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Messaggi di Settembre 2018

 

Revenge da cinematographe

Post n°14636 pubblicato il 22 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

Revenge, primo horror del filone “rape and revenge” ad essere stato diretto da una regista donna (la francese Coralie Fargeat), ha avuto la sua anteprima mondiale nella sezione Midnight Madness del Toronto Film Festival 2017 e, in seguito, in occasione del Sundance Film Festival del 2018. Il film segue le vicende di Jen (Matilda Lutz), sexy socialite che ha una relazione segreta con il milionario Richard. I due decidono di passare un fine settimana in una lussuosa villa isolata nel deserto, in attesa degli amici di Richard, con cui l’uomo ha organizzato la tradizionale battuta di caccia annuale. Le cose prenderanno una terribile piega quando Jen verrà violentata da uno dei ragazzi: Richard offre alla ragazza una somma di denaro e un’alternativa per dimenticare la violenza subita, ma Jen rifiuta e fugge nel deserto, braccata dai tre ragazzi. Fingendo di chiamare un elicottero per accompagnarla a casa, Richard spinge Jen giù per un dirupo. Ha inizio la vendetta della donna.

Revenge: da preda sexy a spietata assassina

Revenge Cinematographe.it

Le immagini che aprono Revenge sono piuttosto esplicative: una fotografia che più satura non si può, un rallenty accompagna le sinuose curve di Jen mentre scende dall’elicottero, assaggiando un lecca-lecca come le protagoniste dei videoclip pop anni 2000. I due si apprestano a fare il loro ingresso in una villa ultramoderna dalle vetrate azzurre e magenta: l’uomo non parla, ma con un solo sguardo riesce a ottenere le attenzioni (e anche più) della sua lolita dagli shorts inguinali. A differenza del protagonista-villain Richard, individuo attivo insieme al gruppo di amici, Jen rimarrà corpo passivo quasi privo di sentimenti, pensieri e opinioni. È da questa figura femminile che l’idea che Coralie Fargeat propone del genere maschile si alimenta: Jen è la traduzione filmica di un’iconografia che parifica donna e giocattoli (oltre alle solite armi sventolate dai protagonisti maschili), esibito da un dominatore patriarcale che prima la “possiede” e poi la getta in pasto agli astanti del suo stesso sesso.

Revenge Cinematographe.it

Non ci è dato sapere nulla al di fuori di ciò che vediamo sullo schermo: Fargeat tiene fuori fuoco il passato dei protagonisti e la loro psicologia, che però non sembra emergere nemmeno dalle vicende ritratte nel film, che si compone così più come fosse un infernale incubo femminile che come una situazione realistica. Gli uomini sono goffi, talvolta stupidi, ma soprattutto cattivi a tutto tondo privi persino di pentimenti e rimpianti, monodimensionali come la controparte femminile.

Revenge osa quando sfrutta il potenziale del genere horror, e funziona: la seconda parte, che simboleggia la maturità di Jen attraverso una rinascita (seppur poco credibile sul piano narrativo), è un’arena di sangue, dove a scandire il ritmo dell’opera sono troncamenti, amputazioni e fiumi di sangue. Meno efficace è la sua componente thriller in interni, dalle dinamiche scontate nel primo atto e in chiusura, e quella survival, che caratterizza la trasformazione della protagonista nel secondo atto.

Revenge: un film che strizza l’occhio alle odierne tematiche sociali

Revenge Cinematographe.it

Leggi anche Scambi di genere al cinema: i 10 migliori film gender swap 

Ci sarebbe, tuttavia, una potenziale chiave di lettura che porterebbe a vedere l’opera di Fargeat come una sorta di semplicistica metafora di genere degli odierni movimenti sociali. Come diversi film appartenenti alla categoria rape and revenge, o che ne hanno saggiato alcuni elementi tipici per provare a ricavarne riflessioni di altro tipo (è il caso delle tante opere autoriali che partono dal medesimo assunto, la violenza fisica), Revenge ha per baricentro il concetto di rovesciamento del ruolo, che si sposa alla perfezione con il genere scelto ma, stavolta, in un’epoca in cui riesce sempre più difficile non accostare al concetto di ruolo l’ideologia gender.

Jen, che richiama la Jennifer di I Spit on Your Grave, resuscita dalle ceneri di una donna inerte e cresce solo attraverso la rivalsa contro i suoi malfattori, guidata dalla collera e dal disprezzo, pronta a castigare chiunque l’abbia fatta soffrire. Eppure, si ha l’impressione che il film di Fargeat sia più puntuale che innovativo, più audace nella messinscena dell’orrore che nell’intento di proporre qualcosa di insolito, preferendo rimanere appiccicata alle formule della corrente cui fieramente appartiene. Sarà davvero difficile rimanere sorpresi da un film che predilige la possibilità di rimpolpare i luoghi comuni su vittime e carnefici, rimanendo sguardo esterno e spesso compiaciuto, anziché provare sinceramente ad approfondire il punto di vista delle prime.

 
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L'inganno

Post n°14635 pubblicato il 21 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

L'inganno di Sofia Coppola sta già nel trailer, in quanto il film sembra andare in una direzione guardandolo, ma è ingannevole di quello che in realtà racconta il film.

Questo film, che non è altro che il remake de "La notte brava del soldato Jonathon" (e basato sul romanzo di Thomas P. Cullinan), narra di come in piena Guerra di Secessione, nel profondo Sud, le donne di una scuola per ragazze di buona famiglia accolgano un soldato ferito, che una volta curato porterà prima ad avere l'attrazione di tutte le ragazze, e poi dopo un incidente il ribrezzo e la paura, arrivando al finale tragico.

Se il film di Siegel chiaramente andava in una strada precisa, ovvero quello del dramma passionale o comunque sessuale; quello di Sofia Coppola viene dominato da una serie di atmosfere cupe e tanta morbosità nei rapporti, con toni spesso funebri.

In questo film c'è quasi un ritorno a quelle repressioni sessuali presenti nè Il giardino delle vergini suicide, e con quell'idea di ambiente caslingo soffocante, monotono dove il sesso viene visto come riscatto per affermare la propria libertà, con la differenza che qui non c'è una madre repressiva ma una donna che ha gli stessi appetiti delle altre, scatenando involontariamente con la sua scelta di non consegnare il soldato una gara di seduzione senza esclusione di colpi tra le ragazze. Quindi un ribaltamento del film con Client Eastwood in chiave femminista ma senza alcuna empatia e questo è strano per la Coppola. 

A livello di fotografia siamo nella solita eleganza, ma i tratti dei personaggi non sono abbastanza complessi come in teoria dovrebbero essere, in un film piatto senza alcuna tensione o sviluppo, con un'accellerazione finale sprovvista della dovuta carica drammatica.

Come sempre la Coppola si dimostra un'ottima regista coerente con la propria concezione e idea di cinema, anche se in questo film non dice nulla di nuovo, anzi il film annoia per la sua scontatezza e fa capire ancora di più quanto la fantasia a Hollywood non esista più. Ancora una volta un remake non riesce bene (nonostante l'ottima prestazione di tutto il cast), e non sbaglia il padre Francis, come ricordato da Sofia; quando disse di odiare i remake: "Nessuno fa un remake a meno che quel qualcuno non stia cercando di fare soldi; Non c’è ragione di fare i remake. Non è una cosa onorevole”.

Voto finale: 2/5

L'inganno

Titolo originale: The Beguiled

 

L'inganno è un film di genere drammatico, thriller del 2017, diretto da Sofia Coppola, con Elle Fanning e Kirsten Dunst. Uscita al cinema il 21 settembre 2017. Durata 94 minuti. Distribuito da Universal Pictures.

Poster

L'inganno si svolge in un collegio femminile nello stato della Virginia, durante la Guerra di Secessione americana. Protette dalle spesse pareti del Farnsworth Seminary, le studentesse della scuola diretta da Miss Martha (Nicole Kidman) conducono una vita fortemente ritualizzata, scandita dai pasti, dalla preghiera e dalle lezioni di francese, con qualche attesa e confortante parentesi musicale. Lontane dal conflitto, si sforzano di mantenere nella quotidianità quell'atteggiamento fiero e compassato che si addice alle signorine della loro età. Ma la gabbia dorata che l'istitutrice ha costruito intorno a loro è destinata a crollare, quando la guerra bussa alla porta nella forma di un soldato ferito e bisognoso di cure, John McBurney (Colin Farrell). All'uomo vengono offerti rifugio e ospitalità, e solo più tardi le ragazze si accorgono di come una presenza maschile abbia scatenanto egoismi e rivalità senza precedenti. Alicia (Elle Fanning) comincia a portare i capelli sciolti e ad allentare il corsetto, rubando le attenzioni del soldato all'innocente Edwina (Kirsten Dunst). L'etichetta sociale viene infranta e gli ultimi residui di formalità ostentata diventano cornice di un thriller psicologico e d'atmosfera. 

