Tag Cloud
FESTIVAL, Particolarità, STORIA, comunicazione, editoria, eventi, film in uscita, incassi, libri, musica, news, novità, premi, recensioni, trailer, tv
Monicelli, senza cultura in Italia...
Archivio messaggi
Lu | Ma | Me | Gi | Ve | Sa | Do |
|
|
|
1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
6 |
7 |
8 |
9 |
10 |
11 |
12 |
13 |
14 |
15 |
16 |
17 |
18 |
19 |
20 |
21 |
22 |
23 |
24 |
25 |
26 |
27 |
28 |
29 |
30 |
|
|
|
Chi può scrivere sul blog
Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti. I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
tutto il materiale di questo blog può essere liberamente preso, basta citarci nel momento in cui una parte del blog è stata usata. Ladridicinema
FILM PREFERITI
Detenuto in attesa di giudizio, Il grande dittatore, Braveheart, Eyes wide shut, I cento passi, I diari della motocicletta, Il marchese del Grillo, Il miglio verde, Il piccolo diavolo, Il postino, Il regista di matrimoni, Il signore degli anelli, La grande guerra, La leggenda del pianista sull'oceano, La mala education, La vita è bella, Nuovo cinema paradiso, Quei bravi ragazzi, Roma città aperta, Romanzo criminale, Rugantino, Un borghese piccolo piccolo, Piano solo, Youth without Youth, Fantasia, Il re leone, Ratatouille, I vicerè, Saturno contro, Il padrino, Volver, Lupin e il castello di cagliostro, Il divo, Che - Guerrilla, Che-The Argentine, Milk, Nell'anno del signore, Ladri di biciclette, Le fate ignoranti, Milk, Alì, La meglio gioventù, C'era una volta in America, Il pianista, La caduta, Quando sei nato non puoi più nasconderti, Le vite degli altri, Baaria, Basta che funzioni, I vicerè, La tela animata, Il caso mattei, Salvatore Giuliano, La grande bellezza, Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Todo Modo, Z - L'orgia del potere
Tag Cloud
FESTIVAL, Particolarità, STORIA, comunicazione, editoria, eventi, film in uscita, incassi, libri, musica, news, novità, premi, recensioni, trailer, tv
|
Messaggi del 21/04/2020
Post n°15657 pubblicato il 21 Aprile 2020 da Ladridicinema
di Gianni Minà
da https://www.lantidiplomatico.it
Nello spazio breve che identifica il respiro di un amico, se n’è andato da questo mondo Luis, Lucho Sepulveda.
Falciato via da quella ormai che è la peste del nostro secolo.
Ho voluto bene all’uomo, ma non posso fare a meno di piangere l’intellettuale che aveva partecipato alle lotte per il riscatto dell’America Latina con il coraggio e la forza che hanno solo i visionari, i romantici, i pazzi.
Perché Lucho le battaglie non le aveva scansate, ma le aveva affrontate per davvero. Era un prototipo di scrittore e guerrigliero. Sempre coerente.
Ero stato con lui a casa sua e della sua adorata moglie, la poetessa Carmen Yanez, per due compleanni nei quali aveva riunito i suoi numerosi figli e i suoi amici sparsi in tutto il mondo. Sono state giornate indimenticabili.
Mi sento più solo, ma ho l’ingenua certezza che adesso lui è ritornato a fare la guardia del corpo al suo amato Presidente Allende.
Ciao Lucho, mi mancherai, sapendo con certezza che mi è impossibile ogni lenimento.
(Foto di Daniel Mordinsky)
Post n°15656 pubblicato il 21 Aprile 2020 da Ladridicinema
Direttamente dalla montagna che sta facendo da sfondo alla sua quarantena, George R.R. Martin ha deciso di aggiornare i fan su alcuni importanti progetti. Come vi avevamo riportato qualche settimana fa, l’autore de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco — saga letteraria che ha dato vita alla spettacolare serie Game of Thrones — aveva dichiarato sul suo blog che il non poter uscire di casa lo aveva fatto concentrare totalmente su The Winds of Winter, sesto — attesissimo — romanzo della sopracitata. E adesso Martin è tornato sull’argomento, sempre attraverso il suo blog, ribadendo che sta portando avanti il lavoro: Sono sempre su tra le montagne, continuo il distanziamento sociale, e continuo a scrivere WINDS OF WINTER. Ho dei giorni buoni e dei giorni cattivi, ma sto facendo progressi.
L’autore ha anche parlato di House of Dragon, lo spinoff di Game of Thrones che ha avuto il via libera per la produzione di una prima stagione. Ecco le sue parole: Al momento nulla viene girato, ma lo sviluppo va avanti spedito, dato che gli autori possono scrivere stando a casa. L’unica cosa che io sto scrivendo è THE WINDS OF WINTER, così come ho specificato diverse volte… Ma con il mio cappello da produttore sulla testa, continuo a essere coinvolto in emozionanti progetti della HBO, e anche in alcuni film. Se e quando qualcuno di [questi progetti] arriverà sullo schermo, beh, quella rimane una domanda… Ma so che Ryan Condal e il suo team stanno ruggendo davanti alle sceneggiature di HOUSE OF THE DRAGON, e quello [è un progetto] che ha avuto il via libera della HBO per una prima stagione. Per quanto riguarda le altre cose in cui potrei o meno essere coinvolto, potrei dirvelo, ma poi dovrei uccidervi tutti.
Post n°15655 pubblicato il 21 Aprile 2020 da Ladridicinema
In lingua inglese: Grover Furr, The Mystery of the Katyn Massacre; Erythrós Press, 2018 - l'edizione russa “Tajna Katynskogo rasstrela: dokazatel'stva, rešenie” (Il segreto del massacro di Katyn': prove, decisioni”) è stata presentata lo scorso 25 marzo a Tver. Ancora Furr: https://msuweb.montclair.edu/~furrg/pol/discuss_katyn041806r.html#Bombshell%20revelations%20concerning%20Katyn. In lingua italiana, esistono naturalmente anche testi di natura diversa, rigorosamente fedeli al canonico “crimine stalinista”. Quasi mai, in essi viene ricordato, ad esempio, che nelle diverse sepolture scoperte alla fine dell'occupazione tedesca nell'area di Smolensk, giacevano i corpi di circa mezzo milione di persone (443.000, secondo la stima minima della Commissione straordinaria sovietica, escluse le cifre conteggiate dai comandi militari) tra civili, donne e bambini compresi, prigionieri dell'Armata Rossa, ebrei, comunisti, assassinati dalle Einsatzgruppen naziste. Come ha scritto Grover Furr a conclusione della sua ricostr uzione: “La discussione su Katyn' è attivamente scoraggiata nei circoli accademici e politici che vanno per la maggiore, col pretesto che la questione sarebbe stata dimostrata con prove così evidenti che solo dei maniaci o dei comunisti potrebbero metterla in dubbio”. In attesa dunque che qualche “neomaccartista” diffonda una ulteriore “nuova verità”, circa massacri di ufficiali polacchi commessi da plotoni congiunti di GFP (Geheime Feldpolizei) e NKVD, sembra sufficiente evidenziare come le ricerche che non si limitino a ripetere la propaganda nazista mettano in luce sempre nuovi particolari sulla responsabilità di reparti speciali tedeschi nel massacro del bosco di Koz'i Gory, nei pressi di Katyn', pochi chilometri da Smolensk. Alcuni semplici dettagli, che non si erano potuti in alcun modo nascondere, come anche testimonianze dirette, lasciavano pochi dubbi sul periodo del massacro, che i nazisti avevano cercato di retrodatare alla primavera del 1940, prima cioè dell'aggressione nazista all'URSS, ma che era stato perpetrato con ogni verosimiglianza solo nell'autunno 1941, quando la regione era occupata dai nazisti. Evidentemente, è impossibile escludere in maniera assoluta che, in alcuni casi, in alcune aree, agenti del NKVD possano aver proceduto all'esecuzione di gruppi di gendarmi, personale carcerario, funzionari di polizia polacchi. Tra gli storici russi attuali, qualcuno (per la verità in maniera solo discorsiva e non perfettamente documentata) ipotizza che, al momento dell'internamento dei polacchi fatti prigionieri dopo l'intervento sovietico in Ucraina e Bielorussia occidentali, reparti del Ministero degli interni fossero stati incaricati della ricerca degli anziani aguzzini, macchiatisi a suo tempo dei massacri di decine di migliaia di prigionieri dell'Esercito Rosso durante la guerra del 1919-'20, dei responsabili delle condizioni dei lager polacchi, prototipi dei lager nazisti, in cui erano stati fatti morire di fame, di freddo, di percosse, di epidemie, i prigionieri russi. In questo senso, lo storico Vladislav Šved, in “Katyn' – storia moderna della questione”, sembra accreditare la cifra, di cui aveva parlato a suo tempo anche il membro del Politbjuro Lazar Kaganovic, di 3.196 tra militari, gendarmi, addetti alle carceri che, nelle zone di Ucraina e Bielorussia occupate dalla Polonia, avevano commesso crimini contro la popolazione locale ed erano stati quindi individuati, sottoposti a processo e condannati alla fucilazione. Per sintetizzare solo alcune circostanze, che smontano la tesi nazista e che si aggiungono ai molteplici indizi noti da tempo, ecco che, ad esempio, vari storici ricordano come, nell'area di Smolensk, i tedeschi avessero realizzato un bunker segreto (anche se in tempi successivi al 1942) in cui alloggiava Hitler durante le visite al fronte e come sia noto che i nazisti fossero soliti servirsi, per la costruzione di strutture simili, di prigionieri di guerra, che venivano liquidati a lavoro ultimato. Sulla “tempistica” del massacro: se questo fosse stato compiuto dal NKVD prima dell'invasione tedesca, non avrebbe potuto in alcun modo rimanere segreto, dato che l'area era aperta, le persone circolavano in continuazione, c'era una casa di riposo per familiari del NKVD e una colonia estiva per ragazzi. Inoltre, come notano Elena Prudnikova e Ivan Cigirin, bisogna ricordare che l'area era a ridosso del Dnepr e che se il delitto fosse stato compiuto in aprile (del 1940, secondo la versione nazista: oggi Varsavia commemora la strage ogni 13 aprile), le fosse sarebbero state colme d'acqua per almeno 80 cm, come testimonia lo stesso patologo nazista Gerhard Buhtz, che nel 1943 fu a capo delle esumazioni, mentre a fine estate, cioè settembre-ottobre (del 1941, secondo la versione sovietica) le falde sono solitamente molto più basse. Secondo un'altra versione, accreditata anche da Grover Furr in The Mystery... ecc, dato il rigido inverno del 1940, nel mese di aprile, con il terreno ghiacciato, sarebbe stato impossibile scavare le fosse senza servirsi di mezzi meccanici, mentre nemmeno la “Commissione Buhtz” ha mai menzionato evidenze sull'uso di escavatori. Stesso discorso per l'età dei pini piantati sopra le fosse, per mascherare il luogo del massacro. E, in generale, i tedeschi occupavano l'area dall'estate 1941, ma “scoprirono” quella zona specifica – in cui alloggiavano alcuni reparti speciali – solo nell'aprile 1943, dopo la disfatta di Stalingrado. Insomma, come scrive Jurij Mukhin: luogo e periodo testimoniano contro i nazisti e coloro che seguono la versione nazista. La circostanza che, dall'epoca della cosiddetta “perestrojka” e fino a oggi, la Russia ufficiale accrediti la versione polacco-americana, testimonia solo della facilità con cui, negli anni '80 e '90, si siano “arricchiti” gli archivi russi di sempre nuovi “documenti storici” e della leggerezza con cui alcuni ricercatori li abbiano messi in circolazione, mentre altri, non così attenti alla propria incolumità, abbiano pagato caro l'aver