Creato da: Antologia2 il 08/08/2008
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Post N° 46

Post n°46 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da citazioni_bellisssss

 

Lo abbiamo chiesto a due persone che di lavoro ne sanno, eccome. Uno è Giulio Sapelli, docente di Storia economica all’Università di Milano, tra i maggiori esperti italiani (e non solo) del mondo dell’impresa. L’altro è Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle Opere, rete di 34mila imprese (profit e no) che il 16 novembre dedicherà la sua assemblea annuale proprio al lavoro (con l’intervento di don Julián Carrón, guida di Cl). Ne è venuto fuori un dialogo che parte da lì: dalla crisi, dal lavoro e dalla crisi del lavoro.

 
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Post N° 45

Post n°45 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da citazioni_bellisssss

Così, ora che la realtà si sta prendendo la rivincita e la prospettiva di un mondo più povero, purtroppo, non è per niente irrealistica, diventa ancora più urgente rimettere a fuoco il tema. È vero o no che tra i motivi della crisi c’è anche lo smarrimento di questa idea del lavoro come rapporto sano con se stessi e la realtà? E come c’entra, se c’entra, con la famosa “finanziarizzazione” che ha spinto troppi a inseguire future, hedge fund e stock option invece di rimboccarsi le maniche e dedicarsi all’“economia reale”? E ancora: posto che non si tratta di demonizzare la finanza, i soldi né tantomeno l’opera di chi li muove, la crisi non può essere un’occasione per riprendere coscienza, per riscoprire il valore del lavoro?


 
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Post N° 44

Post n°44 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da citazioni_bellisssss

Oltre la crisi   -    A chi serve il mio lavoro?

L’idea ce l’avevamo da un po’. Per essere precisi, da prima che si arrivasse al crac di questi giorni. Si parlava molto di Alitalia e mutui subprime, ma la parola “recessione” si diceva ancora sottovoce, tra grafici in ribasso e tabelle a tinte fosche. Chiaro, in quei numeri si parlava di tagli. Tanti, e dolorosi. Ma la sensazione, nettissima, è che non si considerassero poi tanto le persone nascoste dietro quelle cifre. Insomma, che si parlasse dell’economia mettendo tra parentesi chi la fa: l’uomo. Ovvero, bisogni, domande, desideri. Voglia di costruire e realizzarsi. Come? Lavorando. Ecco, proprio quella era l’impressione: che il lavoro rischiasse di essere il grande dimenticato degli ultimi anni. Non tanto - e non solo - come “posti di” e stipendi in forse, ma proprio come espressione di sé e del proprio rapporto con la realtà. Come possibilità di crescere. Di conoscere e conoscersi di più, impegnandosi con quella che don Giussani, una volta, definì «un’energia che cambia le cose secondo un disegno» e che per molti di noi è diventata solo una zavorra, un cartellino da timbrare, una parentesi fra i weekend in cui “si vive”.

 
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Post N° 43

Post n°43 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da citazioni_bellisssss

Tracce n. 10, novembre 2008
Oltre la crisi

Posti a rischio. Incertezza diffusa. E un modo di concepire la realtà (e

l’economia) che mostra di colpo tutti i suoi limiti. Eppure nel momento

durissimo che stiamo vivendo c’è una grande occasione per riscoprire se

stessi, affrontando la fatica di un compito. Come ci raccontano il dialogo

tra Giulio Sapelli e Bernhard Scholz e le testimonianze raccolte in queste

pagine

Davide Perillo

 
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Post n°42 pubblicato il 09 Dicembre 2008 da Antologia2

 
Creatura deliziosa...
artista e musa...
seducente ladra di sguardi
che la vita annusa!

Rendimi indietro gli occhi che hai rapito e incantato... rendimi in un istante eterno il sapore di un bacio rubato!

 

 
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Post N° 39

Post n°39 pubblicato il 04 Dicembre 2008 da Antologia2

 
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IL TÈ NEL DESERTO (THE STHELTERING SKY)

Post n°33 pubblicato il 03 Dicembre 2008 da Antologia2

IL TÈ NEL DESERTO (THE STHELTERING SKY)

 

il film di Bertolucci è un'ennesima conferma che il "fondo mentale" del regista affiora irrimediabilmente nella sua opera: ed è qui chiaramente un fondo nikilista. Più che la crisi coniugale di Kit e Port, "Il tè nel deserto" riflette infatti la crisi esistenziale del regista stesso, espressa nell'angosciosa incomunicabilità dei due coniugi; nel loro viaggio, dichiaratamente "senza programma" e senza meta; nella violenza dei rapporti sessuali, visualizzati ripetutamente nel film con ossessivo accanimento ed esibizione; nel continuo insistente ritorno su immagini di degrado ambientale, contrappuntate dal progressivo degrado umano dei protagonisti, portato fino all'abiezione totale, sia di Port sia di Kit; nelle due scene di linciaggio, nelle sequenze del violento dibattersi di Port nel delirio al forte. Il film sembra trovare un momento di catarsi nella dedizione di Kit al marito delirante. Ma riprecipita presto nell'ineluttabile, presentando la muta disperazione di Kit nella resa alla propria impotenza, fino al suo completo avvilimento di donna nell'esperienza col beduino e con i violenti Tuareg. Anche le considerazioni sulla bellezza e l'infinità del cielo e del deserto di cui il film di Bertolucci offre immagini d'incomparabile suggestione esprimono disperazione nei confronti di quel "The Sheltoring Sky" quel cielo ingannatore cioè, così falsamente "protettivo", che nasconde solo il nulla, come ripete la declamazione finale, tetra, lugubre e senza speranza del saggio immobile al bar, che è l'ultra ottantenne Paul Browles in persona. Amaro e disperato, questo film di Bertolucci, è la professione sul non senso della vita fatta dal regista, fra prolissità e squilibri narrativi che poco giovano al suo innegabile splendore formale, e si presenta assolutamente inaccettabile e negativo per chiunque creda nella vita e nell'uomo.