Come già avvenuto per il suo film d'esordio, Il giardino delle vergini suicide, tratto dal quasi omonimo romanzo di Jeffrey Eugenides, " Le vergini suicide", per questo suo sesto lungometraggio Sofia Coppola torna a farsi ispirare da un libro. 
L'inganno è infatti un adattamento di "A Painted Devil", romanzo del 1966 scritto da Thomas P. Cullinan che cinque anni dopo, nel 1971, era già stato alla base del film di Don Siegel La notte brava del soldato Jonathan. 
L'inganno, allora, si piazza a metà tra l'essere una nuova versione cinematografica del romanzo di Cullinan e un remake del film di Siegel, di cui riprende anche il titolo originale, The Beguiled
Se nel film del 1971 era Clint Eastwood a vestire i panni di un soldato nordista solo e ferito in territorio nemico, e portato dentro un collegio femminile dove viene prima curato e poi diventa oggetto di pulsioni e desideri sessuali, qui la parte va a Colin Farrell, mentre nel ruolo della direttrice della scuola non c'è più Geraldine Page ma la statuaria Nicole Kidman
Se sia Farrell che la Kidman (che al Festival di Cannes 2017, dove L'inganno era presentato in concorso, recitavano assieme anche in The Killing of a Sacred Deer di Yorgos Lanthimos) sono alla loro prima collaborazione con Sofia Coppola, non è così per Kristen Dunst, che riprende il ruolo che fu di Elizabeth Hartman: la Dunst era infatti una delle vergini suicide del film del 1999 e per la Coppola è stata la Maria Antonietta del Marie Antoinette del 2006. 
Anche Elle Fanning aveva già lavorato con la Coppola: nel 2010, per Somewhere, Leone d'oro al Festival di Venezia. E l'anno dopo, nel 2011, la Fanning era stata protagonista anche del Twixt di papà Francis. Musicato dai Phoenix, la band del marito della regista, Thomas Mars, e fotografato a luce di candela dal Philippe Le Sourd di The Grandmaster, L'inganno, la cui uscita al cinema in Italia è prevista per il 14 settembre 2017, è stato tra i film più apprezzati del concorso del Festival di Cannes 2017, vincendo in quell'occasione il premio per la migliore regia andato alla Coppola: la seconda donna a vincere il riconoscimento nella storia del festival francese, più di cinquanta anni dopo la prima, Yuliya Solntseva, che vinse per Chronicle of Flaming Years.

Sofia Coppola ha chiesto alle giovani attrici di scrivere ogni giorno un diario come se fossero i loro personaggi, con riflessioni sul passato (le famiglie dalle quali sono state separate) e sul presente al collegio. 
Alcuni oggetti di scena sono stati deliberatamente danneggiati per rendere il clima di incuria e povertà creato dalla guerra: le posate d'argento sono state ossidate e annerite, gli abiti lasciati al sole a scolorarsi, perché nessuno poteva vantare i ricchi guardaroba di un tempo, né trovare il tempo per lucidare l'argenteria. 
Il Farnsworth Seminary è in realtà la Madewood Plantation House, la villa in stile neoclassico apparsa nel videoclip di Beyoncé del brano "Sorry".


  • MONTAGGIOSarah Flack
  • PRODUZIONE: American Zoetrope, FR Productions
 
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Film nelle sale da oggi

Post n°14634 pubblicato il 20 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

 
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La profezia dell'armadillo

Post n°14633 pubblicato il 15 Settembre 2018 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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La profezia dell'armadillo

Post n°14632 pubblicato il 15 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

La profezia dell'armadillo è un film di genere drammatico, commedia del 2018, diretto da Emanuele Scaringi, con Simone Liberati e Valerio Aprea. Uscita al cinema il 13 settembre 2018. Durata 99 minuti. Distribuito da Fandango Distibuzioni.

Poster

Dall'acclamata opera a fumetti di Zerocalcare, La profezia dell'armadilloapproda sul grande schermo grazie all'esordiente Emanuele Scaringi. Il ventisettenne Zero (Simone Liberati) è un disegnatore spiantato del quartiere periferico di Rebibbia, più precisamente della Tiburtina Valley: terra di Mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori grandi; un posto dove manca tutto ma non serve niente. Visto che con le vignette non si guadagna, tira avanti dando ripetizioni di francese e creando illustrazioni per gruppi musicali punk indipendenti. La sua vita è un saliscendi dai mezzi pubblici, un va e vieni da un capo all'altro della città per inseguire lavoretti occasionali e far visita alla Madre. Finché un giorno, di ritorno a casa, non lo attende la personificazione della sua coscienza critica, un vero Armadillo in placche e tessuti molli, pronto a conversare sulla vita, l'attualità e i massimi sistemi del mondo. Ad affiancare Zero nelle piccole imprese quotidiane, c'è Secco (Pietro Castellitto), l'amico di sempre. Presente anche quando la notizia della morte di Camille, vecchia compagna di scuola e primo amore del protagonista, non mette in discussione le poche certezze dell'artista dissacrante, evocando i dubbi e il senso di incomunicabilità che contagiano un'intera generazione di "tagliati fuori".

Presentato al Festival di Venezia 2018 nella sezione Orizzonti.

FRASI CELEBRI:

 

Dal Trailer Ufficiale del Film:

Armadillo (Valeria Aprea): Si chiama "Profezia dell'armadillo" ogni previsione ottimistica, fondata su elementi soggettivi e irrazionali, spacciati per oggettivi e logici, destinata ad alimentare delusione, frustrazione e rimpianti.
Zero (Simone Liberati): Potrebbe essere più chiaro?
Armadillo: Un vademecum per prendersela nel culo!

Zero: Tutto si muove all'interno dello schema madre del sistema: potere, avidità, sopraffazione, denaro. Ti dovevi vedere "L'odio", il dogma dei pischelli de tutte le periferie d'Occidente...
Blanka (Samuele Biscossi): Che so i film, quelli che se vede mi' padre?! Co' l'avvocati feroci, co' l'AIDS?

Zero: È normale che brucia, c'è pure scritto "spray al pepe-roncino"!
Secco (Pietro Castellitto): Sabato scorso ero bello riposato, a mezzogiorno 'na spruzzata fatta bene in faccia e poi riuscivo a intrattene' dei rapporti! Perché mi sto assuefando!

Zero: Senti, qual e il problema del computer?
Mamma (Laura Morante): Che hai fatto start?
Zero: Eh!
Mamma: E dopo start? Scrivo "cerca" e dove lo scrivo sulla scrivania?
Zero: Io non ce la faccio, ti giuro, guarda!
Mamma: Che fai?
Zero: T'ammazzo la pianta!
Mamma: Fermo!

Zero: Se mi lascia le generalità...
Adriano Panatta (se stesso): Adriano Panatta
Zero: Professione?
Adriano Panatta: Professione?!

Uomo: I zombie so' quelli che odiano l'aglio, no?
Zero: No, quelli so i vampiri! I vampiri so ricchi e fascinosi, invece i zombie so' proletariato
Uomo: Ma quanti anni c'hai te?
Zero: Ventisette!
Uomo: Ma n'è meglio la fregna, no eh?!

 


 
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Lucio Battisti, 5 marzo 1943 - 9 settembre 1998 da comingsoon

Post n°14631 pubblicato il 15 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

09 settembre 2018 - Google+ Federica Carlino

Lucio Battisti, 5 marzo 1943 -  9 settembre 1998

Sono passati vent'anni da quando Lucio Battisti se ne è andato, lasciandoci con un'amarezza incontenibile, un canzoniere pieno di ricordi, lezioni ed emozioni, e una voce che continua a cantare e che ora, per fortuna, sono in tanti ad ascoltare. 

Nato a Poggio Bustone il 5 marzo del 1943, (ad un giorno di distanza dall'altro grande Lucio della musica italiana), ebbe un'infanzia ordinaria, come raccontò lui stesso in un'intervista del dicembre 1970: "I capelli ricci li avevo anche da bambino e così lunghi che mi scambiavano per una bambima. Ero un ragazzino tranquillo, giocavo con niente, con una matita, con un pezzo di carta e sognavo. Le canzoni sono venute più avanti. Ho avuto un'infanzia normale, volevo fare il prete, servivo la messa quando avevo quattro, cinque anni. Poi però una volta, siccome parlavo in chiesa con un amico invece di seguire la funzione - io sono sempre stato un grosso chiacchierone - un prete ci ha dato uno schiaffo in testa. Magari dopo sono intervenuti altri elementi che mi hanno allontanato dalla chiesa, ma già con questo episodio avevo cambiato idea."

Trasferitosi con la famiglia a Roma nel 1950, a 12 anni chiese ai genitori una chitarra in regalo, come premio per essere stato promosso in terza media: voleva imitare due ragazzi che abitavano nel suo condominio, che nel tempo libero suonavano il rock and roll. Per coltivare questo interesse, però, iniziò a trascurare la scuola con sommo dispiacere del padre Alfiero, che secondo la leggenda, preso da un raptus di rabbia, gli spaccò una chitarra in testa e lo minacciò di non firmare l'esenzione dalla leva militare, (alla quale aveva diritto essendo figlio di un invalido di guerra), se non avesse preso il diploma. La questione si risolse con la promessa di Lucio di completare gli studi, a patto che il padre firmasse l'esenzione e gli concedesse due anni per provare a migliorare le sue doti artistiche. Come da accordi, nel 1962 Battisti prese il diploma da perito elettrotecnico ed andò per la sua strada.

