Dedicato a Barry

Le anime degli animali torturati gridano per la giustizia, Le loro urla da vivi sono per la libertà. ANIMAL LIBERATION FRONT

 

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Post N° 40

Post n°40 pubblicato il 21 Gennaio 2008 da A.L.F.66

Ho avuto modo di rileggere questa "pagina" di libro e mi sono chiesto se poteva essere interessante per qualche passante di questo umilissimo blog:

Un giorno Febo uscì, e non tornò più.
Lo aspettai fino a sera, e scesa la notte corsi per le strade, chiamandolo per nome. Tornai a casa a notte alta, mi buttai sul letto, col viso verso la porta socchiusa. Ogni tanto mi affacciavo alla finestra, e lo chiamavo a lungo, gridando. All'alba corsi nuovamente per le strade deserte, fra le mute facciate delle case che, sotto il cielo livido, parevano di carta sporca. Non appena si fece giorno, corsi alla prigione municipale dei cani.
Entrai in una stanza grigia, dove, chiusi in fetide gabbie, gemevano cani dalla gola ancora segnata dalla stretta del laccio del chiappino. II guardiano mi disse che forse il mio cane era rimasto sotto una macchina, o era stato rubato, o buttato a fiume da qualche banda di giovinastri.
Mi consigliò di fare il giro dei canai, chi sa che Febo non si trovasse nella bottega di qualche canaio? Tutta la mattina corsi di canaio in canaio, finalmente un tosacani, in una botteguccia di Piazza dei Cavalieri, mi domandò se ero stato alla Clinica Veterinaria dell'Università , alla quale i ladri di cani vendono per pochi soldi gli animali destinati alle esperienze cliniche.
Corsi all'Università, ma era già passato mezzogiorno, la Clinica Veterinaria era chiusa. Tornai a casa, mi sentivo nel cavo degli occhi un che di freddo, di liscio, mi pareva di aver gli occhi di vetro. Nel pomeriggio tornai all'Università, entrai nella Clinica Veterinaria. Il cuore mi batteva, non potevo quasi camminare, tanto ero debole e oppresso dall'ansia. Chiesi del medico di guardia, gli dissi il mio nome. II medico, un giovane biondo, miope, dal sorriso stanco, mi accolse cortesemente e mi fissò a lungo prima di rispondermi che avrebbe fatto tutto il possibile per aiutarmi. Aprì una porta, entrammo in una grande stanza nitida, lucida, dal pavimento di linoleum azzurro. Lungo le pareti erano allineate l'una a fianco dell'altra, come i letti di una clinica per bambini, strane culle in forma di violoncello; in ognuna di quelle culle era disteso sul dorso un cane dal ventre aperto, o dal cranio spaccato, o dal petto spalancato. Sottili fili d’acciaio, avvolti intorno a quella stessa sorta di viti di legno che negli strumenti musicali servono a tender le corde, tenevano aperte le labbra di quelle orrende ferite: si vedeva il cuore nudo pulsare, i polmoni dalle venature dei bronchi simili a rami d'albero, gonfiarsi proprio come fa la chioma di un albero nel respiro del vento, il rosso, lucido fegato contrarsi adagio adagio, lievi fremiti correre sulla polpa bianca e rosea del cervello come in uno specchio appannato, il groviglio degli intestini districarsi pigro come un nodo di serpi all’uscir dal letargo.
Non un gemito usciva dalle bocche socchiuse dei can i crocifissi. Al nostro entrare tutti i cani avevano rivolto gli occhi verso di noi, fissandoci con uno sguardo implorante, e al tempo stesso pieno di un atroce sospetto: seguivano con gli occhi ogni nostro gesto, ci spiavano le labbra tremando. Immobile in mezzo alla stanza, mi sentivo un sangue gelido salir su per le membra: a poco a poco diventavo di pietra. Non potevo schiuder le labbra, non potevo muovere un passo. Il medico mi appoggiò la mano sul braccio, mi disse: "Coraggio".
Quella parola mi sciolse il gelo delle ossa, lentamente mi mossi, mi curvai sulla prima culla. Di mano in mano che progredivo di culla in culla, il sangue mi tornava al viso, il cuore mi si apriva alla speranza.
Ad un tratto, vidi Febo. Era disteso sul dorso, il ventre aperto, una sonda immersa nel fegato. Mi guardava fisso, e gli occhi aveva pieno di lacrime. Aveva nello sguardo una meravigliosa dolcezza. Non mandava un gemito, respirava lievemente, con la bocca socchiusa, scosso da un tremito orribile. Mi guardava fisso, e un dolore atroce mi scavava il petto. "Febo" dissi a voce bassa. Febo mi guardava con una meravigliosa dolcezza negli occhi. Io vidi Cristo in lui, vidi Cristo in lui crocifisso, vidi Cristo che mi guardava con gli occhi pieni di una dolcezza meravigliosa. "Febo" dissi a voce bassa, curvandomi su di lui, accarezzandogli la fronte. Febo mi baciò la mano, e non emise un gemito. Il medico mi si avvicinò, mi toccò il braccio: "Non potrei interrompere l'esperienza", disse, è proibito. Ma per voi... Gli farà una puntura. Non soffrirà ". Io presi la mano del medico fra le mie mani, e dissi, mentre le lacrime mi rigavano il viso: "Giuratemi che non soffrirà ". "Sì addormenterà  per sempre", disse il medico, "vorrei che la mia morte fosse dolce come la sua". Io dissi: "Chiuderà gli occhi. Non voglio vederlo soffrire.
Ma fate presto, fate presto!". "Un attimo solo" disse il medico, e si allontanò senza rumore, scivolando sul molle tappeto di linoleum. Andò in fondo alla stanza, aprì un armadio. Io rimasi in piedi davanti a Febo, tremavo orribilmente, le lacrime mi solcavano il viso. Febo mi guardava fisso, e non il più lieve gemito usciva dalla sua bocca, mi guardava fisso con una meravigliosa dolcezza negli occhi. Anche gli altri cani, distesi sul dorso nelle loro culle, mi guardavano fisso, tutti avevano negli occhi una dolcezza meravigliosa, e non il più lieve gemito usciva delle loro bocche. Ad un tratto un grido di spavento mi ruppe il petto: "Perché questo silenzio?", gridai, "che cos'è questo silenzio?".
Era un silenzio orribile.
Un silenzio immenso, gelido, morto, un silenzio di neve. Il medico mi si avvicinò con una siringa in mano: "Prima di operarli", disse, "gli tagliamo le corde vocali".
 (Curzio Malaparte, "La Pelle)