 
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 http://edicola.avvenire.it/  

Post n°20 pubblicato il 30 Ottobre 2008 da Antologia2



A PIRANI E AMICI CHIEDIAMO UNO SFORZO DI ONESTÀ INTELLETTUALE
 
 

Né poesia né ideologia nell’immaginare il fine vita 
 
FRANCESCO D’AGOSTINO


 

« Incombe l’era della Controriforma?»  questo è l’allarmante titolo di una nota di Mario Pirani ( La Repubblica,   27 ottobre, p. 23).

Se così fosse, dovremmo davvero preoccuparci tutti: tornare indietro di quattro secoli, quattro secoli e mezzo, non è cosa davvero da poco.
 

Corriamo a leggere l’articolo: secondo Pirani un «invisibile Concilio tridentino» sta tornando a riunirsi per reprimere e prevenire insorgenti nuove eresie…

E la nostra preoccupazione non può che aumentare. Ma dura poco.

Il buon Pirani vuole semplicemente informarci che dietro il dibattito legislativo in merito a una possibile legge sulla fine della vita umana c’è lo zampino della Chiesa che, attraverso i politici teo-dem o neo-com (ognuno scelga la sigla che preferisce), vuole soffocare per legge la libertà della persona umana, opponendosi strenuamente al principio della piena disponibilità sul proprio corpo.
 

Vorrei rasserenare Mario Pirani e invitarlo a tornare ad usare i toni, ben più lucidi e pacati, che egli è solito adottare anche nelle polemiche più vivaci: non è una buona difesa della laicità, quella che usa forzature al limite dell’incredibile (un «invisibile concilio tridentino»!), per lo più anche poco divertenti.

E lo vorrei invitare a documentarsi in modo più rigoroso: non è segno di laicità, ma di ideologia, confondere cose diverse (il 'caso Welby', ad esempio non ha nulla a che vedere col problema del 'testamento biologico').

Mi limito a indicare alcuni, pochi punti, sui quali credo davvero che non si possa non convenire (purché si faccia uno sforzo di onestà intellettuale).
  1) Il dibattito in merito a questioni bioetiche, concernendo tutti i cittadini, di qualsiasi confessione, ha e non può non avere se non un carattere 'razionale', non 'dogmatico', né meno che mai riduttivamente 'ecclesiale'. Ammesso che esista una bioetica 'cattolica' (io però non ne sono convinto), non è difficile prendere atto, se non si ragiona per pregiudizio, che si tratta di una bioetica pienamente razionale, sostenuta da cattolici e da non cattolici (e qui potrei fare molti esempi: ma perché sollevare Pirani dal dovere, proprio di ogni buon giornalista, di documentarsi direttamente?).
  2) L’autodeterminazione è indubbiamente un valore e un diritto fondamentale. Se però non lo si vuole sostenere con atteggiamento astrattamente ideologico, bisogna prendere atto che nelle situazioni di fine vita il tipico 'soggetto bioetico' non è un esprit fort
  come dicevano gli illuministi, cioè una persona serena, matura, compiutamente informata, lucida, coraggiosa, capace di disporre pienamente di sé, del suo presente, del suo futuro.

Nella norma, i pazienti timorosi di essere colpiti (o già colpiti) da patologie anche solo relativamente gravi, ma soprattutto quelli sottoposti a trattamenti sanitari di frontiera o salvavita, sono persone impaurite, fragili, il più delle volte anziane, sole, angosciate da problemi economici e familiari, incerte del loro futuro, bisognose soprattutto di essere alleggerite dal peso di decisioni più grandi di loro, spesso in stato di depressione o di confusione mentale, pronte a dar credito non al parere migliore, ma a quello prospettato loro da ultimo o comunque nel modo retoricamente più convincente. È necessario un grosso lavoro teorico per riformulare la categoria di 'autodeterminazione', per adattarla a queste situazioni.
  3) Ciò che prima di ogni altra cosa qualsiasi malato (presente o futuro) vorrebbe sentirsi dire non è: «garantisco la tua autonomia», bensì: «garantisco che non sarai mai abbandonato». Questo è il cuore della bioetica. Solo dopo che saremo stati in grado di garantire i malati (quindi, potenzialmente, noi tutti) dall’abbandono terapeutico (lo sa Pirani quanto è difficile farlo?) potremo, doverosamente, garantire il rispetto delle scelte autonome, competenti, lucide, pienamente informate dei malati. La priorità però è quella che ho appena detto e non altra.
  4) Perché i bioeticisti che si autoqualificano orgogliosamente come 'laici', invece di perdersi in polemiche ideologiche anticlericali, non si concentrano su questi problemi? C’è un immenso lavoro da portare avanti insieme, per il bene di tutti, perché i problemi bioetici sono problemi di tutti.
  

 
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GRAZIE AMICA

Post n°19 pubblicato il 06 Ottobre 2008 da allelujastellina
 
Foto di Antologia2

LA FOTO COME REGALO SPECIALE AD UNA PERSONA SPECIALE

 
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Essere protagonisti senza essere famosi

Post n°18 pubblicato il 06 Ottobre 2008 da Antologia2


Essere protagonisti senza essere famosi
(tantomeno su di un'isola)
 
 
di Carlo Meroni
1 Settembre 2008
 

Sabato 30 agosto, con la presentazione del libro di Don Luigi Giussani “Uomini senza patria”, si è conclusa la ventinovesima edizione del “Meeting per l’amicizia fra i popoli”, forse (ingiustamente) più conosciuto come il “meeting dei ciellini”.

Ho avuto la fortuna, per la seconda volta in vita mia, di partecipare a questa settimana densa di incontri, dibattiti, inviti alla lettura, momenti artistici, mostre e momenti di svago.
 
