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Post n°46 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da citazioni_bellisssss
Lo abbiamo chiesto a due persone che di lavoro ne sanno, eccome. Uno è Giulio Sapelli, docente di Storia economica all’Università di Milano, tra i maggiori esperti italiani (e non solo) del mondo dell’impresa. L’altro è Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle Opere, rete di 34mila imprese (profit e no) che il 16 novembre dedicherà la sua assemblea annuale proprio al lavoro (con l’intervento di don Julián Carrón, guida di Cl). Ne è venuto fuori un dialogo che parte da lì: dalla crisi, dal lavoro e dalla crisi del lavoro.
Post n°45 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da citazioni_bellisssss
Così, ora che la realtà si sta prendendo la rivincita e la prospettiva di un mondo più povero, purtroppo, non è per niente irrealistica, diventa ancora più urgente rimettere a fuoco il tema. È vero o no che tra i motivi della crisi c’è anche lo smarrimento di questa idea del lavoro come rapporto sano con se stessi e la realtà? E come c’entra, se c’entra, con la famosa “finanziarizzazione” che ha spinto troppi a inseguire future, hedge fund e stock option invece di rimboccarsi le maniche e dedicarsi all’“economia reale”? E ancora: posto che non si tratta di demonizzare la finanza, i soldi né tantomeno l’opera di chi li muove, la crisi non può essere un’occasione per riprendere coscienza, per riscoprire il valore del lavoro?
Post n°44 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da citazioni_bellisssss
Oltre la crisi - A chi serve il mio lavoro? L’idea ce l’avevamo da un po’. Per essere precisi, da prima che si arrivasse al crac di questi giorni. Si parlava molto di Alitalia e mutui subprime, ma la parola “recessione” si diceva ancora sottovoce, tra grafici in ribasso e tabelle a tinte fosche. Chiaro, in quei numeri si parlava di tagli. Tanti, e dolorosi. Ma la sensazione, nettissima, è che non si considerassero poi tanto le persone nascoste dietro quelle cifre. Insomma, che si parlasse dell’economia mettendo tra parentesi chi la fa: l’uomo. Ovvero, bisogni, domande, desideri. Voglia di costruire e realizzarsi. Come? Lavorando. Ecco, proprio quella era l’impressione: che il lavoro rischiasse di essere il grande dimenticato degli ultimi anni. Non tanto - e non solo - come “posti di” e stipendi in forse, ma proprio come espressione di sé e del proprio rapporto con la realtà. Come possibilità di crescere. Di conoscere e conoscersi di più, impegnandosi con quella che don Giussani, una volta, definì «un’energia che cambia le cose secondo un disegno» e che per molti di noi è diventata solo una zavorra, un cartellino da timbrare, una parentesi fra i weekend in cui “si vive”.
Post n°43 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da citazioni_bellisssss
Tracce n. 10, novembre 2008 Posti a rischio. Incertezza diffusa. E un modo di concepire la realtà (e l’economia) che mostra di colpo tutti i suoi limiti. Eppure nel momento durissimo che stiamo vivendo c’è una grande occasione per riscoprire se stessi, affrontando la fatica di un compito. Come ci raccontano il dialogo tra Giulio Sapelli e Bernhard Scholz e le testimonianze raccolte in queste pagine Davide Perillo
Post n°42 pubblicato il 09 Dicembre 2008 da Antologia2
Rendimi indietro gli occhi che hai rapito e incantato... rendimi in un istante eterno il sapore di un bacio rubato!