 
 
 

...E quindi uscimmo a veder le stelle.

Post n°37 pubblicato il 04 Gennaio 2008 da A.L.F.66

(Francia, 23 Luglio 2007 / 03 Gennaio2008)

Ecco sono qui!

Avanti:
parli il giudice solenne,
indichi il sommo
la mia colpa.
Tu,
sfrenato apostolo del pensare superiore:
acclama il tuo giudizio.
Tu,
non condanni me,
ma questi occhi che io difendo:

 


Avanti,
se il gesto all'ieri impose la condanna
avanti:
Sia perpetrata contro di me
quel che voi chiamate Giustizia!


 

 

Nascondi ad estranei
quale dolore t'affligge,
ascolta:

ciò che di bello
Sorte benigna ti dona


dividi felice con altri,

lieto nel cuore,
la gioia rendi comune.


Ma orribile fato,
che intollerabile abbatte,
nascondi:


è bene nell'ombra celarlo.
 (Pindaro)

 
 
 

Post N° 36

Post n°36 pubblicato il 09 Luglio 2007 da A.L.F.66

«Sono venuto, ho fatto piano,
ti ho chiamato dalla strada,
dal giardino, dalla finestra chiusa,
ma di te non ho sentito il più debole respiro.
C’era nella casa
soltanto il battito del mio cuore.»
(R.Battaglia)


Due mesi… Due mesi lontano da tutto e da tutti, due mesi passati a cercar me stesso, a pormi domande e cercarne le risposte. La rabbia era grande, troppo grande per non essere pericolosa per me e per qualcun’ altro, quel “qualcuno” cui devo dei “ringraziamenti” per avermi tolto la presenza di mia madre.


Sono stato per alcune settimane ospite di un amico, in un luogo stupendo:
l’Abbaye Cistercienne Notre Dame de la paix a Castagniers, dovevo elaborare, metabolizzare il mio dolore e la mia ira… Spero di esserci riuscito.

Quello che la legge poi dirà non m’importa, non ho mai creduto in essa e comunque non potrà ridarmi ciò che ho perduto.


Ora torno al mio lavoro, da mia moglie e dai miei (e non) animali.

Vi ringrazio per le parole di conforto che avete lasciato qui e in messaggeria, in ogni caso passerò da voi per lasciarvi un segno della mia riconoscenza.

 
 
 

            :(

Post n°35 pubblicato il 11 Maggio 2007 da A.L.F.66
Foto di A.L.F.66

.

Sul piccolo paese dove vivo sono scesi i tristi rintocchi delle campane…

.

Si, mia madre è morta!!

 

 

Le speranze di questi mesi sono finite in quattro giorni d’agonia…
Non solo sono distrutto nell’animo, sono letteralmente furioso,
tutti dobbiamo lasciare la vita terrena, ma c’è modo e modo.

A gennaio mia madre fu colpita da infarto, nonostante l’età e il fatto che il suo cuore fosse sofferente (il primo intervento cardiochirurgico risale al 1962) tutto faceva sperare in un discreto recupero, sennonché cominciarono altre sintomatologie, dalla marcata inappetenza al rigonfiamento dei piedi, dalla persistente nausea e vomito alla depressione. Sono seguiti altri ricoveri, anche prolungati, in cui i medici dichiaravano che fosse solamente una sorta d’inconscio rifiuto alla vita… Un rifiuto inconscio che gonfia i piedi? Mah.

Più il tempo passava più mia madre perdeva autonomia, finché un medico, dopo svariate analisi, mi disse: “ Sua madre ha il fegato completamente compromesso, altro che rifiuto alla vita, ecco il perché non riesce a nutrirsi e, non bevendo, la mancata o scarsa diuresi spiega il rigonfiamento degli arti inferiori”.