Tengo a precisare, giusto per anticipare coloro che mi accuserebbero di partigianeria, che non sono un “ciellino” ma semplicemente un curioso della vita in generale, assolutamente convinto dell’amore che Dio ha per me e desideroso di capitalizzare al meglio quegli immeritati talenti ricevuti in dono.
 
Uno di questi credo sia una discreta dose di intelligenza; la quale mi impone di riconoscere che, nel mondo cristiano del 2008, nessun altro movimento è capace di fare cultura, di parlare di politica, di appassionare i giovani all’arte come sa fare Comunione e Liberazione in modo lucido, obiettivo, non ideologizzato.
 
Da cattolico, se proprio diviene necessario parlare di “appartenenze”, preferisco sempre menare il vanto di essere dalla parte di Gesù e per nessun altro; ma altrettanto sinceramente devo ammettere che se mi fosse chiesto di scegliere se stare con la fronda dei “cattolici adulti” amici di Famiglia Cristiana e dell’illuminato professor Alberto Melloni o con la compagnia dei seguaci di Don Giussani non esiterei più di mezzo secondo nello scegliere i secondi.

Fatte le dovute premesse, che cos’è veramente il Meeting? E che significa la frase che ha dato il titolo all’edizione 2008 “O protagonisti o nessuno”?

Angelo Bagnasco, Davide Rondoni, Sandro Bondi, Pietro Modiano, Etsuro Sotoo, Carlin Petrini, Raffaele Bonanni, Vincenzo Novari, Franco Frattini, Amre Moussa, Gianni Alemanno, Roberto Formigoni, Pupi Avati, Aharon Appelfeld, Mauro Moretti, Alessandro Preziosi, Maurizio Lupi, Antonio Tajani, Giorgio Israel, Antonio Polito, Giulio Andreotti, Giulio Tremonti, Alessandro Profumo, Roberto Calderoli, Ermete Realacci, Vannino Chiti, Gianpaolo Pansa, Enrico Letta, Magdi Allam, Mariapia Garavaglia, Mariastella Gelmini, Pierluigi Bersani, Rino Fisichella, Mauro Mazza, Davide Van de Sfroos, Pietro Guindani, Adolfo Urso, Eugenia Roccella, Pier Francesco Guarguaglini, Altero Matteoli, Angelino Alfano, Giancarlo Giannini, Maurizio Sacconi, Michael O’Brien, Stanley Hauerwas…oltre a decine di altri scrittori, importanti imprenditori e professori universitari provenienti da tutto il mondo. Questi sono i nomi di coloro che hanno partecipato all’edizione appena conclusasi, e che io ho avuto modo di ascoltare. Quale altra manifestazione, obiettivamente, può fornire un così ampio e ricco panorama di opinioni che spaziano dal vescovo cattolico a quello ortodosso, dal rabbino al presidente della lega araba, dai rappresentanti del governo a quelli dell’opposizione, dallo scrittore credente a quello agnostico, dal matematico al filosofo passando per l’astrofisico? Nessuna.

Oltre 120 sono stati gli incontri condensati in una settimana, con 400 fra relatori ed intervenuti, e 800 i giornalisti italiani ed esteri accreditati.

In un momento in cui la situazione internazionale è confusa e carica di tensioni, il Meeting (fedele alla sua storia) è stato ancora una volta il luogo di un dialogo per la pace, i diritti dell’uomo e la convivenza tra i popoli.

Quanto alla nostra politica, quest’anno sono stati messi in primo piano i temi del federalismo fiscale, del welfare, della sussidiarietà, dell’istruzione, della giustizia; e non il gossip o le trite schermaglie fra avversari che sovente subiamo dai mezzi di informazione a colpi di dichiarazioni di portavoci o sottosegretari amanti dell’esposizione mediatica più che del loro dovere istituzionale.

Al “meeting” (dove l’ingresso è gratuito in tutti i 170.000mq dell’area espositiva), è sempre un piacere notare che la grande maggioranza dei visitatori è composta da un popolo di ragazzi che sono sotto i trent’anni. Davvero allora c’è la speranza, anche per chi come me sta crescendo dei bambini, che non siamo per forza destinati a ritrovarci in casa degli eterni annoiati, attratti solo da videogiochi, tv e facezie di YouTube, desiderosi del nulla se non di aspettare il fine settimana per andare a sballarsi.

In un periodo di tranquillità come quello della vacanza e lontani dalle quotidiane preoccupazioni lavorative o scolastiche, tutti possono trovare un’ottima occasione per fermarsi con calma a capire meglio in che mondo viviamo, dove ci sta portando l’attualità e quali potranno essere gli scenari politici futuri.

 

 “O protagonisti o nessuno”. Che significa? Certo per il periodo in cui viviamo e per le accuse che vengono sovente lanciate al popolo di Cl, si tratta di una frase che può risultare assai sibillina e porgere il fianco ad interpretazioni assai errate.

Se domandassimo alla gente chi è “protagonista” oggi, ci sentiremmo rispondere di qualcuno il cui scopo principale nella vita è il successo. Senza di esso ci si ritrova privati di un’identità precisa, o meglio di quella possibilità di essere riconosciuti che sembra dare l’illusione di esistere meglio di altri. Il risultato è un’omologazione che obbliga a seguire in tutto e per tutto le direttive della moda dominante: senza essere socialmente riconoscibili, oggi giorno non si esiste. Ma che tipo di uomo è quello che insegue a tutti i costi ciò che lo fa distinguere dagli altri? È il divo, ovvero l’uomo che si erge a Dio. Quest’uomo, nel tentativo di essere libero, vuole possedere la realtà in assoluta autonomia ma si ritrova invece schiavo delle circostanze, delle cose e, ovviamente, del suo successo personale. Tagliato il rapporto con la realtà, prigioniero dell’esito, l’uomo rimane in una condizione di passività umana che lo costringe ad esprimersi in un triste e vuoto formalismo. Ma un uomo che conta solo sulle sue forze è destinato, prima o poi, a fallire. L’esito inevitabile di questo processo è lo scetticismo e il cinismo.

