressato successivamente per scusarsi. "Se avessi detto che la televisione è più famosa di Gesù, nessuno avrebbe protestato. Non sono contro Dio, contro Cristo o contro la religione". Aveva fatto invece il nome dei Beatles e tutti avevano gridato allo scandalo, stracciandosi le vesti. Ma era solo una constatazione senza intenzioni offensive. Ma la rivista americana per adolescenti Datebook aveva pubblicato alcune sue frasi estratte a casaccio dall'intervista con la Cleave, e ne era seguito il putiferio. Negli Stati Uniti i dischi e tutto ciò che riguardava i Beatles venne bruciato in una vera e propria caccia alle streghe animata da una follia collettiva. Fu allora che John Lennon comprese che il suo tempo nei Beatles era giunto ormai a termine e iniziò uno scontro con il governo americano che lo avrebbe condotto, sei anni più tardi, a una battaglia aperta a favore della pace. Come riporterà la prima moglie di Lennon, Cynthia Powell, nel suo libro: John, edito in Italia nel 2006 da Coniglio Editore: "Era scosso e perplesso, e non capiva perché tanta gente dava importanza a quello che aveva detto. Le minacce dei pazzi furono quasi peggio. Ricevemmo terribili predizioni di incidenti aerei e altri accadimenti nefasti, ma solo una colpì veramente John. A differenza di altre lettere, non era ostile o arrabbiata: dagli USA avrebbero sparato a John. Dichiarando quella che secondo lui era la verità, non avrebbe mai pensato di provocare tanto odio e tanta rabbia. Avevo paura anch'io e se avessi potuto impedirgli di andare in tour negli States lo avrei fatto. Ci salutammo chiedendoci se non fosse il nostro ultimo saluto e abbracciandoci in lacrime" (p. 242).
Sopra: una delle tante immagini che mostrano un rogo di tutto il materiale che riguardava i Beatles. Sotto: "rogo dei Beatles" a Waycross, Georgia (U.S.A.), nell'agosto 1966
Anche l'affermazione di Lennon, nel corso della stessa intervista per l'Evening Standard, secondo la quale il Cristianesimo sparirà, non è poi così diametralmente opposta alla celebre profezia - di qualche anno successiva - del professore Joseph Ratzinger sul "piccolo resto". Perché la Chiesa Cattolica si avviava lentamente ma inesorabilmente verso una drastica riduzione, non potendo durare ancora a lungo la presenza di quei tanti "credenti" che di vera fede in Cristo avevano, e hanno tuttora, davvero molto poco. La giornalista Cleave, amica di Lennon, scriverà che nella sua abitazione John possedeva una serie di libri ben ordinati, una vecchia edizione della Bibbia che lui aveva letto più volte, e un crocifisso. Lennon "legge molto sulla religione" e tra i libri della sua biblioteca annovera anche il controverso The Passover Plot di Hugh J. Schonfield, sulla Passione di Gesù Cristo. Passione che, secondo l'autore, avrebbe progettato lo stesso Cristo per poi inscenare la morte in croce. Ma in realtà Lennon - come dichiarò l'amica - non aveva mai creduto alle teorie di Schonfield. Durante il viaggio che il quartetto di Liverpool fece in India, John ricevette una lettera di una fan di nome Beth. La ragazza chiedeva se i Beatles credessero in Gesù Cristo, disorientata dall'esperienza mistica del quartetto che caratterizzò quel viaggio e che avrebbe colpito successivamente in particolare George Harrison. Lennon le rispose con molta dolcezza, assicurandole che "in Gesù Cristo ci crediamo, eccome". Questo il testo completo della sua lettera: "Cara Beth, grazie della lettera e delle tue premure. Se leggi che siamo in India in cerca della pace ecc., non significa che non abbiamo fede in Dio e in Gesù ci crediamo eccome. La meditazione trascendentale non si contrappone ad altre religioni. Si basa sulle verità fondamentali di tutte le religioni, è il denominatore comune." "Gesù diceva «Il Regno dei Cieli è dentro di te» (vangelo di Matteo, ndr) - ed è esattamente questo che intendeva - «il Regno dei Cieli è vicino» - non in un remoto tempo futuro, o dopo la morte, ma adesso. Durante il digiuno ecc. nel deserto per quaranta giorni e quaranta notti, Gesù doveva fare qualche forma di meditazione, non stava solo seduto sulla sabbia a pregare, anche se meditare è una forma di preghiera. Spero che quel ti ho detto abbia un senso per te, sono certo che ce l'ha per un vero cristiano, cosa che cerco di essere in tutta sincerità" (a cura di Hunter Davies, Le lettere di John Lennon, Mondadori, pp. 121-122).
Sopra: John Lennon esegue "Imagine" al pianoforte nella "White Room" della sua residenza inglese di Tittenhurst Park (Ascot, Berkshire). Sotto: copertina della colonna sonora del film documentario: "Imagine: John Lennon", pubblicato il 10 ottobre 1988
Imagine Dopo la morte di John Lennon, fu proprio quel deep state che l'aveva assassinato a tentare di appropriarsi persino della sua eredità spirituale. Un destino paradossale, questo, che pure è comune a tante vittime della massoneria internazionale. Forse le note parole che il generale Carlo Alberto dalla Chiesa confidò alla figlia Rita quando un presentimento di morte lo attanagliava, potrebbero spiegare bene questa amara realtà. Il generale disse alla figlia che la prima corona di fiori giunta in occasione del suo funerale sarebbe stata quella del mandante del suo omicidio. Fu così che quando tutto tristemente si avverò, Rita dalla Chiesa prese la prima corona floreale da poco arrivata e la gettò via. È noto come la massoneria si dimostri sempre molto abile in questo gioco: far apparire come uomini propri coloro che in vita ha dapprima perseguitato e poi infine ucciso. E brillare anche della loro luce riflessa e della loro notorietà. Naturalmente il gioco val bene la candela quando si tratta di personaggi celebri e molto amati dal pubblico. Fu così che "Imagine", la celeberrima canzone di John Lennon, sarebbe stata trasformata in una specie di inno dal sapore massonico, cantata in moltissime e disparate occasioni che nulla avevano a che vedere con il senso originale del brano, voluto da suo autore. Approfittando di un testo che parla di fratellanza universale e vagheggia un mondo senza nazioni, confini e divisioni religiose. Ma era altro il senso del testo scritto da John Lennon. Come ha riportato recentemente il sito Virgin Radio, «In un'intervista con David Sheff per Playboy Magazine, pochi giorni prima della sua morte, Lennon raccontò che Dick Gregory aveva regalato a lui e a Yoko Ono un libro di preghiere cristiane. Fu proprio in questo volume che il musicista trovò l'ispirazione giusta per scrivere questo capolavoro: "Il concetto di preghiera positiva può diventare vero - disse il musicista - se solo riuscissimo a immaginare un mondo in pace, senza alcuna definizione di religione. Questo non significa che non debbano esserci le religioni, ma che bisognerebbe eliminare semplicemente il concetto secondo il quale 'il mio Dio è più grande del tuo'. Una volta la World Church mi chiamò e mi chiese 'Possiamo usare il testo di 'Imagine' modificando una frase in 'Imagine one religion'?'. Questa fu la prova che non avevano capito niente. Questa modifica avrebbe distrutto completamente il senso e l'idea della canzone"». Certo, si potrebbe obiettare senz'altro che il Cristianesimo professa la sua fede in Gesù Cristo come l'unico Signore in cui può esservi salvezza e davanti al quale ogni ginocchio dovrà piegarsi alla fine dei tempi. Ma Lennon risentiva ovviamente del background culturale e artistico che lo circondava a New York. Difficilmente avrebbe potuto descrivere, con parole diverse da quelle, ciò che pensava e sentiva nel 1971, mentre si trovava alla ricerca della verità su Dio, sul mondo e su stesso. Ma vedremo come questa ultima affermazione assumerà maggior credibilità tra poco. Per quanto riguarda inoltre l'accusa mossa all'artista di essere comunista, è interessante riportare qui ancora le parole del sito Virgin Radio: «Oltre all'aspetto riguardante la religione, "Imagine" racchiude anche un significato politico e sociale, per il quale John Lennon ammise si essersi ispirato al Comunismo. Il musicista spiegò che le similitudini tra gli ideali espressi nel brano e quelli comunisti erano volute: "Nel punto in cui dice 'Immagina non ci siano più religioni, Paesi e politica' ricorda virtualmente il Manifesto Comunista - spiegò - anche se in realtà io non sono vicino al Comunismo e non mi riconosco in alcun movimento". Le idee politiche di John Lennon non potevano essere etichettate in una particolare corrente di pensiero: "Sono sempre stato molto aperto dal punto di vista politico - disse in merito - sono sempre stato contro lo status quo. È abbastanza facile quando, come me, vieni cresciuto nell'odio e nella paura nei confronti della polizia, vista come un nemico naturale, e quando vieni abituato a disprezzare l'esercito come qualcosa che porta via le persone e le lascia morire da qualche parte. Ciò che voglio dire è che tutto questo riguarda la classe operaia". Leggendo bene il testo di "Imagine", in effetti, ci si può rendere conto che le parole di Lennon vanno ben oltre gli ideali comunisti, non a caso questa canzone è stata cantata e viene cantata ancora oggi da persone di tutte le fazioni politiche. Questo brano, forse più di altri, è una prova della grandezza di John Lennon e del suo immenso talento come compositore, perché questa melodia e queste parole di speranza riescono davvero a far sognare tutti un mondo diverso».
