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Monicelli, senza cultura in Italia...
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Messaggi del 10/11/2018
Post n°14752 pubblicato il 10 Novembre 2018 da Ladridicinema
Il tenore ha conquistato la vetta della classifica Billboard200 piazzandosi al primo posto davanti a "A Star is Born" di Lady Gaga Ultimo aggiornamento il 5 novembre 2018 alle 16:11 Andrea Bocelli Roma, 5 novembre 2018 - Andrea Bocelli entra nella storia (anche) degli Stati Uniti d'America. Il suo ultimo album, intitolato "Sì" e pubblicato da Sugar, ha conquistato la vetta della classifica degli album più venduti negli Usa, la Billboard200, piazzandosi davanti a "A Star is Born" di Lady Gaga. Nessun altro italiano prima di lui era mai riuscito nell'impresa. Un traguardo memorabile che si somma al primato raggiunto dall'artista qualche giorno fa con il primo posto raggiunto anche nelle classifiche britanniche. Un successo che consacra ancora una volta Bocelli nell'empireo della musica internazionale: ben 8 album della carriera del tenore sono entrati nella top10 americana, la più importante classifica discografica del mondo, con due secondi posti ottenuti con 'My Christmas' nel 2009 e 'Passione' nel 2013. Messaggi di congratulazioni ad Andrea Bocelli sono arrivati da tutto il mondo. Scott Rodger, della Maverick Management, manager Usa del tenore, oltre che di Paul McCartney, ha rivolto a Bocelli queste parole: "Congratulazioni ad Andrea Bocelli per la doppietta. Numero 1 negli Usa e nel Regno Unito". "Una notizia che ci riempie di orgoglio - così commenta invece Caterina Caselli -, che sottolinea il gigante talento di Andrea Bocelli, la perseveranza di una squadra coesa che da sempre mette al centro il talento artistico e la sua peculiarità".
Post n°14751 pubblicato il 10 Novembre 2018 da Ladridicinema
Leader sindacalista nel potente film di Brizé, in sala dal 15/11 (ANSA) - ROMA, 6 NOV - Vincent Lindon, tre anni dopo il premio per la migliore interpretazione maschile per La loi du marché al festival di Cannes, torna al cinema con un ruolo forte e molto simile, diretto dallo stesso regista, Stephane Brizé e ancora una volta dedicato alla crisi economica, al lavoro, ai rapporti operai/padroni. Lindon, 58 anni, è di una efficacia eccezionale, riesce a dare un volto appassionato, nervoso, vitale all'operaio sindacalista in lotta contro la chiusura della fabbrica e la delocalizzazione. E', come dice il titolo, In Guerra (En Guerre). Il film, dopo Cannes, arriva in sala in Italia con Academy Two il 15 novembre. Il film mette in scena, con dialoghi serrati, ritmo da thriller e montaggio originale, impronta da inchiesta tv, una storia esemplare, la stessa che si è vista tante volte in Italia e in Europa e che ha a che fare con la globalizzazione del mercato, gli accordi tra stati che passano sopra le teste dei lavoratori, il concetto tutto capitalistico di chiudere una fabbrica per aprirla dove i costi del personale sono la metà e più, le statistiche che si possono leggere in tutti i modi, le persone che diventano numeri. Un film politico, nel senso proprio del termine: la lotta di Laurent Amedeo, leader sindacalista che guida gli operai che scioperano per impedire che l'industria in cui lavorano venga chiusa, diventa sempre più una guerra, con battaglie vinte, cambi di fronte, piccole vittorie, giganti sconfitte. Con lui ci sono 1100 persone e rispettive famiglie decise ad andare avanti fino in fondo, a chiedere il supporto dell'Eliseo, della corte di giustizia, degli operai di altre fabbriche pur di avere un confronto con il Ceo dell'industria di stanza in Germania, un manager che ha avuto pure lo stipendio aumentato per gli ottimi dividendi e che non sa giustificare la chiusura se non con quella solita drammatica frase, è il mercato che lo chiede. L'unità dei lavoratori, dopo tre settimane di sciopero e presidio, vacilla quando cominciano le sirene del padrone di una buonuscita ai lavoratori che accettano di riprendere il lavoro per concludere gli ordini già firmati. Laurent, non senza contrasti, prova a resistere: uniti si vince e non per ciascuno operaio ma per tutti, una vittoria in quella fabbrica può diventare simbolo in altri luoghi. Malgrado gli sforzi, tutto però è destinato ad una brutta fine. L'ispirazione è in parte ad una storia vera, quella di Xavier Mathieu, leader sindacale della Continental.