Dice don Luigi Giussani: “Protagonisti non vuole dire avere la genialità o la spiritualità di alcuni, ma avere il proprio volto, che è, in tutta la storia e l’eternità, unico e irripetibile”. Il vero protagonista è infatti l’uomo stupito che fa la scoperta commovente di avere un volto unico e irripetibile. Un uomo libero proprio perché è consapevole di essere legato a quel disegno misterioso da cui intuisce che ogni cosa dipende.
Un uomo religioso e capace di rapportarsi con altre religioni senza sacrificare in nulla la sua identità. Un uomo irriducibile che non può accontentarsi di nessuna riduzione ideologica, né biologica né storicistica. Un uomo che conosce perché ama: abbracciando le persone e le circostanze della vita, quelle felici e quelle dolorose, vuole giudicare tutto nella continua ricerca del significato ultimo per cui la realtà è fatta.
 
Ecco perché i veri “protagonisti “ del meeting non sono stati i “vip”, attori, imprenditori, scrittori, intellettuali o politici che dir si voglia.

I protagonisti sono stati degli sconosciuti, che hanno offerto a tutti la loro testimonianza di persone appassionate alla propria umanità, che nell’incontro del volto di Cristo nel prossimo hanno trovato la risposta al bisogno infinito del loro cuore e sono diventati perciò veri protagonisti della loro vita, della loro “normale” quotidianità: le due donne Ugandesi Vicky e Rose, operatrici di carità tra i malati di AIDS di Kampala, Cleuza e Marcos Zerbini tra i senza terra di San Paolo, padre Aldo Trento nelle favelas di Asunción in Paraguay, Rosetta Brambilla a Belo Horizonte, suor Elvira e le sue case per il recupero dei tossicodipendenti, Margherite Barankitse, “l’angelo del Burundi”, che negli ultimi dodici anni ha aiutato oltre diecimila bambini di varie nazionalità colpiti dalla guerra civile in Burundi e da altri conflitti nella regione.

 
Ecco chi sono i “protagonisti” di cui ha parlato il tema del meeting. Coloro che con il loro “sì” e con l’impegno di tutta la loro umana unicità si sono rivelati origine anche di un cambiamento sociale che le loro storie hanno documentato.
 
“O protagonisti o nessuno”, di fronte ad una cultura odierna che in larga parte non educa e non comunica più il senso della vita vivendo perciò in modo passivo, diviene una vera e propria provocazione.
 
Una sfida positiva, per chiederci se esistano ancora uomini capaci di paragonarsi con il reale, scoprendo, rischiando tutto sé stessi.
Persone che attraverso la loro esperienza e il loro lavoro sono in grado di offrire un’esperienza umana generata dall’amore che Cristo ha per ognuno di noi e che ci induce a vivere con speranza.
 
Pensare di essere autosufficienti in tutto è il male del nostro tempo, e contare solo sulle nostre forze non può che portare ad una rovina certa. Invece saper ascoltare sia testimonianze come queste che la voce del nostro cuore, ci può portare a creare cose nuove con passione ed entusiasmo, ed è ciò che veramente serve all’uomo di oggi: comprendere la sua unicità, che è tutto il contrario dell’omologazione, della massificazione così imperante.
 
Se si vuole essere protagonisti del nostro vissuto quotidiano bisogna mettersi in gioco, dirsi la verità su sé stessi, rischiare, agire, possedendo quel senso religioso che rimanda sempre ad un mistero più grande di noi.


Perché per essere protagonisti serve meritarselo seriamente, senza essere stati sull’isola dei famosi o da Gerry Scotti.

 
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Post N° 17

Post n°17 pubblicato il 05 Ottobre 2008 da 1carinodolce

 
COLORO CHE SFUGGONO LA CHIESA PER L'IPOCRISIA E
L'IMPERFEZIONE DELLE PERSONE RELIGIOSE,

SI SCORDANO CHE SE LA CHIESA FOSSE
PERFETTA NEL SENSO DA LORO RECLAMATO,
NON VI SAREBBE IN ESSA POSTO PER LORO.
.........!!

 
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Post N° 16

Post n°16 pubblicato il 01 Ottobre 2008 da Antologia2

  

 

  Pubblico e critica, sia nazionale che internazionale presenti all’apertura del Festival di Cannes, hanno stigmatizzato il film come "la Waterloo di Dan Brown" (Bbc). Lo stesso cast non ha potuto mostrare performance di buon livello o perlomeno al pari dei blasonati curricula. Quello che doveva essere il thriller più avvincente e cult degli ultimi anni si è risolto in una noiosa trasposizione di costume. Il film di Ron Howard, Il codice da Vinci, mette in scena tutte le confusioni e le incongruenze dell’omonimo romanzo di Dan Brown da cui è tratto. Documenti e testi dichiaratamente fallaci, colpevole confusione tra i manoscritti ritrovati nell’oasi egiziana di Nag Hammadi, che sono testi gnostici, e quelli trovati a Qumran sul Mar Morto, che sono testi essenici, illazioni esoteriche tratte dalla mente instabile del curato sospeso a divinis di Rennes-le-Chateau, Bérenger Saunière, e dalle successive speculazioni sul tema del falsario Pierre Plantard, collaborazionista del governo di Vichy e persecutore di ebrei. Il tutto con un atteggiamento anticattolico che, nel libro, Dan Brown assume ricollegandosi al femminismo chic propugnato dall’antropologa Margaret Alice Murray, autrice del pamphlet new age Il dio delle streghe. Si tratta realmente di una posizione non solo ignorante (gli storici medioevalisti sono concordi in questo) ma anche colpevole nel sottrarre continuamente il proprio romanzo alla chiarezza di definizione di un genere. Un atteggiamento, quello di Dan Brown, non nuovo. Come afferma il Cardinale Ruini: “già il Nuovo Testamento conosce la tendenza ad andare dietro alle favole, piuttosto che dare ascolto alla testimonianza della verità (cfr. 2 Tim 4,3-4; 2Pt 1, 16), ma è difficile sottrarsi alla sensazione che il grande successo di lavori come Il codice da Vinci abbia a che fare con quell’odio, o quel venire meno dell’amore per se stessa che, come osservava l’allora cardinale Ratzinger (Senza radici, ed. Mondadori, pp. 70-71), si è insinuato nella nostra civiltà.