Paul McCartney e John Lennon al Variety Club Showbusiness Awards tenutosi al Dorchester di Londra, il 13 settembre 1964
Il rapporto con Paul McCartney Certamente a differenza di John Lennon, l'altro Beatle Paul McCartney, proveniva da una situazione familiare più stabile. Se è vero che il connubio con Lennon fu molto fecondo, è vero anche che le idee di McCartney erano molto lontane da quelle dell'amico. Fu così che nel tempo, dopo che i Beatles raggiunsero l'apice del successo, il loro rapporto artistico iniziò a deteriorarsi. All'epoca fan e giornali ritennero Yoko Ono la causa della separazione dei Beatles, ma la verità era un'altra. Il rapporto Lennon/McCartney si era progressivamente distrutto a causa delle divergenze di opinione sul percorso artistico da proseguire. John Lennon era sempre più desideroso di liberarsi dal peso dell'essere un Beatle e dare sfogo senza più orpelli alla sua creatività e alle sue battaglie sociali. Paul McCartney, dopo lo scioglimento dei Beatles avvenuto nel 1970, proseguì invece la sua carriera insieme alla moglie Linda e fondò successivamente un nuovo gruppo musicale, i Wings. Ma occorre notare come l'artista abbia preferito spesso brani, che pur rispettando standard di qualità elevata, hanno privilegiato l'aspetto commerciale. Negli ultimi anni è emerso pubblicamente anche il sostegno di McCartney alla falsa emergenza climatica e ancor prima il suo tacito avallo a tutte le restrizioni poste in essere a livello mondiale, a partire dall'epoca del COVID. D'altronde il baronetto di Liverpool ha tenuto sempre ottimi rapporti, a differenza di Lennon, con giornalisti, buona società e dinastia Windsor. Probabilmente proprio per questo John Lennon, sul finire degli anni Sessanta, definì nel corso di un'intervista Paul McCartney come un ottimo "public relation man". Tutto quello che lui non era e non avrebbe potuto essere.
Il testamento spirituale di John Lennon Probabilmente fu una delle cause principali che fecero scattare velocemente la decisione di ucciderlo, prima che avesse potuto iniziare a muovere milioni di cristiani e forse anche a manifestare apertamente la sua fede in Gesù Cristo. Parliamo di due brani inediti dell'ultimo album di John Lennon: "Double Fantasy", pubblicato il 17 novembre 1980, che mostrano inequivocabilmente come pochi giorni prima di morire John Lennon avesse stretto un rapporto ravvicinato con Dio. I brani in oggetto sono: "Help Me to Help Myself" e "You Saved My Soul". Queste due canzoni rimasero nell'ombra per trent'anni, fino al 2010. Il critico musicale Julián Ruiz, in un articolo pubblicato sul quotidiano El Mundo e sul sito Plastic y Decibelios, scrisse che Yoko Ono volle nasconderli dopo la morte dell'artista non condividendo le posizioni del marito, che si stava avvicinando troppo al Cristianesimo. Ma se davvero fosse stato questo il motivo, non si comprende allora perché Yoko avrebbe dovuto tirarli fuori trent'anni dopo. È più facile che la comprensibile paura o anche delle possibili minacce dopo la morte del marito avessero costretto Yoko Ono a tacere, con un bambino piccolo ancora da crescere. Ma basterà leggere il testo di "Help Me to Help Myself" per comprendere a fondo quanto affermato sopra: "Well, I tried so hard to stay alive/ But the angel of destruction keeps on houndin' me all around/ But I know in my heart/ That we never really parted, Oh no". ["Beh, ho provato duramente a restare vivo/ ma l'angelo della distruzione continua a perseguitarmi ovunque/ ma so nel mio cuore/ che non ci siamo mai veramente separati, oh no".] Così, nella seconda parte del brano, Lennon afferma che nel profondo del proprio cuore non era mai stato soddisfatto e si affida all'amore misericordioso di Dio, certo del fatto che Lui non manca di aiutare coloro che lo cercano: "They say the Lord helps those who helps themselves,/ So I'm asking this question in the hope that you'll be kind/ 'Cause I know deep inside/ I was never satisfied". [Dicono che il Signore aiuta chi aiuta se stesso/ così ti faccio questa richiesta nella speranza che tu sia magnanimo/ perché so nel profondo/ che non sono mai stato soddisfatto.] E' la fine di un percorso sofferto di fede, durato un'intera esistenza, dove egli è consapevole nel profondo di se stesso di non essersi mai veramente separato da Dio. Da notare qui anche la visione, che potremmo definire profetica, che lo sente perseguitato dall'angelo della distruzione (il diavolo) da tempo. Di fatto non è un mistero ma una realtà vissuta della vita cristiana che il demonio si accanisca, con le sue persecuzioni, contro coloro che credono in Dio. E lo temono. Così nel testo di "You Saved My Soul", si legge nella seconda parte: "Oh only you saved me from that suicide/ Because of all my foolish pride/ Well if I could thank you, thank you/ For saving my soul with your true love." [Oh, solo tu mi hai salvato da quel suicidio/ A causa di tutto il mio sciocco orgoglio/ Beh, se potessi ringraziarti, grazie/ Per aver salvato la mia anima con il tuo vero amore.] La certezza che Dio avesse salvato la sua anima, che lo avesse salvato quando era solo e spaventato dall'idea nefasta, avuta per ben due volte, di porre fine alla propria vita. E' da notare, se si effettuano delle ricerche online, come l'intelligenza artificiale di Google suggerisca che sia stata un'altra persona, "forse Yoko Ono" e non certo Dio, a salvare John Lennon dal suicidio nei momenti più difficili della sua vita.
John Lennon con il figlio Sean in visita a Hong Kong nel 1977
Conclusioni Facendo qualche ricerca sul web, non è difficile imbattersi in parole come quelle di chi scrive appena sei mesi fa: "Non puoi andare online da nessuna parte che riguardi John Lennon o i Beatles senza che qualcuno sputi su John Lennon. Ho appena visto un video caricato di recente su YouTube chiamato The Dark side of John Lennon e la maggior parte dei commenti delle persone lo stanno facendo a pezzi, alcuni lo chiamano persino senza talento e alcuni lo chiamano persino il diavolo. John Lennon era davvero così cattivo come dice la gente o sono solo persone cronicamente online che lo odiano, perché posso nominare così tante rockstar altrettanto imperfette o anche peggiori di lui che non ricevono affatto tanto odio quanto John Lennon". D'altronde una certa fetta di cosiddetti cattolici, che si riconoscono come "tradizionalisti", insieme agli efficientissimi giornalisti, si uniscono a questo coro esultante apostrofando Lennon con termini come "blasfemo", "anti Cristo", "porco", "massone" e giù di lì. Non bastava il titolo di "nemico pubblico", già affibbiatogli dai servizi segreti americani alle dipendenze del deep state. A costoro, che si professano cristiani, ricorderei le seguenti parole di Cristo stesso: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio» (Matteo 21,31b). Così, restando all'interno del Vangelo di Matteo, il discorso della montagna può fornirci una conclusione probabilmente perfetta: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Matteo 5,9). Nel ricordo di John Lennon, operatore di pace.
8 dicembre 2025, Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
Post n°208 pubblicato il 17 Dicembre 2025 da daniela.g0
Tag: assassinio, autore, Beatles, canzoni, cristianità, deep state, droga, John Lennon, pace, Paul McCartney, protesta, Richard Nixon, sosia, Theodor Adorno, USA, valori cristiani, Yoko Ono
Migliaia, anzi milioni di persone cercano ogni giorno di cambiare la nostra vita in peggio. Sono davvero poche le persone che cercano invece di cambiare la nostra vita in meglio. John Lennon è stato una di quelle.
John Winston Lennon nacque a Liverpool il 9 ottobre 1940. Suo padre abbandonò la famiglia mentre era ancora piccolissimo e la madre lo affidò alle cure di una zia, abbandonandolo a propria volta. Zia Mimi riteneva la sorella minore "ingenua e imprudente" e, pur essendo animata da buone intenzioni, aveva dei modi tirannici con il nipote. Il piccolo John ne soffrirà moltissimo, e queste tristi esperienze lo avrebbero segnato per il resto della sua vita. Memorabile rimarrà infatti il suo brano "Mother", del 1970, che inizia con il tocco di una campana risuonante a morto e si conclude con un grido straziante: "mamma non andare via... papà torna a casa!". Nel 1958 la madre di John, Julia, morì travolta da un'automobile con alla guida un agente di polizia in stato di ebbrezza. Anni dopo il giovane Lennon avrebbe ricordato la notte dell'incidente come la più brutta della sua vita: "Ho perso mia madre due volte. Una volta da bambino a cinque anni e poi ancora a diciassette. Fu per me causa di molta, molta amarezza. Avevo appena iniziato a ristabilire una relazione con lei quando venne uccisa". Compositore dalle qualità straordinarie, Lennon fu anche poeta e appassionato disegnatore, divertendosi spesso nel ritrarre la caricatura di se stesso. Moltissimo è stato scritto su John Lennon e in tanti lo hanno attaccato duramente, non solo in vita ma anche dopo la morte. Certo, Lennon non era un uno dentro le righe. La sua intelligenza e la sua spiccata personalità traspariva anche dalle numerose interviste. Durante il periodo che l'artista trascorse insieme ai Beatles, Lennon avrebbe rappresentato una voce importante e molto spesso imprevedibile. Ribelle, com'era, ad ogni imposizione proveniente da ogni autorità costituita che non condividesse. Che Lennon avesse le idee chiare in merito ai tanti abusi che il sistema era in grado di porre in atto nei confronti della gente comune, già dai tempi dei favolosi quattro, lo si evince bene dal film documentario "U.S.A. contro John Lennon", uscito il 15 settembre 2006 con la regia di David Leaf.
