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Monicelli, senza cultura in Italia...
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Messaggi di Maggio 2019
Post n°15126 pubblicato il 22 Maggio 2019 da Ladridicinema
Post n°15125 pubblicato il 22 Maggio 2019 da Ladridicinema
Il box office italiano va finalmente in positivo: grazie ad un miglioramento del 33% rispetto allo stesso weekend dello scorso anno, gli incassi complessivi dal 1 gennaio segnano un +1,2%. Anche in Italia vince John Wick 3 - Parabellum (guarda la video recensione), che però ieri si è dovuto accontentare del terzo posto quotidiano. Alla fine del weekend i numeri dicono che il film con Keanu Reeves ha incassato 1,5 milioni di euro, davanti a Pokémon - Detective Pikachu (guarda la video recensione) con 1,3 (ieri è stato il miglior incasso di giornata, in totale è a 4,3 milioni) e Dolor y Gloria, che ha esordito con 1,1 milioni, pur avendo un giorno in meno di programmazione (è uscito venerdì, in contemporanea con Cannes). Ultimo weekend di buoni incassi per gli Avengers (guarda la video recensione), che raggiungono quota 29,2 milioni di euro, consolidando la prima posizione assoluta stagionale. Sarà difficile riuscire ad arrivare a 30 milioni, ma il film ha già fatto la storia. Ottimo risultato per Attenti a quelle due (guarda la video recensione), che apre con 866mila euro, facendo meglio delle attese. Tra gli altri titoli da segnalare Ted Bundy, che arriva a 1,1 milioni, Stanlio e Ollio (guarda la video recensione) che supera i 2 milioni, Pet Sematary (guarda la video recensione) che passa il milione e Red Joan che arriva a 430mila euro. Questa settimana arrivano Aladdin, Il traditore di Bellocchio con Favino e Lo Cascio e L'angelo del male.
John Wick 3 - Parabellum stravince il weekend con 57 milioni di dollari, una cifra nettamente migliore delle attese: è nato (o, meglio, si è ulteriormente confermato) un nuovo franchise. Aspettiamocene uno ogni due o tre anni.
Calano, prevedibilmente, gli Avengers, ma Endgame (guarda la video recensione) ha ancora parecchio da dire: con 29,4 milioni di dollari incassati questo weekend il film arriva a ben 770 milioni complessivi 23esimo miglior film di ogni tempo. Entro la fine della settimana avrà superato gli 800 milioni e si sarà lasciato alle spalle superclassici quali Il Laureato, I Predatori dell'Arca perduta, La Stangata e Il Re Leone. Avatar può tirare un sospiro di sollievo, visto che non verrà superato né negli USA (sta a 876 milioni) né a livello internazionale, visto che i suoi 2,787 milioni di dollari restano irraggiungibili. Endgame è arrivato a 2,614, ma dovrebbe riuscire forse solo a toccare i 2,7 miliardi, senza avanzare molto di più. Recupera Pokémon - Detective Pikachu, che grazie a un'ottima domenica chiude a 24,8 milioni negli Usa per un totale di 94 milioni e 206,4 complessivi. Forse era lecito attendersi di più dal film, vista la popolarità del franchise, che non riuscirà a superare Alita - Angelo della battaglia (guarda la video recensione), fermo a 404 milioni, ma i produttori, a differenza di quelli dietro all'opera di Spielberg, dovrebbero far proseguire il franchise. A Dog's Journey e Il sole è anche una stella aprono con 8 e 2,6 milioni, grosso flop per UglyDolls: costato 45 milioni ne ha incassati solo 17. Questa settimana Disney si riprenderà la vetta con Aladdin, che arriva in sala assieme a Booksmart e L'angelo del male.
Post n°15124 pubblicato il 19 Maggio 2019 da Ladridicinema
- 19/05/2019
- Nicole Bianchi
![](https://news.cinecitta.com/photo.aspx?s=1&w=850&path=%2fpublic%2farticles%2f0078%2f78623%2fdelon.jpeg) CANNES - Alain Delon era figlio di Fabien, direttore di un piccolo cinema di quartiere, a Sceaux, nell’Île-de-France: nonostante questo, la carriera di Delon non era previsto fosse quella del cinema, ma quella militare nella Marina per cui “sono stato a combattere anche in Indocina”, ha ricordato lui stesso, nel Rendez-Vous che l'ha visto protagonista nella mattinata e che anticipa la premiazione serale, con la consegna della Palma d'Onore. Una donna - e Delon ripete più volte nell’incontro di essere “debitore alle donne per il mio successo”, l’attrice hitchcokiana Brigitte Auber, lo fa innamorare, tanto che lui lascia la carriera militare e conosce l’attore Jean-Claude Brialy, che lo invita nel ’56 al Festival di Cannes, occasione in cui la sua bellezza rimane impressa. Per questo Delon spiega perché ha spesso detto “la mia carriera è stato un incidente”. È stato Godot(Yves Allégret,1957) il suo esordio di fronte alla macchina da presa, e "sin dalla prima volta sono stato quasi subito a mio agio, ho percepito che quella era la mia vita, e le parole che più spesso mi hanno ripetuto gli autori sono state: non recitare, usa lo sguardo e vivi!”, così Alain Delon sintetizza l'avvicinamento “casuale” al grande schermo e le “regole” della sua interpretazione. “Non ho mai avuto un agente nella mia carriera, solo in un’occasione, quando mi è stato presentato Luchino Visconti, a Londra, mentre era in corso una rappresentazione del Don Giovanni: ero stato visto recitare e mi veniva ripetuto ‘tu sei Rocco, tu sei Rocco’, così mi hanno fatto conoscere Luchino”, ricorda Delon che, dinnanzi alle sequenze che scorrono sullo schermo, tratte da Rocco e i suoi fratelli (1960) e Il gattopardo (1963) - film che lo consacra nel ruolo di Tancredi, si