Anche in questo caso, però, non è il caso di cedere al pessimismo:

alla fine il fascino della verità è più forte di quello dell’illusione, e di verità la nostra gente oggi ha una gran sete”.

Per tali motivi il film, non presentando significativi elementi cinematografici, non si mostra di alcun interesse pastorale.

La valutazione è

 inaccettabile, negativo. 

 

   

 
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Post N° 15

Post n°15 pubblicato il 01 Ottobre 2008 da Antologia2

IL CODICE DA VINCI (The Da Vinci Code) 
Genere:
Regia: Ron Howard
Interpreti: Tom Hanks (Robert Langdon), Audrey Tautou (Sophie Neveu), Ian McKellen (Sir Leigh Teabing), Paul Bettany (Silas), Jean Reno (Bezu Fache), Alfred Molina (vescovo Aringarosa), Etienne Colet (ten. Collet), Clive Carter (cap. Biggin Hill), Seth Gabel (Cleric).
Nazionalità:Stati Uniti
Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia
Anno di uscita: 2006
Orig.: Stati Uniti (2006)
Sogg.: tratto dal libro omonimo di Dan Brown
Scenegg.: Akiva Goldsman
Fotogr.( /a colori): Salvatore Totino
Mus.: James Horner
Montagg.: Daniel P. Hanley, Mike Hill
Dur.:
Produz.: Imagine Entertainment, Columbia Pictures Corporation.


Giudizio:

Inaccettabile/negativo

Tematiche:

Tematiche religiose;  


Soggetto:

 

Il prof. Robert Langdon, famoso esperto di simbologia, viene chiamato in piena notte al museo del Louvre, dove uno dei curatori é stato assassinato lasciando dietro di sè una misteriosa scia di indizi e interrogativi. Con l'aiuto della crittologa Sophie Neveu e con l'intervento dell'esperto Sir Leigh Teabing, che espone una sua teoria ricavata dal dipinto "L'ultima cena" di Leonardo da Vinci, Langdon viene a conoscenza del fatto che "...la più grande storia mai raccontata é una menzogna...". Dopo qualche esitazione, anche Langdon accredita la tesi di una discendenza di Gesù, arrivata fino ad oggi e sempre tenuta nascosta.


Valutazione
Pastorale:

 

Pubblico e critica, sia nazionale che internazionale presenti all’apertura del Festival di Cannes, hanno stigmatizzato il film come "la Waterloo di Dan Brown" (Bbc). Lo stesso cast non ha potuto mostrare performance di buon livello o perlomeno al pari dei blasonati curricula. Quello che doveva essere il thriller più avvincente e cult degli ultimi anni si è risolto in una noiosa trasposizione di costume. Il film di Ron Howard, Il codice da Vinci, mette in scena tutte le confusioni e le incongruenze dell’omonimo romanzo di Dan Brown da cui è tratto. Documenti e testi dichiaratamente fallaci, colpevole confusione tra i manoscritti ritrovati nell’oasi egiziana di Nag Hammadi, che sono testi gnostici, e quelli trovati a Qumran sul Mar Morto, che sono testi essenici, illazioni esoteriche tratte dalla mente instabile del curato sospeso a divinis di Rennes-le-Chateau, Bérenger Saunière, e dalle successive speculazioni sul tema del falsario Pierre Plantard, collaborazionista del governo di Vichy e persecutore di ebrei. Il tutto con un atteggiamento anticattolico che, nel libro, Dan Brown assume ricollegandosi al femminismo chic propugnato dall’antropologa Margaret Alice Murray, autrice del pamphlet new age Il dio delle streghe. Si tratta realmente di una posizione non solo ignorante (gli storici medioevalisti sono concordi in questo) ma anche colpevole nel sottrarre continuamente il proprio romanzo alla chiarezza di definizione di un genere. Un atteggiamento, quello di Dan Brown, non nuovo. Come afferma il Cardinale Ruini: “già il Nuovo Testamento conosce la tendenza ad andare dietro alle favole, piuttosto che dare ascolto alla testimonianza della verità (cfr. 2 Tim 4,3-4; 2Pt 1, 16), ma è difficile sottrarsi alla sensazione che il grande successo di lavori come Il codice da Vinci abbia a che fare con quell’odio, o quel venire meno dell’amore per se stessa che, come osservava l’allora cardinale Ratzinger (Senza radici, ed. Mondadori, pp. 70-71), si è insinuato nella nostra civiltà. Anche in questo caso, però, non è il caso di cedere al pessimismo: alla fine il fascino della verità è più forte di quello dell’illusione, e di verità la nostra gente oggi ha una gran sete”. Per tali motivi il film, non presentando significativi elementi cinematografici, non si mostra di alcun interesse pastorale. La valutazione è inaccettabile, negativo.


Utilizzazione:

 

Per quanto detto sopra, il film è da escludere dalla programmazione ordinaria.