La teoria inverosimile su Adorno, "l'autore delle canzoni dei Beatles" e la presunta sostituzione di Paul McCartney Non molto tempo fa è stato scritto che il filosofo tedesco di origine ebraica Theodor Adorno sarebbe stato il vero autore delle canzoni dei Beatles. Non solo della musica ma anche dei testi delle canzoni. Frase tanto sconcertante quanto priva di fondamento. Per avere le prove, basterà ascoltare. Moltissime canzoni storiche del gruppo di Liverpool, come per esempio "In My Life", portano la firma evidente del duo Lennon/McCartney, che chiunque abbia un po' di orecchio musicale, non necessariamente esperto, non può non riconoscere. Chi infatti ha ascoltato con attenzione le canzoni dei Beatles nel tempo, ha imparato a riconoscere anche certe sonorità inconfondibili che ne caratterizzarono la musica. Sonorità tanto inconfondibili quanto totalmente innovative e originali che continuarono ad accompagnare i due artisti, John Lennon e Paul McCartney, anche dopo la loro separazione dai Beatles. Già nel 1963 quando i Beatles raccoglievano il primo clamoroso successo, così si esprimevano sul quartetto di Liverpool - in modo quasi unanime - i principali giornali inglesi: «I compositori inglesi più straordinari del 1963 sono, a tutti gli effetti, John Lennon e Paul McCartney... Le settime maggiori e le none si integrano così bene nelle loro canzoni da far pensare che armonia e melodia nascano insieme.» (William Mann, dal quotidiano The Times, 1963) Correva l'anno 1963, due anni prima dell'uscita dell'album dei Beatles: "Rubber Soul". Album che un'assurda teoria vorrebbe il filosofo Adorno come il vero autore delle canzoni presenti sull'LP. Addirittura un ex membro dei servizi segreti britannici dell'MI6, tale John Coleman, ha affermato che Adorno avrebbe scritto sia i testi che la musica delle canzoni. Ma come si può leggere nei giornali dell'epoca, le indubbie ed eccezionali qualità compositive di John Lennon e Paul McCartney erano già apprezzate, da almeno due anni, non solo dal grande pubblico ma anche dalla critica. È altamente indicativo come i Beatles avessero rifiutato categoricamente, fin dagli esordi, di suonare pezzi non composti da loro stessi. "Vogliamo suonare le nostre cose": lo documenta il libro scritto da Mark Lewisohn, Beatles - Otto anni ad Abbey Road, Milano, Arcana Editrice, 1990. Inoltre l'enorme mole di musica e relativi testi che i Beatles produssero negli anni della loro attività, fino al 1970, compreso il loro cimentarsi in musica sperimentale (con strumenti a corde quali il sitar, ad esempio), appare praticamente impossibile considerarla come opera di un uomo solo. E per di più avanti negli anni. E' noto che negli anni più intensi della loro attività creativa, i ritmi di lavoro del gruppo erano divenuti talmente stringenti e pesanti da costringere Lennon e McCartney a trascorrere parecchie notti insonni, impegnati nelle registrazioni dei loro pezzi che venivano costantemente rielaborati. Si consulti a tal proposito il Libro delle canzoni dei Beatles, a cura di Alan Aldridge (Oscar Mondadori, 1979). Basti ricordare come all'epoca i Beatles pubblicarono i loro 45 giri con due "lato A", invece dell'uso comune a tutti gli artisti di pubblicare un "lato B" come semplice riempitivo. Con questo i Beatles vollero indicare come i due pezzi musicali registrati sul 45 giri fossero di pari qualità. Un esempio, il disco che conteneva i brani "Strawberry Fields Forever" e "Penny Lane" del 1967 (Cfr. Christopher Knowles, Storia segreta del rock: Le misteriose origini della musica moderna, LIT EDIZIONI, 7 settembre 2011). Naturalmente sui Beatles, ancor più che sul solo Lennon, sono stati già scritti fiumi di parole e sono state formulate le ipotesi più strampalate. Anche le più fantasiose e inverosimili. Come la vecchia storia che vedrebbe Paul McCartney defunto in un incidente stradale nel 1966 dopo aver rimorchiato una bella donna. Sui personaggi celebri la storiella del sosia che prende il posto dell'originale è ormai vecchia e sfruttata. Persino su Lucia dos Santos, la divenuta celebre pastorella delle apparizioni di Fatima, si è ipotizzato della sua presunta morte prematura e della sostituzione successiva con una sosia. Assurdità smentite dal buon senso, come qualcuno fece notare già all'epoca, quando si portarono come prova certa le differenze negli anni fra la "vera" Lucia e la "falsa": ma basta solo cambiare la prospettiva con cui si scatta una fotografia per far apparire molto diversa la stessa persona da un'immagine all'altra. Ma torniamo a Paul McCartney. Qualcuno, convinto fermamente della sua sostituzione, dovrebbe spiegare allora come mai la voce dell'artista sia rimasta immutata prima e dopo la presunta sostituzione di persona. Forse è possibile costruire mediante vari interventi di chirurgia plastica un volto molto simile a quello di un'altra persona. Ma la voce è ben altra cosa. Evidentemente coloro che scrivono ciò, non hanno mai ascoltato davvero una canzone del celebre quartetto di Liverpool. La voce di McCartney, di notevole estensione e dal timbro unico, come d'altronde rimane unica ogni persona, è certamente insostituibile. Che poi Adorno sia stato il vero autore delle canzoni dei Beatles, allora chi afferma questo dovrebbe spiegare come mai dopo la sua morte avvenuta nel 1969, sia Lennon che McCartney abbiano continuato tranquillamente a comporre. Se davvero l'anima compositrice dei Beatles fosse stata tanto mediocre, bisognerebbe spiegare il perché, dopo il loro scioglimento, i tre compositori: Lennon, McCartney a cui si deve aggiungere George Harrison, si siano profusi in numerosi album ricchi di contenuti musicali. I tre avrebbero dovuto trovarsi in grande difficoltà dopo la morte di Adorno. Invece no. Lennon diede seguito finalmente ai suoi veri interessi oltre che ideali e alla sua battaglia a favore della pace, con canzoni che portavano il suo stile e "marchio" musicale in modo inconfondibile. George Harrison, probabilmente "travolto" dalla creatività del duo Lennon/McCartney, come lui stesso avrebbe dichiarato all'epoca, dopo la separazione dai Beatles uscì addirittura con "l'esplosione" di un album triplo.
L'immagine di copertina dell'album triplo di George Harrison "All Things Must Pass" (1970)
"All Things Must Pass" (Tutte le cose devono passare), pubblicato il 27 novembre 1970, vede un Harrison proveniente dalla recente conversione avvenuta durante il viaggio in India, che i quattro fecero nel 1968. "My Sweet Lord" (Mio dolce Signore) ne è un celebre esempio. La conversione di George Harrison non fu al Dio di Gesù Cristo, anzi bisogna notare che la sua visione su Cristo fu senz'altro più aspra e polemica rispetto a quella che serbava veramente Lennon per il Figlio di Dio. Ma pur sempre ricca di sentimenti profondi verso l'Assoluto e di misticismo.
I Beatles furono degli Anti Cristo? Che poi i Beatles fossero addirittura degli Anti Cristo, quasi identificabili con il male assoluto, che nelle loro persone rappresentassero una caduta programmata e totalmente distruttiva dei valori, che fossero nemici giurati della Cristianità, ebbene, si dimentica come fu il gruppo rivale, quello dei famigerati Rolling Stones, e non i Beatles, a rappresentare tutto il decadimento morale, la passione per il sesso sfrenato, l'uso abituale di stupefacenti e anche un velato occultismo. Lo stesso Paul McCartney dichiarò all'epoca: "L'LSD può aprire alcune porte ma la risposta devi trovartela da solo". La frase, che rimane nella memoria, è riportata sul Libro delle canzoni dei Beatles a cura di Alan Aldridge. Così ancora sullo stesso libro si può leggere come, dopo la celebre "Lucy in the Sky with Diamonds", furono sempre i giornalisti a scrivere con molta sufficienza: "Abbiamo capito: LSD". All'epoca McCartney dichiarò infastidito che questo era davvero troppo. Come lui stesso spiegò, "Lucy in the Sky with Diamonds" nacque per caso, dopo che un giorno il figlio di John Lennon, Julian, tornò da scuola con un disegno fra le mani. Paul allora gli chiese cosa avesse disegnato su quel foglio e il bambino rispose: "Lucy in the sky with diamonds". Ma i giornalisti manipolarono spesso l'opinione pubblica, sfornando delle immagini artefatte e non veritiere sui quattro di Liverpool. John Lennon se ne sarebbe lamentato anni dopo, nel corso di più di un'intervista, sottolineando come su di lui fosse stato scritto un mucchio di falsità.