messo in dubbio l'autenticità di quelle “rivelazioni”. Ecco dunque che, se il 13 aprile 1943, la radio di stato tedesca aveva dato notizia del “rinvenimento” di sepolture di massa di ufficiali polacchi fucilati dai sovietici” nell'area di Smolensk, esattamente 47 anni dopo, il 13 aprile 1990, l'agenzia Tass diramava un comunicato ufficiale circa la “diretta responsabilità di Berija, Merkulov e loro sgherri nelle malvagità commesse nel bosco di Katyn'”. E veniva portata a “conferma” la cosiddetta risoluzione del Politbjuro del CC del VKP(b) del 5 marzo 1940, con cui sarebbe stata autorizzata la richiesta di Lavrentij Berija (scritta, come ora si sa, con macchine per scrivere diverse, su 4 fogli di carta diversi) di liquidare oltre ventimila ufficiali polacchi prigionieri. Una risoluzione in cui le firme dei membri del Politbjuro si sovrappongono stranamente, e di una lunghezza inusuale, mentre, nota lo storico Jurij Žukov, “solo un idiota non sa che le risoluzioni del Politbjuro non occupavano mai più di ¾ di pagina”. Seguiva, il 26 novembre 2010, la dichiarazione della Duma “Sulla tragedia di Katyn' e le sue vittime”, in cui si sosteneva che “il crimine di Katyn' fu commesso su ordine diretto di Stalin e altri dirigenti sovietici”. Un posto a parte, è doveroso riservarlo all'agenzia di notizie RT, per la fedeltà dimostrata, nella ricostruzione video (https://youtu.be/MNcLZ1zAJLI), alle tesi polacche-americane sulla responsabilità sovietica del massacro, cui si sono attenuti e si attengono quattro diversi presidenti: Mikhail Gorbacev, Boris Eltsin, Dmitrij Medvedev e Vladimir Putin. Per chi conosce il russo, la mole di interventi disponibile in rete è davvero sterminata. Ad esempio, qui https://youtu.be/jRJzkIAKarQ si può trovare il video registrato a suo tempo dall'ex deputato del KPFR (Kommunisticeskaja Partija Rossijskoj Federatsii) Viktor Iljukhin, in cui egli racconta dell'incontro avuto con la persona che lo mise al corrente dell'esistenza di un intero gruppo specializzato nella creazione di falsi documenti “storici”, che poi l'”architetto della perestrojka”, Aleksandr Jakovlev, riversava negli archivi del CC del PCUS. Trascorso meno di un anno dalla rivelazione, Iljukhin morì, all'età di 62 anni: secondo il KPRF, la sua improvvisa morte rimane tuttora quantomeno misteriosa. Tra i lavori in lingua russa, che smontano nei dettagli la mitologia goebbelsiana, è possibile consultare online il vecchio testo di Jurij Mukhin “Katynskij detektiv” https://royallib.com/read/muhin_yuriy/katinskiy_detektiv.html#0 (“Il giallo di Katyn”; risale al 1995 ed è citato anche da Grover Furr). Tra i più recenti: ricordiamo il già citato Vladislav Šved, “Katyn'. Storia moderna della questione”, 2013 (ampie parti disponibili anche online https://mybook.ru/author/vladislav-shved/katyn-sovremennaya-istoriya-voprosa/read/?) e il lavoro di Elena Prudnikova e Ivan Cigirin “Katyn': lozh' stavšaja istoriej” (“Katyn: una menzogna divenuta storia”; Moskva, 2019. Non disponibile in rete). Materiali interessanti, con molte copie di documenti dell'epoca (ad esempio: il rapporto ufficiale nazista “Amtliches Material zum Massenmord von KATYN” del 1943) anche sul sito http://katyn.ru. Inoltre: https://youtu.be/gthjk-lKTuE https://youtu.be/ryp6-UhGfgM https://youtu.be/kN8yXjJA098 . Qui un film-documentario russo https://www.youtube.com/watch?v=0DaZMkgBDfk del 1944. https://contropiano.org/news/internazionale-news/2020/03/11/la-nato-e-i-fantasmi-di-katyn-0125041 https://contropiano.org/news/internazionale-news/2020/01/26/katyn-uno-dei-primi-mattoni-nel-muro-del-pianto-dellanticomunismo-0123411 E' severamente vietata la riproduzione del materiale qui pubblicato. L'autore si riserva di agire legalmente a tutela del suo lavoro intellettuale. Tutti i diritti riservati L'ANTIDIPLOMATICO PUBBLICHERA' A PUNTATE IL LAVORO DI FABRIZIO POGGI CON QUESTE DATE 3 aprile ° Premessa e introduzione - qui il link 10 aprile ° Falsificatori della storia. Informazione storica a cura del Informbjuro sovietico - qui il link
La pubblicistica russa oggi 17 aprile
° Prove inconfutabili: divulgato il contenuto dei documenti d'archivio che confermano la collaborazione della Polonia con Hitler ° Perché odiano così tanto il Patto Molotov-Ribbentrop? ° “Integrazione” polacco-germanica contro l'URSS ° Come Iosif Stalin vinse Winston Churchill sulla Polonia 24 aprile ° Falsificatori della storia e Terza guerra mondiale ° È tempo di dire la cruda verità 1 maggio
° Agenti segreti del Terzo Reich ° Chi ha scatenato davvero la Seconda Guerra Mondiale? ° Una perfida menzogna su Stalin da parte dell'Unione Europea ° La crisi isterica polacca per la visione russa della storia ° Il Sejm contro manipolazioni e menzogne sulla storia da parte dei politici della Federazione Russa. ° “Dove sta dunque la verità?” - Sul ruolo della Polonia nello scatenamento della Seconda guerra mondiale ° Chi dette il via alla guerra ° La difesa di Berlino: SS francesi e militari olandesi 8 maggio: ° Quanti soldati sovietici sono morti per la “liberazione dell'Europa” dal fascismo ° Come la "generosa" America spennò l'URSS con il Lend-Lease ° Fine agosto 1939. vittorie diplomatiche e militari dell'URSS ° L'URSS salvò l'umanità: il patto Molotov-Ribbentrop determinò la disfatta di Hitler ° Il trionfo della diplomazia di Stalin
Post n°15654 pubblicato il 21 Aprile 2020 da Ladridicinema
L'URSS arrivò al patto di non aggressione, a causa della minaccia di una guerra su due fronti (nell'agosto del 1939 era ancora in corso il conflitto con il Giappone), [13] mentre per la Polonia, nel 1934, non vi era un pericolo simile. L'URSS arrivò a concludere il patto, di fronte alle posizioni strategiche significativamente rafforzate e alla potenza militare della Germania (all'agosto del 1939), mentre la Polonia, con il patto con Hitler, creò i presupposti per il rafforzamento di una Germania, che nel gennaio 1934 ancora debole.
Così che, il patto di non aggressione tedesco-sovietico rappresentò una reazione obbligata a quelle conseguenze, le origini delle quali vanno ricercate nel contributo non secondario dato dalla Polonia al rafforzamento del Terzo Reich. Quindi se un patto ha dato il via alla Seconda guerra mondiale, è proprio quello polacco-tedesco del 26 gennaio 1934.
A chi conviene rianimare l'anticomunismo
Ora, conclude Lazutkin, è stata proprio la Polonia a cominciare a scavare nella storia. È stata la delegazione polacca al Parlamento europeo a dare il via alla risoluzione sulla condanna del patto sovietico-tedesco; lo ha fatto, dopo il discorso del presidente Andrzej Duda del 6 settembre 2019, in occasione delle manifestazioni per l'80° anniversario dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Ma ci sono ragioni molto attuali dietro l'ostinato rianimarsi delle idee antisovietiche.
Si tenta di minare ogni riavvicinamento tra gli stati europei e la Federazione Russa. Inoltre, gli americani stanno cercando di "dirottare" l'Europa sul gas di scisto americano e contemporaneamente abbassare i prezzi mondiali del petrolio. Allo stesso tempo, i mass media mirano a fare della Federazione Russa una sorta di stazione di servizio dal "passato criminale", mentre proclamano patrimonio di “tutta l'umanità” le ricchezze della Siberia. S'intende, che alla Polonia vengono offerte alcune alternative geopolitiche. Ad esempio, la versione moderna del progetto polacco "Miedzymorze" [la Polonia “dal mar Baltico al mar Nero”; ndt], che prevede l'inclusione dell'Ucraina e della Bielorussia nella sfera di influenza polacca. [14] Pertanto, tutto ciò che cercano di appiopparci sul "passato criminale", come minimo non è affatto nuovo. E, di fatto, ricopia parola per parola la ben nota tesi secondo cui l'Occidente non ha bisogno della Russia in alcuna forma - né zarista, né bolscevica, né altra.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Come Iosif Stalin vinse Winston Churchill sulla Polonia
Nel dicembre 2019 Aleksandr Lukašenko ha rilasciato un'eloquente dichiarazione: “In Bielorussia dovremmo erigere un monumento a Stalin per il patto “Molotov-Ribbentrop”. Perché con quello rinascemmo di nuovo negli attuali reali confini della nostra Bielorussia” di Maksim Maksimov 18.01.2020 (…) Nel 2016, la Verkhovnaja Rada ucraina, dopo aver condannato il patto sovietico-tedesco del 1939, aveva adottato, insieme al Sejm polacco, un "Atto di memoria e solidarietà". L'allora ottantatreenne deputato Jurij Šukhevic, figlio dell'ex leader dell'UPA [Ukra?ns'ka povstanc'ka armija: Esercito insurrezionale ucraino. Vedi Nota 6 Introduzione; ndt] Roman Šukhevic, aveva immediatamente denunciato l'Atto, affermando che la condanna del patto “Molotov-Ribbentrop” fosse vantaggiosa solo per la Polonia. Perché? Condannando il patto sovietico-tedesco, si condanna anche tutto ciò che esso aveva dato all'Ucraina: Galizia, L'vov, Ternopol, Ivano-Frankovsk. All'ultimo momento, anche in Lituania si erano resi conto che la sottoscrizione di quell'Atto significava censurare il passaggio al paese della sua attuale capitale, Vilnius; così che anche il Sejm lituano si era sottratto al voto. Il patto “Majskij-Sikorski”
Il para-storico revisionista Mark Solonin, scrive Maksimov, sostiene che tutto ciò che la Repubblica Socialista Sovietica di Bielorussia ricevette dopo la guerra, non ha nulla a che vedere con il patto “Molotov-Ribbentrop”, ma è il risultato delle conferenze di Jalta e di Potsdam, in cui Stalin e Molotov negoziarono il confine occidentale della Bielorussia sovietica, avendo la meglio sulla accanita resistenza di Churchill. Il discorso appare logico, afferma Maksimov; ma si tratta comunque di una interpretazione [il corsivo non è nell'originale; ndt] degli eventi. Ecco allora che i revisionisti tirano fuori il fatto: il 30 luglio 1941, a Londra, l'ambasciatore dell'URSS in Gran Bretagna, Ivan Mikhailovic Majskij [Plenipotenzario dell'URSS in Finlandia dal 1929 al 1932; Ambasciatore e plenipotenziario straordinario dell'URSS in Gran Bretagna dal 1932 al 1943. Il suo vero nome, Jan Lachowiecki, lascia intendere le origini polacche della sua famiglia, nonostante egli fosse nato in Russia; ndt] alla presenza del Primo ministro Churchill, firmò un accordo con il capo del governo polacco in esilio, Wladyslaw Sikorski, sul ripristino delle relazioni diplomatiche. Viene chiamato patto “Majskij-Sikorski” e i politici polacchi fuggiti a Londra lo firmarono sotto la più pesante pressione britannica. Al primo punto c'era la rinuncia di Mosca al patto “Molotov-Ribbentrop”. Più precisamente: l'accordo di Mosca, nella parte riguardante i cambiamenti territoriali della Polonia, veniva riconosciuto non più valido. E questo è un fatto storico. I revisionisti lo usano per dimostrare che Stalin, nel 1941, rinunciava al ritorno all'URSS dei territori occidentali di Bielorussia e Ucraina. Mentre gli accordi del dopoguerra sarebbero un'altra cosa. Messa così, parrebbe che Bats'ka [≈ piccolo padre, boss: Aleksandr Lukašenko; ndt] [15] si sia infangato con le sue lodi a Stalin.