Iniziò a suonare dal vivo a Napoli, con i Mattatori, ma tornò a casa dopo pochi mesi per mancanza di soldi. A Roma, entrò a far parte del gruppo di Enrico Pianori, I Satiri, con i quali ebbe l'opportunità di suonare in Germania e in Olanda e di ascoltare alla radio la musica di Dylan e degli Animals. Successivamente, entrò nella formazione de I Campioni e si trasferì a Milano per tentare la fortuna da solista. Spronato dal leader del gruppo, Roby Matano, Lucio iniziò a scrivere canzoni e il 14 febbraio del 1965, durante un provino, venne notato da un'editrice musicale, Christine Leroux, responsabile del fortunato incontro con Giulio Rapetti, in arte Mogol. Fu proprio grazie al celebre paroliere che Battisti poté esordire da cantante: la Ricordi era totalmente contraria, perché lo considerava stonato e afono, ma Mogol minacciò di dimettersi se non avessero pubblicato il 45 giri che conteneva "Per Una Lira" (e "Dolce di Giorno"). Faceva così: 

Nel 1967 Mogol e Battisti iniziarono a lavorare da autori in coppia: scrissero i brani "29 settembre" e "Nel cuore, nell'anima", affidandoli alle sapienti mani dell'Equipe 84, e fecero interpretare a Riki Maiocchi "Uno in Più", una canzone-manifesto della cosiddetta linea verde, un silente movimento attraverso il quale Mogol intendeva rinnovare la tradizione musicale italiana; Battisti scrisse anche "Non prego per me" per Mino Reitano e suonò la chitarra in "La Ballata di Pickwick", cantata da Gigi Proietti
Oltre al suo lavoro da autore, Battisti proseguì la sua carriera solista pubblicando il singolo "Luisa Rossi/Era", che però non riscosse granché successo, e l'anno seguente "Prigioniero del mondo/Balla Linda". Questo, il suo primo videoclip: 

Con "Balla Linda" partecipò al Cantagiro 1968, arrivando quarto, e riuscì per la prima volta ad entrare nella hit parade con una canzone da lui interpretata, ottenendo anche un notevole successo negli Stati Uniti con la versione in inglese. 
Nel 1969 partecipò a Sanremo, in coppia con Wilson Pickett, presentando il suo primo vero successo: "Un'avventura". 
Il 4 marzo 1969 pubblicò il suo primo album eponimo, dal quale rilasciò come secondo singolo dell'anno "Acqua azzurra, acqua chiara/Dieci ragazze", con cui conquistò il pubblico dopo la partecipazione al programma televisivo Speciale per voi di Renzo Arbore. Nell'estate di quell'anno, fondò anche insieme a Mogol un'etichetta discografica indipendente, la Numero Uno - che coinvolgeva, tra gli altri, la Formula 3, Bruno Lauzi, Edoardo Bennato, Adriano Pappalardo e Oscar Prudente - e qualche mese dopo pubblicò il suo terzo singolo, "Mi ritorni in mente/7 e 40", con il quale raggiunse finalmente l'apice della hit parade. 

Continuando ad accumulare successi, sia da autore che da interprete, negli anni '70 Battisti raggiunse il culmine della popolarità ed iniziò a dimostrare un certo disprezzo per i mass media e per quei "dannati curiosi" e detrattori dei giornalisti, dai quali voleva essere giudicato esclusivamente per la sua musica.  Pubblicò un concept album, "Amore e non amore", e due dei suoi singoli più apprezzati: "Emozioni/Anna" e "Pensieri e parole/Insieme a te sto bene". 
Scaduto il contratto con la Dischi Ricordi, poté finalmente pubblicare il suo primo singolo con la Numero Uno: "La canzone del sole/Anche per te".  

Il 23 aprile del 1972 si esibì insieme a Mina in un duetto rimasto celebre, nel quale i due interpretarono un medley composto da "Insieme", "Mi ritorni in mente", "Il tempo di morire", "E penso a te", "Io e te da soli", "Eppur mi son scordato di te" ed "Emozioni". Fu l'ultima apparizione televisiva di Battisti: il giorno dopo pubblicò il suo primo album per la Numero Uno, "Umanamente uomo: il sogno", seguito nel novembre del 1972 da "Il Mio Canto Libero" e da "Il Nastro Caro Angelo" nel settembre 1973, anno in cui divenne padre del suo unico figlio. L'anno seguente, dopo un viaggio in Sudamerica con Mogol, pubblicò "Anima Latina" e nel 1975 partì nuovamente con Mogol per un viaggio negli Stati Uniti, dove scrisse una canzone ispirata dall'autostrada americana Interstate 5, "San Diego Freeway", che sarebbe poi diventata "Ancora Tu".

Dopo aver sposato la sua Grazia Letizia Veronese, nel 1976 iniziò a lavorare ad un album in lingua inglese per la RCA, inizialmente con l'aiuto della traduttrice di testi Marva Jan Marrow, e poi affidando l'incarico a Peter Powell. Nello stesso anno pubblicò un album in italiano, "Io tu noi tutti", e "Images", che però ottenne uno scarsissimo successo. Seguirono "Una donna per amico", nel '78, e "Una giornata uggiosa", che nel 1980 fu il quinto album più venduto in Italia. Fu anche l'ultima collaborazione con Mogol, per divergenze di interessi: "Il nostro rapporto è il rapporto di due persone di questo tempo che dopo tanti anni di lavoro assieme […] improvvisamente, per divergenze di interessi, si sono messi ognuno su una sua rotaia, su una sua strada, per cui adesso da quattro o cinque anni a questa parte ci vediamo al massimo un mese all'anno. […] È l'esperienza di due persone che stanno diventando completamente diverse."

Battisti continuò a scrivere con l'aiuto della moglie, autrice dei testi di "E già", un album che sorprese profondamente il pubblico per la brevità delle canzoni e gli arrangiamenti completamente elettronici. Tra il 1982 ed il 1983 pubblicò con Adriano Pappalardo gli album "Immersione" e "Oh! Era Ora", e durante le sessioni di registrazione conobbe il paroliere romano Pasquale Panella, con il quale iniziò una fruttuosa collaborazione, che durò fino al 1994. Furono gli anni più sperimentali di Battisti, che il grande pubblico non comprese mai a pieno. Lucio aveva iniziato ad interessarsi ai generi musicali che avrebbero preso il sopravvento di lì a poco: il rap - che ricambiò l'interesse campionando molti dei suoi brani - e la techno, esplorati nell'album "Cosa succederà alla ragazza", per finire con l'eurodance in "Hegel". 

Nel 1993 sfumò miseramente un progetto a tre con Adriano Celentano e Mina, come raccontò lo stesso Molleggiato in una lettera aperta, nella quale confessò di essersi dimenticato di richiamare Battisti dopo aver concordato con lui un appuntamento: "'Io dico che dovremmo vederci di più' - mi dicesti - 'per fare qualcosa insieme. Non necessariamente per il pubblico, ma per divertirci noi'.'Sono d’accordo. L’unico rischio è che se ci divertiamo troppo poi facciamo anche successo'. Cominciammo a ridere e scherzare. Ma forse avevo sottovalutato il tuo stato d’animo. Tre giorni dopo telefonasti dicendomi che se volevo saresti venuto volentieri a Galbiate a fare un quattro chiacchiere. Quel giorno avevo un appuntamento a Milano e per una serie di sfortunate coincidenze dimenticai di richiamarti come avevo promesso. Il giorno dopo telefonai a casa tua ma non rispose nessuno [...] Da quel momento ho cominciato a cercarti quasi ovunque. Ma tu eri sparito, neanche la Sony sapeva dov’eri. Finalmente dopo 20 giorni riesco a parlarti, e al telefono mi resi conto che quel giorno a Galbiate l’avevo fatta grossa. Il tono della tua voce era freddo. Per quanto forte e divertente fosse l’idea di fare un disco in tre, non era abbastanza per colmare l’amarezza che ti avevo procurato. Più parlavo e più mi rendevo conto di non essere credibile: le mie scuse risultavano mischiate a una richiesta di lavoro e quindi non del tutto disinteressate. “L’idea è bella” - mi dicesti - “ma ci devo pensare”.
“Capisco. Comunque io non ti telefonerò più. Qualora tu decida di dare il via a questo progetto, che mi sembra importante come regalo ai tuoi fans, sappi che io e Mina siamo pronti”.
Ma non c’era più spazio per una telefonata, l’orgoglio ormai, non solo tuo ma anche mio, aveva occupato tutti gli spazi possibili della “comprensione”. Forte del fatto che dovevi essere tu a darmi una risposta, io non ti telefonai più". 

Se solo le cose fossero andate diversamente, se solo la vita gli avesse concesso altri vent'anni, almeno, non ci ritroveremmo qui a scrivere:

Ciao Lucio, ti amiamo sempre un po' di più e abbiamo quasi paura di innamorarci troppo di te.