Post n°39 pubblicato il 04 Dicembre 2008 da Antologia2
Post n°33 pubblicato il 03 Dicembre 2008 da Antologia2
IL TÈ NEL DESERTO (THE STHELTERING SKY)
il film di Bertolucci è un'ennesima conferma che il "fondo mentale" del regista affiora irrimediabilmente nella sua opera: ed è qui chiaramente un fondo nikilista. Più che la crisi coniugale di Kit e Port, "Il tè nel deserto" riflette infatti la crisi esistenziale del regista stesso, espressa nell'angosciosa incomunicabilità dei due coniugi; nel loro viaggio, dichiaratamente "senza programma" e senza meta; nella violenza dei rapporti sessuali, visualizzati ripetutamente nel film con ossessivo accanimento ed esibizione; nel continuo insistente ritorno su immagini di degrado ambientale, contrappuntate dal progressivo degrado umano dei protagonisti, portato fino all'abiezione totale, sia di Port sia di Kit; nelle due scene di linciaggio, nelle sequenze del violento dibattersi di Port nel delirio al forte. Il film sembra trovare un momento di catarsi nella dedizione di Kit al marito delirante. Ma riprecipita presto nell'ineluttabile, presentando la muta disperazione di Kit nella resa alla propria impotenza, fino al suo completo avvilimento di donna nell'esperienza col beduino e con i violenti Tuareg. Anche le considerazioni sulla bellezza e l'infinità del cielo e del deserto di cui il film di Bertolucci offre immagini d'incomparabile suggestione esprimono disperazione nei confronti di quel "The Sheltoring Sky" quel cielo ingannatore cioè, così falsamente "protettivo", che nasconde solo il nulla, come ripete la declamazione finale, tetra, lugubre e senza speranza del saggio immobile al bar, che è l'ultra ottantenne Paul Browles in persona. Amaro e disperato, questo film di Bertolucci, è la professione sul non senso della vita fatta dal regista, fra prolissità e squilibri narrativi che poco giovano al suo innegabile splendore formale, e si presenta assolutamente inaccettabile e negativo per chiunque creda nella vita e nell'uomo.
Post n°20 pubblicato il 30 Ottobre 2008 da Antologia2
Né poesia né ideologia nell’immaginare il fine vita « Incombe l’era della Controriforma?» questo è l’allarmante titolo di una nota di Mario Pirani ( La Repubblica, 27 ottobre, p. 23). Se così fosse, dovremmo davvero preoccuparci tutti: tornare indietro di quattro secoli, quattro secoli e mezzo, non è cosa davvero da poco. Corriamo a leggere l’articolo: secondo Pirani un «invisibile Concilio tridentino» sta tornando a riunirsi per reprimere e prevenire insorgenti nuove eresie… E la nostra preoccupazione non può che aumentare. Ma dura poco. Il buon Pirani vuole semplicemente informarci che dietro il dibattito legislativo in merito a una possibile legge sulla fine della vita umana c’è lo zampino della Chiesa che, attraverso i politici teo-dem o neo-com (ognuno scelga la sigla che preferisce), vuole soffocare per legge la libertà della persona umana, opponendosi strenuamente al principio della piena disponibilità sul proprio corpo. Vorrei rasserenare Mario Pirani e invitarlo a tornare ad usare i toni, ben più lucidi e pacati, che egli è solito adottare anche nelle polemiche più vivaci: non è una buona difesa della laicità, quella che usa forzature al limite dell’incredibile (un «invisibile concilio tridentino»!), per lo più anche poco divertenti. E lo vorrei invitare a documentarsi in modo più rigoroso: non è segno di laicità, ma di ideologia, confondere cose diverse (il 'caso Welby', ad esempio non ha nulla a che vedere col problema del 'testamento biologico'). Mi limito a indicare alcuni, pochi punti, sui quali credo davvero che non si possa non convenire (purché si faccia uno sforzo di onestà intellettuale). Nella norma, i pazienti timorosi di essere colpiti (o già colpiti) da patologie anche solo relativamente gravi, ma soprattutto quelli sottoposti a trattamenti sanitari di frontiera o salvavita, sono persone impaurite, fragili, il più delle volte anziane, sole, angosciate da problemi economici e familiari, incerte del loro futuro, bisognose soprattutto di essere alleggerite dal peso di decisioni più grandi di loro, spesso in stato di depressione o di confusione mentale, pronte a dar credito non al parere migliore, ma a quello prospettato loro da ultimo o comunque nel modo retoricamente più convincente. È necessario un grosso lavoro teorico per riformulare la categoria di 'autodeterminazione', per adattarla a queste situazioni.