commuove, non nasconde le lacrime, discrete ma visibili, né la voce un po' strozzata. Di Rocco ricorda come sia “stato un sacrificio, ma uno di quelli che hanno generato una delle migliori cose possibili”; del secondo ruolo, di cui sono state mostrate le immagini del dialogo con Don Fabrizio (Burt Lancaster), mentre quest’ultimo si fa la barba e ai due s’accompagna in scena anche un cane doberman, l’attore offre un ricordo personale: “quello in scena, era il mio cane nella vita, sempre con me dentro e fuori dal cinema”. Riconoscente a Visconti, come a René Clément (Delitto in pieno sole, 1960), per cui dice che “il premio della Palma d’Onore sarebbe da conferire a loro, anche se lo ritiro io”. Mentre parole - e soprattutto immagini - scorrono, ci si rende conto di come nessun interprete della sua generazione abbia saputo “occupare lo spazio” scenico come Alain Delon, talento che con potenza esce da ruoli come quello di Philippe Greenleaf, proprio dal film di Clément, ma anche dal noir Il ribelle di Algeri (1964), diretto da Alain Cavalier, in cui interpreta il disertore Thomas Vlassenroot con l’italiana Lea Massari, il primo film che lo stesso Delon ha contribuito a produrre; un ruolo, quello del produttore, a cui lui tiene, e che ribadisce, perché, riconoscendo di non essere un capace sceneggiatore, produrre è “dimostrazione di partecipare e credere in quello che stai facendo. Produrre il film è stato meraviglioso, mi faceva sentire anche un maestro, un boss”, enfatizza con ironia, un tono che è ricorso, delicato ma ripetuto, in questo incontro. Il destino cinematografico di Delon è andato di pari passo anche alla vita della Nouvelle Vague e al periodo americano: “ho vissuto là due anni, ma poi mi mancavano Parigi, i suoi cinema, e così ho lasciato l’opportunità di quella carriera e sono rientrato, applaudito dai francesi per la scelta”, ha ricordato. Come francese è stato un altro regista a cui Delon ha connesso la sua carriera, Jean-Pierre Melville, che ha rinnovato la sua consacrazione con il ruolo protagonista in Frank Costello faccia d’angelo (1967), di cui non dimentica “un primo incontro molto semplice: ci siamo seduti e lui mi ha raccontato Le samurai, anche se a Melville connetto inoltre qualche ricordo drammatico. Quello dell’incendio che ha mandato a fuoco tutti gli studi cinematografici e quello della sua morte: stavamo cenando a Parigi, in compagnia anche di un giornalista, e Jean-Pierre ha iniziato a ridere… e la risata s’è interrotta – per una crisi cardiaca – e lui è mancato”. Nella memoria collettiva Melville però ha contribuito a iconizzare ulteriormente Alain Delon, che nel film ha “debuttato” indossando l’italiano cappello Borsalino. Il copricapo tornerà anche in Mr. Klein (1976) di Joseph Losey, all'epoca presentato in Concorso a Cannes, in cui Delon interpreta un medico francese, nella Parigi occupata del ‘42, parte che ha accettato “perché volevo provare a ‘fare il percorso’ difficoltoso del protagonista, anche ricordandomi che in quel periodo storico – quello della Seconda Guerra Mondiale – ero un bambino di meno di 10 anni”. Come dichiarato in apertura, Alain Delon, anche durante l’incontro, ricorda spesso l’importanza delle donne nella sua carriera, non dimentica la nostra Monica Vitti, compagna ne L’eclisse (1962), e segue immancabile un ricordo, accennato, di Romy Schneider, con cui ha creato una coppia d’oro del cinema, e che Delon sfiora appena, probabilmente per malinconia: “La piscina (Jacques Deray, 1969) non lo riesco più a guardare, troppo difficile pensando a Romy, anche se è un film magnifico, di cui s’è parlato per molti anni”. Nella serata di oggi, Alain Delon riceve ufficialmente la Palma d’Onore.
Post n°15123 pubblicato il 19 Maggio 2019 da Ladridicinema
- 19/05/2019
- Carmen Diotaiuti
![](https://news.cinecitta.com/photo.aspx?s=1&w=850&path=%2fpublic%2farticles%2f0078%2f78622%2fpiubeglianni.jpg) CANNES - C’è anche Monica Bellucci nel cast di Les Plus Belles Années d'une Vie (leggi il nostro articolo), pellicola Fuori Concorso firmata dall’ottantenne maestro del cinema Claude Lelouch. Un film straordinario che riunisce, dopo oltre cinquant’anni, Jean Louis Trintignant e Anouk Aimee, gli iconici protagonisti di Un uomo, una donna(1966), film che fu la svolta nella carriera di un allora giovanissimo Lelouch, per la quale vinse la Palma d’Oro, un Oscar e numerosi altri riconoscimenti, e di cui aveva già realizzato nel 1985 il sequel Un uomo, una donna oggi,sempre con la stessa coppia di attori. “Quando presentammo all'epoca il film sulla Croisette non avevo capito cosa stesse realmente accadendo – ammette Lelouch - stavamo tutti passando dall’ombra alla luce dei riflettori, la gente si riconobbe nella storia, gli attori ricevettero tantissime lettere dal pubblico, tutto cambiò nelle nostre vite. Tre anni fa abbiamo celebrato il cinquantesimo del film con la proiezione della sua versione restaurata, in quell’occasione ho visto Jean Louis e Anouk vicini e ho pensato che avrei voluto rivederli di nuovo insieme sul set. Realizzare il film e tornare qui a presentarlo è stato come un miracolo, scattato sin dalla prima scena girata che è quella del loro nuovo incontro”. Ritroviamo così l'ex pilota di auto da corsa Jean-Louis, anziano, in un ospizio dove vive perso nei meandri della sua memoria, con moneti di lucidità da cui va e viene, quasi disinteressato al mondo che lo circonda. Per aiutarlo, suo figlio si mette a cercare Anne, la donna che ha perso e di cui parla di continuo, l’unica cosa che sembra ricordare bene del suo passato. I due ex amanti si ritrovano, gli viene offerto un nuovo inizio, e la loro storia riprende esattamente da dove l'avevano lasciata. Separati dal viaggio della vita che, quando gli offre una nuova possibilità, li trova ancora legati dalle tracce che hanno lasciato l’uno nell’altra. Meravigliosamente vicini, oggi come allora, complici di quel sentimento che in Les Plus Belles Années d'une Vie sfida anche il tabù sociale di due anziani che sanno guardarsi con amore.