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Il sospetto sulla morte di Papa Pio XI, la Prima Repubblica e il futuro dell’Italia - Prima parte

Post n°135 pubblicato il 11 Agosto 2023 da daniela.g0
 

Il volto "simbolo" di Anna Iberti, che incarna il nuovo ruolo della donna, attraversa un buco nella copertina del Corriere della Sera del 6 giugno 1946 con la notizia dei risultati della nascita della Repubblica Italiana. (Foto Federico Patellani per il settimanale Tempo, edizione del 15 giugno 1946)  

 

Gli inizi della Prima Repubblica    

Il 2 giugno 1946 nasceva la Repubblica italiana. Finalmente si usciva dal tunnel del conflitto bellico e si guardava al futuro con rinnovata fiducia. 

C'è come un senso nostalgico quando si parla di quei tempi, e si ha la sensazione che quegli anni fossero migliori. 

Alcuni ritengono anche che quel periodo, definito dai giornali italiani Prima Repubblica, fosse ispirato dai valori cristiani, al contrario della Seconda Repubblica, che nacque dopo le elezioni politiche del 1994 in seguito all'inchiesta Mani Pulite e lo scandalo di Tangentopoli, iniziato il 17 febbraio 1992 con l'arresto del politico socialista Mario Chiesa. 

Tangentopoli portò al crollo degli storici partiti che avevano guidato fino ad allora la Prima Repubblica. 

Ma davvero la Prima Repubblica era ispirata dai valori cristiani? E se la domanda potrebbe sembrare sterile ed annosa, in realtà è di importanza fondamentale per comprendere fino in fondo gli avvenimenti odierni che riguardano non solo l'Italia, ma anche l'Europa occidentale. 

Facciamo un veloce passo indietro: molti degli uomini che erano appartenuti ai Comitati di Liberazione Nazionale sparsi sul territorio durante la resistenza, andarono a rivestire poi incarichi pubblici e di governo alla nascita della novella Repubblica. Tra loro un membro che poi fu di eccellenza era il futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini. 

Ma nubi oscure si addensano all'orizzonte. La prima domanda da porsi è chi furono infatti gli uomini appartenenti ai vari Comitati di Liberazione Nazionali e se fu sempre integerrimo il loro comportamento. 

Facendo delle indagini storiche e incontrovertibili, si evince che molti dei membri di quei Comitati non potevano non essere a conoscenza delle stragi e delle sevizie raccapriccianti che contarono come vittime fascisti o presunti tali e che avvennero sul territorio italiano, in particolare nel Nord Italia. 

Stragi che non risparmiarono nessuno, donne giovanissime, donne incinte o bambini. Ne abbiamo già parlato. Un caso emblematico fu il rapimento, lo stupro di gruppo e il feroce pestaggio per tre lunghi giorni di una bambina di appena 13 anni, fino all'esecuzione con un colpo di pistola e all'abbandono del cadavere nudo in un mucchio di altri nei pressi di un cimitero. 

La "colpa" di Giuseppina Ghersi, questo era il suo nome, fu quella di avere scritto a scuola un tema che la maestra decise di inviare al Capo del Governo, ricevendo i complimenti della segreteria particolare del Duce. Per questo episodio la bambina fu accusata di collaborazionismo.

 

Giuseppina Ghersi il giorno della Prima Comunione  

 

Poco tempo fa, al Forum economico di San Pietroburgo, Vladimir Putin ha voluto far trasmettere un documentario contenente i filmati delle stragi orribili che i nazisti di Bandera compirono in Ucraina, su uomini, ma soprattutto donne e bambini di origine polacca o ebraica. Bruciati vivi, mentre neonati venivano inchiodati a delle tavole per poi cavare loro gli occhi. Splendidi bimbi orribilmente mutilati e assassinati. 