Rinunciò Stalin al patto “Molotov-Ribbentrop”?
In realtà, i revisionisti dicono la verità, ma solo a metà, scrive Maksimov. In risposta alla richiesta di tornare, dopo la guerra, ai confini del 31 agosto 1939, Stalin aveva proposto di rimandare la questione alla fine della guerra. Allora Sikorski rifiutò ulteriori trattative. Era quindi intervenuto il “pressing” inglese sui polacchi. Il 15 luglio 1941, durante un incontro al Ministero degli esteri, il Ministro britannico Eden aveva detto chiaro e tondo a Sikorski e August Zaleski che lo accompagnava: "Signori, che lo vogliate o no, l'accordo con l'Unione Sovietica deve essere firmato".
Tra gli emigrati polacchi scoppiò uno scandalo; una parte dei Ministri si dimise. Ma il 21 luglio 1941, Sikorski accettò di firmare l'accordo con l'URSS senza discutere la questione dei confini. Lo fece, passando sopra la testa del presidente in esilio Raczkiewicz. Ma il primo punto dell'accordo, secondo cui la parte del patto “Molotov-Ribbentrop” relativa ai confini della Polonia perdeva la sua forza, c'era. Dove era il trucco? Il fatto è che i revisionisti dimenticano un altro fatto storico. Nella primavera del 1943, i nazisti dissotterrarono i resti dell'esercito e della polizia polacchi a Katyn'. [16] E il governo in esilio inviò i propri rappresentanti nel territorio dell'URSS occupato dai tedeschi, per prendere parte alla commissione d'indagine sulla fucilazione. In questo modo, divennero complici della campagna di propaganda lanciata dalla Germania con l'obiettivo di dividere gli alleati.
La reazione di Stalin fu fulminea e delle più dure: l'URSS ruppe ufficialmente l'accordo di Londra con il governo polacco in esilio e cessò le relazioni diplomatiche con esso. Ciò contrariava la Gran Bretagna, che non aveva certo bisogno di uno scandalo del governo fantoccio alla vigilia dell'ingresso dell'Armata Rossa in Polonia. Sikorski era però ormai fuori controllo. Chiese addirittura a Churchill di rompere i rapporti con l'URSS. E non si sa come sarebbe finita se, nell'estate del 1943, l'aereo su cui Sikorski stava volando in Africa per ispezionare le unità del Wojsko Polskie che facevano parte dell'esercito di Anders non si fosse schiantato in mare sedici secondi dopo il decollo.
Dall'accordo di Mosca all'accordo di Mosca
Così che Bats'ka non si era sbagliato, alzando un brindisi alla salute di Stalin e del patto “Molotov-Ribbentrop”. Iosif Vissarionovic non vi aveva rinunciato nemmeno per un secondo. Tra l'altro, egli non aveva mai definito, quello del 1939, trattato di Mosca. Se anche sia stato Churchill a togliere di mezzo Sikorski, lo fece affinché Stalin non smettesse di discutere la questione polacca con lui personalmente. Non era più una questione di Bielorussia e Ucraina: Churchill desiderava la sfera di influenza sulla Polonia, e di questo si discusse poi effettivamente alla Conferenza di Jalta nel 1945. Gli Stati Uniti non erano interessati alla questione polacca; solo la Gran Bretagna vi insisteva. Fu il tema più spinoso: su quello, furono pronunciate 10.000 parole, ossia il 24% di tutte le parole dette a Jalta furono spese per la sua discussione.
Tutto questo è di facile accesso e lettura: i protocolli sono di dominio pubblico.
Stalin non fece alcuna concessione territoriale rispetto a ciò che era stato ottenuto ai sensi del patto “Molotov-Ribbentrop”.
Propose solo di risarcire le perdite della Polonia, a spese del territorio tedesco. Il che fu fatto. L'URSS ottenne il confine occidentale con la Polonia lungo la “linea Curzon” e la RSS di Bielorussia non solo stabilì gli attuali confini occidentali, ma espulse da lì i polacchi. A Varsavia, Stalin installò un governo filo-sovietico e insieme ad esso il Cremlino prese il controllo delle questioni di confine, eliminando ogni intermediario. La Polonia non ebbe a soffrirne: le venne trasferita parte dei territori di confine dell'URSS, da 5 a 8 km, compreso il saliente di Bialystok, dove era drammaticamente iniziata la Grande Guerra Patriottica. L'ultimo trattato di confine con la Polonia fu in ogni caso firmato nuovamente a Mosca. E, dato che così stanno le cose, allora Bats'ka ha ragione. I revisionisti no.
Note [1] Nel libro “Savage Continent. Europe in the Aftermath of World War II”, lo storico britannico Keith Lowe scrive che “Senza dubbio, dopo la guerra, la Polonia era il paese più pericoloso per gli ebrei. Almeno 500 ebrei furono uccisi dai polacchi nel periodo compreso tra la capitolazione della Germania e l'estate del 1946; la maggior parte degli storici cita in genere la cifra di circa 1.500 persone. Probabilmente è impossibile saperlo con certezza, poiché singoli casi venivano segnalati di rado e ancor meno registrati, anche se si concludevano con omicidi. Gli ebrei venivano buttati giù dai treni, derubati dei loro averi, portati nei boschi e fucilati. Si spedivano lettere per intimar loro di andarsene, se non volevano essere uccisi". Il più noto e forse il più brutale pogròm verificatosi in Polonia nel dopoguerra, avvenne nella città di Kielce, nella Polonia centro meridionale. Prima della guerra, vi vivevano circa 20.000 ebrei; dopo, meno di 200, sopravvissuti ai lager nazisti. Il pogròm cominciò la mattina del 4 luglio del 1946, dopo che un bambino di otto anni aveva falsamente accusato un ebreo del proprio rapimento e della sua detenzione nel seminterrato del locale Comitato ebraico. Assaltato l'edificio del Comitato, le persone che polizia e soldati vi avevano trovato, vennero gettate in pasto alla folla di uomini e donne che, a quanto si dice, urlavano “morte agli ebrei” o “finiamo il lavoro di Hitler”. Alcune decine di ebrei furono eliminati con spranghe di ferro, altri lapidati, ad altri ancora spararono polizia e soldati. Tra gli uccisi, donne incinte o con bambini piccoli; tre soldati ebrei decorati e anche alcuni polacchi, scambiati per ebrei. Nei diversi assalti, si contarono oltre settanta vittime. Secondo rubaltic.ru, il pogròm di Kielce dette il via all'emigrazione in massa degli ebrei dalla Polonia: a metà anni '60, ne rimaneva meno del 1% rispetto al periodo prebellico. [2] “URSS-Germania. 1932-1941” - Bollettino dell'Archivio del Presidente della FR; pag. 271; Moskva, “IstLit” 2019 [3] Comunità degli stati Indipendenti – in russo SNG: Sodruzhestvo Nezavisimykh Gosudarstv – fu creata l'8 dicembre 1991 dai presidenti di Russia, Bielorussia e Ucraina, Boris Eltsin, Stanislav Šuškevic e Leonid Kravchuk, subito dopo aver liquidato a tavolino l'URSS, nel famigerato complotto cosiddetto della Belovežeskaja Pušcha. Formalmente, oggi ne fanno parte Azerbajdzhan, Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizija, Moldavia, Russia, Tadzhikistan e Uzbekistan. [4] https://tsargrad.tv/articles/komu-nuzhno-chtoby-russkie-kajalis-za-vtoruju-mirovuju-vojnu_234471 [5] Tra i lavori di Natalia Narochnitskaja, storica, politologa, ex Deputata della Duma russa, anche l'opera “Partitura della Seconda mondiale. Chi e quando cominciò la guerra?” (Vienna, 2009), scritta insieme al defunto Valentin Falin, ex diplomatico, membro del CC del PCUS, deputato del Soviet Supremo dell'URSS. [6] “La coalizione anti-hitleriana. 1939. Cronaca di un fallimento”; cit. pagg.266-292. Secondo lo storico Egor Jakovlev, importante non è tanto sapere se i “protocolli segreti” allegati al patto “Molotov-Ribbentrop” esistessero veramente oppure no. Importante è, in ogni caso, il loro contenuto, e questo, stando alla loro versione ufficiale, non va al di là di un semplice riconoscimento di sfere di interessi. Ora, dice Jakovlev, in cosa consistevano tali “sfere di interessi”? Esse rappresentavano le medesime condizioni che l'URSS aveva chiesto anche a Gran Bretagna e Francia (e che esse non le avevano accordato) per la difesa dei confini sovietici. In sostanza, Mosca aveva necessità di bloccare ogni possibile accesso a potenziali nemici che attaccassero da nordovest (e, dunque, bloccare i possibili accessi all'URSS da Finlandia e Paesi baltici), da ovest (Polonia) e da sudovest (Romania e più specificamente Bessarabia, il cui inglobamento da parte di Bucarest nel 1919 l'URSS non aveva mai riconosciuto). Mosca richiedeva da sempre tali garanzie, afferma Jakovlev, e Stalin, quando fallirono i negoziati con Londra e Parigi, le espose a Ribbentrop quale precondizione imprescindibile per avviare qualsiasi trattativa. [7] “La coalizione anti-hitleriana”; cit. pagg.74-80 [8] Nome della riva destra del Dnepr negli anni 1660-1793. https://ru.wikipedia.org/wiki/?????????????_??????? [9] “La coalizione anti-hitleriana”, cit., pag. 50 [10] “La coalizione anti-hitleriana”, cit., pagg. 53-62 [11] https://history.wikireading.ru/193276?fbclid=IwAR018qRSZ1_nVOUZCfF9Zf2A-36946LuK_7535sz1jdc0IIfpRcgPyI1rP0 [12] Per chi conosce il russo: è possibile scaricare il libro su https://disk.yandex.ru/i/r009OMrztro-BQ [13] Vedi infra Fine agosto 1939. vittorie diplomatiche e militari dell'URSS, tra i brani che L'Antidiplomatico pubblicherà il prossimo l'8 maggio [14] “Verso il 2030 la Polonia dominerà su Bielorussia e Ucraina, mentre la Russia si sgretolerà in tanti “principati”... Verso il 2045 la Polonia riunirà intorno a sé Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania e stabilirà un protettorato su Slovenia e Croazia. Così, per la metà di questo secolo, l'Europa sbalordita scorgerà sulla propria carta un nuovo impero, la Rec Pospolita, come nel XVII secolo, da mare a mare” (George Friedman, co-fondatore della “StratFor”-Strategic Forecasting) [15] Bats'ka in bielorusso, bat'ko in ucraino (il più celebre è forse l'anarchico ucraino bat'ko Makhno), bat'ka in russo (abbastanza volgare). Il significato è lo stesso: padre, papà, babbo, ma con alcune sfumature stilistiche nelle diverse lingue slave. In una famiglia russofona, di città, con tasso culturale abbastanza elevato, quasi sicuramente l'appellativo verrà usato solo in senso ironico, a parodia di persone poco istruite o antiquate; la parola bat'ka in russo è di uso quasi solo contadino, rustico, ed è anche invecchiata. In bielorusso l'uso quotidiano è più frequente, anche se nelle famiglie della intellighentsia si usa sempre meno; così pure in ucraino. Il cliché di "bats'ka” fu appioppato a Lukašenko già all'inizio del suo primo mandato presidenziale. Si trattava di un epiteto popolare, per sottolineare che era abbastanza rustico, quasi contadinesco, poco colto e poco civilizzato nel parlare e anche un po' despota (come, in fin dei conti, era anche l'ucraino bat'ko Makhno) e pretende inoltre al ruolo di "padre della nazione". (Per l'illustrazione di questo termine, altrimenti di problematica traduzione letterale in italiano, ringrazio l'amico Aleksej Tekhnenko di Mosca. fp) [16] La questione di Katyn' non può ovviamente trovare illustrazione, nemmeno sintetica, nello spazio di una nota. È il caso dunque, a smentire il goebbelsiano “crimine sovietico”, di limitarsi a ricordare i principali rimandi disponibili in lingua italiana, quali la riproposizione del contributo di Ella Rule (https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2010/04/chi-ha-commesso-il-massacro-di-katyn.html) e il circostanziato compendio redatto da Grover Furr, pubblicato in italiano su vari siti web (uno è http://noicomunisti.blogspot.com/2014/03/la-versione-ufficiale-del-massacro-di_430.html).