Azz!! E adesso? “Mi dispiace, oramai è troppo tardi, anche i reni iniziano a deteriorarsi…” Ma perché tutto ciò? “Non capisco, dalle cartelle cliniche dei precedenti ricoveri non c’è traccia di queste problematiche, in ogni caso ritengo che, visto le indagini svolte, la causa stia in una cura farmacologia non adeguata… Le saprò dire qualcosa in più tra qualche giorno”.

 

La risposta è arrivata proprio nel giorno in cui mia madre, ridotta oramai alla pelle ed alle ossa, dopo un’atroce agonia vissuta con mente lucida se ne andava…

 

I medici anziché curarla l’hanno uccisa!

 

 

 

Strano destino questo, io che mi batto in tutti i modi possibili contro la vivisezione, perdo mia madre per colpa di farmaci sbagliati…

Non ho più lacrime, a quarantuno anni mi ritrovo con mia sorella, mio padre e mia madre che mi guardano dal cielo...

 

 

 

 

 

 
 
 

GRAZIE A TUTTI

Post n°34 pubblicato il 05 Marzo 2007 da A.L.F.66
Foto di A.L.F.66

Da quando ho lasciato il mio blog sono passati quasi due mesi, due mesi passati ad occuparmi solo ed esclusivamente della persona a me più cara, mia madre.

La sua salute, dopo un miglioramento iniziale, è diventata via via sempre più critica, le mille vicissitudini che il suo corpo e il suo spirito hanno sopportato nel corso degli anni, sono diventate macigni crollati sul suo animo. La donna battagliera e piena di voglia di vivere che ho sempre conosciuto è all’improvviso scomparsa, lasciando solo un volto stanco e scarnito. Se tutto va “bene” fra qualche settimana sarà dimessa, ma quella persona che uscirà non sarà mai più la stessa… Chi si occuperà del suo tanto amato giardino pieno di mille fiori e di mille piante? A chi, io mi rivolgerò per cercare conforto?

La vita mi ha fatto incontrare una moglie stupenda, ho potuto svolgere una professione che mi dà moltissime soddisfazioni, ho la compagnia dei miei amatissimi animali… Ma niente e nessuno potrà colmare la mia pena.

Comunque sono ritornato per continuare a divulgare le atroci sofferenze che devono sostenere i miei “fratelli” più deboli. Vi ringrazio tutti per i messaggi che avete lasciato sia su questo modesto blog, sia in messaggeria. Che Dio vi benedica.

C’è una poesia di Romano Battaglia che rispecchia un poco il mio attuale stato d’animo e ve la voglio far leggere:

Quando mia madre morirà,
ci sarà solo il vento
sull’uscio di casa ed io
di lontano, sentirò un brivido
nel cuore. Correrò al paese
ma nulla più troverò.
Mia madre sarà vestita di nero,
le mani aperte per accarezzarmi
e sulla bocca un sorriso di dolore
stretto fra i denti sino all’ultimo
per non spaventarmi.”

 
 
 
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INFO


Un blog di: A.L.F.66
Data di creazione: 18/09/2006
 

PREGHIERA DEL CANE RANDAGIO

Con passo vacillante
e con il corpo stremato
giungo alla fine dei miei giorni.
Forse stasera morirò
e da sotto questa quercia
con l’ultimo respiro, che mi resta in gola,
vorrei ringraziare il Signore
per il pane che mi ha fatto trovare
nella spazzatura,
per l’acqua che ha fatto scendere dal cielo per
dissetarmi,
per i sacrati delle chiese
dove ho potuto ripararmi.
Si, Signore,
io sono uno di quelli
uno fra i tanti che non sa
cos’è il calore di una cuccia,
il sapore di un osso,
la carezza di un padrone.
Conosco solo
il dolore dei calci sul dorso,
le sassate sulla fronte,
le gomme di quella macchina
che mi hanno spinto nel burrone.
Ricordo, poi
quella mano, grande, pesante,
che ancora cucciolo mi ha
abbandonato nella strada,
dove vissi tutto il mio calvario.
Ho attraversato monti, boschi e paesi
nessuno mai, mi ha tenuto con sé,
nessuno, mai, mi ha dato un nome.
Dalla nascita ho sempre portato il tuo
“ Cane.”
Signore,
tante sono le cose che vorrei dirti;
ma…..
il cuore ha rallentato il battito  
e il respiro s’affievola sempre più.
Perdonami! E ti supplico:
fa che la mano dell’uomo
non abbandoni più
un cucciolo nella strada.
E’ triste vivere da vagabondi,
è penoso essere soli,
ed essere soprattutto semplicemente
solo un cane.
Abbracciami almeno tu
         
in quest’attimo.
Perché?
Perché anch'io ti appartengo

Tratto dal libro: "Voci di canili"
 Autrice: d.ssa Anna Mazziotti

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FREEDOM

 

FINALMENTE LIBERI

 

VIVISEZIONE

Da guardare in assoluto silenzio...

 
 

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