 
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Post N° 14

Post n°14 pubblicato il 01 Ottobre 2008 da Antologia2

   

1) IN PRIMO PIANO:


 

Bagnasco: Il fenomeno della Cristofobia

 

Vi sono rischi che prendono piede vicino a noi, ossia nella nostra stessa Europa…

 «il distacco della religione dalla ragione, che relega la prima esclusivamente nel mondo dei sentimenti, e la separazione della religione dalla vita pubblica»…

 

Vi è infatti una derivazione concettuale tra la disinvolta pratica del relativismo, gli eccessi antireligiosi e anticristiani e la regressione culturale ed etica delle società.

 

E non si vede, a questo punto, chi avrebbe interesse a nascondersi tale nesso:

non certo coloro che, abbandonando saccenteria ed arroganza, vogliono superare la situazione di stallo in cui si trova la costruzione europea e intendono effettivamente radicare l’Europa nella coscienza dei popoli,

così che - fiorendo - dia legittimità morale a carte e trattati

  

 
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Post N° 13

Post n°13 pubblicato il 27 Settembre 2008 da 1carinodolce

 

Arrivato sugli schermi con un rumoroso corollario di polemiche, il film tratto dal romanzo di Dan Brown (una furbissima collazione di falsità storiche e calunnie presentate come vere per mettere in discussione la natura divina di Cristo e accusare la Chiesa di aver insabbiato verità e commesso violenze di ogni genere) gioca le carte di una messa in scena sontuosa e di un cast di alto livello, restando per altro molto, forse troppo fedele all’originale e riservando quindi poche sorprese agli spettatori.

L’intera vicenda, costruita come una lunga e a tratti noiosa caccia al tesoro, si sviluppa sull’arco di poche ore durante le quali personaggi dallo scarsissimo spessore (per i quali lo spettatore, dunque, finisce per provare scarsa preoccupazione) sono sballottati tra cupi complotti che affonderebbero le radici fin nei primi anni di vita della Chiesa (identificata univocamente come luogo di corruzione, violenza e ottusità) e che nel presente sono portati avanti da demoniaci rappresentati dell’Opus Dei, il cui nome viene ripetuto con un’insistenza talmente inutile da suggerire che gli autori della versione cinematografica provino un gusto particolare nell’infamare la Prelatura a mezzo grande schermo.

Questo Silas che prima uccide a sangue freddo e poi si fustiga è un ridicolo sadomasochista da manicomio che sembra riesumato dalle vignette massoniche e anticlericali di fine Ottocento.

 

L’irresponsabilità e l’incoscienza con cui l’Opus Dei –istituzione riconosciuta dalla Chiesa Cattolica, lodata e incoraggiata da tutti i Pontefici che l’hanno conosciuta, da Pio XII fino a Benedetto XVI, viene dipinta come se fosse una setta di fanatici assassini è assolutamente stupefacente e si inserisce in quella curiosa eccezione del mondo contemporaneo per cui bisogna essere sempre rispettosi con tutti, ma gli unici che possono essere diffamati impunemente, fino ai  modi più assurdi, sono i cattolici.

 

Sulla risibilità e l’infondatezza (storica, artistica e teologica) delle tesi presentate nel corso del film si sono spese molte parole (un’ampia rassegna dei principali articoli della stampa internazionale si può trovare sul sito www.opusdei.it , e una trattazione sistematica in inglese delle questioni sollevate dal romanzo su www.jesusdecoded.com , sito promosso dalla Conferenza Episcopale Americana), ma vale la pena forse sottolineare come l’esito ultimo del percorso proposto dalla pellicola -che fondamentalmente vuole negare la natura divina di Gesù e, attraverso una confusa valorizzazione della figura della Maddalena, infamare la Chiesa e la sua pretesa di essere vero luogo di incontro con Cristo anche oggi- sia quello di proporre come alternativa una fusione di divino e umano nell’uomo di stampo gnostico e neopagano che ben si inserisce nelle correnti new age oggi molto diffuse in una certa cultura americana.

 

Correnti che trovano molto seguito non tanto tra la gente comune, ma proprio tra la gente del mondo dello spettacolo che ha contribuito a realizzare la pellicola e ha testardamente rifiutato qualunque tipo di dialogo con chi da questa pellicola non può non essere offeso.

Ma chi si aspettava una pellicola di grande impatto capace di “convincere” anche gli spettatori più diffidenti, rimarrà deluso. Il film di Howard, solitamente un buon professionista specie se affiancato da uno sperimentato collaboratore come Akiva Goldsman (ai due si devono pellicole riuscite come A Beautiful Mind e Cinderella Man) è, invece, un’operazione commerciale in cui al grande spiegamento di risorse (anche per ingaggiare un attore come Tom Hanks che qui regala una prova ben poco carismatica) non corrisponde un’equivalente riuscita narrativa e visiva.

Chi pensava che Goldsman e Howard rimanessero fedeli alla trama di Dan Brown solo per amor di soldi, ma rinunciassero, per rispetto alla sensibilità dei credenti, a una serie di affermazioni totalmente gratuite –che poco hanno a che fare con la trama del film, e quindi lo appesantiscono- rimarrà deluso.

Pronunciate sullo schermo (e drammatizzate in modo molto goffo e irritante – vedi il dialogo tra Langdon, Sophie Neveu e il professor Teabing), le teorie di Dan Brown si dimostrano oltre che false anche di una pesantezza indigeribile e il gioco degli indovinelli artistici, delle filastrocche e degli anagrammi stanca come una Settimana Enigmistica di cui si debbano risolvere tutti i quiz in una volta sola.

Lo scarso spessore dei personaggi, e l’ancor minore coinvolgimento su quanto loro accade, dà il colpo di grazia cosicché lo spettatore arriva alla soluzione finale ben poco disposto a dar credito alle conclusioni.

 

Resta il fatto che la pellicola, con la sua pretesa di autenticità e fondatezza storica, non è altro che l’amplificazione di una menzogna che, benché mal raccontata, rappresenta, come è stato ricordato in altre sedi, il modo in cui oggi di Gesù e della sua Chiesa viene fatto mercato.