Post n°15653 pubblicato il 21 Aprile 2020 da Ladridicinema
Per parte nostra, all'esposizione di Igor Šiškin, possiamo aggiungere che quanto il putiferio che va in onda da mesi in “prima serata” - dopo che per decenni era rimasto relegato ai manuali di storia liberali - circa il peso avuto nello scoppio della guerra dal Trattato di non aggressione tra Germania e URSS, sia tutto interno al presente, lo può testimoniare una brevissima rassegna della stampa polacca dell’epoca, di senso completamente opposto alle attuali “convinzioni” di Varsavia, riportata dallo storico Aleksandr Kiselëv. [7] “Patto senza significato pratico”, scriveva il 24 agosto 1939 l’organo del Ministero della guerra, Polska Zbrojna e continuava “Sdegno in Giappone, confusione in Italia e Spagna”; e poi “Successo a uso interno”. Il 27 agosto, Gazeta Polska scriveva che l’accordo con l’URSS era un “atto di disperazione” della diplomazia tedesca, finita in un vicolo cieco. Secondo il cristiano-democratico Glos narodu, il patto aveva addirittura “elevato l’importanza della Polonia nella politica europea”. Il conservatore Slovo notava che, a est della Germania, l’unica autentica forza militare restava “solo ed esclusivamente la Polonia” e nella futura guerra la Polonia avrebbe operato in alleanza coi “popoli liberi”, contro “gli uniti totalitarismi bruni e rossi”. [Sembra oggi! ndt] Significativo, nota Kiselëv, che “una settimana prima dello scoppio della guerra, l’opinione pubblica polacca non valutasse il Patto tedesco-sovietico come una diretta minaccia all’indipendenza della Polonia da parte dell’URSS”.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- “Integrazione” polacco-germanica contro l'URSS
di Andrej Lazutkin 02.01.2020 Nei primissimi giorni del 2020, Andrej Lazutkin ricordava le “scandalose” parole pronunciate poco tempo prima dal presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko che, commentando il patto tedesco-sovietico del 1939, aveva osato dire nientepopodimeno che "in Bielorussia si dovrebbero erigere monumenti a Stalin”, per il ruolo da lui svolto nel ripristino dell'unità territoriale della Bielorussia.
A cosa si riferiva Lukašenko?
Nel 1918, riassume Lazutkin, approfittando della situazione in Russia, Germania, Turchia, Austria-Ungheria, la Polonia aveva deciso di ripristinare i confini della Rzeczpospolita del 1772. In base alla pace di Riga, [vedi sopra Nota 9 dell'Introduzione; ndt] i polacchi avevano ottenuto metà del territorio della Bielorussia e quasi l'intero versante destro dell'Ucraina. [8] Inoltre, era stata strappata alla Lituania la regione di Vilnius, per cui i baltici avevano dovuto trasferire la capitale a Kaunas e, con il pretesto della lotta al separatismo, escludere per legge dall'alfabeto la lettera polacca "w" e altre lettere del latino polacco. Nel periodo tra le due guerre, sedettero al Sejm polacco 112 partiti, si succedettero 31 governi e 19 primi ministri; nel 1922, il presidente Gabriel Narutowicz fu ucciso da estremisti di destra 5 giorni dopo essere stato eletto [Narutowicz, sostenitore del maresciallo Józef Pilsudski, fu Presidente della Polonia dal 11 al 16 dicembre 1922; ndt]. A seguito della prolungata crisi, andò al potere il maresciallo Józef Pilsudski, che, dopo aver combattuto contro l’Esercito Rosso nel 1920 e aver invaso Ucraina e Bielorussia, aver instaurato un “regime dei colonnelli” nel 1926 in Polonia, il 26 gennaio 1934, primo tra i paesi europei, firmò un patto di non aggressione (e quasi sicuramente un accordo militare) con Hitler. A metà anni '30, la Polonia tornò a essere uno Stato centralizzato e aggressivo e arrivò a chiedere alla Società delle Nazioni che le venissero concesse colonie d'oltremare. Con tutto ciò che, nel paese, un terzo della popolazione non parlasse polacco. [Ed ecco cosa scrivono Bunevic e Ševcenko; ndt] Dmitrij Bunevic [9] parla di una Polonia che negli anni '30 era uno stato nazionalista, autoritario, corporativo, sciovinista, xenofobo; Kirill Ševcenko [10] scrive della forte repressione ai danni delle minoranze nazionali (ucraini, bielorussi, lituani, ebrei), i cui attivisti, insieme ai militanti comunisti, erano rinchiusi a centinaia nel lager di Berëza-Kartuzskaja. Ševcenko ricorda l'oppressione delle minoranze ucraine nelle regioni di Podljašja, Polesja, Kholmšcina, Volynia, Galiza orientale; la chiusura di scuole, centri culturali e giornali nelle lingue nazionali, in particolare quella bielorussa, con la polonizzazione della chiesa ortodossa bielorussa operata dalla chiesa cattolica polacca. Era questa la Polonia di Pilsudski, che non cambiò orientamento nemmeno dopo la sua morte. La Polonia - possiamo aggiungere a quanto scrive Lazutkin - di quello stesso Pilsudski in memoria del quale, l'attuale presidente polacco, Andrzej Duda, in occasione della giornata della memoria del 27 gennaio 2020, ha proposto al collega ucraino Vladimir Zelenskij, ebreo, di glorificare, in modo congiunto, uno dei maggiori organizzatori di pogròm anti-ebraici, il capo del Direttorio ucraino Simon Petljura [presidente della cosiddetta Repubblica Popolare d'Ucraina nazionalista nel 1919-'20; ndt]. Naturalmente, Duda non lo ha fatto in maniera così sfacciata, bensì vestendo i panni europeisti della guerra al bolscevismo mondiale, una guerra attuale oggi come cento anni fa; una guerra che nazionalisti ucraini e polacchi combatterono fianco a fianco, a inizi anni ’20, contro la giovane Repubblica sovietica russa. “Ho proposto al Presidente” Zelenskij, ha raccontato Duda, “di onorare insieme la memoria dei soldati polacchi e ucraini che combatterono contro i bolscevichi… i soldati polacchi, che noi chiamiamo simbolicamente soldati di Pilsudski… e Petljura coi soldati ucraini”. Per la cronaca, Petljura fu ucciso nel 1926 a Parigi da Samuel Schwarzbard, per vendicare le centinaia di pogròm anti-ebraici organizzati dal capo del Direttorio nel 1918-1920 nelle regioni di Kiev, Poltava e Kherson e il più feroce dei quali è forse quello del 15 febbraio 1919 nell’area di Proskurov, costato la vita a oltre 1.000 ebrei. Per quanto invece riguarda Pilsudski, tanto per ricordarne la figura, nel 1935, alla notizia della sua morte, Hermann Göring si precipitò in Polonia a farsi vedere in prima fila dietro la sua bara. Tutti i principali giornali tedeschi uscirono con le prime pagine piene di condoglianze. Il principale quotidiano nazista, il Völkischer Beobachter scrisse: "La Nuova Germania abbassa le bandiere e gli stendardi dinanzi alla bara di questo grande statista, che per la prima volta ha avuto il coraggio di una aperta fiducia e di una completa alleanza con il Reich nazionalsocialista". Adolf Hitler decretò il lutto nazionale nel Reich e fece organizzare una messa nella Cattedrale di Berlino, con una bara simbolica di Pilsudski. Nel 1939, allorché i tedeschi occuparono Cracovia, organizzarono una guardia d'onore alla sua tomba. Qual era il motivo di così tanti onori? Riprendiamo Lazutkin: “Il 26 gennaio 1934 era stata sottoscritta la “Dichiarazione sul non ricorso alla forza tra Germania e Polonia”, il cosiddetto “patto Pilsudski-Hitler”. La sua conclusione era stato uno dei primi successi di politica estera del governo tedesco sotto la guida di Hitler; la normalizzazione dei rapporti con la Polonia, gli permetteva di muoversi a Occidente (Saar, Ruhr) e portare a termine senza preoccupazioni la militarizzazione delle frontiere orientali. Inoltre, Hitler faceva di tutto per coinvolgere la Polonia in un'alleanza contro l'URSS. Da parte sua, la leadership polacca attendeva dalla Germania un reciproco sostegno nella questione della revisione dei confini stabiliti a Versailles. Tali aspettative si realizzarono in parte, dopo l'intesa di Monaco del 1938, allorché Germania, Ungheria e Polonia procedettero a spartirsi il territorio cecoslovacco. Hitler stracciò unilateralmente il patto di non aggressione con la Polonia il 28 aprile 1939, col pretesto che la Polonia rifiutava di concedere alla Germania la possibilità di realizzare una carrozzabile extraterritoriale verso Könisberg (oggi Kaliningrad) attraverso il cosiddetto corridoio polacco. La Polonia, tuttavia, basandosi sul testo della Dichiarazione, continuò a considerarla in vigore fino al momento dell'attacco tedesco, il 1 settembre 1939. Perché questa lunga digressione dalla questione del patto Molotov-Ribbentrop?
Secondo rapporti dei Servizi esteri sovietici, desecretati dopo la fine dell'URSS, nel 1935 il generale polacco Józef Haller sosteneva che tra Germania e Polonia esistesse un accordo militare segreto, rivolto contro l'URSS. Era della stessa opinione un altro generale polacco, Wladyslaw Sikorski, [vedi il successivo “Come Iosif Stalin vinse Winston Churchill sulla Polonia”; ndt] convinto dell'esistenza del patto militare segreto, sulla base del quale il destino della Pomerania polacca sarebbe stato definitivamente deciso a favore della Germania. Anche il Commissario del popolo agli affari esteri dell'URSS, Maksim Litvinov, a conclusione dei colloqui con l'omonimo polacco Beck, il 13, 14 e 15 febbraio 1934, rilevando una "seria svolta nell'orientamento della politica polacca", osservava: "Difficilmente la Polonia avrebbe potuto disdegnare la nostra cooperazione e al tempo stesso prendere le distanze dalla Francia, se non avesse ottenuto nuove garanzie o promesse di garanzia da qualcun altro". [11] Perché la Polonia si era fatta tanto ardita dopo il patto con Hitler? Così tanto da precipitarsi a capofitto a liquidare i meccanismi di sicurezza europei. Cosa potevano aver promesso i tedeschi di così rilevante? In tutte le capitali europee senza eccezioni, si posero queste domande, sospettando l'esistenza di accordi segreti tedesco-polacchi, allegati al patto del 26 gennaio 1934. All'epoca, era impossibile spiegare altrimenti il comportamento della Polonia, tranne che con l'esistenza di accordi segreti con Hitler.