Post n°14750 pubblicato il 10 Novembre 2018 da Ladridicinema
Sono passati più di dieci anni da quando, nel corso di una serata in Svizzera, il miliardario genio-e-sregolatezza Tony Stark s'intratteneva con la bella Maya Hansen e lasciava sul tetto, in vana attesa, il visionario Aldrich Killian, desideroso di contare Stark tra le fila degli scienziati da lui diretti. Intanto, dal Medio Oriente, un terrorista senza scrupoli, detto il Mandarino, dopo aver seminato panico e morte in diverse zone degli Stati Uniti d'America, mira sempre più esplicitamente al Presidente, ma passa prima da villa Stark, radendola al suolo. In pena per la sicurezza di Pepper e in preda a crescenti e fino ad ora sconosciuti attacchi di panico, Iron Man si ritrova chiamato all'azione su più fronti, proprio nel momento di massima debolezza. Il terzo ed ultimo capitolo della saga combina due storie classiche del fumetto di partenza, quella del Mandarino ed "Extremis", innestandole non là dove terminava il secondo film bensì dopo "i fatti di New York", ovvero al termine dell'esperienza collettiva di The Avengers. Il film di Joss Whedon ha segnato dunque uno spartiacque, tanto che Jon Favreau, creatore dei primi due successi, viene simpaticamente parcheggiato su un lettino d'ospedale a guardare Downtown Abbey, mentre in sala di regia prende posto Shane Black, autore, tra altro, dei buddy-movies Arma Letale e Kiss Kiss Bang Bang (il film che ha candidato Robert Downey Jr al ruolo di Iron Man). Black dimostra di aver fatto tesoro della lezione di Whedon, dove il personaggio di Iron Man aveva dato il meglio di sé come membro di un gruppo (sodale pronto al soccorso così come alla battuta sdrammatizzante e non più egomaniaco solitario per la delizia della stampa), e si diverte ad affiancargli un compagno di turno ad ogni snodo della vicenda, con effetto comprovato. E tutto torna, perché con Iron Man 3 si scende nel privato del protagonista, in quel buco tutt'altro che vuoto che l'immagine del cratere di villa Stark rende al meglio, e più privata e personalizzata si fa anche la figura del "cattivo", Killian, vicina a quella del freak, umiliato e assetato di vendetta, tipica di altri supereroi. Sottraendo il personaggio di Tony Stark ai riflettori (dandolo pubblicamente per morto, ad un certo punto), Black in realtà lo illumina definitivamente, lo investe di una luce senza più ombre, perché le luci della cronaca e dello spettacolo qui cambiano drasticamente di segno e si tingono degli oscuri colori dell'invidia e della truffa. Stark è cresciuto, protegge il privato, riconosce il teatro - che è stata una sua passione in passato - ma in esso ora legge soltanto la pietà della buffonata: non a caso sta lottando con se stesso per affrancarsi dalla maschera e ritrovare un cuore umano. E proprio la maschera, come doppio e come demone, maschera teatrale e funeraria (in mano a Pepper Potts), estesa alla misura del corpo intero, è senza dubbio il ritornello visivo più riuscito del film, cui si associa la ripresa della questione morale, vero e proprio biglietto di presentazione del personaggio nel primo capitolo, qui riproposto non più in termini di scomodo conflitto interiore quanto di certezza raggiunta. Sfortunatamente, la misura non è perfetta: come nel secondo episodio, c'è molta, troppa carne al fuoco e qualche costoletta di narrazione ne fa le spese e non riceve sufficiente cottura, specie nel momento del prefinale, dove le linee del presidente, del Mandarino e dell'amata in pericolo si assommano l'una sull'altra. Peccato anche che il ruolo della Paltrow, finalmente ampliato, non riservi, però, alcun incremento di qualità, né di scrittura né d'interpretazione.