Gli anni della protesta Se per George Harrison la sua "liberazione" dai Beatles significò dar sfogo alla sua creatività con brani imbevuti di misticismo, per John Lennon invece cominciò una difficile e ardua battaglia. Quella per porre fine alla sanguinosa guerra in Vietnam. Condivise questi interessi come già la sua vita, con un'artista concettuale di origine giapponese residente negli States: Yoko Ono. Yoko diede nuovo impulso e motivazione a Lennon per portare avanti le battaglie in cui credeva fermamente. Dai tempi in cui il giovane Lennon frequentava la scuola d'Arte, aveva sognato innamorarsi di un'artista con cui condividere le proprie passioni. Adesso il sogno sembrava realizzarsi. Anche lei finì molto spesso nel mirino di fan e giornalisti, accusata di essere la causa della separazione dei Beatles. Di Yoko si scriveva una serie di maldicenze, come che fosse brutta, vecchia o altre considerazioni non certo benevole. Tutte critiche che amareggiarono parecchio John Lennon. Furono gli anni dei Bed-In (1969) e, come raccontò lo stesso Lennon, all'inizio i giornalisti si aspettarono di assistere a sesso sfrenato e accorsero numerosissimi. Invece si trovarono di fronte "due angeli che si tenevano per mano".
John e Yoko durante il Bed-In di Amsterdam dal 25 al 31 marzo 1969
Giornali e critica decisero di attaccare anche ferocemente la coppia, che nel frattempo si era sposata il 20 marzo 1969, e molti fan di Lennon avrebbero voluto che egli tornasse con la prima moglie, Cynthia. Ma a Lennon, in fondo, importava poco di quello che scrivessero su di sé i giornalisti o pensassero molti dei suoi fan. Al contrario della totalità degli artisti di ieri e di oggi, Lennon era alla ricerca di qualcosa che potesse dare un senso vero alla propria opera, infischiandosene di quella che era la sua immagine pubblica, che, anzi, in quegli anni fece di tutto per distruggere agli occhi dei fan. Lui, come anche George Harrison, portavano di malavoglia il peso della loro ex appartenenza ai Beatles come "un cadavere appeso alla spalla", come ebbe a dichiarare quest'ultimo. La stessa Yoko Ono racconterà, in "USA contro John Lennon", che John aveva vissuto un'infanzia tormentata e durante tutto il periodo della scuola finiva regolarmente per cacciarsi nei guai e con le spalle al muro. Un ragazzo difficile che non riuscì mai a superare del tutto il dramma dell'abbandono della madre e del padre. Yoko dirà come John gliene continuasse a parlare ancora la sera, quando erano a letto, e di quanto per lui questo continuasse ad essere importante. Lennon, sotto la corazza apparente di "duro", si rivelava così un uomo molto sensibile ma anche fragile che aveva sofferto terribilmente la mancanza di amore soprattutto della madre. E che in qualche modo desiderava che l'amore di cui era stato privato trasparisse adesso nelle proprie canzoni. Pace e amore furono quindi le due parole chiave che avrebbero racchiuso interamente la sua opera artistica del post Beatles. New York, con il suo gran confluire di artisti e nuove tendenze fu la città che attrasse molto la coppia Ono Lennon che decise di restarvi. Fu allora che il potere che Lennon aveva sulle masse si mostrò visibilmente. Non è da ripetere qui la storia, in modo dettagliato, che condusse Lennon a mettersi inevitabilmente contro il governo degli Stati Uniti. Per capire a fondo ciò, basterà, per chi non lo conoscesse, vedere il citato documentario del 2006 che Yoko Ono volle in sua memoria. Tuttavia si deve rimarcare, anzi è doveroso, come Lennon non avesse mai cercato uno scontro diretto con l'amministrazione Nixon. Ma come chiunque allora mostrasse anche un timido accenno di dissenso, fu schedato dai servizi segreti americani come elemento pericoloso.
Nemico pubblico Anzi, come "nemico pubblico". Fu così seguito, intimorito, le sue amicizie vennero spiate, il suo telefono venne messo sotto controllo dai servizi ed infine cacciato via dagli Stati Uniti.
John Lennon e Yoko Ono nel Natale 1969 con un cartello di protesta contro la guerra e interamente vestiti di bianco, il colore preferito da Lennon, ben all'opposto del nero amato dagli occultisti
Quando Lennon, circondato dai giornalisti all'indomani della notifica dell'Ufficio immigrazione della sua espulsione dagli Stati Uniti, fu interrogato dai giornalisti che ipotizzarono come la sua protesta avesse probabilmente fatto scattare quel drastico provvedimento governativo, e se lui intendesse quindi proseguire su quella strada (andavano e venivano allora indisturbati da New York molti artisti, fra i quali anche "il capellone pieno di soldi", Mick Jagger), la risposta secca e senza esitazioni di Lennon fu: "Continuerò la mia battaglia per la pace". Lennon non arretrò di un millimetro nelle sue convinzioni. Nemmeno dopo forti pressioni, dimostrando indubbiamente una vocazione profetica. Ma fu così che firmò purtroppo anche la sua condanna a morte. La sua capacità di muovere e motivare milioni di persone in tutto il mondo era ormai manifesta. Dapprima, quando l'amministrazione Nixon fu costretta a scarcerare l'attivista John Sinclair dietro la sua protesta, successivamente quando i manifesti dove Lennon chiedeva di dare una "possibilità alla pace" furono affissi in tutto il mondo e tradotti in molte lingue. Come avrebbe detto Yoko Ono, "quando ci venivano delle buone idee, John poi le pensava all'ingrande". Il compositore di Liverpool non esitò a finanziare personalmente, dalle proprie tasche, una campagna per dare una chance alla pace, fatta di manifesti che vennero affissi in tutto il pianeta. La gente in America era stanca della guerra del Vietnam che non sentiva propria (ancora non si era giunti a quell'undici settembre per motivare la gente ad accettare tutta una serie di controlli e restrizioni). Quasi la metà dei giovani americani morirono in quel conflitto infinito, si parla - secondo le stime - del 40 per cento. John dichiarò all'epoca: "Se la mia musica servirà a far ritornare a casa anche un solo soldato, allora non sarà stata inutile". Parole profonde, riecheggianti da molto vicino il pensiero e la sensibilità cristiana.
Registrazione di "Give Peace a Chance" al Queen Elizabeth Hotel di Montreal, il 1° giugno 1969
Alla fine, come è noto, Lennon la spuntò con i suoi legali sulla battaglia per ottenere la sua residenza a New York. La notizia arrivò dal suo avvocato proprio il giorno della nascita del figlio Sean, il 9 ottobre 1975, giorno anche del compleanno dell'artista. John era al settimo cielo per entrambi gli avvenimenti. Come racconterà poi Yoko: "Era felice come un bambino". Gli anni che seguirono furono fortunatamente sereni, quando Lennon, per non ripetere l'errore che aveva commesso con il primo figlio Julian nato nel 1963, decise di dedicarsi interamente al bambino ed appendere provvisoriamente "la chitarra al chiodo", come dichiarò lui stesso. Questo concesse alla famiglia cinque anni di tranquillità mentre l'artista vedeva crescere il figlio. Ma quando Lennon tornò sulla scena musicale con "(Just like) starting over" (Proprio come ricominciare), i suoi nemici ritornarono puntualmente ad assediarlo. John aveva voluto l'inizio di questa canzone con un tintinnio di campane a festa, all'opposto e molto diversamente da "Mother", dove le campane suonano invece a morto. Era il suo ritorno, pieno di buoni propositi, ad una nuova attività creativa che non avrebbe potuto prescindere da un rinnovato impegno per la pace.
La morte Ma cinque spari nel buio, la sera dell'otto dicembre 1980 alle ore 22:50 circa, mentre rientrava nel suo appartamento di New York, fecero cessare di batter per sempre il suo cuore irrequieto. Il suo assassino gli scaricherà addosso una rivoltella calibro 38, colpendolo quattro volte, esattamente come era già accaduto prima a John Kennedy e poi a Martin Luther King. Infine a Robert Kennedy, durante i non troppo lontani anni Sessanta. Un uomo con problemi psichici, si disse, che si sedette in strada dopo l'omicidio con aria disorientata e un libro in mano, in attesa dell'arrivo della polizia. Ma anche un candidato perfetto per il programma di controllo mentale MKultra posto in atto dai servizi segreti americani. È da rilevare qui come Lennon non fu assassinato durante la presidenza Nixon, che pure spiava e controllava capillarmente tutti coloro che venivano considerati degli oppositori. Il compositore di Liverpool fu ucciso invece soltanto dopo, non appena fece ritorno alla sua attività e mentre il deep state americano, ovvero le élite anglo sioniste, stavano progettando il futuro scenario mondiale. Uno scenario inquietante fatto di altre guerre e successivi atti terroristici, come quello del famigerato undici settembre, che aveva lo scopo di imporre un regime di controllo e sorveglianza altrimenti non accettabile. Fino al raggiungimento del "capolavoro" del COVID, che, se fosse giunto al compimento voluto dalle élite, avrebbe dovuto condurre la popolazione mondiale al confinamento e alla vaccinazione di massa. Oltre a un regime di stretta sorveglianza mai immaginato prima. È evidente, in questo fosco scenario programmato per gli anni successivi, che la voce scomoda e potente di John Lennon dovesse essere messa a tacere per sempre.