 
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Sinistra e sovranismo, le fake news del 'Manifesto' da marx21

Post n°14630 pubblicato il 15 Settembre 2018 da Ladridicinema
 


 fake manifestodi Carlo Formenti


Non leggo più il “Manifesto” da quando si è trasformato in organo ufficiale della sinistra “pariolina” (cioè da più di dieci anni) mi capita però di incocciare ancora in qualche articolo pubblicato dal quotidiano (ex)comunista perché lo trovo linkato su Facebook, o citato da altri siti (cioè raramente, non avendo molti amici nell’area clintoniana). In tali occasioni mi capita quasi sempre, non di incazzarmi (l’incazzatura scatta se le stupidaggini arrivano da persone che stimiamo), ma di stupirmi per ogni nuovo “salto di qualità” sulla via del liberismo.


L’ultima volta mi è successo cliccando su un link che rinviava a un articolo di Rachele Gonnelli, “Fassina celebra Patria e Costituzione e Badoglio” uscito il 9 settembre. Trattasi d’una parodia di cronaca del convegno fondativo dell’Associazione “Patria e Costituzione”, tenutosi l’8 settembre nella Sala della Protomoteca del Campidoglio. Partiamo da alcune bugie e imprecisioni che, in altri tempi e in un quotidiano serio, avrebbero squalificato il collaboratore chiamato a rendere conto di un evento pubblico: 1) la sala conterrebbe “al massimo un centinaio di persone” (erano il doppio a voler essere prudenti); 2) si insiste sulla mancata proiezione dell’annunciato videomessaggio della presidente dei “rossobruni” tedeschi Sarah Wagenknecht, come se i contenuti del testo di saluto di cui si è data lettura (derubricato dall’ineffabile Gonnelli a “letterina di generici auguri ai compagni italiani”) fossero sviliti dalla mancanza di immagini; 3) sempre sulla Wagenknecht, si spara una clamorosa fake news: Aufstehen (l’associazione fondata da Sarah e dall’ex segretario della Spd Oskar Lafontaine) non si è scissa dalla Linke, come scrive Gonnelli, ma conduce una battaglia interna sia alla Linke che alla Spd su posizioni di sinistra “sovranista” alla Mélenchon (quello che invece si tace, evidentemente disturba, è la notizia che l’associazione ha ottenuto in breve tempo più di 130.000 adesioni)

Il florilegio potrebbe continuare, ma veniamo ai “contenuti”. L’arzigogolata definizione di “badogliani” che viene appiccicata ai promotori dell’incontro Fassina e D’Attorre nasce dal riferimento all’8 settembre 1943, data dell’”armistizio del disonore” che lasciava in piedi la monarchia sabauda, (disonore perché si è tradito l’alleato tedesco? Spero di no, ma la formulazione è quanto meno ambigua). Del resto se la Gonnelli avesse qualche nozione storica sul periodo, saprebbe che la monarchia è rimasta in piedi perché gli accordi fra Urss e alleati lo prevedevano, come sarebbe stato successivamente chiarito dalla svolta di Salerno. Segue frecciata alla realpolitik tricolore di Togliatti, eppure dovrebbe essere passato abbastanza tempo dalle retoriche sessantottine sulla Resistenza come “rivoluzione tradita”, per consentire una valutazione più oggettiva degli eventi: senza quel compromesso la Resistenza italiana avrebbe fatto la fine di quella greca e noi non avremmo oggi una Carta che JP Morgan (e l’Europa ordoliberale) vogliono liquidare perché contiene troppe tracce di socialismo (cioè dei rapporti di forza che il movimento operaio fu in grado di far valere).

Poi le cose peggiorano ulteriormente: badogliano anche Vladimiro Giacché, perché non gli piacciono i trattati europei e osa affermare che non sono riformabili. Ora è chiaro che di economia la Gonnelli mastica poco o nulla per cui per contestare Giacché si deve aggrappare agli argomenti di Lionello Cosentino, l’unico Pd salito sul palco (un caso o un sintomo di dove sta andando a parare il Manifesto?). Curioso che poco sopra Gonnelli rinfacci a Fassina di non aver osteggiato il pareggio di bilancio in Costituzione: posso essere d’accordo, ma sono felice che abbia cambiato idea, mentre l’autrice dell’articolo sembrerebbe preferirlo nella versione “liberal progressista”. Di fatto, il liberal progressismo è ormai il contenitore ideologico che raccoglie i detriti di tutte le sinistre agonizzanti (socialdemocratiche e radicali) le quali, avendo da tempo cessato di rappresentare gli interessi popolari (populismo, ha detto qualcuno, è l’aggettivo che la sinistra usa quando si rende conto di non avere più alcun rapporto con il popolo), si nascondono dietro “la foglia di fico dei no border”, battuta di D’Attorre che ha fatto infuriare la Gonnelli che lo attacca dicendo che né lui né Fassina sono stati in grado di citare studi e ricerche che confermino che l’immigrazione è un problema per i proletari italiani. Visto che la questione non è nuova e la teoria marxista se ne occupa da un secolo e mezzo, le cito io alcuni “classici” che potrebbe consultare in merito agli effetti di dumping sociale prodotti dai flussi migratori: da Marx a Samir Amin passando per Arrighi, Wallerstein, Gunder Frank, Frantz Fanon per citarne alcuni…

Questa lunga digressione mi serve in realtà per ribadire un concetto che ho formulato nel mio intervento al convegno in questione, al quale ho partecipato come esponente di “Rinascita! Per un’Italia sovrana e socialista” (un’altra associazione politico culturale che si muove nel campo in cui è appena entrata a far parte  “Patria e Costituzione”). Rivolgendomi agli organizzatori, ho detto che, mentre capisco la loro volontà di recuperare quanto di buono può ancora esserci nella sinistra, penso al tempo stesso che si tratti di un’inutile perdita di tempo.

Gli insulti isterici e ridicoli (rossobruni, sovranisti, populisti, nazional socialisti, ecc.) con cui questa gente cerca di tamponare la crescita di un’area politica capace di coniugare la lotta per la riconquista della sovranità popolare e nazionale (due termini che Gramsci ci ha insegnato a considerare inscindibili) sono l’evidente conferma della loro disperazione per la perdita di qualsiasi capacità di rappresentanza degli interessi delle classi subalterne. Del resto fenomeni politici come France Insoumise, Aufstehen, parte di Podemos, lo stesso Corbyn e altri sono lì a dimostrare come la consapevolezza del processo di rinazionalizzazione della politica sia sempre più diffusa nella sinistra mondiale.

L’agitarsi scomposto del neoliberismo progressista ha l’unico effetto di rallentare il processo di costruzione di un’alternativa al populismo e al sovranismo di destra, perché i loro attacchi idioti e confusionari regalano continuamente voti all’avversario.

Carlo Formenti

(11 settembre 2018)

 
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Sulla mia pelle

Post n°14629 pubblicato il 15 Settembre 2018 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Un affare di famiglia

Post n°14628 pubblicato il 15 Settembre 2018 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Gotti

Post n°14627 pubblicato il 13 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

Gotti è un film di genere drammatico del 2018, diretto da Kevin Connolly, con John Travolta e Kelly Preston. Uscita al cinema il 13 settembre 2018. Durata 112 minuti. Distribuito da Eagle Pictures.

Poster

 

Dal Trailer Italiano del Film:

John Gotti (John Travolta): Ti dico una cosa: New York è la città più ricca del mondo ed era mia! Ero un ragazzo di strada e sono arrivato in cima. Mi sono fatto le ossa con qualche lavoro per Don Carlo Gambino, così sono diventato un uomo d'onore!

John Gotti: Costruirò qualcosa che nessuno potrà distruggere

John Gotti: L'unico ostacolo alla mia ascesa era Paul, non ho mai rispettato Paul!

Neil Dellacroce (Stacy Keach): Se uccidi il Capo dei capi, scatenerai l'inferno!
John Gotti: Non c'è altra scelta!

Neil Dellacroce: Ci servirà l'appoggio di tutti e cinque i quartieri: il Queens, Brooklyn, Manhattan, Staten Island e il Bronx

Frank DeCicco (Chris Mulkey): Il nostro compito è mantenere la leadership, nomino John Gotti

Giornalista: È lei il capo della famiglia Gambino?
John Gotti: Ce l'ho già una famiglia!
Giornalista 2: Sa cosa fa suo marito per vivere?
Victoria Gotti (Kelly Preston): Provvede a noi!

John Gotti: Che hai detto in quelle registrazioni?
Angelo Ruggiero (Pruitt Taylor Vince): Ho detto un sacco di cose, che metteranno un sacco di gente nei guai!

John Gotti Jr (Spencer Rocco Lofranco): Papà, dì una parola e mi butto nel fuoco per te!

Victoria Gotti: Mi avevi giurato che non mi avresti trascinata in quel mondo!

John Gotti: La nostra vita...è una vita meravigliosa, se riesci a farla franca!

Avvocato: Johnson è stato un informatore dell'FBI
Willie Boy Johnson (Chirs Kerson): Questa è una bugia!

John Gotti: Mai tirarsi indietro!

John Gotti: Fa sapere a tutti che devono venire da me

 


 
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Sulla mia pelle

Post n°14626 pubblicato il 13 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

Sulla mia pelle è un film di genere drammatico del 2018, diretto da Alessio Cremonini, con Alessandro Borghi e Jasmine Trinca. Uscita al cinema il 12 settembre 2018. Durata 100 minuti. Distribuito da Lucky Red e Netflix.