Post n°14749 pubblicato il 10 Novembre 2018 da Ladridicinema
"Io sono Iron Man" così, con lo svelamento dell'identità non più segreta, si chiudeva la storia del film precedente e così si apre quella di questo nuovo capitolo. Tony Stark è Iron Man e ora, dopo 6 mesi, che la notizia è di pubblico dominio il governo e le compagnie concorrenti, non troppo liete che la pace nel mondo sia mantenuta da un deterrente che non gli appartiene, tentano di appropriarsi dell'armatura: "Ho privatizzato con successo la pace" risponde Stark a chi lo accusa di essere fuori dal controllo statale. Non è tuttavia questo il problema più grosso del miliardario con l'hobby del supereroismo. Il palladio, elemento utile a far funzionare l'armatura, lo sta lentamente uccidendo inquinandogli il sangue e il brillante inventore non riesce a trovare un rimedio. Come se non bastasse, nel mezzo di una corsa automobolistica promozionale, a turbare la pace mondiale si presenta Ivan Vanko, figlio di un vecchio collaboratore di Howard Stark (il padre di Tony), colmo di rancore, volontà di vendetta e in possesso dei brevetti originali di molte invenzioni della Stark. Nel 2008 Iron Man fece segnare una delle punte più alte del cinema d'azione degli ultimi anni, raccogliendo il quasi unanime consenso di pubblico e critica per come raggiungeva tutti gli obiettivi del film d'intrattenimento all'americana: avvincere con l'azione, affascinare con un protagonista carismatico in cui volersi immedesimare, divertire e smuovere sentimentalmente. Il team capitanato da Jon Favreau, nel quale spiccava la forma smagliante di Robert Downey Jr., sembrava aver ritrovato lo smalto dell'intrattenimento della Hollywood degli anni '80 fondendo il meglio del cinema del frat pack con il fascino che è proprio dei supereroi da fumetto. Lo stesso non si può purtroppo dire di Iron Man 2, che seguendo la tipica scansione del cinema supereroistico (dopo un primo episodio che narra le origini dell'eroe viene un secondo più denso di eventi e personaggi che mette in crisi e infine consolida la figura protagonista) gioca al raddoppio con l'idea di aumentare il gradimento. Ma così non è. Uno dei pochi cambi fatti al team creativo nel passaggio da un film all'altro riguarda gli sceneggiatori: arriva Justin Theroux (che alle spalle ha la collaborazione a Tropic Thunder) e se ne vanno i 4 realizzatori del precedente. Scelta curiosa che si ripercuote in una scrittura non eccellente: molte sottotrame raccontate in maniera non impeccabile, molti personaggi, un trionfo di ammiccamenti al futuro film sui Vendicatori, molti dialoghi non eccezionali e poca azione appesantiscono inevitabilmente il film e, cosa peggiore, tolgono quel misto di arroganza e autoironia che rendeva unico il film precendente. I cattivi da uno diventano due: oltre a Vanko, specchio del Tony Stark inventore, c'è anche Justin Hammer, che è lo specchio del Tony Stark imprenditore, mentre gli alleati raddoppiano e a soffrirne è il rapporto tra Tony e Pepper Potts, ormai ridotto alla solita macchietta da battaglia dei sessi e lontanissimo da quell'amaro e romantico menage a due che li univa. Iron Man 2, insiste e preme su tutti quegli elementi che avevano fatto il successo del primo, portando ogni situazione e ogni personaggio al suo paradossale estremo. La conseguenza è che si perde quell'aura di apparente spontaneità che rendeva godibile il racconto di un uomo che vola in un'armatura tecnologica a favore di una compiaciuta sufficienza. La prova evidente è data dalle molte sequenze che replicano i momenti topici del primo film ma che non ne sono all'altezza. Anche lo showdown finale con la nemesi di turno (un Mickey Rourke perfetto tanto quanto lo era Jeff Bridges) si risolve in poco e senza vero coinvolgimento.
Post n°14748 pubblicato il 10 Novembre 2018 da Ladridicinema
La recensione su Claretta Biografia appassionata e nostalgica della ragazzina amante del Duce, Claretta Petacci, che finì i suoi giorni a piazzale Loreto a fianco del dittatore. Lei aveva vent'anni, lui cinquanta; di umile estrazione sociale lei, dittatore di una delle più potenti nazioni al mondo lui; lei si sposerà, lui è già da tempo salito sull'altare e ha pure dei figli; mentre propaganda i veri valori della famiglia agli italiani, Benito Mussolini pensa bene di darsi a plurime scappatelle extraconiugali, fra le quali la più celebre è per forza di cose - rimarrano eternati insieme nella memoria del Paese, impiccati a testa in giù a piazzale Loreto - quella con Claretta Petacci. Con questo film il regista destroide Pasquale Squitieri onora a modo suo la memoria della giovane amante del Duce, affidando la parte e i numerosi premi che ne conseguiranno automaticamente (miglior attrice a Venezia, ai Nastri d'argento, Globo d'oro) alla sua partner nella vita Claudia Cardinale. Eppure le due ore e mezza di Claretta non sono particolarmenti scorrevoli, nè si può dire che l'attrice fornisca una delle sue migliori prove, in una carriera tanto colma di successi e di titoli memorabili; oltre che a tributare a una figura molto cara a Squitieri - che insieme ad Arrigo Petacco è qui anche sceneggiatore - il film non serve francamente a granchè. Fra gli altri interpreti c'è una giovanissima Nancy Brilli, all'esordio assoluto, nei panni di Myriam, sorella di Claretta; ci sono inoltre Giuliano Gemma, Catherine Spaak, Maria Mercader, Philippe Lemaire, Angela Goodwin e Caterina Boratto. Confezione patinata, ritmo sonnolento, ricostruzione storica approssimativa e palesemente faziosa: Squitieri ha indubbiamente fatto di meglio che in questa occasione. 3,5/10.
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Inviato da: Mr.Loto
il 28/03/2022 alle 11:57
Inviato da: Mr.Loto
il 15/10/2020 alle 16:34
Inviato da: RavvedutiIn2
il 13/11/2019 alle 16:33
Inviato da: surfinia60
il 11/07/2019 alle 16:27
Inviato da: Enrico Giammarco
il 02/04/2019 alle 14:45