 

Un’operazione irresponsabile e truffaldina che non può che suscitare la massima disapprovazione. 

 

  

 
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 LA PORNOGRAFIA       1 / 7   

Post n°12 pubblicato il 24 Settembre 2008 da 1carinodolce

 

 ( nel terzo millennio ) 
 


  
 
1.
In un articolo di qualche mese fa — esattamente il 9 aprile 2007 — il Corriere della Sera informava che, secondo una ricerca condotta in Belgio, nei soli Stati Uniti viene immesso «[…] ogni 39 secondi online [un] nuovo video porno». Il foglio milanese aggiungeva: «Mentre finite di leggere questa frase, 28.258 persone stanno cliccando su una pagina web a contenuto pornografico».
«La vasta ricerca del quotidiano dei Paesi Bassi “Het Laatste Nieuws” (HLN) — “Sesso sul web: le cifre nude e crude” — ha raccolto, analizzato e sintetizzato per la prima volta i dati, le statistiche e gli approfondimenti provenienti da istituzioni, agenzie stampa, emittenti e giornali a livello internazionale tra le quali ABC, AP, la Cia, BBC, China Daily, Crimes Against Children, Forbes, MSN, Nielsen/NetRatings, The New York Times, PornStudies, SEC filings, Secure Computing Corp, Yahoo!».
E ancora: «A metà del 2006 sono stati scaricati a livello mondiale 1,5 miliardi tra immagini e video a carattere pornografico — il 35 percento di tutti i downloads».

 
A seconda del volume d’affari prodotto da tali accessi e scaricamenti è possibile stilare un classifica dei paesi più dediti a questa pratica. Con 20,5 miliardi di euro sono in testa i cinesi, seguiti dai sudcoreani (19,25 miliardi), dai giapponesi (15 miliardi) e dagli statunitensi (9,98 miliardi). Agli ultimi posti gli italiani (soli 12 euro a testa per il sesso in rete); fanalino di coda i belgi (9 euro) e i tedeschi (6 euro).

 
2. Questo il fatto, ed è difficile non rilevarne la gravità oggettiva.
E il fatto suggerisce qualche amara riflessione.

 
Si vede infatti come dai timidi esordi otto-novecenteschi sotto forma di immagini fotografiche osée, che vedevano per lo più come fruitori aristocratici annoiati, borghesi secolarizzati, studenti dal sangue ardente, soldati dalle protratte astinenze,
siamo arrivati — anche grazie al Sessantotto americano, soprattutto californiano — a un autentico e grandioso business globale.

Questo commercio, se non si auto-limitasse — per non perdere l’aura di «proibito» che ne propizia de facto il consumo —, invaderebbe il nostro quotidiano come un formaggino o un succo di frutta o una marca di sapone.

 
Tuttavia dalle botteghe dei barbieri e dal furtivo passamano si è ormai passati a forme di canalizzazione e di commercializzazione sempre più capillarmente invasive, con diversificazioni — dal più o meno «pesante», o hard, fino a forme semi-pornografiche — a seconda del target interessato.

Una diffusione sempre al passo con la tecnologia, che cresce di volume e di penetrazione a ogni evoluzione di quest’ultima, passando da un dato tipo di supporto a uno più nuovo, cioè più moderno:
dai «filmini» in bianco e nero destinati ai depravati di inizio secolo — primo salto di qualità:
dalle immagini fisse alle immagini in movimento, poi corredate dai «necessari» suoni, con tutto l’«arricchimento» di «effetti» che si può immaginare —, alle riviste patinate degli anni Sessanta-Ottanta — che per la prima volta si potevano trovare in libera vendita nelle edicole —, pensate per le scuole e per le caserme, alle videocassette, e poi ai canali satellitari «dedicati», e ancora ai Cd-Rom e ai Dvd, poi ai telefonini,
infine — ma fino a quando? — a Internet con la possibilità di hard-core «casalingo» e le prime esperienze di sesso virtuale, con il passaggio — l’altro autentico «salto di qualità» — dalla visione alla possibilità di simulazione.
E dai motori di ricerca al passaparola l’accesso ai siti pornografici di tutte le sfumature oggi non è più un problema.

 
Ma anche questo non basta: il «mercato» sta passando infatti da una logica «pull» a una logica «push»: in altre parole dall’offerta all’adescamento.

Sempre più spesso capita infatti che si arrivi a contenuti pornografici senza volerlo: o li si trova coperti da innocenti e-mail inviateci grazie al commercio di indirizzi di posta elettronica — che è nato partendo dalle liste degli abbonamenti ai vari provider — o si è guidati forzatamente su siti pornografici oppure, ancora, ci si imbatte in materiali pornografici coperti da titoli innocenti quando si cerca di scaricare illegalmente software o film dalla rete.

 
La pornografia costituisce oggi una minaccia di massa, un’alluvione, uno tsunami silenzioso ma inarrestabile di fango, un genere di consumo che ha i suoi centri di produzione, i suoi prodotti, i suoi livelli di qualità, la sua logistica distributiva, il suo marketing, le sue fiere, i suoi «saldi», ecc.
 
.....
 
 

 
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   P.G.R.    

Post n°11 pubblicato il 16 Settembre 2008 da Antologia2

 
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Post N° 8

Post n°8 pubblicato il 13 Settembre 2008 da 1carinodolce

         

     
__Immaginiamo_questo_scenario._Esce un romanzo in cui si afferma che il Buddha, dopo l’illuminazione, non ha condotto la vita di castità che gli si attribuisce, ma ha avuto moglie e figli. Che la comunità buddhista dopo la sua morte ha violato i diritti della moglie, che avrebbe dovuto essere la sua erede. Che per nascondere questa verità i buddhisti nel corso della loro storia hanno assassinato migliaia, anzi milioni di persone. Che un santo buddhista scomparso da pochi anni – che so, un Daisetz Teitaro Suzuki (1870-1966) – era in realtà il capo di una banda di delinquenti. Che il Dalai Lama e altre autorità del buddhismo internazionale operano per mantenere le menzogne sul Buddha servendosi di qualunque mezzo, compreso l’omicidio.