“Da soli si va più veloce ma insieme si va più lontani”, rimarca romanticamente Monica Bellucci che nel film interpreta la figlia di Jean-Louis, e aggiunge rispetto all’esperienza dell'aver preso parte alla nuova puntata di un film così iconico: “Lavorare con Claude è stata un’esperienza travolgente, da tutti i punti di vista. Lui ha un modo peculiare di girare, lo script funge essenzialmente da linea guida e spinge gli attori a improvvisare, a trovare la loro strada verso il cuore del personaggio. Ci si sente davvero liberi di recitare ed esprimere se stessi”. Nel film le immagini del passato e del presente si combinano, in un vivace avanti e indietro con la pellicola del 1966 di cui rivediamo volti e luoghi in epoche diverse: la stanza d’hotel del primo incontro, la spiaggia su cui hanno passeggiato, la corsa in macchina. Possiamo seguire i segni che il tempo ha lasciato sui protagonisti, interrogarsi su cosa sia loro accaduto nel frattempo, ma senza indugiare troppo su sentimenti nostalgici o crepuscolari, sebbene. Per Jean-Louis e Anne è sempre come se ci fosse qualcosa di incompiuto, come se mancasse ancora tanto dire e se il meglio della vita dovesse ancora venire. È proprio questo il futuro a cui allude il titolo del film, che prende in prestito la frase di Victor Hugo "i migliori anni di una vita sono quelli che non sono ancora stati vissuti”, per rimarcare la forza vitale e propulsiva del presente quando è spinto dalla brama del futuro. "Sono ossessionato da questa frase che si è insinuata in molti dei miei film - evidenzia il regista - Non c'è davvero niente di meglio del presente. L'amore è l'arte del presente e il presente è tutto ciò che abbiamo, contiene ogni virtù. Anche se gli eroi del mio film hanno solo un'ora di vita, quell'ora sarà la migliore”.
Post n°15122 pubblicato il 19 Maggio 2019 da Ladridicinema
![](https://news.cinecitta.com/photo.aspx?s=1&w=850&path=%2fpublic%2fnews%2f0078%2f78627%2fbertolucci.jpg) CANNES - Filo diretto tra la Croisette e Bologna, con cinque titoli che dal Festival di Cannes arriveranno al Biografilm Festival, la cui quindicesima edizione si terrà dal 7 al 17 giugno. Si tratta di Yves (Tutti pazzi per Yves)di Benoît Forgeard, film di chiusura della Quinzaine des Réalisateurs su un musicista e un frigorifero intelligente, di For Sama di Waad al-Kateab ed Edward Watts, ambientato durante la rivolta di Aleppo, in Siria, di Diego Maradonadi Asif Kapadia, di Family Romance di Werner Herzog e di Cinecitta' - I mestieri del cinema. Bernardo Bertolucci: No End Travelling di Mario Sesti, prodotto da Erma Pictures con Istituto Luce Cinecitta'. Ai già annunciati tributi a Participant Media e al Sundance Festival si aggiunge poi un omaggio a Domenico Procacci, che riceverà il Celebration of Lives Award e sarà protagonista di un incontro con gli studenti di Biografilm School. All'Italian Pavilion, nell'ambito dell'incontro "Emilia Romagna, verso un'estate di cinema da Bologna a Riccione", sono state annunciate anche le prime novità della nona edizione di Ciné - Giornate di Cinema, in programma dal 2 al 5 luglio prossimi a Riccione. Nella prima giornata I Wonder Pictures presenterà l'anteprima della commedia Chi l'ha scritto? Il mistero Henri Pick, con Fabrice Luchini e Camille Cottin, mentre la sera del 3 sarà la volta di Non succede... ma se succede di Jonathan Levine, distribuita da 01. A Ciné sbarcheranno anche due laboratori didattici dedicati al cinema del Dipartimento educativo di Cinecittà si Mostra: The make believe, sui trucchi della finzione cinematografica, dedicati ai ragazzi tra i 10 e i 13 anni, e One Minute Shot, in cui ragazzi dai 14 ai 16 anni possono sperimentarsi con brevi "video cinematografici". Protagonista dell'incontro anche Gian Luca Farinelli, che con la Cineteca di Bologna organizza Il cinema ritrovato, un festival di cinema classico che conta 3.000 accreditati da 67 paesi, 500 film in una settimana e 120mila spettatori. In questa trentatreesima edizione, dal 22 al 30 giugno, saranno presentate le versioni restaurate de Il circo di Chaplin e de I clowns di Fellini. Tra gli ospiti, si attendono Jane Campion e Nicholas Winding Refn.
Post n°15121 pubblicato il 19 Maggio 2019 da Ladridicinema
Il regista italiano al festival per presentare il film "The Staggering Girl" E' stato consegnato a Luca Guadagnino il Nastro d Argento Europeo che, per la prima volta a Cannes, ha celebrato un tragurdo speciale: i suoi primi trent'anni. Il regista italiano è sulla Croisette per presentare alla Quinzaine des Réalisateurs il mediometraggio " The Staggering Girl". Il film, in bilico tra cinema e moda, nasce dal dialogo artistico con il direttore creativo della "Maison Valentino" Pierpaolo Piccioli.