Il leader dei comunisti bulgari, Georgi Dimitrov, annotò allora nei suoi diari che il patto era pericoloso per l'URSS: “si avvicina sempre più a Hitler. È vero che tra loro esistono serie contraddizioni imperialiste... Ma, più forte di esse, è il loro odio comune nei confronti dell'URSS, la loro comune aspirazione a conquistare nuovi spazi a Oriente...". Dimitrov osservava anche che un analogo "patto di non aggressione, concluso dalla Polonia con l'Unione Sovietica, per Pilsudski è solo una manovra".
Evidente, che, insieme al patto di non aggressione del 1934, tra Germania e Polonia ci fosse un'aggiunta segreta, in base alla quale, in cambio dell'impegno tedesco a non intervenire contro la Polonia, questa, in caso di attacco alla Germania, si impegnava a osservare una rigorosa neutralità, il che significava la rottura di fatto dell'alleanza franco-polacca [Trattato sottoscritto nel 1921; ndt]. Il che, a sua volta, assicurava la liquidazione del sistema della sicurezza collettiva e rappresentava il principale passo verso la consegna della Cecoslovacchia. Ma c'era dell'altro, scrive ancora Lazutkin. Nel 2009 fu pubblicata a Mosca la raccolta di documenti dell'intelligence estera sovietica “I segreti della politica polacca. 1935–1945”, [12] curata dal maggior-generale a riposo Lev Sotskov. Il rapporto del "Due" - secondo dipartimento (intelligence) dello Stato maggiore del Wojsko Polskie - del dicembre 1938 diceva: "Lo smembramento della Russia è alla base della politica polacca a Oriente... Pertanto, la nostra possibile posizione si esprime con la seguente formula: chi prenderà parte alla spartizione. La Polonia non dovrà rimanere passiva in questo importante passaggio storico. Il compito è quello di prepararsi per tempo, fisicamente e spiritualmente... L'obiettivo principale è quello di indebolire e sconfiggere la Russia". Nel corso dei colloqui con il maresciallo Edward Rydz-Smigly, il 16 febbraio 1937, Herman Göring dichiarò che "il pericolo è rappresentato non solo dal bolscevismo, ma dalla Russia in quanto tale, indipendentemente dal fatto che vi sia un sistema monarchico, liberale o di altro tipo". Da parte sua, Rydz-Smigly osservò che, in caso di conflitto, la Polonia non intendeva schierarsi dalla parte dell'Unione Sovietica.
Nell'ottobre 1938, il Ministro degli esteri tedesco Joachim von Ribbentrop chiese alla Polonia di accettare l'inclusione di Danzica nella Germania. Nel corso dell'incontro, organizzato a gennaio 1939 con la mediazione di diplomatici giapponesi, Hitler assicurò il Ministro degli esteri polacco Józef Beck, che la Germania "aveva bisogno di una Polonia forte". A fine gennaio, Ribbentrop, giunto a Varsavia, cercò di convincere la Polonia che essa, se la Germania fosse uscita vincitrice nel confronto con l'URSS, avrebbe potuto ottenere parte dell'Ucraina in cambio di Danzica. Beck promise di prendere in considerazione la proposta. Formalmente, l'alleanza tra Polonia e Germania fu liquidata a causa della completa divergenza di vedute sul "corridoio di Danzica" e sul futuro della "città libera" di Danzica, abitata soprattutto da tedeschi. Il 28 aprile 1939, Hitler denunciò il patto di non aggressione tedesco-polacco, includendo così la Polonia nella zona di potenziale aggressione.
Il patto sovietico-tedesco e la CIA
Torniamo ora alla questione delle responsabilità per lo scatenamento della seconda guerra mondiale. Il discorso su protocolli segreti dell'URSS con la Germania fu sollevato pubblicamente per la prima volta al processo di Norimberga: gli imputati basarono su di essi la propria linea di difesa. Ribbentrop parlò dell'accordo con l'URSS, mentre il difensore di Rudolf Hess, Alfred Seidl, entrato in possesso di una copia dattiloscritta del protocollo, cercò di leggerlo, ma non gli fu concesso, per il suo rifiuto di rivelare alla corte la fonte del documento (successivamente, nelle sue memorie, scrisse di averlo ottenuto dall'intelligence americana). Il documento ottenne ampia notorietà nel 1948, quando fu pubblicato nella raccolta curata dal Dipartimento di stato USA “Nazi-soviet relations. 1939-1941". [Vedi “Falsificatori della storia”; ndt] La raccolta conteneva anche la corrispondenza diplomatica tedesca e tedesco-sovietica, con riferimenti diretti ad accordi segreti. Questo fatto servì da base per tracciare analogie tra la politica dell'URSS e quella del Terzo Reich nazista e per accusare l'Unione Sovietica di complicità nello scatenamento della Seconda guerra mondiale. L'URSS ha sempre negato l'esistenza di accordi e solo nel 1992, scrive Lazutkin, gli intelligentoni russi pubblicarono i protocolli sovietico-tedeschi sulla divisione facoltativa delle sfere di influenza. Questo, mentre tutti gli altri stati che avevano concluso patti con la Germania, tengono ben nascosti i propri protocolli. I leader occidentali, a differenza di Eltsin e Gorbacev, non hanno fretta di condividere le responsabilità, riversando ogni colpa sui "regimi totalitari". Ad esempio, la parte segreta dei colloqui di Hess con il governo britannico, dopo la morte di Hess nel 1987, fu secretata fino al 2017. E nel 2017 è stata secretata per altri 50 anni. Qual è la differenza di base tra i patti "polacco" e "sovietico" con la Germania
La Polonia di Pilsudski non era peggiore né migliore della maggior parte degli stati europei dell'epoca, ognuno dei quali cercava a modo suo di pacificare Hitler. Al tempo stesso, le circostanze della conclusione del patto polacco-tedesco del 1934 e del trattato sovietico-tedesco del 1939, con tutti i loro accordi non pubblici, sono radicalmente diverse.
L'URSS fu costretta a concludere un accordo con Hitler, dopo che non erano rimaste altre opzioni, dato il fallimento dei negoziati per un'intesa militare con Inghilterra e Francia, tra l'altro anche a causa della posizione della Polonia. Quest'ultima, invece, strinse consapevolmente un'alleanza con Hitler, pur disponendo di molte altre varianti per garantire la propria sicurezza contro le aggressioni: l'alleanza militare franco-polacca, in vigore nel 1934, le proposte sovietiche di un'alleanza militare contro l'aggressione hitleriana e una molteplicità di progetti per un fronte collettivo.
Post n°15652 pubblicato il 21 Aprile 2020 da Ladridicinema
E ora sulla questione più taciuta in Polonia: la partecipazione della Polonia e dei polacchi all'olocausto degli ebrei. Mi imbattei per la prima volta nei crimini contro gli ebrei in Polonia nel 1995, continua Khudoleev; mi ci imbattei proprio in Polonia, quando mancavano ancora dieci anni alla proclamazione della Giornata della memoria da parte delle Nazioni Unite. Chiesi al mio amico e guida polacco, chi fosse sepolto nei numerosi tumuli tozzi, quasi livellati e ricoperti di erba alla periferia di Bialystok. La sua testa china, gli attimi di silenzio, e poi l'ammissione, che lì giacevano gli ebrei assassinati durante la guerra, significavano molte cose. Molto tempo dopo, quando erano trascorsi molti anni, i polacchi cominciarono a parlare apertamente delle colpe della Polonia nell'eliminazione dei figli di Sion.
Jan Gross, storico americano di origine polacca, pubblicò nel 2001 “Neighbors: The Destruction of the Jewish Community in Jedwabne, Poland”, in cui racconta come, nel 1941, 340 ebrei polacchi morirono in un granaio in fiamme, in cui erano stati rinchiusi dagli abitanti del luogo. Nel 2006, Gross pubblicò un secondo libro: "Fear: Anti-Semitism in Poland After Auschwitz", in cui racconta le brutalità dei polacchi nei confronti degli ebrei dopo la liberazione del paese dai nazisti. Nel 2013, un altro storico polacco, Jan Grabowski, ha pubblicato "Caccia agli ebrei: tradimenti e omicidi nella Polonia occupata dai tedeschi", in cui analizza nei dettagli, documenti e verbali relativi alla città di Dabrowa-Tarnowska e ai suoi dintorni. Secondo tali documenti, la stragrande maggioranza degli ebrei, che vi si erano nascosti dai nazisti, furono traditi – e, in alcuni casi, addirittura uccisi - dai loro vicini polacchi. Nel 2016, Varsavia ha minacciato di privare Gross, professore dell'Università di Princeton, dell'Ordine al merito, il più alto riconoscimento della Polonia, per il fatto di aver scritto, in un articolo per la tedesca Die Welt, che la Polonia "ha ucciso più ebrei che i tedeschi durante la guerra". [1]
Però, è stata proprio la Polonia a far pressioni per l'adozione, da parte del Parlamento europeo, nel settembre 2019, della risoluzione sulla responsabilità dell'URSS nello scatenamento della Seconda guerra mondiale.
Comunque, conclude Khudoleev, risultò che essere alleati di Hitler era altrettanto “vantaggioso” che essere suoi avversari. Negli archivi ci sono i verbali degli incontri segreti con il Cancelliere del Reich. Il Führer apprezzava la sottomissione polacca, ma non la sopravvalutava. “È dubbio il valore della Polonia come barriera contro la Russia. Il regime polacco non resisterà alle pressioni della Russia. Pertanto, viene a cadere la questione di risparmiare la Polonia e rimane solo quella di attaccare la Polonia alla prima occasione”, è detto nei documenti d'archivio tedeschi.
Ma in Polonia non sospettavano nemmeno che i giorni dell'amicizia con Hitler fossero contati, e a Varsavia si pensava addirittura alla spartizione dell'URSS. Secondo i documenti degli archivi dell'intelligence estera, i polacchi avevano messo in piedi, a tale scopo, un'organizzazione clandestina, con sede a Parigi. Ma tali piani non erano destinati a realizzarsi. Lo stato polacco praticamente cessò di esistere nel settembre del 1939, quando il suo esercito capitolò di fronte alla Wehrmacht.
A queste ultime considerazioni di Khudoleev, possiamo solo aggiungere un passaggio dal rapporto di Georgij Astakhov (dall'aprile all'agosto 1939, incaricato d'affari sovietico in Germania) sul suo incontro, il 3 agosto 1939, con il Ministro degli esteri tedesco Joachim von Ribbentrop, presente anche l'incaricato commerciale del Ministero degli esteri, Karl Schnurre. In quell'occasione, tra le altre cose, Ribbentrop disse che, per quanto riguardava la Polonia, “siate sicuri che Danzica sarà nostra... non prendiamo sul serio le forze armate polacche... per noi, la campagna contro la Polonia è una questione di una settimana-10 giorni. In quel lasso di tempo possiamo “rasare a zero” la Polonia. Ma speriamo che non ce ne sia bisogno”. [2]
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Perché odiano così tanto il Patto Molotov-Ribbentrop? Il destino del Trattato di non aggressione tra URSS e Germania del 23 agosto 1939 non ha analoghi di Igor Šiškin 28.08.2017 Igor Šiškin, storico, vice direttore dell'Istituto per i paesi della CSI [3] scriveva nel 2017 che ogni anniversario della firma del patto “è ormai tradizionalmente celebrato dall'intera "umanità progressista" come una delle date più lugubri della storia mondiale. Negli Stati Uniti e in Canada, il 23 agosto è il Black Ribbon Day. Nell'Unione europea, è la Giornata europea della memoria per le vittime dello stalinismo e del nazismo. In questo giorno, le autorità di Georgia, Moldavia e Ucraina ricordano con particolare zelo ai propri sudditi le innumerevoli tragedie subite a causa del Patto Molotov-Ribbentrop. [Molti dei concetti abbozzati qui da Igor Šiškin, sono pienamente sviluppati nell'ultimo ampio contributo di questa rassegna: “Il trionfo della diplomazia di Stalin”; ndt]
In Russia, tutti i media liberali e le figure pubbliche, alla vigilia del 23 agosto, corrono a ricordare ai cittadini il patto "vergognoso" e ancora una volta chiedono al popolo di fare pentimento. Delle migliaia e migliaia di accordi conclusi nella secolare storia della diplomazia, un tale “onore”, nel mondo moderno, non è riservato ad alcuno di essi. Sorge quindi del tutto spontanea la domanda: qual è la ragione di tale speciale atteggiamento nei confronti del patto Molotov-Ribbentrop?