Post n°19 pubblicato il 06 Ottobre 2008 da allelujastellina
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Post n°18 pubblicato il 06 Ottobre 2008 da Antologia2
Sabato 30 agosto, con la presentazione del libro di Don Luigi Giussani “Uomini senza patria”, si è conclusa la ventinovesima edizione del “Meeting per l’amicizia fra i popoli”, forse (ingiustamente) più conosciuto come il “meeting dei ciellini”. Ho avuto la fortuna, per la seconda volta in vita mia, di partecipare a questa settimana densa di incontri, dibattiti, inviti alla lettura, momenti artistici, mostre e momenti di svago. Fatte le dovute premesse, che cos’è veramente il Meeting? E che significa la frase che ha dato il titolo all’edizione 2008 “O protagonisti o nessuno”? Angelo Bagnasco, Davide Rondoni, Sandro Bondi, Pietro Modiano, Etsuro Sotoo, Carlin Petrini, Raffaele Bonanni, Vincenzo Novari, Franco Frattini, Amre Moussa, Gianni Alemanno, Roberto Formigoni, Pupi Avati, Aharon Appelfeld, Mauro Moretti, Alessandro Preziosi, Maurizio Lupi, Antonio Tajani, Giorgio Israel, Antonio Polito, Giulio Andreotti, Giulio Tremonti, Alessandro Profumo, Roberto Calderoli, Ermete Realacci, Vannino Chiti, Gianpaolo Pansa, Enrico Letta, Magdi Allam, Mariapia Garavaglia, Mariastella Gelmini, Pierluigi Bersani, Rino Fisichella, Mauro Mazza, Davide Van de Sfroos, Pietro Guindani, Adolfo Urso, Eugenia Roccella, Pier Francesco Guarguaglini, Altero Matteoli, Angelino Alfano, Giancarlo Giannini, Maurizio Sacconi, Michael O’Brien, Stanley Hauerwas…oltre a decine di altri scrittori, importanti imprenditori e professori universitari provenienti da tutto il mondo. Questi sono i nomi di coloro che hanno partecipato all’edizione appena conclusasi, e che io ho avuto modo di ascoltare. Quale altra manifestazione, obiettivamente, può fornire un così ampio e ricco panorama di opinioni che spaziano dal vescovo cattolico a quello ortodosso, dal rabbino al presidente della lega araba, dai rappresentanti del governo a quelli dell’opposizione, dallo scrittore credente a quello agnostico, dal matematico al filosofo passando per l’astrofisico? Nessuna. Oltre 120 sono stati gli incontri condensati in una settimana, con 400 fra relatori ed intervenuti, e 800 i giornalisti italiani ed esteri accreditati. In un momento in cui la situazione internazionale è confusa e carica di tensioni, il Meeting (fedele alla sua storia) è stato ancora una volta il luogo di un dialogo per la pace, i diritti dell’uomo e la convivenza tra i popoli. Quanto alla nostra politica, quest’anno sono stati messi in primo piano i temi del federalismo fiscale, del welfare, della sussidiarietà, dell’istruzione, della giustizia; e non il gossip o le trite schermaglie fra avversari che sovente subiamo dai mezzi di informazione a colpi di dichiarazioni di portavoci o sottosegretari amanti dell’esposizione mediatica più che del loro dovere istituzionale. Al “meeting” (dove l’ingresso è gratuito in tutti i 170.000mq dell’area espositiva), è sempre un piacere notare che la grande maggioranza dei visitatori è composta da un popolo di ragazzi che sono sotto i trent’anni. Davvero allora c’è la speranza, anche per chi come me sta crescendo dei bambini, che non siamo per forza destinati a ritrovarci in casa degli eterni annoiati, attratti solo da videogiochi, tv e facezie di YouTube, desiderosi del nulla se non di aspettare il fine settimana per andare a sballarsi. In un periodo di tranquillità come quello della vacanza e lontani dalle quotidiane preoccupazioni lavorative o scolastiche, tutti possono trovare un’ottima occasione per fermarsi con calma a capire meglio in che mondo viviamo, dove ci sta portando l’attualità e quali potranno essere gli scenari politici futuri.