Poster

Sulla mia pelle, il film diretto da Alessio Cremonini, è l'emozionante racconto degli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi (Alessandro Borghi) e della settimana che ha cambiato per sempre la vita della sua famiglia, in particola modo quella di sua sorella Ilaria (Jasmine Trinca).

Quando Stefano Cucchi muore nelle prime ore del 22 ottobre 2009, è il decesso in carcere numero 148. Al 31 dicembre dello stesso anno, la cifra raggiungerà l’incredibile quota di 176: in due mesi trenta morti in più. Nei sette giorni che vanno dall'arresto alla morte, Stefano Cucchi viene a contatto con 140 persone fra carabinieri, giudici, agenti di polizia penitenziaria, medici, infermieri e in pochi, pochissimi, hanno intuito il dramma che stava vivendo. È la potenza di queste cifre, il totale dei morti in carcere e quello del personale incontrato da Stefano durante la detenzione che hanno spinto il regista del film, Alessio Cremonini, a raccontare la sua storia: sono numeri che fanno impressione, perché quei numeri sono persone.
Come dichiarato dallo stesso regista, Sulla mia pelle nasce dal desiderio di strappare Stefano alla drammatica fissità delle terribili foto che tutti noi conosciamo, quelle che lo ritraggono morto sul lettino autoptico, e ridargli vita.

Film d'apertura della sezione Orizzonti del Festival di Venezia 2018.
Disponibile in Streaming Online su Netflix dal 12 settembre 2018.

FRASI CELEBRI:

 

Dal Trailer Ufficiale del Film:

Stefano Cucchi (Alessandro Borghi): Sono Cucchi Stefano, nato a Roma il 1 ottobre 1978
Pubblico Ministero: Si dichiara innocente o ammette l'addebito?
Stefano Cucchi: Allora, io mi dichiaro innocente per quanto riguarda lo spaccio e colpevole per quanto riguarda la detenzione

Stefano Cucchi: Scusi, un'informazio...
Ilaria Cucchi (Jasmine Trinca): Ma sei scemo?! C'ho un fratello scemo, io!

Rita Calore (Milvia Marigliano): Avevi detto che stasera dormivi qui
Stefano Cucchi: Stasera non posso, vado a fa 'n giro co' n'amico

Rita Calore: L'hanno arrestato in piena notte
Ilaria Cucchi: Adesso lo fanno ritorna', deve dirci la verità e basta!
Rita Calore: È da quindici anni che la verità è sta roba qua!

Giovanni Cucchi (Max Tortora): Che t'è successo?
Stefano Cucchi: Era meglio che dormivo da voi

Giovanni Cucchi: Almeno sapere come sta, non sappiamo neanche che cosa gli è successo esattamente!
Rita Calore: Possiamo parlare con i medici?

Carabiniere: Che è successo?
Stefano Cucchi: Sto male, c'ho freddo!

Dottoressa: Fammi vedere questi occhi!
Stefano Cucchi: Oh, lasciateme sta, eh!
Dottoressa: Scrivi che il paziente rifiuta la visita

Voce off: Il dolore è traditore, viene fuori piano piano

Stefano Cucchi: Abbracciame papà!

 

IL CAST DI SULLA MIA PELLE:

 
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The Equalizer 2

Post n°14625 pubblicato il 13 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

The Equalizer 2 è un film di genere azione, thriller del 2018, diretto da Antoine Fuqua, con Denzel Washington e Pedro Pascal. Uscita al cinema il 13 settembre 2018. Durata 121 minuti. Distribuito da Warner Bros..

The Equalizer 2 ora in programmazione in 1 Sale Trova Cinema 
Attualmente in anteprime. USCITA: 13 settembre 2018
Poster

In The Equalizer 2, il film diretto da Antoine Fuqua, Denzel Washington torna ad interpretare uno dei suoi ruoli più significativi, nel primo sequel della sua carriera. Robert McCall, già protagonista della serie tv cult degli anni 80 Un giustiziere a New York, a cui si ispira il film, è un ex agente delle CIA ora in pensione, inflessibile giustiziere in difesa delle persone oppresse e sfruttate. Ma cosa sarà disposto a fare McCall quando una di queste persone è proprio quella che lui ama?


 

Sono passati solo pochi anni da The Equalizer ed ecco tornare la premiata coppia Antoine Fuqua alla regia e Denzel Washington nei panni di Robert McCall, compassionevole, ma con i cattivi spietato. Il rapporto fra i due rimanda però a molti anni fa, per l'esattezza all'inizio del secolo, quando si incrociarono in una Chiesa protestante dell'area di Los Angeles, molto frequentata da star afro americane. La conoscenza si consolidò alcuni mesi dopo quando, proprio nel fatidico autunno 2001, venne presentato a Venezia, e poi uscì nelle sale, Training Day. I due sono amici e condividono un’idea molto religiosa della vita e del cinema. Nel film il protagonista concede un’ultima possibilità di redimersi ai cattivi che incrocia, ma se la risposta è negativa, più spesso con un moto di scherno, ecco allora attivarsi una violenza che rimanda al sottotitolo del primo film, Il vendicatore.

The Equalizer 2 - Senza Perdono è il quarto film condiviso fra Fuqua e Washington, che hanno lavorato insieme anche due anni fa nel remake de I magnifici 7, a sua volta ispirato a I sette samurai di Kurosawa, a detto del regista il suo film preferito e quello che l’ha spinto a intraprendere questa carriera.
In questo sequel seguiamo nella sua Boston il protagonista dividersi fra il suo lavoro di tassista, la passione per la lettura e il tentativo di non far compiere le scelte sbagliate a un giovane vicino di casa.

Denzel Washington, classe 1954, ha ricevuto in una carriera poliedrica tre premi Golden Globe, un Tony teatrale e due Oscar: uno come miglior attore non protagonista per Glory - Uomini di gloria e uno come protagonista proprio per Training Day. In totale le nomination per gli Academy Awards sono nove.
È sposato dal 1983 con Paulette Pearson, con la quale ha quattro figli. Molto religioso, ha dichiarato di leggere ogni giorno brani della Bibbia.

Il primo film, uscito nel 2014, ha incassato poco meno di 200 milioni di dollari in tutto il mondo, di cui la metà in patria. Si tratta di una libera interpretazione della serie televisiva degli anni Ottanta Un giustiziere a New York.
Nel cast del film, tornano alcuni caratteristi di lusso come Melissa Leo, due volte candidata all’Oscar, e Bill Pullman. Uscito nelle sale americane il 20 luglio, dove ha già superato gli incassi del primo capitolo, arriva nei cinema in Italia il 13 settembre 2018.

 

 

Dal Trailer Italiano del Film:

Robert McCall (Denzel Washington): Salve, sono l'autista che ha portato a casa la sua ragazza, la carta di credito non era valida...
Hart Schaffer (Rory Benjamin Smith): Entri
Robert McCall: Non mi chiede se è arrivata sana e salva? Mi servono telecamere, cellulari, qualunque cosa abbiate usato per filmare quello che le avete fatto stanotte
Hart Schaffer: Hai bussato alla porta sbagliata, nonno!
Robert McCall: Hai mai visto Star Trek?
Ragazzo: Voglio una recensione a cinque stelle!

Susan Plummer (Melissa Leo): Robert, ci ho riflettuto, è bello che tu aiuti tutte queste persone a caso, ma non riempirà quel vuoto che hai dentro! Ho il dovere di dirti queste cose, io sono l'unica amica che hai!

Voce off: Mac, Susan è morta

Dave York (Pedro Pascal): Susan lavorava in un mondo pericoloso
Robert McCall: Ho guardato tutti i video della sorveglianza, lì è successo qualcos'altro
Dave York: Chi è stato?

Robert McCall: Chiunque stiamo cercando, ha assoldato killer professionisti. Stanno ripulendo tutto, nessuno è al sicuro!

Voce off: Non hai idea di che cosa hai iniziato, non dovevi dichiararci guerra McCall!
Robert McCall: No, è il contrario, voi l'avete dichiarata a me
Robert McCall: Hanno commesso l'errore di uccidere la mia amica
Dave York: Non c'è modo di tornare indietro

Robert McCall: Paghiamo tutti per i nostri peccati

 


 
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Separati ma non troppo

Post n°14624 pubblicato il 13 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

Titolo originale: Sous le même toit

Separati ma non troppo è un film di genere commedia del 2017, diretto da Dominique Farrugia, con Gilles Lellouche e Louise Bourgoin. Uscita al cinema il 13 settembre 2018. Durata 97 minuti. Distribuito da Europictures.

Poster

Delphine (Louise Bourgoin) e Yvan (Gilles Lellouche) divorziano. Poiché la situazione economica di Yvan non gli permette di trovare una casa, si ricorda che, in realtà, è detentore del 20% della casa in cui vive ancora la ex-moglie. Torna, allora, a vivere sotto lo stesso tetto con Delphine, in quel 20% che gli spetta: sarà in questa situazione particolare (e, a tratti, assurda) che i due ex-coniugi si renderanno conto della bellezza dei piccoli momenti di felicità di questa convivenza forzata..