Post n°15120 pubblicato il 19 Maggio 2019 da Ladridicinema
Un noir poliziesco dalla marcata vena sarcastica, La Gomera prende il nome all’isola vulcanica delle Canarie, location del film, un luogo fuori dal mondo in cui, in un carcere di massima sicurezza, è detenuto un pericoloso gangster. In tale luogo mistico si ritrova il poliziotto corrotto Cristi, che decide di accettare un incarico losco per liberare il criminale e recuperare così un’ingente somma di denaro (trenta milioni di euro), tale da garantirgli una nuova vita. Ma l’incarico vede protagonisti una donna bellissima e il singolare compito di imparare una sorta di linguaggio in codice composto da fischi – il silbo – necessario a coordinare l’operazione senza essere intercettati. Ma l’amore, come spesso accade, metterà i bastoni fra le ruote e – fra numerosi colpi di scena – la storia prenderà una piega inaspettata. La Gomera: un noir all’insegna della sottile e intelligente ironia di Corneliu Porumboiu La Gomera è un film ricco di omaggi – spesso ironici – ai classici del cinema crime e musicali (da Iggy Pop a Casta Diva fino all’ Orfeo all’Inferno di Jacques Offenbach), che si inseriscono eloquentemente in una narrazione che procede per capitoli intitolati ai vari personaggi ma non sempre montati in ordine cronologico. Il risultato è uno svolgimento vorticoso, dal ritmo sostenuto, che accompagna le vicende di protagonisti i cui ritratti emergono gradualmente, rivelando aspetti inattesi e permettendo al pubblico di empatizzare gradualmente, senza rinunciare alla necessaria suspense. Per contro, è proprio la trama a rivelarsi eccessivamente complicata per quelli che sono gli intenti analitici e comunicativi del film, rendendo a tratti faticoso tenere il filo degli eventi col risultato di perdere l’aggancio necessario ad attendere con ansia un finale che invece riporta il film ad un notevole livello qualitativo, degno del suo regista. Così, fra momenti sottilmente alti dal punto di vista umoristico e intelligenti riflessioni sull’odierna società rumena, La Gomera si rivela un film forse non pienamente compiuto dal punto di vista della scrittura, ma che sicuramente non fa che confermare il talento di Porumboiu nel mettere in scena dinamiche interpersonali che sono sempre specchio di relazioni più ampie con l’ambiente sociale di cui parla, in cui materialismo e incomunicabilità divengono due facce della stessa medaglia. Con un particolare occhio di riguardo verso una visione della finzione (e quindi del cinema) che – nella sua palese messa in scena – spesso si rivela mezzo per raggiungere verità celate, altrimenti non accessibili. La Gomera è stato prodotto da Maren Ade, regista di Vi presento Toni Erdmann(presentato in concorso a Cannes 2016), e Sylvie Pialat; nel cast troviamo Vlad Ivanov, Catrinel Marlon, Rodica Lazar, Sabin Tambrea, Agustí Villaronga, István Teglas, Cristóbal Pinto e Antonio Buíl.
Post n°15119 pubblicato il 19 Maggio 2019 da Ladridicinema
«Non ho mai avuto una pioggia più felice di quella di questa mattina – ha ironizzato il cineasta spagnolo in apertura riferendosi al tempo non proprio clemente in queste ore in Croisette – Non dimenticherò mai la scorsa notte. Non credo però che il film vada preso alla lettera, anche se parla di un regista in crisi che si trova in un momento particolare della sua vita. Quando inizio a scrivere una sceneggiatura, le prime scene sono sempre legate alla realtà. Quindi preferisco rimanere fedele alla finzione». Non a caso nel film la madre di Salvador confessa al figlio di non amare particolarmente il termine autofiction, e Almodóvar sembra dello stesso avviso: «Quando parli di te stesso, coinvolgi necessariamente anche altre persone ed è qualcosa di molto delicato. Mi spaventa essere in grado di influenzare le altre persone. Esamino ogni dettaglio con una lente d’ingrandimento e mi proietto nell’intero film, ma non lo prendo alla lettera. Altrimenti, il personaggio si chiamerebbe Pedro e non Salvador!». Antonio Banders, attore prediletto del cinema almodovariano, è invece un candidato fortissimo per la Palma come miglior attore: «Ho lavorato per 11 o 12 anni in Spagna, prima di lavorare per 20 anni negli Stati Uniti. La mia connessione con la Spagna è Pedro. Ho fatto 113 film. Ma ho vissuto in questo film i mesi più felici della mia vita di attore. E questa sensazione nessuno sarà mai in grado di portarmela via. Se vogliamo sapere chi siamo come popolo, dobbiamo guardare i nostri artisti: Picasso, Lorca, Dalí. In un futuro non troppo lontano, per capire la Spagna degli ultimi 40 o 50 anni, la gente dovrà guardare i film di Pedro Almodóvar». In Dolor y Gloria poi si parla anche dipendenza: non solo quella dalle droghe, che Mallo inizia a sperimentare per porre un argine alla sua noia esistenziale, ma anche e soprattutto il bisogno spasmodico e la sete insaziabile di immagini, di cinema, di vita, anche tutti questi aspetti si trovano a rimanere tragicamente con la fragilità. «Come il personaggio di Salvador, che soffre la disperazione di sapere che fisicamente non sarà più in grado di girare film, la mia grande dipendenza è il cinema. Come spettatore e come narratore», dice il regista madrileno. Gli fa eco Penélope Cruz, che in Dolor y Gloriainterpreta sua madre: «Condivido con Pedro questa dipendenza dal cinema. Ho scoperto a 16-17 anni la sensazione di recitare in un film. Negli anni ho capito l’amore e il rispetto di Pedro per le donne».