La variante di risposta più diffusa è che il Patto costituisce un'eccezione, quanto a contenuto delittuoso e conseguenze catastrofiche. Ma c'è anche un'altra spiegazione: il Patto arrecò un colpo demolitore agli interessi vitali dei nemici esterni e interni della Russia. Da qui, il loro odio per esso, quale simbolo della loro sconfitta.
Le accuse contro il Patto sono ben note: esso portò allo scoppio della Seconda guerra mondiale (il "Patto della guerra"), calpestò volgarmente e cinicamente tutte le norme della morale e del diritto internazionale.
"Il 23 agosto 1939, la Germania nazista sotto la guida di Hitler e l'Unione Sovietica sotto la guida di Stalin firmarono un patto che cambiò la storia e gettò le basi per la guerra più spietata nella storia dell'umanità" (Commissario europeo per la giustizia Viviane Reding). "Il patto Ribbentrop-Molotov del 23 agosto 1939, concluso tra due regimi totalitari, Unione Sovietica comunista e Germania nazista, portò allo scoppio, il 1 settembre, della Seconda guerra mondiale" (Dichiarazione congiunta di memoria e solidarietà del Sejm della Repubblica di Polonia e della Verkhovnaja Rada di Ucraina). "Se non ci fosse stato il Patto Molotov-Ribbentrop, ci sono forti dubbi che Hitler si sarebbe deciso ad attaccare la Polonia" (Nikolaj Svanidze, conduttore televisivo russo). "Questa guerra, questo terribile dramma, non ci sarebbe stato, senza il patto Molotov-Ribbentrop... se la decisione di Stalin fosse stata diversa, Hitler non avrebbe affatto iniziato la guerra" (Antoni Macierewicz, ex Ministro della difesa polacco).
A quelle dichiarazioni, riportate da Šiškin già nel 2017, possono aggiungersi alcune più recenti, citate dallo storico e pubblicista Sergej Latyšev [4] a gennaio 2020. Nel corso del dibattito svoltosi a metà gennaio al Parlamento europeo su "Distorsione della storia europea e memoria della Seconda guerra mondiale", ad esempio, il leader del Partito popolare europeo, il tedesco Manfred Weber, ha dichiarato che “Noi del Partito popolare europeo non possiamo accettare i tentativi di Putin di riscrivere la storia. Sebbene l'Unione Sovietica abbia subito enormi perdite durante la guerra e i suoi soldati abbiano dato prova di eroismo, non si può negare che il Patto Molotov-Ribbentrop abbia portato allo scoppio della seconda guerra mondiale”. Poi, nonostante nessuno dimentichi le foto dei carri armati polacchi per le strade delle città di quella parte della Cecoslovacchia occupata dalla Polonia nel 1938, la vicepresidente della Commissione europea, la ceca V?ra Jourová ha dichiarato: "La Commissione europea non tollererà questi attacchi alla Polonia ed esprime piena solidarietà alla Polonia e al suo popolo". Forse, cioè, commentava Latyšev, la Jourová pensa più o meno così: la Polonia, indipendentemente da ciò che ha fatto nel passato, oggi è membro UE, uno dei "nostri", e quindi deve essere difesa, è necessario mostrare "solidarietà". Dunque, se è necessario, allora al diavolo la storia autentica. Tanto più che, anche così, tutti sanno in partenza che, colpevole di tutto, è sempre la Russia. Pertanto, Jourová rifiuta "qualunque falsa dichiarazione" sulle colpe della Polonia. Sono possibili entrambe le varianti; o anche tutte e due insieme.
Dello stesso tenore, l'intervento della deputata dello stesso Partito popolare europeo, l'ex Ministro degli esteri lettone Sandra Kalniete, che ha definito Stalin "alleato di Hitler”... e ha rinfacciato a Mosca di aver permesso alla Germania hitleriana "di attaccare l'Europa occidentale e aver lasciato la Gran Bretagna - la quale, aggiungiamo noi, aveva fatto di tutto, come nella prima guerra mondiale, per spingere Russia e Germania a scontrasi frontalmente - a vedersela da sola con la Wehrmacht".
Questo il livello del dibattito tenutosi al Parlamento europeo su un tema storico così scottante. Naturalmente, si può sostenere che non valga la pena di reagire all'elementare analfabetismo storico e al pregiudizio politico mescolato alla russofobia della maggior parte dei partecipanti al dibattito, dal momento che già queste cose annullano le accuse alla Russia.
Ma non è così. La storia sotto forma di mito storico russofobo creato artificialmente, in cui, ovviamente, si possono rinvenire anche frammenti diligentemente selezionati di verità storiche convenienti all'Occidente, diventa una base per avanzare le più possibili – e quelle, sì, assolutamente vere - pretese contro la Russia: territoriali, "risarcimenti", "riparazioni".
I nostri "partner" stanno cercando di realizzare proprio questo doppio obiettivo, necessario per la vittoria dell'Occidente nella guerra ibrida contro la Russia. La Russia ha solo due opzioni: "confessare", "pentirsi", "pagare" e, in definitiva, auto-odiarsi, auto-dissolversi, per liberare l'Occidente da ulteriori "minacce"; oppure raccogliere la sfida e combattere per il proprio buon nome nel mondo, per il rispetto di se stessi, contro questa "menzogna spudorata" e "completa assurdità". Questo, se usiamo le parole di Putin.
Fin qui Sergej Latyšev. Torniamo a Igor Šiškin.
(…) Negli ultimi anni, di dichiarazioni simili, se ne sono accumulate tante, osservava Šiškin nel 2017; e continuava sarcasticamente: “Quindi, se non ci fosse stato il patto, il sistema di Versailles sarebbe rimasto solido fino al giorno d'oggi, con l'egemonia mondiale dell'impero britannico. E gli americani se ne sarebbero rimasti in orgoglioso isolamento, al di là del mare-oceano, senza nemmeno provare a portare benefici in giro per il mondo con la loro presenza. Ma Churchill, nel 1936, parlando dell'inevitabilità di un imminente scontro con la Germania, aveva formulato in modo estremamente chiaro la legge principale della politica anglosassone: "Per 400 anni, la politica estera inglese è consistita nel fronteggiare la più forte, più aggressiva e più influente potenza del continente. ... La politica dell'Inghilterra non tiene affatto conto di quale paese tenda al dominio in Europa. ... Non si deve temere di essere accusati di posizioni filo-francesi o anti-tedesche. Se le circostanze mutassero, potremmo assumere allo stesso modo una posizione filo-tedesca o anti-francese”. Così Winston Churchill. Dunque, il patto Molotov-Ribbentrop, secondo la definizione di Natalia Narochnitskaja, [5] "cambiò la tabella di marcia della Seconda Guerra Mondiale", rimescolando le carte della politica britannica; ma, oltre a ciò, osserva ancora Šiškin, esso “in linea di principio, non poteva né avviare né fermare il volano del conflitto tra Gran Bretagna e Germania”.
Un'altra variante ancora è che si sia in presenza di un “patto criminale: “Difficile immaginare un complotto più rozzo e criminale contro la pace e la sovranità degli stati” (Inesis Feldmanis, principale storico ufficioso della Lettonia).
Si deve rendere merito ai nemici interni ed esterni della Russia, afferma ancora Šiškin, “che l'interpretazione del Patto Molotov-Ribbentrop come complotto criminale di due "imperi del male" totalitari, a differenza dell'interpretazione del "Patto della guerra", sia già saldamente penetrata nella coscienza pubblica ed effettivamente è da molti percepita come una banalità, un'ovvietà. Ma le accuse per un crimine dovrebbero basarsi non su caratteristiche emotive, bensì sul riferimento a specifiche norme del diritto internazionale, che l'accordo sovietico-tedesco avrebbe calpestato. Ma, ecco che, in tutti gli anni di demonizzazione del Patto, nessuno è stato in grado di indicarle. Nemmeno una!
Dal punto di vista giuridico, il Patto di non aggressione è assolutamente ineccepibile. Certo, i dirigenti sovietici, così come gli inglesi, sapevano benissimo dell'imminente attacco tedesco alla Polonia. Tuttavia, non vi era una sola norma del diritto internazionale che obbligasse l'URSS in questo caso a rinunciare alla neutralità, o a entrare in guerra dalla parte della Polonia. Tanto più che la Polonia, in primo luogo, era nemica dell'Unione Sovietica e, in secondo luogo, alla vigilia della conclusione del Patto, aveva ufficialmente rifiutato di accettare dalla Russia garanzie per la propria sicurezza. Per quanto poi riguarda i famigerati “protocolli segreti”, acclusi al Patto [con tutti i dubbi sulla loro autenticità fatti rilevare da Mikhail Mel'tjukhov; ndt] [6] con cui, ironizzava Šiškin, “non si è smesso di impaurire i bambini negli ultimi trent'anni, sono una pratica standard della diplomazia, dai tempi più antichi, sino a oggi. Con la presidenza di Barack Obama, Russia e Stati Uniti avevano concluso un accordo sulla Siria, una parte significativa del quale, su richiesta della parte americana, doveva rimanere segreta. Il pubblico progressista non fece parola. Dunque, perché dovremmo pensare che quanto è consentito a Obama, debba essere considerato criminale per Stalin?
Non essendo illegali nella forma, i protocolli segreti non lo erano nemmeno per contenuto. Nella risoluzione del Congresso dei deputati del popolo dell'URSS, redatta da Alexandr Jakovlev (architetto-capo del crollo dell'Unione Sovietica), in cui si bollava col marchio della vergogna il Patto Molotov-Ribbentrop, si affermava che i Protocolli segreti, delimitando le aree di interesse dell'URSS e della Germania, “erano in contraddizione, dal punto di vista giuridico, con la sovranità e l'indipendenza di un numero di paesi terzi". Tuttavia, ciò è un'aperta menzogna.
Non esisteva allora, come non esiste oggi, alcuna norma di diritto internazionale che proibisca agli stati di delimitare le sfere dei propri interessi. Il patto non conteneva alcuna decisione vincolante per paesi terzi.
Sì, è vero che il patto privò Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania e Romania dell'opportunità di servirsi della Germania contro l'URSS. Non esisteva alcuna norma di diritto internazionale o un trattato internazionale che obbligasse la Germania a opporsi al ripristino dell'integrità territoriale del nostro paese [si intende in primo luogo Ucraina e Bielorussia occidentali, occupate dalla Polonia nel 1921, e Bessarabia, occupata dalla Romania poco prima; ndt]. In caso contrario, dovrebbe esser riconosciuto illegale e, di conseguenza, delittuoso, il ritorno di Alsazia e Lorena alla Francia, oppure il ripristino dell'integrità territoriale della Germania.
Alla "umanità progressista", che si dice così preoccupata per l'illegalità del patto Molotov-Ribbentrop, si può solo consigliare di chiedere che si pentano anche USA e Gran Bretagna, che nel 1944 si divisero non le "sfere di interesse" in paesi terzi, ma si spartirono le ricchezze di quei paesi terzi. “Il petrolio persiano è vostro. Ci divideremo il petrolio di Iraq e Kuwait. Quanto al petrolio dell'Arabia Saudita, è nostro” (Franklin Roosevelt all'ambasciatore britannico lord Halifax, 18 febbraio 1944).