Fine prima parte. Qui la seconda parte dell'articolo.
Post n°207 pubblicato il 08 Novembre 2025 da daniela.g0
Tag: Apocalisse, consenso informato, dati personali, dati sanitari, diritti, dossier sanitario elettronico, DSE, Garante, GDPR, GPDP, Joseph Ratzinger, numeri, persona, privacy, risarcimento, sanzioni, trattamento, Unione Europea, valore economico, violazione
La costituzione del dossier senza che il diretto interessato ne sappia nulla Ebbene, se cerchiamo una risposta, pare proprio di no. Poiché si parla qui di dati riservati e personali, non è possibile omettere qui la mia testimonianza personale, secondo cui il DPO di una grossa Azienda sanitaria pubblica non ha mostrato alcun interesse per il suo ruolo delicato. C'è di più. Se leggiamo attentamente le Linee guida in materia di dossier sanitario del 2015, è scritto a chiare lettere come il dossier sanitario (DSE) possa essere costituito solo dopo aver assolto l'obbligo da parte della struttura sanitaria di un'informativa specifica che deve essere elargita al diretto interessato o al suo tutore. All'informativa deve conseguire quindi il consenso del suddetto interessato, che oltretutto deve essere informato sul fatto che un eventuale suo rifiuto non pregiudicherà l'erogazione delle prestazioni sanitarie, che deve essere sempre garantita. Ebbene, nulla di tutto questo è avvenuto. La sottoscritta si è trovata a suo carico la costituzione di un dossier sanitario, senza che abbia fornito il suo consenso in alcun modo; avendo prova inconfutabile della sua esistenza dall'accesso diretto ad esso da parte di sanitari in regime di libera professione. Di fatto, pur avendo nelle proprie mani una TAC eseguita (a pagamento) in altro Reparto, la sottoscritta ha appurato la presenza delle immagini della stessa sul dossier in oggetto, rendendo completamente inutile e superfluo il dischetto portato di persona. Ma questa purtroppo non è una vicenda meramente personale, che oltretutto ha visto il totale disinteresse del DPO dell'Azienda sanitaria in questione. Il DPO non si è premurato neppure di rispondere a due mail inviate dalla sottoscritta, pur essendo stato informato per via telefonica dell'invio delle stesse, superando il termine di tempo massimo stabilito dal GDPR che fa obbligo al DPO di rispondere entro un mese dal ricevimento della comunicazione. E successivamente, rendendosi anche irreperibile telefonicamente. Questi illeciti commessi assumono anche rilevanza penale. Come riporta il Garante per la Protezione dei Dati Personali nelle Linee guida in materia di dossier sanitario (Allegato A alla deliberazione del Garante del 4 giugno 2015), «si evidenzia che il trattamento dei dati personali effettuato mediante il dossier sanitario in assenza del consenso informato dell'interessato non è lecito e, di conseguenza, i dati personali in tal modo trattati non possono essere utilizzati da parte del titolare (artt. 11, comma 2, 13, 23 e 76 e ss. del Codice). Il trattamento dei dati personali in violazione delle disposizioni sul consenso costituisce una fattispecie sanzionabile amministrativamente, rilevante anche in sede penale (artt. 18, comma 4, 23, 26, 76, 81, 82, 162, comma 2-bis e 167 del Codice). Si precisa poi, che, come anzidetto, la diffusione dei dati personali è espressamente vietata dal Codice e, oltre a comportare l'applicazione della sanzione amministrativa prevista dall'art. 162, comma 2-bis, può integrare la fattispecie di reato stabilita dall'art. 167, comma 2». Ma questa cattiva e inaccettabile pratica ha già dei precedenti. Più di un'Azienda sanitaria ha infatti attivato dossier a tappeto a tutti gli assistiti, i quali ne ignoravano del tutto l'esistenza oppure avevano espressamente negato il consenso alla creazione del dossier. Come ha riportato l'avvocato Ciro Galliano nel 2023: «Nel recente passato sotto la lente dell'Autorità Garante per la protezione dei dati personali sono passate diverse gestioni di Dossier Sanitario Elettronici operate da Aziende sanitarie dove è emerso come la gestione venisse effettuata senza la previsione delle giuste tutele dei dati personali tale che, nei fatti, i dati particolari degli assistiti potevano (e lo erano stati effettivamente) essere oggetto di attenzioni indebite di soggetti non autorizzati anche esterni all'Azienda. All'esito dell'accertamento ispettivo è risultato che le aziende non avessero posto in essere le procedure idonee alla corretta gestione del trattamento, cosicché gli accessi abusivi erano avvenuti ad opera di soggetti che non avevano preso parte al processo di cure o ancora era stato attivato il dossier sanitario per tutti gli assistiti della Azienda sebbene gli interessati avessero espressamente negato il consenso all'uso del dossier oppure non lo avessero mai prestato. I procedimenti in esame si sono conclusi con provvedimenti ingiuntivi di adeguamento che hanno interessato in un caso pure il soggetto erogatore dell'architettura informatica oltre ad elevare sanzioni per diverse decine di migliaia di euro (da 40.000 euro a 70.000 euro)». E ancora, Galliano riporta un caso di hackeraggio dei dati riservati contenuti nei dossier sanitari: «L'ASL 1 Avezzano Sulmona L'Aquila è stata vittima di un attacco di un gruppo di hacker che pare sia riuscito a introdurre nel sistema informatico dell'Azienda Sanitaria un sofisticato ransomware progettato per crittografare al fine di richiedere il pagamento in bitcoin per fornire gli strumenti di decrittazione. Sembrerebbe, inoltre, che vi sia stata anche un'attività di esfiltrazione dei dati contenuti nei dossier sanitari gestiti dall'Azienda sanitaria in quanto risulterebbero pubblicati nel "dark web" oltre 389 Gigabyte di dati possibilmente riconducibili all'ASL 1 Abruzzo (al momento in cui si scrive questa ultima notizia è in fase di accertamento). L'Autorità Garante, ricevuta la comunicazione di Data breach in data 5 maggio 2023 (effettuata ai sensi dell'art. 33 del Regolamento dalla ASL stessa), ha aperto un procedimento di accertamento e ha ingiunto all'ASL 1 di provvedere a comunicare entro 15 gg a ciascun dei soggetti i cui dati sono stati oggetto dell'attacco informatico la violazione, in quanto la stessa si presenta come un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone fisiche a causa della potenziale compromissione di dati personali di cui agli articoli 6, 9 e 10 del Regolamento 679/2016». Dunque, e le Linee guida in materia di dossier sanitario ce lo ricordano, la costituzione del dossier stesso può esporre concretamente l'interessato a una serie di gravi rischi, come già descritto nella Premessa riportata sopra. Tuttavia, come viene dichiarato nelle stesse Linee guida, a fronte di ciò, il Garante si accontenta di chiedere in materia di consenso informato, richiesto per la costituzione del dossier sanitario elettronico, un consenso validamente espresso dal paziente nella forma orale. Non si rende necessaria quindi una forma scritta, benché venga specificato che l'acquisizione del consenso debba essere ben circostanziata ed annotata nel dossier stesso perché possa considerarsi valida. Ma rimane evidente come un consenso che risulti validamente espresso anche solo in forma orale, pur se l'onere della prova di averlo acquisito spetta al titolare del trattamento, permetta più facilmente di perpetrare gravi abusi. Come la più agevole costituzione del dossier all'insaputa stessa del diretto interessato, di cui abbiamo parlato e che abbiamo toccato, purtroppo, con mano.