Post n°15118 pubblicato il 16 Maggio 2019 da Ladridicinema
Post n°15117 pubblicato il 16 Maggio 2019 da Ladridicinema
Post n°15116 pubblicato il 14 Maggio 2019 da Ladridicinema
Il banchiere della Resistenza è la storia del banchiere Walraven van Hall che durante la seconda guerra mondiale, nella Amsterdam occupata dai nazisti mise in piedi una vera e propria banca clandestina con cui aiutò all'inizio i marinai in pensione non più pagati per ordine dei nazisti e poi finanziando tutta la resistenza olandese. Lui assieme al fratello Gig, fu ingaggiato da un membro della resistenza olandese e sottraendo tramite prestiti importanti quantità di denaro dalla banca centrale olandese diedero vita ad una vera e propria frode. Questa organizzazione, col tempo, si ingrandirà sempre più, reclutando membri e aumentando i rischi. Stando alle stime, Walraven van Hall riuscì ad ottenere una cifra di ben 50 milioni di fiorini olandesi, pari a mezzo miliardo di euro. La resistenza olandese è un qualcosa di poco conosciuto soprattutto al grande pubblico, e soprattutto lo stratagemma dei Van Hall portato al cinema da Joram Lursen, che in maniera precisa prima ci spiega la situazione politica dell'epoca e poi ci parla delle particolarità dei due fratelli, non entrando però troppo nello specifico e nel personale, non essendo questo il tema principale. Ci sono tanti buchi narrativi, e una certa piattezza della storia nella prima parte; ma non è semplice ricostruire una storia con poco materiale e, soprattutto, rappresentarla catturando lo spettatore. Le musice di Snitker daranno maggiore enfasi alla storia soprattutto nella seconda parte e le performance del cast e la solida ricostruzione d'epoca riescono a mantenere un certo interesse per un film però forse troppo esaltato in patria almeno, se ci basiamo su questioni puramente tecniche. Voto finale: 3+/5 ![](https://proxy.duckduckgo.com/iu/?u=https%3A%2F%2Fpad.mymovies.it%2Ffilmclub%2F2018%2F09%2F002%2Flocandina.jpg&f=1)
Il banchiere della Resistenza: Data di pubblicazione: 11 Set 2018 Durata: 123 min Lingua originale: Olandese Paese di produzione: Paesi Bassi Distribuzione: Netflix Regia: Joram Lürsen Cast: Barry Atsma, Jacob Derwig, Pierre Bokma, Jaap Spijkers, Raymond Thiry, Fockeline Ouwerkerk, Matteo van der Grijn, Jochum ten Haaf, Peter Jordan, Götz Schubert Sceneggiatura: Marieke van der Pol, Thomas van der Ree, Matthijs Bockting, Michael Leendertse, Joost Reijmers, Pieter van den Berg Genere: film drammatico, guerra, thriller, storico Trama Mettendo in pericolo la sua famiglia e il suo futuro, un banchiere nell'occupata Amsterdam rallenta la macchina da guerra nazista creando una banca sotterranea per finanziare la resistenza
Post n°15115 pubblicato il 14 Maggio 2019 da Ladridicinema
Nel 1960 viene individuato in Argentina, nelle campagne circostanti Buenos Aires, un uomo che sembra essere Adolf Eichmann, l'architetto della "soluzione finale". La scoperta è delle più casuali, perché una ragazza, che ignora di essere di origine ebrea, esce con un ragazzo e lo porta a conoscere il padre cieco, che parlando con lui capisce trattarsi del figlio di Eichmann. Così contatta gli israeliani e il servizio segreto Mossad manda una squadra a indagare sul caso, per accertarsi dell'identità dell'uomo ed eventualmente per rapirlo e portarlo in Israele con l'intento di processarlo. "Credo che storie come questa servano a ricordare alla gente la catastrofica fine a cui portano i politici che cercano il consenso nell'odio per l'Altro". Chris Weitz Fa parte di questo team Peter Malkin, che già nel dopoguerra aveva partecipato a missione di caccia al nazista, una delle quali a Vienna ha portato però all'esecuzione di un uomo innocente. Quando per ottenere il trasporto aereo da Buenos Aires a Israele servirà la firma di Eichmann, Malkin sarà l'uomo che dovrà convincere il gerarca nazista, mettendo in gioco tutto se stesso in una pericolosa partita mentale contro il diabolico carnefice. L'operazione avrà per lui un grave costo e dovrà a lungo restare un segreto. IL VERSATILE OSCAR ISAAC E IL GIGANTE BEN KINGSLEY. venerdì 28 settembre 2018 Il film è tratto da varie fonti, in particolare ovviamente il libro di memorie dello stesso Peter Malkin "Nelle mie mani", in cui si racconta proprio la sua esperienza faccia a faccia con Eichmann. L'agente è qui interpretato da Oscar Isaac, attore di origine guatemalteca e di straordinaria versatilità, davvero tra i più dotati della sua generazione, capace di passare da film drammatici come questo alla fantascienza filosofica di Ex Machina (con tanto di sorprendente scena di ballo) e poi alle fantasie spaziali di Star Wars e pure all'Amleto a teatro. "Mentre stavamo lavorando al film ci sono stati i fatti di Charlottesville [dove si è tenuta una manifestazione nazista nell'agosto 2017] e improvvisamente stavamo facendo un'opera sul presente! Su quanto sia facile entrare nelle coscienze, per quel tipo di odio e fervore. Non c'è bisogno di essere uno psicopatico totale, bastano pochi gradi di cambiamento in come si pensa e si vedono gli altri, e discorsi sul nazionalismo e sull'orgoglio, per iniziare a slittare verso quella spaventosa direzione". Oscar Isaac Contro di lui, nel ruolo disumano di Eichmann, si cala un gigante assoluto come Sir Ben Kingsley, che ha interpretato sia personaggi storici del tutto encomiabili come Ghandhi, sia figure simbolo della cultura ebraica come il padre di Anna Frank, il cacciatore di ebrei Simon Wiesenthal e il braccio destro di Schindler, Itzhak Stern. Kingsley ha recentemente vestito i panni di un altro criminale di guerra in incognito in An Ordinary Man ma il suo ruolo in Operation Finale, con il confronto psicologico serrato tra lui e Isaac, ricorda soprattutto La morte e la fanciulla di Polanski, a sua volta ambientato in Sudamerica e dove veniva accusato e imprigionato da Sigourney Weaver, convinta lui fosse l'uomo che l'aveva torturata durante un colpo di stato. UN'OPERA PER DISINNESCARE L'ODIO. venerdì 28 settembre 2018 Il cast include inoltre Mélanie Laurent, nei panni dell'anestesista con il compito di tenere Eichmann semi incosciente durante il trasporto fuori dall'Argentina. L'attrice francese di origini ebree riveste anche la parte di un interesse romantico di Peter, ma la love story è attentamente tenuta a bada dalle circostanze del film. Partecipano poi Lior Rax, autore e interprete della serie Fauda, disponibile proprio su Netflix, e Nick Kroll, che per Netflix è ideatore e voce del protagonista di Big Mouth. "Il dilemma di questo ruolo è che Eichmann era un essere umano. Non era atterrato da Marte, non era un mostro, non era un personaggio bidimensionale come il villain di un fumetto. Per cui un approccio del genere sarebbe stato un grave tradimento verso le vittime. Piuttosto che abitarlo, anche perché credo una mente come quella sia impenetrabile, ho deciso di dedicare la mia performance a loro, alle sue vittime". Ben Kingsley Il regista Chris Weitz (About a Boy, La bussola d'oro) dice che si tratta di un'opera sulla difficoltà di disinnescare l'odio e conosce molto bene questo argomento. È infatti figlio di John Weitz, che durante la Seconda Guerra Mondiale ha lavorato per l'OSS (Ufficio Servizi Strategici) e ha partecipato a operazioni di spionaggio nella Germania nazista, tanto da rimanerne segnato. Il film è inoltre musicato dal due volte premio Oscar Alexandre Desplat, fotografato da Javier Aguirresarobe (Parla con lei, The Others, The Road) e sceneggiato dall'esordiente Matthew Orton, che sembra si stia specializzando in film storici ed è al lavoro per Ridley Scott su Battle of Britain.