Si parla anche di “patto amorale”, riducendosi a “dichiarazioni patetiche secondo cui solo degli impudenti possono non vergognarsi di un patto con Hitler. Tuttavia, anche in questo caso si ha a che fare con una demagogia cinica e consapevole.
Fino al 22 giugno 1941, per l'Unione Sovietica, Hitler era il capo legittimo di una delle grandi potenze europee. Potenziale e persino verosimile avversario? Indubbiamente. Ma, per il nostro paese, anche Francia e Gran Bretagna erano in quel momento potenziali e anche molto verosimili avversari. Basti ricordare come, nel 1940, si preparassero ad attaccare l'URSS, per conferire alla Seconda guerra mondiale, appena iniziata, il carattere di "crociata paneuropea contro il bolscevismo", per costringere almeno in questo modo il Terzo Reich a dirigersi verso Oriente e salvare così dal fallimento lo scenario di guerra sviluppato dagli strateghi britannici.
Post n°15651 pubblicato il 21 Aprile 2020 da Ladridicinema
da antidiplomatico Prosegue la pubblicazione su L'Antidiplomatico del pregevole lavoro editoriale di Fabrizio Poggi " Contro la falsificazione della storia ieri e oggi". Dopo avervi proposto la scorsa settimana la traduzione dall'originale russo dell'opuscolo “ Fal'sifikatory istorii. Istoriceskaja spravka” (“Falsificatori della storia. Informazione storica”), redatto nel 1948 dal Informbjuro del Governo sovietico per controbattere a “ Nazi-Soviet Relations. 1939-1941”, divulgato nel gennaio dello stesso anno dal Dipartimento di Stato USA, questa settimana Poggi offre la prima parte di un'ampia rassegna della pubblicistica russa contemporanea. La pubblicistica russa oggi a cura di Fabrizio Poggi
Si propone una succinta rassegna della più recente, copiosa, pubblicistica russa sulle dispute attuali, legate ai temi già oggetto dell'opuscolo “Falsificatori della storia”, quali: rapporti prebellici polacco-tedeschi, anglo-tedeschi, sovietico-tedesco-polacchi, Patto di non aggressione tedesco-sovietico, ruolo di Francia e Gran Bretagna, ecc. Per cercare di presentare un quadro più largo possibile (senza pretesa di completezza) degli interventi succeditisi negli ultimi mesi nei media russi, si riportano anche brani che, dal punto di vista del politically correct, possono risultare quantomeno ostici al lettore non abituato all'odierna pubblicistica russa, ma che aiutano a comprendere quali orientamenti “ideali” si muovano accanto a quelli a noi più familiari.
Non tutti gli interventi sono riportati integralmente: si sono omesse alcune parti più discorsive e generiche, oppure periodi ripetitivi, che ricalcano passaggi già esposti in altri interventi qui pubblicati.
In altri casi, invece, nel corpo dei singoli interventi si sono inseriti brevi periodi, utili a integrare il senso dell'esposizione, ripresi da contributi non presenti in questa raccolta.
Si è deciso di lasciare, quale contributo conclusivo (sarà l'ultimo brano in assoluto, programmato in uscita su L'Antidiplomatico per l'8 Maggio, alla vigilia dell'anniversario della vittoria sul nazismo) la versione scritta dell'intervento orale fatto dal prof. Igor Šiškin (autore anche del secondo pezzo di questa rassegna: Perché odiano così tanto il Patto Molotov-Ribbentrop?) al ciclo di “Letture staliniane”, tenutesi a Mosca il 21 e 22 dicembre 2019, in occasione del 140° anniversario della nascita di Stalin. L'intervenuto di Šiškin aveva per tema “Il trionfo della diplomazia di Stalin”. A differenza di altri autori, senza soffermarsi su questo o quell'aspetto specifico delle relazioni bilaterali o trilaterali tra le singole potenze alla vigilia del conflitto, Šiškin analizza i presupposti della guerra nel quadro delle contraddizioni interimperialistiche generali, mostra come gli anglosassoni avessero preparato la Germania alla sua marcia verso oriente, come la politica anglo-francese intendesse utilizzare la Germania nazista per risolvere la questione che, dal 1917, terrorizzava il mondo liberale: l'esistenza dello Stato sovietico. Šiškin mostra come il patto Molotov-Ribbentrop avesse costituito una vittoria strategica dell'Unione Sovietica.
Alcune affermazioni di Šiškin possono non risultare condivisibili; ma l'impianto generale dell'intervento è quantomeno suggestivo. Non si deve d'altronde dimenticare che, negli ambienti di Den' TV e Zavtra, che hanno organizzato le “Letture staliniane”, l'esaltazione di Stalin è vista per lo più (anche se non sempre e non da tutti) quale momento di celebrazione della Grande Russia, zarista o sovietica che sia, con pochissimi riferimenti al bolscevismo, oscillando tra due “patriottismi”: uno sovietico nazionalistico e uno Grande-russo, in cui si celebrano unità della nazione e giustizia sociale, estraniate dalla lotta di classe, il tutto intrecciato in una miscela retorica russo-sovietica. Al di là di questo, la ricostruzione offerta da Igor Šiškin appare alquanto interessante.
Difficile dubitare che la questione fondamentale dell'epoca attuale sia quella della minaccia di una nuova guerra imperialista. Non si tratta di un "pericolo" indeterminato e incorporeo di una nuova guerra. Si tratta di una minaccia reale ed effettiva di una nuova guerra in generale, e di una guerra contro l'URSS, in particolare. La ripartizione del mondo e delle sfere di influenza in seguito dell'ultima guerra imperialista, ha già avuto modo di "invecchiare". Si sono fatti avanti alcuni nuovi paesi (America, Giappone). Alcuni vecchi paesi (Inghilterra) sono passati dietro... È in atto una lotta feroce per i mercati di sbocco, per i mercati di esportazione di capitali, per le vie marittime e terrestri verso questi mercati, per una nuova ripartizione del mondo. Crescono le contraddizioni tra America e Inghilterra, tra Giappone e America, tra Inghilterra e Francia, tra Italia e Francia. (I.V. Stalin, Note su temi d'attualità; Opere, vol. 9; Moskva, 1948) Prove inconfutabili: divulgato il contenuto dei documenti d'archivio che confermano la collaborazione della Polonia con Hitler di Konstantin Khudoleev 30.12.2019 fonte: https://tvzvezda.ru/news/qhistory/content/201912301020-BxIuY.html?fbclid=IwAR3YL67Y6L6J9hlxdssMbmYZKELJCtaFlTXn-xx-EClcG__Dzd2cEhj9FnY Nel dicembre 2019, Konstantin Khudoleev ricordava la disputa a distanza tra Mosca e Varsavia delle ultime settimane, in particolare dopo la denuncia, da parte di Vladimir Putin, dell'antisemitismo di certi leader polacchi degli anni '30. “Hitler dichiarò apertamente al Ministro degli esteri” ricorda Putin, “e poi all'ambasciatore polacco in Germania (Józef Lipski), che aveva l'idea di deportare gli ebrei in Africa, nelle colonie. Immaginatevi: anno 1938, si deportano gli ebrei dall'Europa in Africa. Significa condannarli all'estinzione. Alla distruzione. A quella dichiarazione, l'ambasciatore polacco gli rispose - e poi lo scrisse nel suo rapporto al ministro degli esteri di Polonia, signor Beck: "Quando ho sentito questo", scrive, "gli ho risposto", cioè rispose al Führer, a Hitler, "se lo farà, gli innalzeremo un magnifico monumento a Varsavia". Una carogna, un porco antisemita: non si può definire in altro modo"; così si era espresso il presidente russo. Per di più, osserva Khudoleev, Józef Lipski espresse non solo la propria opinione. Era questa la politica dello stato polacco. Il documento è autentico ed è conservato a Mosca - dopo la Grande guerra patriottica, siamo entrati in possesso, come bottino di guerra, degli archivi dell'intelligence polacca e di molti altri materiali storici da paesi europei. Tra quei materiali, c'è tra l'atro il resoconto del colloquio svoltosi il 1 ottobre 1938 tra l'ambasciatore tedesco Hans Adolf Moltke e il ministro degli esteri polacco Józef Beck. Beck espresse grande gratitudine per la leale difesa degli interessi polacchi alla Conferenza di Monaco, e anche per la sincerità delle relazioni durante il conflitto ceco. Erano stati i tedeschi, scrive Khudoleev, a portare il discorso sulla partecipazione polacca alla spartizione della Cecoslovacchia. La Polonia non si fece scappare il ghiotto bocconcino: la regione di Teshin. Per concretizzare il loro antico slogan nazionalista "la Polonia dal Baltico al mar Nero" e occupare i territori di confine dei paesi vicini, compresi quelli dell'Unione Sovietica, le autorità polacche erano pronte a servire Hitler in tutte le questioni: compresa quella ebraica. Si tratta di una pagina vergognosa della storia. È proprio la Polonia a esser definita il più grande cimitero ebreo del mondo. Prima della guerra, vi vivevano più di 3 milioni di ebrei; dopo la guerra, appena qualche decina di migliaia. "La Polonia non vuole ammettere i propri errori, non vuole pentirsi per il fatto che, in molte questioni, sia stata quantomeno complice dei tedeschi; oggi le autorità polacche ufficiali affermano che anche i polacchi furono vittime dell'aggressione tedesca e non ci fu alcun tipo di collaborazionismo di massa con l'esercito fascista tedesco. Non è così, non è vero: pogròm prima della guerra, pogròm dopo la guerra, partecipazione attiva dei polacchi a ogni tipo di lavoro nei campi di concentramento, ma la Polonia non lo vuole ammettere", afferma Alexandr Boroda, presidente della Federazione delle comunità ebraiche di Russia, come riportato da Khudoleev.