Ma quel che accade in Italia nel dopoguerra - come abbiamo visto - non fu affatto da meno rispetto a quei fatti terrificanti. La cosa che colpisce di più ancora oggi, è il silenzio complice di quegli anni arrivato intatto fino a noi. Non una parola sui libri di storia destinati alle scuole, mai un ricordo, mai un memoriale, da parte di una politica ipocrita e corrotta, che è prodiga di memoriali solo quando a dover essere ricordati sono "gli altri". E che rimane in silenzio soprattutto quando si tratta di ricordare le tantissime stragi di cattolici o di cristiani in genere. Basti pensare al silenzio, dal dopoguerra fino ad oggi, sullo sterminio dei cattolici polacchi durante l'ultimo conflitto bellico o l'altrettanto immane sterminio di milioni di russi nei gulag, sotto Stalin.    

 

Il silenzio della gerarchia della Chiesa      

Anche la gerarchia della Chiesa - spiace doverlo ricordare - fu molto tiepida in quei giorni di sangue. Le esecuzioni di massa imperversavano nel Nord Italia dopo quel fatidico mese di aprile del 1945 e le uccisioni continuarono per almeno due anni. In particolare fu colpita l'Emilia-Romagna, eppure sono scarsissime le parole di denuncia arrivate fino a noi. 

Almeno per quello che sono i dati conosciuti a mia disposizione. Fu persino coniato il termine di "Triangolo della morte" per il perimetro compreso tra le zone di Bologna, Modena e Reggio Emilia, data la concentrazione di omicidi. 

Degna di nota è soltanto la denuncia del vescovo di Reggio Emilia Beniamino Socche, all'indomani dell'esecuzione del sacerdote don Umberto Pessina, parroco di San Martino Piccolo di Correggio, avvenuta il 18 giugno 1946. Il vescovo indignato prese pubblicamente posizione al funerale del sacerdote, celebrato solennemente, e dedicò a don Pessina l'orazione nel giorno del Corpus Domini, che cadde il giorno seguente. 

Gli omicidi continuarono e nel Reggiano la situazione era divenuta insostenibile, e così Palmiro Togliatti, segretario del PC, si recò di persona a Correggio. Tenne un discorso molto duro di fronte ai dirigenti provinciali del partito, e così le continue violenze cessarono. Furono aperte le fosse comuni dove erano stati occultati centinaia di cadaveri. 

È molto alto infatti il numero dei preti della Chiesa Cattolica perseguitati ed uccisi in Italia. Un altro timido tentativo da ricordare venne sempre da parte del vescovo di Reggio Emilia Beniamino Socche che nei primi anni Cinquanta costituì un comitato allo scopo di far erigere un monumento al "prete ignoto". 

Purtroppo non riuscì nello scopo a causa della forte opposizione della sinistra locale che ormai aveva assunto il comando totale di quei territori, tanto da poter fermare persino un vescovo in un'iniziativa del genere. Questo fu lo specchio dell'Italia di allora, questi gli albori della famosa Prima Repubblica. 

Una Repubblica della quale non dobbiamo dimenticare le origini. 

Deve far riflettere l'iniziativa del Gran Maestro Stefano Bisi del Grande Oriente d'Italia che ha anche inviato tempo fa una lettera al presidente del Senato Ignazio La Russa. Bisi, intervistato da Radio Radicale, è tornato sulla controversia che ha per oggetto la storica sede del Goi confiscata dal regime fascista e mai restituita alla Comunione dallo stato italiano. La soluzione onorevole, ha spiegato Bisi, potrebbe essere quella di dare applicazione alla transazione firmata nel 1991 che assicurava al Grande Oriente d'Italia 140 metri quadri di Palazzo Giustiniani da destinare a Museo della Massoneria. Quale occasione migliore, ha detto il Gran Maestro, se non dare attuazione a questo progetto in coincidenza con i 75 anni della Costituzione intitolando il Museo a un personaggio importante per l'Italia, Meuccio Ruini, un grande giurista, un grande massone, ingiustamente dimenticato, il cui nome è indissolubilmente legato alla nascita della Repubblica italiana per essere stato eletto nell'Assemblea Costituente e aver presieduto la Commissione dei 75 istituita il 15 luglio 1946 cui toccò il compito di redigere la Costituzione?   