Il trattamento dei dati sanitari A questi rischi si deve aggiungere anche la possibilità che i dati sanitari riservati e personali vengano usati per determinati scopi. Come ci informa il Garante: «Si evidenzia, inoltre, che i dati sanitari raccolti attraverso il dossier sanitario possono essere trattati, al pari di ogni altra informazione clinica, anche per fini di ricerca nel rispetto di quanto previsto dal Codice per tali tipi di trattamenti, ovvero, in via generale, previa acquisizione del consenso informato del paziente (art. 110 del Codice)». E' possibile che i dati sanitari personali vengano usati anche in situazioni che sono ritenute di emergenza: «Qualora l'interessato abbia acconsentito al trattamento dei suoi dati personali mediante il dossier sanitario, questo potrà essere consultato, nel rispetto dell'Autorizzazione generale del Garante, qualora ciò sia ritenuto indispensabile per la salvaguardia della salute di un terzo o della collettività (art. 76 del Codice e Autorizzazione generale del Garante n. 2/2014 al trattamento dei dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale dell'11 dicembre 2014 - doc. web n. 3619954) ad es., nei casi di rischio di insorgenza di patologie su soggetti terzi a causa della condivisione di ambienti con l'interessato». Mentre i casi di illeciti commessi nel tempo da numerose Aziende sanitarie si moltiplicano: un esempio qui il caso di tre Asl friulane che, attraverso l'uso di algoritmi, avevano classificato gli assistiti in relazione al rischio di avere o meno complicanze in caso di infezione da COVID-19. Siamo nel 2022 e «le Asl avevano elaborato i dati presenti nelle banche dati aziendali allo scopo di attivare nei confronti degli assistiti opportuni interventi di medicina di iniziativa e individuare per tempo i percorsi diagnostici e terapeutici più idonei». «Nel corso dell'istruttoria dell'Autorità è emerso che i dati degli assistiti erano stati trattati in assenza di una idonea base normativa, senza che fosse stato fornito agli interessati tutte le informazioni necessarie (in particolare sulle modalità e finalità del trattamento) e senza fosse stato effettuato preliminarmente la valutazione d'impatto prevista dal Regolamento Ue in materia di protezione dati». «Il Garante per la privacy ha ribadito che la profilazione dell'utente del servizio sanitario, sia regionale o nazionale, determinando un trattamento automatizzato di dati personali volto ad analizzare e prevedere l'evoluzione della situazione sanitaria del singolo assistito e l'eventuale correlazione con altri elementi di rischio clinico, può essere effettuata solo in presenza di un idoneo presupposto normativo, nel rispetto di requisiti specifici e garanzie adeguate per i diritti e le libertà degli interessati, mancanti, secondo il Garante, nel caso di specie. Accertate dunque le violazioni e valutato che nel caso specifico le operazioni, attraverso l'uso di algoritmi, avevano riguardato dati sulla salute di un ingente numero di assistiti, il Garante ha ordinato a ognuna delle tre Aziende di pagare la sanzione di 55.000 euro e di procedere alla cancellazione dei dati elaborati».
No al risarcimento danni automatico per la violazione del GDPR Infine quello che potrebbe apparire come l'ultimo smacco: alla vittima l'onere di provare pure il nesso casuale; non si ha diritto a risarcimento automatico in caso di violazione del Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali. Lo ha stabilito in una sentenza del 2024 la Corte di Giustizia dell'Unione Europea.
«Chi subisce una violazione dei propri dati personali non può pretendere automaticamente un risarcimento, anche se ciò causa danni materiali o morali». La Corte di Giustizia Europea «afferma un principio di per sé non innovativo, ma che rinnova l'attenzione su di una questione importante: non si può pensare di chiedere il risarcimento del danno morale, senza dimostrare la violazione di legge, il danno e il nesso causale». Lo strumento messo a disposizione dal Garante per la Protezione dei Dati Personali al fine di tutelarsi i propri diritti e difendersi dagli abusi, è quello del reclamo o della segnalazione. Al reclamo segue sempre, da parte del Garante, un'istruttoria preliminare e un eventuale successivo procedimento amministrativo formale che può portare all'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 58 del Regolamento. Mentre nel caso della segnalazione, essa non prevede particolari vincoli di forma: viene vagliata dall'Autorità ma non comporta la necessaria adozione di un provvedimento. In entrambi i casi non si ha comunque diritto ad alcun risarcimento.
Conclusioni Se può essere vero che la costituzione e l'attivazione di un dossier sanitario contenente i dati sanitari riservatissimi di ogni persona può rivelarsi senz'altro utile, specialmente per persone molto anziane o nel caso in cui il paziente giunga in Pronto Soccorso in stato di incoscienza, è vero anche che il prezzo da pagare può essere la perdita irrimediabile della propria privacy e la diffusione a terzi di dati riservatissimi, con i relativi gravissimi abusi che ciò potrebbe comportare. Tutto ciò che noi diremo nel chiuso di una stanza a un medico che abbiamo scelto personalmente (e pagato), il quale è vincolato dal segreto professionale, potrebbe divenire potenzialmente oggetto di diffusione a terzi non autorizzati. I possibili abusi, come abbiamo visto, sono molteplici, anche quando il diretto interessato non ha affatto prestato il suo consenso all'attivazione del dossier sanitario. Abbiamo ormai detto addio alla vecchia ricetta scritta dal medico sul classico foglio di carta. Eppure, per secoli era la prassi e ancora lo è stata fino a poco tempo fa. Oggi, il medico batte di volta in volta su un'anonima tastiera tutto quello che noi riferiamo quando parliamo del nostro stato di salute, e i nostri referti saranno interamente digitali. Saremo probabilmente contenti di trovarci fra le mani un foglio stampato ben leggibile, ricordando senza nostalgia i tempi andati in cui non si capiva per nulla o si capiva poco la scrittura quasi indecifrabile del medico. Ma, ricordiamolo, tutto ciò ha un prezzo: il foglio di carta era solo nostro e nessuno ne poteva conoscere il contenuto, oltre a noi e a chi lo aveva redatto. Ciò che viene digitato sulla tastiera di un computer lascia sempre una traccia indelebile che non è affatto facile cancellare. Qui si pone anche il problema della cancellazione dei dati riservati, ove ciò sia ritenuto necessario. Le Aziende sanitarie non sono sicuramente ben preparate ad affrontare questi delicati problemi, né gli oneri e le garanzie di riservatezza che essi comportano. I tempi che corrono, questi "ultimi tempi", ci conducono pian piano verso un sistema in cui la vita di una persona diviene totalmente informatizzata, trasformandola suo malgrado in un "individuo", non più persona, il quale a sua volta viene trasformato in numero. L'Apocalisse di Giovanni ci parla di numeri, e del numero della Bestia impresso «sulla mano destra e sulla fronte» che rende gli uomini suoi schiavi, i quali acconsentono a portare su di sé questo marchio (cfr. Apocalisse 13,16-18).
Il Cardinale Joseph Ratzinger Papa Benedetto XVI, allora il Cardinale Joseph Ratzinger, ha ricordato al mondo nell'anno 2000 che invece Dio chiama ciascuno per nome: Secondo la logica della macchina, secondo i proprietari della macchina, l'uomo deve essere interpretato da un computer, e questo è possibile solo se l'uomo viene tradotto in numeri... La Bestia è un numero e ci trasforma in numeri. Dio nostro Padre invece ha un nome e chiama ciascuno di noi per nome. È una Persona e quando guarda ognuno di noi vede una persona, una persona amata. Sta soltanto a noi, qui e adesso, non consentire a nessuno di trasformarci in numeri.
Qui la prima parte dell'articolo.
Post n°206 pubblicato il 06 Novembre 2025 da daniela.g0
Tag: dati personali, dati sanitari, digitalizzazione, dossier sanitario elettronico, DPO, DSE, GDPR, GPDP, indipendenza, privacy, rischi, trasparenza, violazione
Il dossier sanitario elettronico Si è già parlato del fascicolo sanitario elettronico, del consenso al trasferimento dei nostri dati sanitari pregressi al mese di maggio 2022 e dei notevoli rischi che la sua generazione automatica comporta per la nostra privacy. Ma si parla poco di una realtà attualmente molto presente sul nostro territorio nazionale anche se forse meno nota: il dossier sanitario elettronico. Come si può leggere sul sito del Garante per la Protezione dei Dati Personali nella sezione delle domande più frequenti, «il dossier sanitario è l'insieme dei dati personali generati da eventi clinici presenti e trascorsi riguardanti l'interessato, che vengono condivisi tra i professionisti sanitari che lo assistono presso un'unica struttura sanitaria (ad es. ospedale, casa di cura privata, ecc.)». Nel concreto si tratta dei dati sanitari in formato elettronico relativi allo stato di salute dei singoli pazienti, raccolti in occasione di eventi clinici relativi a prestazioni effettuate sia in regime istituzionale che in regime di libera professione in una struttura sanitaria (sia essa pubblica che privata) e consultabili mediante una interfaccia unificata. Credo che molti di noi abbiano dei trascorsi clinici in un'unica struttura sanitaria, che molto spesso è quella più vicina al luogo in cui ci troviamo domiciliati. Ci informa ancora il Garante che il dossier sanitario differisce dalla cartella clinica, in quanto «il dossier consente di ricostruire la storia clinica di un paziente con riferimento a tutte le prestazioni sanitarie ad esso erogate da una determinata struttura sanitaria. La cartella clinica, invece, è uno strumento che descrive, secondo degli standard definiti dal Ministero della salute, un singolo episodio di ricovero dell'interessato». Inoltre, sempre secondo quanto ci informa il Garante, «il dossier è accessibile da parte di tutti gli operatori sanitari della struttura sanitaria titolare del dossier che prenderanno in cura nel tempo l'interessato». A questo punto il discorso si fa più intrigante: il Garante ci rassicura che, nel caso venga attivato un dossier sanitario sul nostro conto, le informazioni ivi contenute saranno accessibili solo agli operatori sanitari che, nel tempo, ci avranno preso in cura in quella struttura. Inoltre, come sottolinea il Garante, il trattamento tramite dossier necessita del consenso dell'interessato: «È necessario acquisire il consenso informato dell'interessato. Va chiarito tuttavia (e l´informativa deve precisarlo) che l'eventuale mancato consenso al trattamento mediante dossier non incide sulla possibilità di accedere alle cure mediche richieste». Dunque, non è possibile attivare un dossier sanitario elettronico su una persona se questa non ha fornito uno specifico consenso informato.