Post n°15650 pubblicato il 21 Aprile 2020 da Ladridicinema
In una conferenza stampa il presidente del Consiglio anticipa dal 14 Aprile, quindi a più di due settimane dalla fine del blocco e molto prima della riapertura di alcune attività produttive , la riaperture delle librerie e di diversi settori connessi al mondo dell’editoria. Questa notizia arriva dopo che da settimane si rincorrono richieste di una maggiore attenzione al mondo dell’editoria e della cultura, oltre che appelli sentimentalisti e romantici, probabilmente deleteri. In una nota diffusa dall’Associazione Editori Indipendenti, ad esempio, si chiedeva di non lasciar da soli soprattutto le piccole librerie e i piccoli editori, molti dei quali sono ad un passo dalla chiusura per l’impossibilità di far fronte a questa crisi, con strumenti di sostegno statali inesistenti e l’esclusione dalla sospensione nel pagamento tributi. Di fronte al fatto che le associazioni di categoria, sia degli editori che dei librai, non sembra siano state interpellate, questa apertura delle librerie appare quanto mai grottesca, e poco comprensibile. Difatti la LED (Librai Editori Distributori) ha raccolto subito centinaia di realtà in disaccordo con questa presa di posizione con un appello sul web, e aperto un dibattito nel quale i favorevoli appaiono soggetti con posizioni già dominanti sul mercato. Ci si chiede a cosa possa servire la riapertura di piccole o grandi librerie quando gli spostamenti dei cittadini “non produttivi”, finora, sono stati davvero minimi e da più parti, dai tecnici agli amministratori locali, la riduzione degli stessi viene definita come una delle migliori tecniche per ridurre il contagio. Il clima che vivono molti territori è teso e le comunità di cittadini si stringono, anche se non sempre in maniera virtuosa, nella gestione delle uscite e nel mantenimento delle regole sul distanziamento. L’eventuale apertura porterebbe un senso di astio, la ricerca di un colpevole in eventuali nuovi contagi che ricadrebbe su una specifica fetta di persone, facilmente accusabili di volere dei comfort maggiori in una situazione in cui a molti si chiedono sacrifici (per intenderci, vediamo cosa è accaduto attorno alla questione dei runner o alle uscite con figli). Sarebbe inoltre un altro peso sulle spalle di forze dell’ordine e volontari di vario tipo, che dovrebbero nel caso gestire una mole di lavoro maggiore in una situazione ancora emergenziale. Risulta difficile che i lettori cosiddetti “forti” sentano la necessità di acquistare libri, avendo già in queste settimane sicuramente trovato delle soluzioni alla contingenza. Oltre l’acquisto on-line sui maggiori stores, che per gli addetti ai lavori non è manna dal cielo ma un regalo spesso a multinazionali che, tra le altre cose, non fanno della trasparenza sulle vendite la propria stella polare (vedi Amazon), una grandissima quantità di piccole librerie ha sviluppato modi per tenersi in contatto coi propri lettori, mettendo su un servizio di consegna a domicilio in totale sicurezza, o offerte nell’acquisto di formati digitali. Un altro punto da non sottovalutare è l’assenza, purtroppo, di presidi librari su tutto il t erritorio, soprattutto nei piccoli comuni. Per eventuali acquisti, quindi, un eventuale lettore “forte” dovrebbe necessariamente spostarsi con mezzi pubblici o propri, con conseguenti difficoltà e aumento della possibilità di contagio. Viene da sé che, verosimilmente, il numero di clienti che vorrà approfittare della possibilità sarà davvero bassa. E che scaturirebbero una serie enorme di controversie attorno ai requisiti di “stretta necessità” e a spostamenti oltre gli attuali “200 metri” consentiti. D’altra parte i librai che decidessero di riaprire avrebbero contro una serie di fattori. Se è vero che molti restano esclusi dalla sospensione dei tributi, gli esercenti con dipendenti avrebbero potrebbero usufruire degli ammortizzatori sociali, insufficienti al limite dell’elemosina, ma che al momento dell’apertura non sarebbero più dovuti (oppure no?). Con queste coperture, allargate o rimpolpate, i proprietari di librerie, piccole o molto piccole, avrebbero potuto tirare in parte un sospiro di sollievo. Per molte librerie, inoltre, il blocco imposto aveva portato ad accordi con i proprietari dei locali. Una contrattazione privata per raggiungere trattamenti conciliatori laddove non c’erano altre indicazioni certe dal Governo. Nel momento della riapertura questi accordi che fine farebbero? Potrebbero essere utilizzati d ai proprietari per pretendere il “giusto”, legittimo, senza sconti? Vista poi la chiusura totale da un mese a questa parte, tutta la filiera di produzione e distribuzione nel campo dell’editoria avrebbe un bel lavoro da fare per riprendere le fila del lavoro e correre alla riorganizzazione per la riapertura, altrimenti le librerie avrebbero anche ben poco da tener su senza poter essere sicuri della celerità di una consegna e con l e immani difficoltà nelle richieste di nuovi ordini che si accavallerebbero, eventualmente. A questi problemi si aggiungerebbe anche una lotta fratricida, un conflitto tra “poveri”. Da una parte le librerie che tenterebbe il tutto per tutto dall’altra chi non aprirà per non andare incontro a un massacro economico. Difatti per raggiungere dei livelli accettabili di guadagno sulle vendite, il numero delle stesse, con le attuali condizioni di blocco degli spostamenti, sarebbe irraggiungibile e in ogni caso i librai dovrebbero fare ulteriori sacrifici, immani, per non “chiudere bottega”. Altro punto importante sta nella vera natura delle piccole librerie, che va oltre il mero profitto. La maggior parte di queste si regge – sopravvive in realtà – sull’apertura ad eventi anche di a ltri enti e associazioni, presentazioni di libri, incontri con artisti e scrittori, manifestazioni collaterali nelle quali rendere il proprio un presidio di cultura, o semplicemente nel rapporto uno-a-uno col lettore che si accompagna nella scelta del libro con riflessioni, ricerche e consigli (perché per l’acquisto compulsivo e asettico, quello che probabilmente tanto piacerebbe ai grandi gruppi monopolistici anche dell’editoria, ci sono gli Autogrill e i Centri Commerciali, ci sono gli stores digitali e la loro concorrenza sleale alle piccole realtà.). Sarebbe impossibile, quindi, per queste rialzarsi, ripartire. Perché impossibile sarebbe organizzare alcun evento, visto il permanere delle norme di distanziamento sociale. Nel giro di un paio di mesi, ma forse anche meno, le già normalmente esigue entrate si assottiglierebbero sempre più. Ed è qui che interviene il piano, l’unico che il Governo e l’Europa sono riusciti a concepire: le aperture di credito. Per i soggetti succitati, e purtroppo anche per alcuni editori o librai o presunti intellettuali, aprire nuove linee di credito con istituti bancari sarebbe la naturale decisione, una semplice mossa per restare aperti ed eliminare il problema. Quando invece sarebbe l’inizio della fine per molti lavoratori del settore. Indebitarsi ulteriormente, aggiungere altri prestiti alle scadenze e ai tributi, non è la soluzione. Continuare ad affidarsi alle banche, mettendo nelle loro mani il futuro della propria attività, è un cappio al collo per i lavoratori del settore (perché anche i piccoli librai sono per primi lavoratori nel proprio spazio). Un cappio al collo messo da un Governo, ma in realtà da tutti i governi degli ultimi anni, che ha un interesse nel rispetto e nel sostegno al mondo della cultura prossimo allo zero, e con una mera iniziativa propagandistica e vuotamente simbolica sta gettando in pasto al mercato più sfrenato altri lavoratori, sempre più schiacciati verso il basso rispetto alla loro originaria “appartenenza” ad un ceto medio impoverito dalla crisi degli ultimi anni e in balìa della crisi attuale. In seguito a queste riflessioni, è evidente come non ci sia alcuna direzione strategica reale in questa possibilità di riapertura. Anche il semplice considerarla una scelta “simbolica” è uno schiaffo a tutti i lavoratori del settore che sono veri, in carne e ossa, e hanno bisogni veri, non simbolici. Piuttosto, pare che si sia tirato ai dadi per scegliere quali lavoratori e quali settori mandare per primi al macero. E la scelta, non ci stupisce, è ricaduta sui lavoratori delle aziende produttive finora “non essenziali” (carne da macello di Confindustria che non sa stare con le mani in mano e freme per la ripresa delle attività contro qualsiasi evidenza sanitaria e tecnica) e sui lavoratori dell’editoria, che in questo mese hanno dovuto reinventarsi da soli, abbandonati completamente a loro stessi. Il calo delle vendite dei libri in quest’ultimo mese è considerevole (ADEI stima un calo fino al 65% nel mese di Luglio e poi un 10% stabile di calo almeno fino ad Ottobre) ma a queste stime vanno aggiunti i risvolti che avranno 16 mln di copie in meno solo degli Editori Indipendenti. L’ultimo rapporto AIE sullo stato del libro in Italia ci dice, tra le altre cose, che alla chiusura delle piccole realtà si contrappone spesso l’affidamento di piccole libri a franchising e catene. Se a questo aggiungiamo che il mercato delle librerie indipendenti rappresenta ancora più della metà del totale giro d’affari sul libro, e che molte di queste si reggono anche con le vendite on-line ma come una delle opzioni di multi-canalità scelta anche dai lettori “forti” (a differenza di quelli “deboli” che scelgono anche la “prossimità” e la convenienza economica per i propri acquisti), capiamo come uno scenario del genere potrebbe presto far scivolare tanti “piccoli” nelle grinfie delle catene, con un conseguente accentramento su pochi nomi di una più grande fetta di mercato, che in un periodo di contrazione rischierebbe di portare ad una socializzazione delle perdite a scapito degli ultimi della lista. Viene da chiedersi, allora, visto che finora in questa crisi il mondo del libro era stato completamente dimenticato, come mai sia stato considerato come cavia della prima linea in una battaglia solitaria già persa prima di iniziare. Nessuna attenzione, quindi, alle piccoli librerie, ai piccoli artigiani del libro, ai lavoratori veri, un disinteresse che non fa altro se non agevolare sempre di più la presa di tutto il mercato da parte dei magnati dell’editoria, già con le spalle coperte da gruppi mastodontici e ramificati in vari settori, capaci di cadere in terra sempre con le quattro zampe.
Post n°15649 pubblicato il 21 Aprile 2020 da Ladridicinema
da antidiplomatico ![Immuni. Perché l'attacco alla privacy non è il problema più importante che pone Immuni. Perché l'attacco alla privacy non è il problema più importante che pone](https://www.lantidiplomatico.it/resizer/resiz/public/Screenshot_20200421_083339.jpg/700x350c50.jpg) di Antonio Di Siena
La tutela della privacy è solo uno degli aspetti legati al problema dell’app governativa “immuni”.
E neanche il più importante.
La questione principale infatti è quella relativa all’uso della tecnologia con funzione chiaramente sostitutiva della responsabilità politica dello Stato.
È questa la sintesi di un articolo di assoluto interesse apparso sul Guardian la scorsa settimana.
Detto in altre parole (e calato dentro il nostro contesto).
Siccome lo Stato liberista non ha le risorse per adottare tutte le misure necessarie a risolvere un dato problema (nel nostro caso la pandemia), allora si pensa di mitigarne gli effetti limitando la libertà personale dei cittadini.
È più pratico e più veloce. E soprattutto costa infinitamente meno rispetto a un piano miliardario di investimenti pubblici.
Pensateci, perché mai un governo dovrebbe investire montagne di denaro per risolvere problemi strutturali della società liberista se può imporre l’uso di strumenti informatici? Il trasporto pubblico fa schifo?
Anziché comprare nuovi mezzi faccio la app che “efficienta” l’uso dei bus da parte dei cittadini.
Non ho le risorse sufficienti per fare milioni di tamponi, aumentare la disponibilità di posti letto in ospedale, comprare macchinari e assumere medici e poliziotti?
Chiudo i cittadini in casa e quando oramai sono sull’orlo dell’esasperazione (e della povertà) li obbligo ad uscire di casa solo con l’app.
Risparmio un sacco di soldi e limito il problema. E chi se ne frega delle libertà costituzionali.
Ecco perché alla radice di questo modus operandi non c’è (solamente) il pericolo per la privacy. Ma quello, oggi più concreto che mai, che le nostre “democrazie” si trasformino in Stati ad elevata sorveglianza attiva al fine di sopperire alle gigantesche falle del sistema pubblico di organizzazione e funzionamento della società.
Che cioè si ricorra sempre di più ai big data per affrontare i problemi strutturali del nostro presente, compresi il modello di produzione e le disuguaglianze da esso derivanti.
Che quindi si faccia strada un nuovo pensiero politico che ritiene molto più conveniente influenzare pesantemente il comportamento dei singoli anziché affrontare alla radice i problemi di un dato modello di sviluppo, nel nostro caso la società capitalista.
Ancora una volta quindi la nostra Costituzione si erge a baluardo non tanto di un singolo diritto (la libertà individuale) quanto piuttosto di una complessiva idea di Stato e del suo ruolo pubblico come del principale attore e risolutore dei problemi della società.
Cedere su “immuni” quindi non significa transigere solo su uno strumento temporaneo e di “pubblico interesse”.
Significa accettare, ancora una volta, che lo Stato abdichi al suo ruolo principale: prendersi cura dei suoi cittadini. Con l’aggravante del creare un pericolosissimo precedente dal quale sarà molto difficile tornare indietro.
|
Inviato da: Mr.Loto
il 28/03/2022 alle 11:57
Inviato da: Mr.Loto
il 15/10/2020 alle 16:34
Inviato da: RavvedutiIn2
il 13/11/2019 alle 16:33
Inviato da: surfinia60
il 11/07/2019 alle 16:27
Inviato da: Enrico Giammarco
il 02/04/2019 alle 14:45