 
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Loro

Post n°14623 pubblicato il 13 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

Loro è un film di genere drammatico, biografico del 2018, diretto da Paolo Sorrentino, con Toni Servillo. Uscita al cinema il 13 settembre 2018. Durata 145 minuti. Distribuito da Universal Pictures Italia.

Poster

Loro, il film diretto da Paolo Sorrentino, con Toni Servillo nei panni di Silvio Berlusconi, porta al cinema, in una versione unica, i due capitoli, Loro 1 e Loro 2, usciti al cinema nel mese di aprile e maggio 2018.



  • PRODUZIONE: Indigo Film, Pathé e France 2 Cinéma

 
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Un affare di famiglia

Post n°14622 pubblicato il 13 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

Titolo originale: Manbiki kazoku

Un affare di famiglia è un film di genere drammatico del 2018, diretto da Hirokazu Kore-Eda, con Kirin Kiki e Lily Franky. Uscita al cinema il 13 settembre 2018. Durata 121 minuti. Distribuito da BIM Distribuzione.

Poster

Palma d'oro al Festival di Cannes 2018

IL CAST DI UN AFFARE DI FAMIGLIA:

 
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Film nelle sale da domani

Post n°14621 pubblicato il 12 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

 
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Michael Caine: «Sono comunista, credo in Dio e non rimpiango nulla del mio passato" da bestmovie

Post n°14620 pubblicato il 12 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

Sua madre era una donna delle pulizie, suo padre un facchino al mercato del pesce di Billingsgate. Michael Caine arriva da una tipica famiglia della working class inglese ma, come molti suoi coetanei di umili origini che vivevano a Londra negli anni ’60, è protagonista di una rivoluzione culturale e sociale che lo trascina fino al successo e lo fa diventare uno dei più importanti attori del mondo.

Caine non è certo la sola star nata dal fermento della Swinging London: con lui c’erano ragazzi che si chiamavano Paul McCartneyTwiggyRoger DaltreyMarianne Faithful e David Bailey. E questo solo per citarne alcuni perché, come ha dichiarato lo stesso attore, «Tutte le persone che ho conosciuto negli anni ’60 sono diventate famose».

Quel periodo unico è al centro di My Generation: documentario diretto da David Batty di cui Michael Caineè co-produttore e voce narrante, guidandoci nella Londra di allora attraverso i suoi ricordi, le sue riflessioni e le sue interviste ai compagni di rivolta.

Dopo la presentazione in anteprima all’ultimo Festival di Venezia, My Generation esce nei cinema italiani dal 22 al 29 gennaio. Per saperne di più, ecco la nostra chiacchierata con il giovane 84enne Sir Michael Caine fatta al Lido lo scorso settembre.

Cosa l’ha spinta a fare questo film?
«L’idea non è mia, però quando me l’hanno proposta ho accettato subito perché gli anni ’60 sono stati qualcosa di rivoluzionario, sono stati una fase fondamentale della mia vita. All’epoca ero un giovane attore molto povero che stava cercando di trovare la propria strada: a Londra ho avuto la fortuna di vivere una società che, nel giro di pochissimo, è cambiata in maniera radicale».

In che senso?
«Prima degli anni ’60 la società inglese era tremendamente snob e classista; pensate che c’era una sola stazione radio della BBC che non trasmetteva mai musica pop e aveva uno speaker che leggeva le news in smoking. Per ascoltare le canzoni che ci piacevano dovevamo sintonizzarci sulle stazioni del Lussemburgo, di Berlino».

E poi?
«Poi tutto è cambiato. Ci siamo ribellati e abbiamo iniziato a distruggere quella divisione in classi che in Gran Bretagna era molto rigida. A teatro, ad esempio, autori come John Osborne e Pinter portavano in scena per la prima volta opere in cui si parlava della classe operaia. Look back in anger è stato il primo dramma inglese scritto da un uomo della working class che aveva degli eroi del nostro mondo. Abbiamo liberato le persone: quello che ora voi giovani fate con questa libertà è responsabilità vostra».

Ha citato il teatro; al cinema invece?
«Prima degli anni ’60 quando andavamo al cinema a vedere film di guerra sceglievamo solo war movie americani perché lì c’erano storie di soldati semplici. In quelli inglesi, invece, si raccontavano solo le avventure di ufficiali. Insomma non trovavamo mai quello che volevamo vedere e quindi lo abbiamo creato. Per molto tempo a noi “attori proletari” non era quasi concesso neanche di recitare, ci guardavano con sospetto, con superiorità. Io devo il mio successo a Zulu in cui ero un ufficiale dell’esercito britannico. In realtà avrei dovuto fare il ruolo di un soldato con accento cockney, ma quando arrivai al provino la parte era già stata assegnata così mi proposero di fare l’ufficiale. Mi diedero un ruolo così “aristocratico” solo perché erano gli anni ’60 e solo perché il regista era americano; se fosse stato inglese, anche di sinistra, anche comunista, non sarebbe mai successo».

Chi erano i suoi migliori amici allora?
«All’epoca ho condiviso casa con Terence Stamp, John Barry, Vidal Sassoon. Anche Roger Moore era un grande amico. La cosa assurda è che praticamente tutte le persone che ho incontrato in quegli anni hanno avuto successo».

Cosa vi accomunava tutti?
«La nostra origine da working class. E il fatto che ci siamo ribellati e abbiamo deciso di non fare gli stessi lavori dei nostri genitori. Io ho deciso di diventare un attore semplicemente perché pensavo che sarebbe stato molto meglio che lavorare in fabbrica: non ho mai aspirato alla fama e ai soldi. Negli anni ’60, poi, fortunatamente avevamo i nostri luoghi per incontrarci, i nostri club, i nostri ristoranti. Prima, se un operaio voleva uscire a mangiare c’era solo il baracchino di fish & chips o il pub; i ristoranti erano tremendamente snob, ti dovevi vestire elegante e poi chiudevano alle dieci di sera. Per fortuna sono arrivati gli italiani coi loro locali economici ed aperti fino all’una di mattina. In King’s Road c’era questo ristorante di nome Aretusa, il più grande dell’epoca: quando andavi lì a mangiare il sabato sera c’erano più star che a Hollywood».

In cosa è diversa la sua generazione da quella di oggi?
«In moltissime cose, per esempio oggi i ragazzi possono ascoltare oltre mezzo milione di dischi dove vogliono e quando vogliono. Anche la comunicazione è cambiata totalmente: noi potevamo parlare con una persona solo al telefono, adesso ci sono molti più strumenti».

Quanto è in contatto con le nuove generazioni di oggi?
«Completamente in contatto. Non sono uno che vive fuori dal mondo, anzi ho l’iPhone, l’iMac, l’iPad, e utilizzo anche Airplay».

Per tenersi in contatto con il mondo di oggi, sappiamo anche che lei guarda ogni tipo di film. Qualcosa visto recentemente che le è piaciuto molto?
«Degli ultimi tempi, sicuramente La La Land. E non vedo l’ora di vedere Baby Driver».

Lei come vede la working class di oggi in Inghilterra?
«Quello che mi preoccupa è che la classe operaia sembra ormai essere scomparsa».

Guardando My Generation si ha l’impressione che negli anni ’60 il percorso di voi artisti fosse qualcosa di collettivo e condiviso mentre oggi sembra esserci un clima più individualista nel mondo dello spettacolo.
«In effetti noi eravamo quasi un collettivo; lo eravamo per necessità, all’epoca eravamo circondati, assediati».

Se tornasse indietro cambierebbe qualcosa della sua vita?
«Assolutamente no. Rifarei esattamente le stesse cose. Mi ritengo una delle persone più fortunate al mondo. Una volta qualcuno mi ha chiesto: “Tu credi in Dio?”. Be’, io gli ho risposto “Per forza, con la vita che ho avuto devo per forza crederci”. Non mi sono mai guardato indietro con rabbia, altrimenti non sarei mai arrivato dove sono. Rimpiangere le cose non fatte non serve, meglio rimpiangere quelle fatte. E poi sono sempre stato convinto che la giovinezza non sia un momento della vita, ma una condizione mentale».   

In quanto artista e in quanto uomo, per cosa le piacerebbe essere ricordato?
«Come artista vorrei essere ricordato come uno che ha cercato di dare il massimo per quello che poteva fare. Non ho mai aspirato a essere l’attore migliore in assoluto, ma a essere il migliore attore che Michael Caine potesse diventare. Dal punto di vista umano, io sono comunista: per me tutti sono uguali, tratto tutti allo stesso modo, Regina compresa. Non esiste distinzione di classe, sesso, razza, religione. Del resto non poteva che essere così: mio padre era un cattolico, mia madre era protestante, sono stato educato da ebrei e sono sposato a una mussulmana».

Come mai non avete parlato di icone sportive nel vostro documentario?
«Abbiamo deciso di non parlare di sport perché lo sport non è classista. Se venivi dalla working class potevi diventare benissimo un calciatore, il football era lo sport della gente povera e infatti anche io giocavo a calcio. Per gli attori era diverso, solo i ricchi potevano recitare; se venivi da una famiglia proletaria ti escludevano a priori perché non parlavi, ti vestivi, ti muovevi nel modo appropriato. Il nostro film è sull’arte e sulla lotta di classe ecco perché il calcio non c’è».