Le linee guida in materia di dossier sanitario elettronico Andiamo allora alle Linee guida in materia di dossier sanitario (Allegato A alla deliberazione del Garante del 4 giugno 2015), documento che ci fornisce altre preziose informazioni. Nella Premessa il Garante informa (i neretti nel corso del testo sono miei): «Negli ultimi anni l'utilizzo di sistemi informativi per la gestione e la consultazione delle informazioni sanitarie relative alla storia clinica di un individuo ha trovato un'ampia diffusione nel settore sanitario sia nazionale che internazionale. Tale fenomeno è stato colto anche dal legislatore nazionale attraverso la previsione di una disciplina giuridica del Fascicolo sanitario elettronico (FSE) che si colloca all'interno di una crescente attenzione alla materia della sanità elettronica (art. 12, decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179).
Cartella clinica elettronica
La conservazione in forma digitale della cartella clinica (d.l. 9 febbraio 2012, n.5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, art. 47-bis, comma 1-bis), la refertazione on-line sono solo alcuni dei più recenti interventi normativi nel settore, rispetto ai quali le misure a tutela della protezione dei dati personali hanno costituito un importante momento di riflessione istituzionale (cfr. provvedimento del Garante "Linee guida in tema di referti on-line" del 19 novembre 2009, doc. web n. 1679033; decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 agosto 2013, pubblicato in G.U. Serie Generale n.243 del 16-10-2013, su cui il Garante ha espresso parere favorevole). Le politiche di sanità integrata che si stanno sviluppando sia in ambito nazionale che regionale considerano la condivisione delle informazioni sulla salute del paziente tra gli operatori sanitari uno strumento per rendere più efficienti i processi di diagnosi e cura dello stesso, nonché per ridurre i costi della spesa sanitaria derivanti, ad esempio, dalla ripetizione di esami clinici. La sfida che tutti gli attori istituzionali sia nazionali che locali si pongono è, dunque, quella di garantire che i processi di integrazione dei dati sanitari assicurino un buon funzionamento dei sistemi clinici sia in termini di efficacia che di efficienza ed equità nel rispetto dei diritti fondamentali dell'individuo tra i quali si annovera quello alla tutela dei dati personali.» Qui si mette l'accento sul fatto che è diritto fondamentale di ogni persona la tutela dei suoi dati personali, sanitari e riservati. Ancora, continua la Premessa: «Affinché i dossier sanitari in uso presso le strutture sanitarie siano effettivamente degli strumenti di ausilio nei processi di diagnosi e cura dei pazienti è necessario che gli stessi siano realizzati con modalità tali da garantire in primo luogo la certezza dell'origine e della correttezza dei dati e l'accessibilità degli stessi solo da parte di soggetti legittimati. A questi aspetti sono connessi i principali rischi che il Garante ha potuto riscontrare nell'esame di numerosi dossier sanitari oggetto delle istruttorie svolte dall'Ufficio. Tali rischi derivano spesso dalla circostanza che nella maggior parte dei dossier sanitari esaminati gli stessi sono stati sviluppati in modo non strutturale e organizzato, bensì partendo da alcune iniziative estemporanee di informatizzazione delle cartelle cliniche di reparto o di ambulatorio e, quindi, senza tener conto del fatto che si andava predisponendo un sistema informativo in grado di gestire potenzialmente l'intera storia clinica di un individuo. Ciò ha determinato la realizzazione di sistemi in cui la mancanza di certezza sull'autenticità delle informazioni presenti, la possibilità che le stesse siano accessibili e modificabili da parte di soggetti non legittimati o siano persino diffuse, la non disponibilità delle stesse costituiscono rischi reali per lo più non considerati dalle strutture sanitarie almeno nelle prime fasi di realizzazione dei dossier. Molti degli accertamenti ispettivi realizzati dall'Ufficio sono stati avviati, infatti, proprio a seguito di segnalazioni relative ad accessi abusivi ai dossier sanitari: consultazione, estrazione, copia delle informazioni sanitarie accessibili tramite il dossier da parte di personale amministrativo o personale medico che non era stato mai coinvolto nel processo di cura del paziente e che per motivi di interesse personale aveva acceduto allo stesso per poi divulgare le informazioni così acquisite a terzi all'insaputa dell'interessato». A fronte dei vantaggi sopra elencati riguardo la costituzione di un dossier sanitario elettronico su ogni singolo individuo, si delinea qui una serie di possibili abusi a cui l'esistenza stessa del dossier espone gli interessati. Nella maggior parte dei casi sottoposti all'attenzione dell'Autorità l'accesso aveva riguardato informazioni relative a prestazioni sanitarie particolarmente delicate in merito alle quali l'ordinamento vigente ha posto specifiche disposizioni a tutela della riservatezza e della dignità dei soggetti interessati (ad es., affezioni da HIV, interruzione volontaria della gravidanza, parto in anonimato). A fronte di tali rischi e della complessità della materia in rapporto alla disciplina sul trattamento dei dati personali, l'Autorità intende delineare nelle presenti Linee guida un quadro di riferimento unitario sulla cui base i titolari possano orientare le proprie scelte e conformare i trattamenti ai principi di legittimità stabiliti dal Codice, Così si conclude la nostra Premessa. Il Garante ci parla sopra di "rispetto di elevati standard di sicurezza". E ancora di "concreti strumenti di tutela" e di "rispetto del diritto all'autodeterminazione informativa dell'interessato". Infine di "protezione da specifici rischi di accesso non autorizzato". È evidente d'altronde che «l'insieme delle informazioni sanitarie trattate mediante il dossier sanitario costituisce una banca dati di significativo rilievo non solo clinico ma anche economico. È facilmente intuibile, infatti, l'interesse economico che vari soggetti potrebbero vantare nei confronti di tale insieme di dati, la consultazione del quale rende agevolmente possibile ricostruire una significativa parte della storia clinica di un individuo». È quanto viene inoltre affermato al paragrafo 6 delle stesse Linee guida, riguardante i criteri di accesso al dossier. Ci chiediamo allora: questa encomiabile serie di tutele alla persona, sopra descritte, è pratica reale nelle nostre strutture sanitarie? Sottolineo che preferisco usare qui il termine "persona" a quello usato prima di "individuo", con tutte quelle accezioni e sfumature che tale termine riveste nella visione cristiana: la quale si rivela spiccatamente personalistica, a immagine del Creatore, e, come tale, conferente alla persona umana la massima dignità e rispetto. Oppure si tratta invece di nobili propositi che nella pratica reale sono destinati a restare molto spesso disattesi? Il nostro Paese è noto per la formulazione di leggi che nel loro contenuto sono senz'altro ineccepibili ma che nella pratica concreta restano del tutto disattese, a causa di una serie di circostanze che variano dai mancati controlli all'aggiramento delle leggi stesse, ecc.
La nomina del DPO: "Le peggiori pratiche che abbiamo visto" Cominciamo dalla figura dei cosiddetti Data Protection Officer (DPO), introdotti dal GDPR (General Data Protection Regulation), ovvero il Regolamento Ue 2016/679, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento e alla libera circolazione dei dati personali. Detto regolamento è divenuto pienamente applicabile in tutti gli Stati membri a partire dal 25 maggio 2018.