Post n°15114 pubblicato il 14 Maggio 2019 da Ladridicinema
The Last Witness – L’ultimo testimone è un film diretto da Piotr Szkopiak, con Alex Pettyfer, Robert Więckiewicz e Talulah Riley, un thriller che orbita attorno al tristemente celebre massacro di Katyn. Bristol, 1947. Stephen Underwood è un giornalista che sta conducendo un’inchiesta su moltissimi casi di suicidio di soldati polacchi. Aiutato dal capitano della polizia e dalla sua ufficiale di armata Jeanette Mitchell (Talulah Riley), Stephen si insinua tra le pieghe oscure di una vera e propria cospirazione internazionale, nascondendo le sue ricerche al suo caporedattore e rischiando ogni giorno per la sua vita. L’incontro con il colonnello Janusz Pietrowski e del suo amico polacco Michael Loboda, lo conduce finalmente alla soluzione del mistero, ma che apre un nuovo capitolo su un’indagine ancora più seria, ovvero il coinvolgimento del Governo inglese e dell’Unione Sovietica in uno dei più gravi casi di esecuzione di massa di soldati e civili polacchi. The Last Witness – L’ultimo testimone è un film che racconta lo svelamento del massacro di Katyń del 1940, teatro di un eccidio di massa che vide la morte di quasi 22 mila polacchi, tra ufficiali e cittadini, da parte della polizia segreta sovietica. Il film, basato su eventi reali, ci traghetta nel dopoguerra, in cui un giornalista cercò di fare chiarezza su una serie di suicidi misteriosi, che lo portarono a svelare una pagina oscura e aberrante della storia dell’Unione Sovietica. The Last Witness – L’ultimo testimone: lo svelamento del massacro di Katyń Questo film parte con una premessa agghiacciante e affascinante, un conspiracy movieche è allo stesso tempo thriller e dramma, che tratta in modo realistico l’indagine di un giornalista ostinato nello scovare la verità dietro le dichiarazioni ufficiali della polizia, dopo i suicidi di ufficiali polacchi sul suolo inglese. Il film storicamente è apprezzabile, si adatta perfettamente alla narrazione non facile da eseguire e resta in equilibrio tra realismo e fiction, creando una storia nella storia. The Last Witness – L’ultimo testimone racconta una vicenda tragica e notevole, non solo perché tratta di una epurazione politica, da parte di Stalin, ma anche perché la realtà dei fatti fu un volontariamente dimenticata dagli alleati. Inoltre l’Unione Sovietica continuò sempre a rinnegare le sue responsabilità, affermando che la Germania nazista avesse orchestrato il massacro. Cosa che fu ben presto smentita. The Last Witness – L’ultimo testimone dal punto di vista visivo non convince particolarmente, considerato che le immagini sono spesse plumbee e poco incisive: ciò che resta è un’estetica poco ispirata ed eccessivamente economica. La trama commette l’errore di disperdere quei pochi momenti di complessità, trascinandosi da una scena all’altra con inerzia e un pizzico di goffaggine. Un eccidio di massa da parte della polizia segreta sovietica La sceneggiatura parte con i giusti presupposti, possedendo tutti i pezzi di cui necessita un buon thriller per creare una storia dal mistero efficace e spiazzante. Ma con l’incedere della pellicola ciò che si percepisce è la mancanza di una vera atmosfera cospiratoria, che dissipa suspense e intrighi, andandosi ad impantanare in una storia d’amore artificiosa, avvilente e inappagante. Alex Pettyfer e Talulah Riley alternano interpretazioni appena soddisfacenti che non riescono a spostare l’attenzione dalla totale mancanza di spina dorsale della trama, che in ultima analisi non ha la forza né la capacità drammatica di poter reggere su di sé un mistero così fitto, né tanto meno rendere giustizia ad uno degli orrori meno conosciuti della seconda guerra mondiale.
Post n°15113 pubblicato il 14 Maggio 2019 da Ladridicinema
Pokemon: Detective Pikachu (guarda la video recensione) vince il weekend (che si chiude con un incoraggiante +41% rispetto a quello dell'anno scorso e +0,7% su base annua) con 2,3 milioni di euro. Non una cifra "da Avengers" ma comunque ottima. Endgame (guarda la video recensione) non molla la presa ed è secondo con 1,3 milioni di euro, un ottimo dato per una terza settimana di programmazione. Il film raggiunge quota 28,3 milioni di euro ed è a meno di mezzo milione di distanza da Bohemian Rhapsody (guarda la video recensione), che dovrebbe essere superato entro la fine del mese. 3,8 milioni di persone hanno visto il cinecomic Marvel. Terzo posto per Ted Bundy - Fascino Criminale, che chiude con poco meno di 600mila euro e tiene a distanza Pet Sematary (guarda la video recensione) (564mila euro) e Stanlio e Ollio (guarda la video recensione). Le altre new entry della settimana chiudono miste: Red Joan incassa 238mila euro, mentre Il grande spirito (guarda la video recensione) delude con appena 167mila euro, ennesimo flop italiano di stagione. Ma cosa ci dice il cervello si avvicina ancora ai 5 milioni, ma non riesce a superarli. Questa settimana arrivano in sala tra gli altri Attenti a quelle due, John Wick 3 - Parabellum e Dolor Y Gloria di Almodovar.