Perché avete accompagnato le vostre interviste solo filmati di repertorio senza mostrare gli artisti dell’epoca oggi?
«È perché ora sono tutti più vecchi e noi volevamo restare negli anni Sessanta. Non volevamo che lo spettatore si perdesse in commenti stupidi come “Oh guarda come è invecchiato!”, “Oh, guarda come è diventata grassa!”, “Oh ma ora è pelato”».

Tra le persone che ha intervistato chi è che l’ha colpita di più?
«Paul McCartney».

Quale attore delle nuove generazioni ammira di più?
«Damian Lewis».

Ha ripetuto più volte che gli anni ’60 sono stati rivoluzionari, pensa che la Brexit lo sia?
«Sono a favore della Brexit. Preferisco essere povero ma padrone del mio destino, piuttosto che servire qualcun altro o essere povero per colpa di Bruxelles. Sono cresciuto pensando che il Lussemburgo fosse la sede della radio che trasmetteva musica pop, non il luogo che ora gestisce casa mia».

 
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Pigs. la vendetta dei maiali da eurostop.info

Post n°14619 pubblicato il 12 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

PIGS. LA VENDETTA DEI MAIALI. PRESENTAZIONE E CONVEGNO DOMENICA 16 SETTEMBRE A ROMA

di Sergio Cararo

“Noi siamo roba del Sud…. non abbiamo nulla a che fare con la Mitteleuropa, scusi sa, noi abbiamo un’anima”, lo Zoppo della lotteria, personaggio di uno dei libri che Tabucchi ha materializzato in Portogallo, sintetizza così un senso comune oggi crescente in quei paesi della periferia europea (i Pigs), in cui la sbornia europeista degli scorsi decenni si è ormai frantumata davanti ai pesantissimi costi sociali imposti da una UE che risponde solo agli interessi di banche, multinazionali e classi dominanti.

Eh sì, perché nei paesi Pigs (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna), e non solo, la voglia di vendetta contro Bruxelles e Berlino e i loro diktat è venuta crescendo negli anni. Al momento solo in Italia ha affidato questa “vendetta” ad un voto che ha premiato una forza reazionaria come la Lega e ad una forza intermittente/interclassista come il M5S. Negli altri paesi Pigs le cose stanno diversamente, così come in Francia. Ed è tempo non solo di porsi le domande sul perchè ma anche di cominciare a dare le risposte.

Alla “vendetta dei maiali” cioè dei Pigs, è dedicato l’omonimo libro uscito in questi giorni per conto della Piattaforma Eurostop e curato dagli ecomomisti Luciano Vasapollo, Rita Martufi e Joaquim Arriola. Un libro di 236 pagine in una comoda versione “pocket” delle edizioni Efesto, che recita nel sottotitolo “Per un programma di alternativa di sistema: uscire dalla Ue e dall’euro, costruire l’area euromediterranea. L’elaborazione originaria degli autori è stata integrata in vari capitoli dalle osservazioni degli attivisti del coordinamento nazionale di Eurostop, dando vita ad una sorta di prodotto da intellettuale collettivo.

“Pigs. La vendetta dei maiali” in qualche modo attualizza e dettaglia il volume pubblicato sette anni fa “Il risveglio dei maiali”, un libro scritto a sei mani da Luciano Vasapollo, Martufi, Arriola e che poneva al centro proprio le conseguenze dell’unificazione economica e monetaria europea sui Pigs, i paesi periferici come Portogallo, Italia, Grecia e Spagna.

Il libro in questi anni è stato tradotto in diverse lingue, segnando uno spartiacque nel dibattito politico ed economico della sinistra in Europa, in quanto affermava una tesi dirompente, anzi una rottura del quadro esistente – l’Unione Europea/Eurozona – come presupposto per rimettere in moto un processo di emancipazione politica, economica e sociale che vedesse protagonisti i movimenti sociali, sindacali e popolari dell’area euromediterranea. Come? Puntando a uscire dall’Unione Europea/Eurozona, nazionalizzando le banche e le aziende strategiche, creando una propria moneta di scambio e costruendo una nuova e diversa area di integrazione regionale su parametri opposti a quelli ordoliberisti dei trattati istitutivi dell’Unione Europea. Veniva in qualche evocata l’esperienza dell’Alba latinoamericana (oggi sotto durissimo attacco da parte degli Usa) come esperienza fattuale di integrazione regionale sganciata dai diktat dell’imperialismo, del Fmi e dei mercati finanziari.

Questa tesi dello “sganciamento” è stata una delle elaborazioni più importanti – e meno comprese anzi osteggiate dalla sinistra europea – dell’economista marxista franco-egiziano Samir Amin recentemente scomparso, una elaborazione ben riconoscibile in quella degli autori del “Il risveglio dei maiali” ed ora del nuovo “Pigs. La vendetta dei maiali” uscito in questi giorni.

La materia del libro è entrata di prepotenza nell’agenda politica. Costrette dai fatti, molte delle forze della sinistra europea, sono arrivate alla conclusione che l’Unione Europea è irriformabile, alcune continuano il refrain sulla revisione o la modifica dei Trattati europei ben sapendo di evocare una indicazione destinata alla sconfitta. Ma è sulle conclusioni politiche che si va delineando una frattura – o meglio una chiarezza strategica – sulla natura dell’Unione Europea e la necessità di romperla.

Il merito di aver messo la questione sul tavolo va indubbiamente all’esperienza di France Insoumise e di Jean Luc Melenchon con il suo “Piano B”. Una tesi di rottura che ha declinato le sue conseguenze prima con la richiesta di espulsione di Syriza e Tsipras dal Partito della Sinistra Europea (respinta) e poi con l’uscita di France Insoumise dal Pse.

La nettezza di Melenchon ha visto però anche iniziative tese a costruire terreni di convergenza con forze fino ad oggi meno esplicite – o silenti – sul Piano B. Il documento di Lisbona “E ora il popolo”, sottoscritto da France Insoumise, Podemos, Bloco de Esquerda portoghese (in Italia sottoscritto da Potere al Popolo), ha alzato un po’ l’asticella dei contenuti sui quali ingaggiare una battaglia politica, democratica e popolare a tutto campo contro una Unione Europea antipopolare e antidemocratica. Ma c’è ancora parecchia strada da fare, anche perché si avvicina la scadenza delle elezioni europee di maggio 2019.

L’ipotesi di costruire un’area alternativa euromediterranea come soluzione alla fuoriuscita dall’Unione Europea e dall’Eurozona (e dalla Nato), è ormai andata oltre un dibattito accademico e tra economisti per diventare una opzione politica su cui lavorare. La Piattaforma Eurostop, ormai al suo secondo anno di esistenza, presenterà questa opzione con un convegno a Roma domenica 16 settembre, il giorno successivo alla sua assemblea annuale che discuterà invece il come agire dentro la situazione politica del paese.

Il 16 dicembre a Roma (centro congressi Cavour ore 10.30) verrà presentato il libro “Pigs. La vendetta dei maiali” ma sarà anche l’occasione per aprire un confronto di merito su tutti gli aspetti economici, monetari, politici e geopolitici di una ipotesi alternativa al quadro esistente e ritenuto immodificabile.

Preparare e organizzare la “vendetta dei maiali” e una fuoriuscita di segno progressista, anticolonialista e popolare dalla gabbia dell’Unione Europea, sta diventando sempre più urgente. Per combattere e battere concretamente la falsa polarizzazione tra euroliberali ed euronazionalisti su cui le classi dominanti vorrebbero chiudere il quadro e mantenere la loro egemonia sui lavoratori e i popoli europei e del Mediterraneo.

 
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Venti anni senza Lucio Battisti, mito, riservatezza e contenziosi da ansa

Post n°14618 pubblicato il 10 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

Si celebra scomparsa a 55 anni. Questione diritti in tribunale

Di Paolo Biamonte ROMA 10 settembre 201808:34

Domenica 9 settembre cade il ventennale della morte di Lucio Battisti, stroncato a 55 anni da una malattia. Per un gioco del caso, l'anniversario della scomparsa di uno dei geni assoluti della musica italiana coincide con la notizia che potrebbe avviarsi a una soluzione definitiva l'intricatissima e annosa vicenda legale che ha come oggetto i diritti dei 12 album più amati e conosciuti della carriera di Battisti: quelli incisi con i testi di Mogol.

Messaggio del Quirinale alla vedova: Battisti cantò emozioni e inquietudini

Come è stato raccontato, da una parte ci sono gli eredi, la vedova, Grazia Letizia Veronese e il figlio Luca, dall'altra Mogol e la multinazionale del disco che detiene il catalogo della Ricordi. Tutto nasce dalla decisione di Grazia Letizia Veronese di non autorizzare la diffusione della musica del marito se non per vinili e cd. Divieto di sfruttamento per pubblicità, colonne sonore, omaggi, perfino festival. E, tema scottante, per la diffusione su Internet, a cominciare dalle piattaforme di streaming. Anche il meno esperto si rende conto di quale sia la potenzialità commerciale, non sfruttata, di questo catalogo.