Quello che sappiamo è che la nomina dei DPO è avvenuta in Italia, come spesso accade, in tutta fretta: si è entrati in fibrillazione - qualcuno scrisse allora "da Bianconiglio" - per gli adempimenti con scadenza 25 maggio 2018. L'adempimento più urgente e gravoso era quello della nomina del Data Protection Officer. Naturalmente, nel clima di grande fretta di adeguamento agli obblighi previsti dal GDPR, la loro nomina è stata vista anzitutto come un adempimento puramente formale. Come scriveva allora l'avvocato penalista Francesco Micozzi, «la individuazione e successiva nomina del DPO, pertanto, non può (e non deve) essere intesa quale mero adempimento formale. La scelta, infatti, deve ricadere su un soggetto che sia effettivamente dotato delle qualità professionali imposte dall'art. 37 del GDPR e, in particolare, "della conoscenza specialistica della normativa e delle prassi in materia di protezione dei dati, e della capacità di assolvere i compiti di cui all'articolo 39"». Ma è stato così? «La prova del fatto che la nomina del DPO sia, purtroppo, spesso vista come mero adempimento formale emerge proprio dal testo di molti bandi per l'individuazione e nomina del DPO. In tale situazione possono rientrare sia i casi in cui - senza considerare le responsabilità e la mole di compiti incombenti sulla figura del DPO - si preveda, a titolo di corrispettivo economico, una somma "fino a mille euro annui lordi e omnicomprensivi" o, ancora, ai casi in cui si richiedano al DPO una serie di adempimenti che determinerebbero, automaticamente, l'insorgere di una situazione di conflitto di interessi». Scriveva ancora Micozzi: «Un altro degli errori che si è riscontrato nella recente prassi (e in cui possono incorrere i titolari o i responsabili del trattamento) è quello legato a una scarsa attenzione alla indipendenza che deve necessariamente caratterizzare la figura del DPO. Volendo schematizzare le ipotesi generali in cui possa dirsi assente tale caratteristica di indipendenza del DPO potremmo indicare, in primo luogo, il caso in cui il DPO riceva istruzioni, da parte del titolare o del responsabile del trattamento, per quanto riguarda lo svolgimento dei suoi compiti o, in secondo luogo, per la penalizzazione o la rimozione dall'incarico per aver svolto correttamente al suo incarico o, infine e in terzo luogo, per essersi trovato in una situazione di conflitto di interessi. [...] Con riferimento alla necessità di evitare i casi di conflitto di interesse l'Article 29 WP (nelle linee - guida) e il Garante per la protezione dei dati (nelle FAQ) hanno stilato un elenco delle situazioni-tipo in presenza delle quali è elevato il rischio di conflitto di interessi. Nel settore pubblico, ad esempio, si suggerisce di evitare di nominare quale DPO le figure apicali dell'amministrazione con capacità decisionali in ordine alle finalità e ai mezzi del trattamento, ivi compreso il responsabile IT (chiamato ad individuare le misure di sicurezza necessarie) e il responsabile dell'Ufficio di statistica. Tuttavia, nella pur breve prassi, possiamo riscontrare tante ipotesi in cui le PA hanno delegato o nominato proprio i responsabili IT quali DPO. In altri casi l'incarico è stato dato al soggetto che si occupava già del sito istituzionale dell'ente o a soggetti che erano già nominati quali responsabili del trattamento. Negli ultimi mesi, inoltre, abbiamo assistito anche al fenomeno del rastrellamento di incarichi come DPO. Vi è da chiedersi, tuttavia, se chi abbia ricevuto numerosissimi incarichi come DPO sia effettivamente in grado di svolgere quei compiti che l'art. 39 del GDPR gli riserva. I titolari o i responsabili, a tal proposito, avrebbero ben potuto - nel contratto di nomina del DPO - individuare, tra le condizioni contrattuali necessarie a garantire l'effettività di adempimento ai compiti del DPO, un sistema per limitare il fenomeno dell'accaparramento incontrollato di incarichi a discapito della piena efficacia dell'attività del DPO». E allora, alla luce di tutto questo, ci chiediamo se i sopracitati DPO svolgano correttamente le loro mansioni. Se siano realmente indipendenti, come si legge in bella mostra sul sito informativo di tante grosse Aziende sanitarie sparse sul nostro territorio nazionale. Soprattutto se essi siano davvero i referenti, come dovrebbero, con gli interessati; nel caso in cui si sospetti una violazione dei propri dati personali.
Fine prima parte.
Post n°205 pubblicato il 23 Ottobre 2025 da daniela.g0
Tag: ADE, effetti avversi, Helene Banoun, morte improvvisa, neonati, Nirsevimab, obbligo, RSV, scuola dell'obbligo, studio, vaccinazioni pediatriche, vaccini, virus respiratorio sinciziale, vitamina K
Il vaccino Nirsevimab, un farmaco monoclonale per la prevenzione dell'infezione da virus respiratorio sinciziale si ritorce contro alcuni neonati a causa del potenziamento anticorpo-dipendente (fenomeno definito con il termine ADE: Antibody-Dependent Enhancement). Si tratta di un fenomeno in cui gli anticorpi, invece di neutralizzare un virus, ne facilitano l'ingresso nelle cellule bersaglio, potenziando così l'infezione. Nell'ADE gli anticorpi si legano al virus ma non lo neutralizzano, e invece di bloccare l'infezione, aiutano il virus ad entrare nelle cellule e a replicarsi. L'ADE può condurre ad un'infezione più grave rispetto a una semplice infezione senza la presenza di anticorpi. Il vaccino Nirsevimab è stato reso di fatto obbligatorio in alcune regioni italiane ma è bene informare l'opinione pubblica che si tratta di anticorpi sintetici ad alta tecnologia, i quali non erano mai stati iniettati in un essere umano nei suoi primi giorni di vita. Come riporta infatti il dott. Peter A. McCullough, MD, MPH, «la dott.ssa Helene Banoun ha riassunto gli studi clinici e i primi risultati post-marketing di Beyfortus (nirsevimab) e i risultati non sono affatto buoni. Nonostante le riduzioni teoriche di RSV [virus respiratorio sinciziale, n. d. r.] calcolate dagli studi, i casi osservati di infezione invasiva da RSV e di decesso quasi immediatamente dopo la somministrazione presentano un allarmante squilibrio, con esiti peggiori per i neonati trattati con Beyfortus.
La dott.ssa Banoun ritiene che l'anticorpo possa peggiorare l'infezione da RSV a causa del potenziamento anticorpo-dipendente. Ciò significa che l'anticorpo cattura il virus e le cellule umane a loro volta possono attaccarsi all'estremità dell'anticorpo e trascinare il virus all'interno della cellula, peggiorando l'infezione.
Poiché metà dei bambini contrae il virus respiratorio sinciziale (RSV) nel primo anno di vita e la malattia può essere facilmente trattata con farmaci nebulizzati a casa, il nirsevimab per tutti sembra essere una proposta pericolosa. Non solo l'anticorpo peggiora l'infezione in alcune persone, ma può anche portare a ceppi resistenti di RSV a livello globale, rendendolo un problema di salute pubblica molto più grave nel giro di pochi anni. Se un bambino viene ricoverato in ospedale con RSV, può essere trattato non solo con ossigeno, nebulizzatori, ribavirina, ma anche con anticorpi monoclonali più sicuri (palivizumab) progettati per uso acuto. L'analisi della dott.ssa Banoun suggerisce che i genitori con neonati sani dovrebbero prendere in considerazione l'idea di rinviare l'uso di questa nuova biotecnologia e lasciare che il sistema immunitario naturale si sviluppi spontaneamente». Inoltre, la dott.ssa Banoun afferma che «un numero elevato o sconosciuto di soggetti trattati è stato escluso dagli studi clinici e post-marketing». Malgrado i forti dubbi sollevati da questa analisi, la somministrazione di Niservimab ai neonati è diventata pratica comune negli ospedali italiani. Spesso bypassando anche il consenso dei genitori. E' recentissimo il caso che riguarda due novelli genitori, Nikolett Holländer e Marco Guariglia, i quali hanno rifiutato l'iniezione di vitamina K per la loro neonata, nata a Burlo Garofalo di Trieste il 12 maggio 2025, al momento della nascita. La somministrazione della vitamina K ai neonati non è obbligatoria per legge dello Stato Italiano, ma spesso le famiglie vengono messe di fronte a un obbligo che non esiste. E' quanto ha affermato l'avvocato Francesco Cinquemani, che si è occupato del caso su segnalazione del Comitato Fortitudo Italia, con la presidenza di Maria Grazia Piccinelli. Secondo le recenti dichiarazioni dell'avvocato siciliano, «è stato detto che la profilassi della vitamina K non ha controindicazioni, affermazione molto grave: medici e giudici sminuiscono i contenuti dei bugiardini. I bugiardini contengono però le informazioni essenziali riguardanti un farmaco, ne costituiscono la scheda tecnica, e non possono essere sminuiti». Fra i gravi effetti avversi al farmaco si annovera anche una grave paralisi celebrale infantile, che certamente non può essere minimizzata. Ricordando ancora come, secondo la legge italiana, la somministrazione della vitamina K ai neonati è fortemente raccomandata ma non obbligatoria. Purtroppo nel nostro Paese troppo spesso si continua a giocare sulla disinformazione dei genitori, inventando obblighi di legge che non ci sono affatto. Tali considerazioni risultano valide anche per le vaccinazioni pediatriche, comunemente definite come "obbligatorie". Tuttavia, ai sensi della Legge 119/2017 art. 3- bis comma 5: «Per gli altri gradi (in riferimento alla scuola dell'obbligo, n. d. r.) di istruzione e per i centri di formazione professionale, la mancata presentazione della documentazione di cui al comma 3 nei termini previsti non determina la decadenza dall'iscrizione né impedisce la partecipazione agli esami». Ne deriva dunque che, per quanto riguarda la frequenza della scuola dell'obbligo, i genitori non siano tenuti a depositare alcuna documentazione vaccinale per i propri figli. E' opportuno infatti, per i genitori di minori che hanno scelto di rifiutare le vaccinazioni pediatriche, essere bene informati nel caso in cui la Dirigenza Scolastica comunichi loro una formale richiesta di documenti e adempimenti vaccinali. Qui il fac-simile dell'informativa e della comunicazione. Nel frattempo i nostri cieli continuano ad essere irrorati da sostanze chimiche tossiche, mentre in tutto il Paese, e specialmente nei mesi più freddi, le malattie respiratorie continuano ad affliggere neonati ed anziani con un'incidenza che non registra precedenti con il passato. Solo una banale coincidenza o parte invece di un perverso e diabolico sistema di iniquità, coinvolgente al contempo sanitari, magistrati e autorità scolastiche, che Papa Giovanni Paolo II oggi avrebbe definito «strutture di peccato» ?
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