Avengers: Endgame (guarda la video recensione) si conferma essere un "film da weekend" e infatti negli USA riesce a resistere all'attacco dei Pokemon (guarda la video recensione), vincendo il fine settimana con un incasso stimato di 63 milioni di dollari (un po' meno di quanto stimato dagli analisti ma che rappresenta il sesto miglior "terzo weekend" della storia del box office americano) contro i 58 ottenuti da Pokemon: Detective Pikachu. Il totale americano del film è ora di 723 milioni, 24esimo miglior incasso di sempre (superati in un sol colpo superclassici quali Grease (guarda la video recensione), Mary Poppins, Forrest Gump e Il Padrino (guarda la video recensione)). A questo punto il film dovrebbe superare gli 800 milioni entro la fine del mese e chiudere con 830-850 milioni. Dopo una partenza epocale Endgame sta seguendo l'iter di Infinity War (guarda la video recensione), d'altra parte la fiamma più intensa brucia anche più velocemente... Poco significativi gli incassi delle altre new entry settimanali: Attenti a quelle due è terzo con 13,5 milioni, Poms sesto con 5,1 e Tolkien nono con 2,1 milioni. Ultima settimana in top ten per Captain Marvel (guarda la video recensione) che aggiunge 1,8 milioni al suo totale di 423 milioni. La prossima settimana arrivano John Wick 3 - Parabellum, A Dog's Journey e The Sun Is Also a Star. Ottima partenza internazionale per Pokemon: Detective Pikachu che incassa circa 170 milioni da tutti i mercati con in testa Usa e Cina. Avengers: Endgame è a solo 15 milioni dai 2,5 miliardi di dollari. Impossibile a questo punto puntare ai 3 miliardi, mentre i 2,7 miliardi di Avatarpotrebbero essere ancora raggiungibili, anche se le tante uscite forti delle prossime settimane faranno calare l'interesse per il titolo che ha peraltro già fatto la storia.
Post n°15112 pubblicato il 08 Maggio 2019 da Ladridicinema
Post n°15111 pubblicato il 08 Maggio 2019 da Ladridicinema
Post n°15110 pubblicato il 08 Maggio 2019 da Ladridicinema
Post n°15109 pubblicato il 08 Maggio 2019 da Ladridicinema
Titolo originale: What You Gonna Do When the World's on Fire? Che fare quando il mondo è in fiamme? è un film di genere documentario del 2018, diretto da Roberto Minervini. Uscita al cinema il 09 maggio 2019. Durata 123 minuti. Distribuito da Cineteca di Bologna e Valmyn. - DATA USCITA: 09 maggio 2019
- GENERE: Documentario
- ANNO: 2018
- REGIA: Roberto Minervini
- PAESE: Italia, USA, Francia
- DURATA: 123 Min
- DISTRIBUZIONE: Cineteca di Bologna e Valmyn
TRAMA CHE FARE QUANDO IL MONDO È IN FIAMME?: Che fare quando il mondo è in fiamme?, il film documentario diretto da Roberto Minervini, è una rilessione sul concetto di razza in America. Judy cerca di mantenere a galla la propria famiglia allargata, mentre gestisce un bar minacciato dalla gentrificazione. Ronaldo e Titus, due giovanissimi fratelli, crescono in un quartiere afflitto dalla violenza, mentre il padre è in prigione. Kevin, Big Chief della tradizione indiana del Mardi Gras, lotta per mantenere vivo il patrimonio culturale della sua gente attraverso i rituali del canto e del cucito. Infine, il gruppo rivoluzionario delle Black Panthers indaga sul linciaggio di due ragazzi nel Mississippi, mentre organizza una protesta contro la brutalità della polizia CURIOSITÀ SU CHE FARE QUANDO IL MONDO È IN FIAMME?: Presentato in Concorso al Festival di Venezia 2018.
- MONTAGGIO: Marie-Hélène Dozo
- PRODUZIONE: Okta Film, Pulpa Film, Shellac Sud con Rai Cinema
Post n°15108 pubblicato il 08 Maggio 2019 da Ladridicinema
Il Grande Spirito è un film di genere commedia del 2019, diretto da Sergio Rubini, con Sergio Rubini e Rocco Papaleo. Uscita al cinema il 09 maggio 2019. Durata 113 minuti. Distribuito da 01 Distribution. - DATA USCITA: 09 maggio 2019
- GENERE: Commedia
- ANNO: 2019
- REGIA: Sergio Rubini
- ATTORI: Sergio Rubini, Rocco Papaleo, Bianca Guaccero, Ivana Lotito, Alessandro Giallocosta, Ilaria Cangialosi, Geno Diana, Antonio Andrisani, Cosimo Attanasio, Totò Onnis, Nicola Valenzano, Antonia Basta, Ivan Dario Buono, Pierluigi Corallo, Fabio Scaravilli, Serena Tondo, Tota Pinuccio
- PAESE: Italia
- DURATA: 113 Min
- DISTRIBUZIONE: 01 Distribution
Il Grande Spirito, il film diretto da Sergio Rubini, è ambientato in un quartiere della periferia di Taranto, quando durante una rapina, uno dei tre complici, un cinquantenne dall'aria malmessa, Tonino (Sergio Rubini) approfittando della distrazione degli altri due, ruba tutto il malloppo e scappa. Il suo è un gesto di riscatto nei confronti di chi non ha più rispetto del suo lungo e onorato curriculum delinquenziale, macchiato da un fatale errore, che gli è valso l'ignominioso appellativo di Barboncino. La corsa di Tonino, inseguito dai suoi complici sempre più infuriati, procede verso l'alto, di tetto in tetto fino a raggiungere la terrazza più elevata, oltre la quale c'è lo strapiombo, che lo costringe a cercare rifugio in un vecchio lavatoio. Lì trova uno strano individuo (Rocco Papaleo) dall'aspetto eccentrico: porta una piuma d'uccello dietro l'orecchio, sostiene di chiamarsi Cervo Nero, di appartenere alla tribù dei Sioux e aggiunge che il Grande Spirito in persona gli aveva preannunciato l'arrivo dell'Uomo del destino! Tonino si trova sotto assedio: il quartiere è presidiato dai suoi inseguitori e gli angoli delle strade controllate. In una immobilità forzata dovuta ad una caduta da un'impalcatura, con il bottino finito sepolto sotto una montagna di pietrisco in un vicino cantiere, falliscono i suoi tentativi velleitari di recuperare la refurtiva e di organizzare una fuga con l'ex-compagna Milena (Bianca Guaccero). Tonino è completamente solo. Non gli rimane che un'unica disperata alternativa: allearsi con quello squilibrato che si comporta come un pellerossa e che, proprio perché guarda il mondo da un'altra prospettiva, potrà forse fornirgli la chiave per uscire dal vicolo cieco in cui è finito. Dal Trailer del Film: Milena (Bianca Guaccero): Che è successo? Tonino (Sergio Rubini): Tonino Cipriani è tornato il numero uno! Milena: Ti stanno cercando dappertutto, Toni'!