“O protagonisti o nessuno”. Che significa? Certo per il periodo in cui viviamo e per le accuse che vengono sovente lanciate al popolo di Cl, si tratta di una frase che può risultare assai sibillina e porgere il fianco ad interpretazioni assai errate. Se domandassimo alla gente chi è “protagonista” oggi, ci sentiremmo rispondere di qualcuno il cui scopo principale nella vita è il successo. Senza di esso ci si ritrova privati di un’identità precisa, o meglio di quella possibilità di essere riconosciuti che sembra dare l’illusione di esistere meglio di altri. Il risultato è un’omologazione che obbliga a seguire in tutto e per tutto le direttive della moda dominante: senza essere socialmente riconoscibili, oggi giorno non si esiste. Ma che tipo di uomo è quello che insegue a tutti i costi ciò che lo fa distinguere dagli altri? È il divo, ovvero l’uomo che si erge a Dio. Quest’uomo, nel tentativo di essere libero, vuole possedere la realtà in assoluta autonomia ma si ritrova invece schiavo delle circostanze, delle cose e, ovviamente, del suo successo personale. Tagliato il rapporto con la realtà, prigioniero dell’esito, l’uomo rimane in una condizione di passività umana che lo costringe ad esprimersi in un triste e vuoto formalismo. Ma un uomo che conta solo sulle sue forze è destinato, prima o poi, a fallire. L’esito inevitabile di questo processo è lo scetticismo e il cinismo. Dice don Luigi Giussani: “Protagonisti non vuole dire avere la genialità o la spiritualità di alcuni, ma avere il proprio volto, che è, in tutta la storia e l’eternità, unico e irripetibile”. Il vero protagonista è infatti l’uomo stupito che fa la scoperta commovente di avere un volto unico e irripetibile. Un uomo libero proprio perché è consapevole di essere legato a quel disegno misterioso da cui intuisce che ogni cosa dipende. I protagonisti sono stati degli sconosciuti, che hanno offerto a tutti la loro testimonianza di persone appassionate alla propria umanità, che nell’incontro del volto di Cristo nel prossimo hanno trovato la risposta al bisogno infinito del loro cuore e sono diventati perciò veri protagonisti della loro vita, della loro “normale” quotidianità: le due donne Ugandesi Vicky e Rose, operatrici di carità tra i malati di AIDS di Kampala, Cleuza e Marcos Zerbini tra i senza terra di San Paolo, padre Aldo Trento nelle favelas di Asunción in Paraguay, Rosetta Brambilla a Belo Horizonte, suor Elvira e le sue case per il recupero dei tossicodipendenti, Margherite Barankitse, “l’angelo del Burundi”, che negli ultimi dodici anni ha aiutato oltre diecimila bambini di varie nazionalità colpiti dalla guerra civile in Burundi e da altri conflitti nella regione.