Ora la novità: vista l'impossibilità di arrivare a una soluzione, il Tribunale di Milano si è affidato a un esperto, l'avvocato Gaetano Maria Giovanni Presti affidandogli "tutti i poteri di legge volti alla miglior liquidazione della società (Le edizioni Acqua Azzurra, di cui sono soci tutti i soggetti citati sopra), nessuno escluso, che eserciterà nella sua piena discrezionalità e responsabilità senza necessità di autorizzazione alcuna dei soci, compresa la possibilità di concedere licenze di sfruttamento economico delle opere anche online".

La musica di Lucio Battisti potrebbe essere diffusa online e dunque finire a disposizione anche di quel pubblico giovane e giovanissimo che ormai da tempo non utilizza i supporti fonografici. Battisti ha costruito la sua leggenda sulla sua musica di talento visionario e sulla sua assenza: detestava le derive del divismo, la pubblicità e i riti della comunicazione: la sua ultima, storica apparizione alla tv italiana è datata 23 aprile 1972: il programma è "Studio 10", dopo aver presentato in playback "I giardini di marzo" si lancia in un duetto con Mina che resta uno dei momenti più alti della tv e della musica italiane. Qualche anno dopo sceglierà la via della chiusura totale a incontri, interviste, esibizioni lasciando parlare solo i suoi dischi. Il resto è stato, fino alla fine, impenetrabile riservatezza.

Il giorno della morte di Lucio Battisti

Fa una certa impressione che la rievocazione di Lucio Battisti coincida con le notizie che vengono da un tribunale. Per la musica non è certo una novità, se si pensa per fare solo qualche nome, a quanto accaduto a personaggi come George Michael, Prince, o al ferreo controllo esercitato dalla vedova di Frank Zappa sul catalogo del geniale marito. In fondo il sodalizio con Mogol si è interrotto perchè proprio Mogol pretendeva di dividere al 50% i diritti delle canzoni scritte insieme. E bisogna ricordare che Battisti non è soltanto quello con Mogol: a partire da "E già" e poi attraverso la collaborazione Pasquale Panella iniziata con "Don Giovanni", Battisti ha progressivamente destrutturato la forma canzone, affidandosi a sonorità elettroniche e a un sempre più evidente distacco dai gusti del grande pubblico. Quello stesso pubblico che, al di là dei cultori e dei tanti ammiratori di "Don Giovanni", ha impressi nella memoria i brani dei 12 album la cui vita futura è in mano al Tribunale.

Dagli archivi dell'ANSA

Quella che resta al di sopra di ogni vicenda, è la straordinaria lezione lasciata in eredità da un genio, uno degli artisti che ha contribuito di più al rinnovamento della canzone italiana, aprendole le porte della contaminazione con il rock, la black music, fino alla disco, la musica latina, l'elettronica. Un genio che aveva cominciato come autore e che è stato convinto a cantare le sue canzoni: e lui, con la sua voce da "non cantante" è diventato uno dei più grandi di sempre. Anche per questo oggi, alcuni suoi colleghi di grande successo, devono ringraziarlo.

Pensieri e parole tra Mogol e Panella

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Un segnale forte per il futuro dell'industria da cinecittànews

Post n°14617 pubblicato il 10 Settembre 2018 da Ladridicinema
 

VENEZIA – Pronostici largamente confermati in questa 75esima Mostra con il Leone d'Oro andato a Roma di Alfonso Cuarón. Una vittoria di un regista messicano – di nuovo dopo La forma dell’acqua che trionfò lo scorso anno – ma soprattutto una vittoria di Netflix e un segnale forte per il futuro dell'industria che dovrà necessariamente tenerne conto e affrontare gli enormi cambiamenti in atto. Messa al bando da Cannes (che per regolamento non ammette in concorso film che non abbiano un'uscita prevista nelle sale francesi) e dunque approdata in forza a Venezia, con ben sei titoli, di cui due saliti sul podio - oltre a Roma anche The Ballad of Buster Scruggs dei fratelli Coen, premio alla miglior sceneggiatura - la società di Ted Sarandos sta rivoluzionando il sistema produttivo e distributivo. Allo stesso tempo probabilmente anche Netflix dovrà modificare le proprie strategie e difficilmente potrà evitare di portare in sala - per periodi non brevissimi - il film che ha vinto il Leone d'oro e che si vedrà sulla piattaforma dal 14 dicembre. 

Altro tema di possibile polemica è quello del "conflitto d'interesse". Facile dire che era inevitabile che il presidente della giuria Guillermo Del Toro premiasse l’amico e connazionale, che lo ringrazia anche nei titoli di cosa del film. Ma il premio è pienamente condivisibile, Roma fin da subito ha messo d’accordo tutti (e ha avuto l'unanimità della giuria) con il racconto autobiografico ma universale della vita di una domestica - presenza "invisibile" e indispensabile in una casa borghese - delle sue peripezie. Ambientato negli anni '70 – con le rivolte studentesche e la repressione sullo sfondo - e girato in un magnifico bianco e nero, il film prende il nome dal quartiere di Città del Messico dove è cresciuto il regista. È un film personale, animato da una grande pietas, da una umanità profonda e anche da un senso di solidarietà femminile, perché tra le donne del racconto, al di là delle classi sociali, si costruiscono dei legami fortissimi. Il regista, due volte premio Oscar, ha commentato: “Oggi è il compleanno di Limu, la donna che ha ispirato il personaggio principale di Roma, film che esprime il mio immenso amore per lei, per la mia famiglia e per il mio paese”. Peccato per l'assenza dai premi dell'altro messicano, Carlos Reygadas, con uno dei film più sorprendenti del concorso.

Unico riconoscimento italiano quello al restauro del film dei fratelli Taviani La notte di San Lorenzo (ne parliamo in un articolo a parte). Ma nessuno dei tre titoli del concorso (Guadagnino, Minervini e Martone erano gli artisti in lizza) ha convinto la giuria, in cui sedeva anche il nostro Paolo Genovese.

Il Gran Premio della Giuria è andato a un altro grande beniamino dei festivalieri, La favorita film internazionale e dal grande cast del greco Yorgos Lanthimos, che ha ottenuto, facendo uno strappo al regolamento col beneplacito di Alberto Barbera, anche la Coppa Volpi per l’interpretazione sublime e ironica di Olivia Colman nei panni della regina Anna, donna fragile e dispotica, che vive un triangolo anche erotico con due dame di corte, Rachel Weisz ed Emma Stone.

Un protagonismo femminile che ha segnato il verdetto della giuria: il doppio premio a The Nightingale di Jennifer Kent lo testimonia. Unico film diretto da una donna ha ottenuto sia il Premio Speciale della Giuria sia il Premio Mastroianni al giovane esordiente, l’attore aborigeno Baykali Ganambarr. Un premio dal forte sapore politico su due fronti: quello della lotta per la parità – e Jennifer Kent non ha mancato di sottolinearlo parlando a tutte le donne che vogliono fare film e incitandole a farli “perché la forza femminile è la forza più potente del pianeta e ci saranno sempre più donne ad abitare lo spazio del cinema” – sia sul terreno dei diritti dei popoli nativi, infatti Kent ha dedicato il premio al popolo della Tasmania che sofferto terribilmente a causa del colonialismo, come si vede nel film, mentre Baykali Ganambarr ha precisato: “Questa è solo una delle tante storie della brutalità di cui la nostra storia si è macchiata, anche se adesso quella storia è stata rimessa a lucido dai bianchi”.      

Il Leone d'Argento per la migliore regia è stato assegnato a Jacques Audiard per un altro film molto apprezzato, The Sisters Brothers, il western sentimentale e atipico in cui Joaquin Phoenix e John C. Reilly sono due fratelli killer. sanguinari ma anche un po' buffi.

La Coppa Volpi al miglior attore è stata assegnata a Willem Dafoe, che ha dato al suo Vincent Van Gogh una grande verità umana nel film At Eternity's Gate dell’artista americano Julian Schnabel. L’attore, sposato con la regista Giada Colagrande, ha parlato dell’Italia come della sua patria adottiva.

Premio per la Migliore Sceneggiatura a Joel & Ethan Coen per l'antologia western The Ballad of Buster Scruggs. A ritirarlo Buster Scruggs in persona, ovvero l’attore Tim Blake Nelson. Il Leone del Futuro - Premio Venezia Opera Prima intitolato a Luigi De Laurentiis (e dotato di 100.000 dollari dalla Filmauro) è stato assegnato, dalla giuria presieduta da Ramin Bahrani a The day I lost my shadow di Soudade Kaadan, una storia sulla difficoltà di immaginare un futuro nella Siria nel 2012, presentata nella sezione Orizzonti.

A vincere Orizzonti è stato invece il film thailandese Kraben Rahu di Phuttiphong Aroonpheng. Il Premio Orizzonti per la Migliore Regia è stato assegnato al regista kazako Emir Baigazin per il film Ozen. Il Premio Speciale della Giuria Orizzonti è andato a Anons del regista turco Mahmut Fazil Coskun. Ad aggiudicarsi il premio per la Migliore attrice di Orizzonti è stata Natalya Kudryashova, protagonista del film The man who surprised everyone di Natasha Merkulova e Aleksey Chupov. Mentre il Miglior attore della sezione è stato giudicato Kais Nashif per il film Tel Aviv on Fire di Sameh Zoabi.

 
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