Tonino: Io e te non ci siamo visti! Renato (Rocco Papaleo): Tu non te ne puoi andare, sei l'uomo del destino! Questa è una terra sacra, prima qui era pieno di praterie, stava pieno di bisonti così!
Tonino: Quando una femmina la tieni sotto tiro, fai scivolare la mano piano piano, piano piano, piano piano, bum!
Tonino Il Grande Spirito vuole che aiuti l'uomo del destino! Renato: Una missione? Tonino Una missione!
Renato: Tu sei quello che s'è rubato tutti i soldi!
Tonino: Dove l'hai messo il borsone? Renato: L'ho nascosto! Senza borsone, niente destino!
Renato: Lo sai che cosa ha detto Toro Seduto agli yankee?! Quando i fiumi saranno asciutti e gli animali estinti, capirete che non si può mangiare il denaro! Tonino: Tu t'ha dice a Toro Seduto ca n'ha capisce nu cazz'! IL CAST DI IL GRANDE SPIRITO:
Post n°15107 pubblicato il 08 Maggio 2019 da Ladridicinema
Doppia novità per Renato Zero che oggi ha annunciato sia l’uscita del suo nuovo album “Zero il folle” che un tour nei palasport italiani che prenderà il via il prossimo 1 novembre. Il cantante romano torna a stupire i suoi fan con quattro artwork diversi e l’ispirazione ai grandi folli della cultura mondiale. Doppia novità per Renato Zero che oggi ha annunciato sia l'uscita del suo nuovo album "Zero il folle" che un tour nei palasport italiani che prenderà il via il prossimo 1 novembre. Ogni volta che Zero si muove è un piccolo evento, come dimostrato già con il progetto "ZEROVSKIJ… solo per amore” e, stando almeno agli artwork (sono 4) del suo nuovo album, non mancheranno sorprese e genialità anche questa volta: "Folle è chi sogna, chi è libero, chi provoca, chi cambia. Folle è chi rifiuta le regole e l’autorità, alimentando i desideri nascosti di chi lo giudica e segretamente vorrebbe assomigliargli. Folle è chi non si vergogna mai e osa sempre, per rendere eterna la giovinezza. Folle è RENATO ZERO." si legge nel comunicato stampa che accompagna le notizie, puntando, quindi, proprio sul concetto di follia che evidentemente il cantante declinerà in questo nuovo album. I folli dell'arte Il cantante lo specifica anche nelle poche parole con cui accompagna l'annuncio di tour e album – che segue l'uscita del live "Alt in tour" – e in cui ricorda alcuni grandi artisti ‘folli', di quelli che hanno fatto la Storia, appunto: "Scommettiamo che il tempo non ci tange? Che la ruga non ci sfiora? Che il sogno ci sostiene e la musica ci adora? Siamo folli Impenitenti. Siamo Alunni e Professori. Siamo Principi e Corsari. Siamo Giovani Maturi. Scommettiamo che non ci fermerà nessuno? Il folle esprime il rifiuto di ogni autorità e si alimenta dei desideri nascosti di chi lo giudica e segretamente vorrebbe assomigliargli. La Storia l’hanno fatta i folli: Gesù, Galileo, Mozart, Martin Luther King, John Lennon, Pasolini, Steve Jobs". È Zero non ha mai nascosto la sua voglia di stupire e anche la sua follia, che oggi mette in parole: "Non vergognarsi mai e osare tutto, per rendere eterna la giovinezza. L’elogio alla follia 500 anni dopo ha parole nuove e incontra il pentagramma. Perché, 500 anni fa come oggi, nessuna società, nessun legame potrebbe essere gradevole o duraturo se gli uni con gli altri non ci lusingassimo vicendevolmente col miele della follia". L'album, che uscirà a ottobre sarà prodotto da Trevor Horn, che con i The Buggles scrisse la mitica "Video killed the radio stars" e che nella sua carriera ha collaborato con Paul McCartney, Rod Stewart, Robbie Williams, Frankie Goes To Hollywood, Pet Shop Boys, tra gli altri. Le date del tour e come acquistare i biglietti Il tour partirà l'1 novembre al Palazzo dello sport di Roma (dove canterà anche il 3, 4 e 6), per proseguire il 14 e 15 novembre al Mandela Forum di Firenzze 15 novembre, il 18 e 19 novembre al Grana Padano Arena di Mantova, il 23 e 24 novembre alla Vitrifrigo Arena di Pesaro, il 7 e 8 dicembre al Modigliani Forum di Livorno, il 14 e 15 dicembre al Pala Alpitour di Torino, il 21 e 22 dicembre alla Unipol Arena di Bologna, l' 11 e 12 gennaio al Mediolanum Forum di Milano, il 18 e 19 gennaio al Palasele di Eboli e il 23 e 25 gennaio al Palaflorio di Bari. I biglietti saranno disponibili in prevendita dalle ore 11 di domani, giovedì 9 maggio, sul sito ufficiale di Renato Zero, sul sito Vivaticket e nei punti vendita autorizzati Vivaticket. continua su: https://music.fanpage.it/renato-zero-annuncia-il-nuovo-album-e-il-tour-la-storia-lhanno-fatta-i-folli-mai-vergognarsi/ http://music.fanpage.it/
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Inviato da: Mr.Loto
il 28/03/2022 alle 11:57
Inviato da: Mr.Loto
il 15/10/2020 alle 16:34
Inviato da: RavvedutiIn2
il 13/11/2019 alle 16:33
Inviato da: surfinia60
il 11/07/2019 alle 16:27
Inviato da: Enrico Giammarco
il 02/04/2019 alle 14:45