Pubblicato, il romanzo non passa inosservato. Autorità di tutte le religioni lo denunciano come un’odiosa mistificazione anti-buddhista e un incitamento allo scontro fra le religioni. In diversi paesi la sua pubblicazione è vietata, fra gli applausi della stampa. Le case cinematografiche, cui è proposta una versione per il grande schermo, cacciano a pedate l’autore e considerano l’intero progetto uno scherzo di cattivo gusto.

 
Lo scenario non è vero, ma ce n’è uno simile che è del tutto reale. Solo che non si parla di Buddha, ma di Gesù Cristo; non della comunità buddhista, ma della Chiesa cattolica; non di Suzuki e del suo ordine zen ma di san Josemaría Escrivá (1902-1975) e dell’Opus Dei da lui fondata; non del Dalai Lama ma di Papa Giovanni Paolo II. Il romanzo in questione ha venduto tre milioni e mezzo di copie negli Stati Uniti, è sbarcato anche in Italia e la Sony ne sta traendo un film, che sarà diretto da Ron Howard e per cui è già cominciata una propaganda internazionale.  

   

Come è stato correttamente osservato dallo storico e sociologo americano Philip Jenkins, il successo di questo prodotto è solo un’altra prova del fatto che l’anti-cattolicesimo è «l’ultimo pregiudizio accettabile» ___

        

 

 
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Post N° 7

Post n°7 pubblicato il 11 Settembre 2008 da 1carinodolce

Considerazioni sulla "morte cerebrale" dopo l'articolo dell'"Osservatore Romano"


di Roberto de Mattei  

L'intolleranza mediatica contro l'editoriale di Lucetta Scaraffia, I segni della morte, sull'"Osservatore Romano" del 3 settembre 2008, suggerisce alcune considerazioni sul tema delicato e cruciale della morte cerebrale.

Tutti possono consentire sulla definizione, in negativo, della morte come "fine della vita". Ma che cos'è la vita? La biologia attribuisce la qualifica di vivente ad un organismo che ha in sé stesso un principio unitario e integratore che ne coordina le parti e ne dirige l'attività. Gli organismi viventi sono tradizionalmente distinti in vegetali, animali ed umani. La vita della pianta, dell'animale e dell'uomo, pur di natura diversa, presuppone, in ogni caso un sistema integrato animato da un  principio attivo e unificatore. La morte dell'individuo vivente, sul piano biologico, è il momento in cui il principio vitale che gli è proprio cessa le sue funzioni. Lasciamo da parte il fatto che, per l'essere umano, questo principio vitale, definito anima, sia di natura spirituale e incorruttibile. Fermiamoci al concetto, unanimamente ammesso, che l'uomo può dirsi clinicamente morto quando il principio che lo vivifica si è spento e l'organismo, privato del suo centro ordinatore, inizia un processo di dissoluzione che porterà alla progressiva decomposizione del corpo.

Ebbene, la scienza non ha finora potuto dimostrare che il principio vitale dell'organismo umano risieda in alcun organo del corpo. Il sistema integratore del corpo, considerato come un "tutto", non è infatti localizzabile in un singolo organo, sia pure importante, come il cuore o l'encefalo. Le attività cerebrali e cardiache presuppongono la vita, ma non è propriamente in esse la causa della vita. Non bisogna confondere le attività con il loro principio. La vita è qualcosa di inafferrabile che trascende i singoli organi materiali, dell'essere animato, e che non può essere misurata materialmente, e tanto meno creata: è un mistero della natura, su cui è giusto che la scienza indaghi, ma di cui la scienza non è padrona. Quando la scienza pretende di creare o manipolare la vita, si fa essa stessa filosofia e religione, scivolando nello "scientismo".

 
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Post N° 6

Post n°6 pubblicato il 30 Agosto 2008 da 1carinodolce

 

“Il titolo del Meeting 2008 vuole riflettere sul concetto di persona ponendo innanzitutto una sfida e al tempo stesso una provocazione alla mentalità dominante: “Chi è il protagonista oggi?”. 

 
Il protagonista è un moderno divo che ricerca nella propria illusoria autonomia, nella rescissione di ogni legame, la propria felicità, rischiando l’inevitabile omologazione che gli deriva da un effimero successo mondano?

Oppure il protagonista è un uomo stupito che fa la scoperta commovente dell’unicità e dell’irripetibilità che caratterizzano il proprio volto e che, in virtù di questo riconoscimento, è in rapporto con il proprio destino dentro alla realtà di ogni giorno?” (Anteprima Meeting).

 
“Crocevia tra l’essere e il nulla”: la provocazione del Meeting non poteva essere più radicale.

Siamo alle frontiere della battaglia per l’umano, come sottolinea in una intervista Marco Bersanelli, nel numero estivo di “Tracce” 2008:
“C’è un rischio globale di cui non si parla e che forse è ancora più insidioso [dei rischi ambientali del nostro secolo]: il rischio dello svuotamento della persona, della scomparsa dell’io.
E’ sempre più raro trovare persone che percepiscono il senso della propria irriducibilità, dell’unicità di ogni esistenza umana...

In un mare infinito di possibilità equivalenti siamo apparentemente più liberi, ma in mancanza di un invito alla persona, in realtà, siamo ancora più confusi.

La persona è umiliata, non percepisce uno scopo, al punto che per sentire di esistere crede di doversi sacrificare per qualche briciola del potere e della fama che alcuni fortunati hanno a tonnellate”.

Chi è allora il “protagonista”  ? 

  

 
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