Post n°17 pubblicato il 05 Ottobre 2008 da 1carinodolce
Post n°16 pubblicato il 01 Ottobre 2008 da Antologia2
Pubblico e critica, sia nazionale che internazionale presenti all’apertura del Festival di Cannes, hanno stigmatizzato il film come "la Waterloo di Dan Brown" (Bbc). Lo stesso cast non ha potuto mostrare performance di buon livello o perlomeno al pari dei blasonati curricula. Quello che doveva essere il thriller più avvincente e cult degli ultimi anni si è risolto in una noiosa trasposizione di costume. Il film di Ron Howard, Il codice da Vinci, mette in scena tutte le confusioni e le incongruenze dell’omonimo romanzo di Dan Brown da cui è tratto. Documenti e testi dichiaratamente fallaci, colpevole confusione tra i manoscritti ritrovati nell’oasi egiziana di Nag Hammadi, che sono testi gnostici, e quelli trovati a Qumran sul Mar Morto, che sono testi essenici, illazioni esoteriche tratte dalla mente instabile del curato sospeso a divinis di Rennes-le-Chateau, Bérenger Saunière, e dalle successive speculazioni sul tema del falsario Pierre Plantard, collaborazionista del governo di Vichy e persecutore di ebrei. Il tutto con un atteggiamento anticattolico che, nel libro, Dan Brown assume ricollegandosi al femminismo chic propugnato dall’antropologa Margaret Alice Murray, autrice del pamphlet new age Il dio delle streghe. Si tratta realmente di una posizione non solo ignorante (gli storici medioevalisti sono concordi in questo) ma anche colpevole nel sottrarre continuamente il proprio romanzo alla chiarezza di definizione di un genere. Un atteggiamento, quello di Dan Brown, non nuovo. Come afferma il Cardinale Ruini: “già il Nuovo Testamento conosce la tendenza ad andare dietro alle favole, piuttosto che dare ascolto alla testimonianza della verità (cfr. 2 Tim 4,3-4; 2Pt 1, 16), ma è difficile sottrarsi alla sensazione che il grande successo di lavori come Il codice da Vinci abbia a che fare con quell’odio, o quel venire meno dell’amore per se stessa che, come osservava l’allora cardinale Ratzinger (Senza radici, ed. Mondadori, pp. 70-71), si è insinuato nella nostra civiltà. Anche in questo caso, però, non è il caso di cedere al pessimismo: alla fine il fascino della verità è più forte di quello dell’illusione, e di verità la nostra gente oggi ha una gran sete”. Per tali motivi il film, non presentando significativi elementi cinematografici, non si mostra di alcun interesse pastorale. La valutazione è inaccettabile, negativo.
Post n°15 pubblicato il 01 Ottobre 2008 da Antologia2
Post n°14 pubblicato il 01 Ottobre 2008 da Antologia2
1) IN PRIMO PIANO:
Bagnasco: Il fenomeno della Cristofobia Vi sono rischi che prendono piede vicino a noi, ossia nella nostra stessa Europa… «il distacco della religione dalla ragione, che relega la prima esclusivamente nel mondo dei sentimenti, e la separazione della religione dalla vita pubblica»…
Vi è infatti una derivazione concettuale tra la disinvolta pratica del relativismo, gli eccessi antireligiosi e anticristiani e la regressione culturale ed etica delle società.
E non si vede, a questo punto, chi avrebbe interesse a nascondersi tale nesso: non certo coloro che, abbandonando saccenteria ed arroganza, vogliono superare la situazione di stallo in cui si trova la costruzione europea e intendono effettivamente radicare l’Europa nella coscienza dei popoli, così che - fiorendo - dia legittimità morale a carte e trattati
Post n°13 pubblicato il 27 Settembre 2008 da 1carinodolce
Post n°12 pubblicato il 24 Settembre 2008 da 1carinodolce
( nel terzo millennio )
Questo commercio, se non si auto-limitasse — per non perdere l’aura di «proibito» che ne propizia de facto il consumo —, invaderebbe il nostro quotidiano come un formaggino o un succo di frutta o una marca di sapone. Una diffusione sempre al passo con la tecnologia, che cresce di volume e di penetrazione a ogni evoluzione di quest’ultima, passando da un dato tipo di supporto a uno più nuovo, cioè più moderno: Sempre più spesso capita infatti che si arrivi a contenuti pornografici senza volerlo: o li si trova coperti da innocenti e-mail inviateci grazie al commercio di indirizzi di posta elettronica — che è nato partendo dalle liste degli abbonamenti ai vari provider — o si è guidati forzatamente su siti pornografici oppure, ancora, ci si imbatte in materiali pornografici coperti da titoli innocenti quando si cerca di scaricare illegalmente software o film dalla rete.