 

Benito Mussolini "appartenente alla massoneria"   

Se questa fu la nascita della Prima Repubblica, c'è anche chi continua a scrivere che Benito Mussolini avrebbe fatto parte della massoneria. Niente di più falso si potrebbe affermare, ed è il palese tentativo di confondere le acque da parte di una certa falsa controinformazione. 

Per le parole: "Benito Mussolini appartenente alla massoneria", basti ricordare fu proprio il Duce a volere la rimozione della corona creata dal Gran Maestro del Grande Oriente Ettore Ferrari dedicata a Giuseppe Garibaldi, primo Gran Maestro della Massoneria italiana. 

Mussolini volle fosse sostituita con i simboli del Fascismo: nel 1943, allorquando vi fu la caduta del regime fascista, la corona fu immediatamente riposizionata, anche se non più l'originale. E se questo fatto da solo non ci dice abbastanza sulla presunta "appartenenza" di Benito Mussolini alla massoneria, basterà ricordare la feroce opposizione che tutte le alte sfere della vita sociale di allora opposero a Mussolini. 

I vertici della Marina, una parte degli industriali, l'aristocrazia, rimasero fedeli ai Savoia, e contro il Duce. Il conflitto bellico fu la grande occasione per poter dare una spallata decisiva a Mussolini. È da non dimenticare come una grande parte degli alti ufficiali della Marina fossero sposati con donne straniere di lingua anglofona e fossero legati doppio filo con la frammassoneria britannica. 

Uno dei grandi errori che Mussolini commise, se di errore si può parlare, fu quello di aver dimostrato invece magnanimità verso i suoi oppositori. Questi, se si esaminano i dati veri e reali, sono fatti storici incontrovertibili: persino l'esecuzione del genero Galeazzo Ciano dopo il tradimento fu voluta ostinatamente - come scriverà nelle sue memorie la figlia di Mussolini, Edda - da donna Rachele, "il vero dittatore di casa". 

Come è noto, donna Rachele era la moglie di Benito Mussolini e madre di Edda, a sua volta sposata con Galeazzo Ciano.   

 

Il Presidente più amato dagli italiani     

Un'altra tesi solitamente molto sostenuta è quella vede il "Presidente della Repubblica Sandro Pertini" come "il più amato dagli italiani". Ma a parte le simpatie calcistiche e un'abile opera di propaganda mediatica a suo favore, quello che invece ci rimane storicamente è la sua appartenenza al Comitato di Liberazione Nazionale durante le stragi partigiane. Rimane anche il suo legame con Giuseppe "Vero" Marozin, partigiano della Brigata Pasubio e colpevole di crimini (prima che divenisse partigiano), nonché accusatore dello stesso Pertini quale mandante della strage Ferida Valenti. Rimane anche il sospetto su di lui per essere implicato nell'attentato di via Rasella.

 

25 aprile 1945, Pertini tiene un affollato comizio in Piazza Duomo a Milano. Marozin è il primo alla sua sinistra  

 

Rimangono anche le sue numerose intemperanze mentre era lontano dalle telecamere e le sue indebite pressioni sulla stampa allorquando fu pubblicato un articolo non gradito su di lui. E le ingerenze allo scopo di ottenere un licenziamento. 

Appena fu eletto presidente della Repubblica, inoltre, Sandro Pertini concesse la grazia a Mario Toffanin, ex partigiano comunista responsabile del massacro di Porzus, nonostante non si fosse mai pentito dei suoi crimini e per questi fosse stato condannato all'ergastolo.

Il massacro di Porzus avvenne nel febbraio 1945 a causa di un'accusa di spionaggio falsa. Furono pertanto fucilati ben 17 partigiani appartenenti alla Brigata Osoppo, cattolici e socialisti, da parte di partigiani comunisti appartenenti al Gap. A Toffanin uscito dal carcere lo Stato italiano concesse pure la pensione di cui godette per vent'anni. 