Post n°11 pubblicato il 16 Settembre 2008 da Antologia2
Post n°8 pubblicato il 13 Settembre 2008 da 1carinodolce
Pubblicato, il romanzo non passa inosservato. Autorità di tutte le religioni lo denunciano come un’odiosa mistificazione anti-buddhista e un incitamento allo scontro fra le religioni. In diversi paesi la sua pubblicazione è vietata, fra gli applausi della stampa. Le case cinematografiche, cui è proposta una versione per il grande schermo, cacciano a pedate l’autore e considerano l’intero progetto uno scherzo di cattivo gusto.
Come è stato correttamente osservato dallo storico e sociologo americano Philip Jenkins, il successo di questo prodotto è solo un’altra prova del fatto che l’anti-cattolicesimo è «l’ultimo pregiudizio accettabile» ___
Post n°7 pubblicato il 11 Settembre 2008 da 1carinodolce
Considerazioni sulla "morte cerebrale" dopo l'articolo dell'"Osservatore Romano"
L'intolleranza mediatica contro l'editoriale di Lucetta Scaraffia, I segni della morte, sull'"Osservatore Romano" del 3 settembre 2008, suggerisce alcune considerazioni sul tema delicato e cruciale della morte cerebrale. Tutti possono consentire sulla definizione, in negativo, della morte come "fine della vita". Ma che cos'è la vita? La biologia attribuisce la qualifica di vivente ad un organismo che ha in sé stesso un principio unitario e integratore che ne coordina le parti e ne dirige l'attività. Gli organismi viventi sono tradizionalmente distinti in vegetali, animali ed umani. La vita della pianta, dell'animale e dell'uomo, pur di natura diversa, presuppone, in ogni caso un sistema integrato animato da un principio attivo e unificatore. La morte dell'individuo vivente, sul piano biologico, è il momento in cui il principio vitale che gli è proprio cessa le sue funzioni. Lasciamo da parte il fatto che, per l'essere umano, questo principio vitale, definito anima, sia di natura spirituale e incorruttibile. Fermiamoci al concetto, unanimamente ammesso, che l'uomo può dirsi clinicamente morto quando il principio che lo vivifica si è spento e l'organismo, privato del suo centro ordinatore, inizia un processo di dissoluzione che porterà alla progressiva decomposizione del corpo. Ebbene, la scienza non ha finora potuto dimostrare che il principio vitale dell'organismo umano risieda in alcun organo del corpo. Il sistema integratore del corpo, considerato come un "tutto", non è infatti localizzabile in un singolo organo, sia pure importante, come il cuore o l'encefalo. Le attività cerebrali e cardiache presuppongono la vita, ma non è propriamente in esse la causa della vita. Non bisogna confondere le attività con il loro principio. La vita è qualcosa di inafferrabile che trascende i singoli organi materiali, dell'essere animato, e che non può essere misurata materialmente, e tanto meno creata: è un mistero della natura, su cui è giusto che la scienza indaghi, ma di cui la scienza non è padrona. Quando la scienza pretende di creare o manipolare la vita, si fa essa stessa filosofia e religione, scivolando nello "scientismo".
Post n°6 pubblicato il 30 Agosto 2008 da 1carinodolce
“Il titolo del Meeting 2008 vuole riflettere sul concetto di persona ponendo innanzitutto una sfida e al tempo stesso una provocazione alla mentalità dominante: “Chi è il protagonista oggi?”. Oppure il protagonista è un uomo stupito che fa la scoperta commovente dell’unicità e dell’irripetibilità che caratterizzano il proprio volto e che, in virtù di questo riconoscimento, è in rapporto con il proprio destino dentro alla realtà di ogni giorno?” (Anteprima Meeting). Siamo alle frontiere della battaglia per l’umano, come sottolinea in una intervista Marco Bersanelli, nel numero estivo di “Tracce” 2008: In un mare infinito di possibilità equivalenti siamo apparentemente più liberi, ma in mancanza di un invito alla persona, in realtà, siamo ancora più confusi. La persona è umiliata, non percepisce uno scopo, al punto che per sentire di esistere crede di doversi sacrificare per qualche briciola del potere e della fama che alcuni fortunati hanno a tonnellate”. Chi è allora il “protagonista” ?
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