Eppure quando si ricordano questi fatti storici sorge quasi sicuramente qualcuno dalla cosiddetta "controinformazione" pronto ad indignarsi. Sembra che ancora ora non si voglia affatto che venga alla luce la verità, mentre certi personaggi che hanno fatto parte della storia del nostro Paese rimangono intoccabili e tali devono restare. Probabilmente perché con il falso mito della loro memoria si deve continuare anche a tenere in piedi il falso mito della Prima Repubblica, da ricordare con nostalgia e desiderio. 

Nostalgia: forse, perché certamente erano presenti allora valori che sono stati cancellati. Anche la classe politica aveva una cultura e una dignità che oggi è soltanto un ricordo. 

Ma è vero anche che questi uomini avevano un vissuto e uno spessore culturale di un'altra epoca, dove ancora non era arrivato il nichilismo moderno. 

Tuttavia, se i tempi furono apparentemente migliori, la Prima Repubblica viaggiava a velocità rapida verso la Seconda. Il boom economico degli anni Sessanta non fu casuale ma voluto dai nostri Alleati e liberatori perché in quel periodo storico faceva comodo un'Italia forte. Forte sì, ma mai sovrana. 

La sovranità persa dall'Italia in quel fatidico 1945 non fu mai riacquistata. Quando alcuni uomini di valore tentarono di risollevare la testa per servire il Paese e dare all'Italia indipendenza economica e sovranità, furono puniti con la morte o con l'esilio e il pubblico ludibrio.   

 

Il caso Mattei   

E' il caso di Enrico Mattei che fu sul punto di liberare l'Italia dalla sua dipendenza energetica, osando sfidare le Sette Sorelle, le grandi compagnie petrolifere americane. 

L'aereo di Mattei decollato a Catania fu manomesso dalla mafia, braccio armato delle massonerie, per poi esplodere in volo nei cieli della Lombardia e precisamente a Bascapè, 1755 anime da ultimo censimento, ad est di Pavia, dove alcuni videro un piccolo aereo precipitare ed esplodere, avvolto dalle fiamme. I testimoni dell'epoca assistettero dunque all'esplosione, salvo poi ritrattare dietro compensi: a molti furono costruite persino delle abitazioni in cambio del silenzio, secondo quanto raccontano ancora oggi abitanti di quelle zone che ho potuto ascoltare personalmente. Oppure i testimoni ritrattarono dietro minacce.

 

Enrico Mattei sull'aereo aziendale (fonte: archivio storico Eni)  

 

Era la sera del 27 ottobre 1962 quando avvenne la tragedia. 

Vennero aperte due indagini: la prima dal 1962 al 1966, affiancata dal lavoro di una commissione ministeriale incerta tra un guasto e un errore del pilota, malgrado si trattasse di un pilota di eccezionali capacità. Il pm Santachiara diede la colpa alla stanchezza di Bertuzzi, una leggenda dell'aria che si sarebbe affaticato nel breve tragitto dalla Sicilia alla Lombardia. 

La seconda inchiesta fu aperta nel 1994. Si diede concretezza al sospetto che sulla morte di Mattei ci fosse la mano della mafia, che avrebbe potuto agire per conto terzi. Il pm Vincenzo Calia accumulò una mole di documenti e carte, con 12 perizie e 614 testimoni sfilati in aula a deporre, 13 faldoni e 5000 pagine. Venne riesumata la salma di Mattei per altri accertamenti, arrivando alla conclusione e all'ipotesi di un ordigno esploso a bordo dell'aereo. 

L'inchiesta fu incredibilmente archiviata. Quando venne intervistato anni fa, il magistrato Calia affermò a proposito del padre dell'Eni: «Mattei si poneva come obiettivo l'autonomia energetica dell'Italia, la sua scomparsa azzerò quel progetto industriale e il nostro Paese tornò a dipendere dai grandi produttori internazionali».   

 

Due uomini troppo ingombranti      

Sulla figura di Aldo Moro, assassinato materialmente dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978 ma in realtà su mandato del deep state americano, e su quella di Bettino Craxi, non mi soffermo, perché le due figure meriterebbero un articolo a parte data la complessità delle vicende. 

Soltanto una brevissima considerazione: fu da un emendamento di Aldo Moro che, nell'articolo 32 della Costituzione italiana, prese forma il secondo comma in merito all'obbligo «a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Moro volle fosse precisato anche che: «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dalla dignità umana»

Parole di importanza fondamentale, quelle che Aldo Moro fece integrare al testo della Costituzione agli albori della novella Repubblica: esse, alla luce dei fatti gravissimi accaduti in Italia a partire dal marzo 2020, assumono oggi tanto più importanza dopo il golpe mondiale del COVID e l'imposizione del certificato verde ai lavoratori italiani. 

È come se Moro avesse già intravisto i pericoli che correva la Repubblica democratica fondata sul lavoro. 

Un altro doveroso cenno in proposito della vicenda accaduta a Sigonella nel 1985, quando Craxi rese l'Italia un Paese sovrano, e per questo pagò con l'operazione ad orologeria della giustizia italiana "Mani Pulite", il fango mediatico e l'esilio in Tunisia. Gli fu negato, essendosi poi ammalato gravemente, persino la possibilità di curarsi in Italia o in Francia.

Eppure si trattava della stessa Francia che diede asilo a tanti uomini ricercati dalla giustizia italiana per terrorismo e che si macchiarono di crimini gravissimi. 

È importante rilevare come in quel momento l'Italia avesse un orientamento politico filo arabo. Dopo la caduta voluta e programmata di Bettino Craxi e l'avvento della "Seconda Repubblica", la nuova classe politica italiana ormai totalmente asservita alle élite internazionali e di scarso profilo culturale, sarà esclusivamente filo israeliana. 

A significare il cambio di passo di governi solo di facciata e a servizio di quei gruppi finanziari che decidono da troppo tempo le sorti dell'Occidente. 

Sono da non dimenticare, a tal proposito, le parole che l'allora presidente del Consiglio Bettino Craxi pronunciò nel 1984 in occasione delle discussioni che accompagnarono la normativa da cui nacque l'otto per mille alla Chiesa Cattolica, con la revisione del Concordato del 1929. 

Craxi comandò perentorio: «Non affamate i preti». Secondo la convinzione «che l'Italia, il tessuto e anche la vita democratica del Paese senza la Chiesa e il suo clero non reggevano» (Gennaro Acquaviva, "Quello strumento di conciliazione e di solidarietà", L'Osservatore Romano, 14 febbraio 2010).

 

Bettino Craxi (Milano, 24 febbraio 1934 - Hammamet, 19 gennaio 2000)  

 

La figlia di Bettino Craxi, Stefania, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera pochi mesi fa, ha ricordato un episodio tratto dalla vita familiare, quando lei e il padre erano soliti recarsi di domenica a passeggiare nei pressi del lago di Como. Fu una di queste volte che si ritrovarono davanti al cancello dove era stato fucilato Benito Mussolini. 

Il cartello posto diceva: «fatto storico». Indignato, Bettino Craxi esclamò: «Che ipocrisia, si vergognano di quello che hanno fatto!». Portò quindi la figlia da un fioraio, comprò un mazzo di fiori e tornò a deporlo sul luogo dove Mussolini era stato assassinato. 

Già, dove aveva perso la vita Benito Mussolini, fino all'ultimo rimasto al servizio del Paese. Come sottolineò egli stesso nella sua ultima intervista, avrebbe potuto fare riparo alla caduta del Fascismo in un Paese dell'America Latina. Invece Mussolini volle accettare l'incarico di capo del governo della Repubblica Sociale Italiana, non volendo lasciare quel che restava del Paese allo sbando, e firmando così lucidamente e consapevolmente la sua condanna a morte.    

 

Fine prima parte. Qui la seconda parte dell'articolo. 

 

 

 

 
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