Creato da dagbog il 01/09/2014

DAGBOG

il blog di Luigi Riotta

 

Come asciugarsi la bocca con la Costituzione italiana dopo un erutto

Post n°19 pubblicato il 23 Settembre 2014 da dagbog
 
Foto di dagbog

Ho letto il discorso di Giorgio Napolitano fatto in occasione dell'inaugurazione del corrente anno scolastico. Credo che sia un discorso fuori dal tempo, a suo modo assurdo, inconcepibile, schierato. Un discorso che è strumento di un potere al quale un Presidente della Repubblica non dovrebbe assoggettarsi.
Un discorso dal quale si intuisce che i nostri governanti non hanno capito assolutamente nulla dell'attuale situazione nazionale ed internazionale da un punto di vista politico, sociale ed economico.

In tanti anni in cui, (sin dai tempi della mia frequenza scolastica e sicuramente dopo le riforme della fine degli anni '60), ho visto un susseguirsi di generazioni di studenti raggiungere il traguardo del diploma di scuola media superiore. Non ho mai incontrato un solo giovane in possesso di una preparazione sufficiente ad integrarsi nel mondo del lavoro. Mai, neppure uno, neppure quelli licenziati con il massimo dei voti.
La scuola ed il lavoro sono, in Italia, due universi paralleli, distanti anni luce. L'elevatissimo tasso di disoccupazione ne è la prova. I ragazzi che si diplomano escono dalla scuola non solo con una preparazione nozionistica, spesso inutile, sicuramente improduttiva, ma, negli anni, i responsabili dei Governi che si sono succeduti hanno fatto di tutto per smantellare quella parte di programmi scolastici che avrebbero dovuto insegnare ai giovani a diventare, prima di tutto, dei bravi cittadini, degli uomini tolleranti, delle persone capaci di integrarsi. La "flessibilità" è un concetto che parte dalla mente degli uomini. Non è un mero ideologismo agganciato alle esigenze delle imprese che vogliono essere libere di licenziare, senza motivo, qualsiasi lavoratore in qualsiasi momento.
I nostri giovani non trovano lavoro perché escono dalla scuola senza essere in grado di saper fare nessun lavoro e non perché non sono sufficientemente "flessibili".

E fa specie che Giorgio Napolitano citi sempre la Costituzione, la nostra Costituzione, che sancisce l'Italia come una Repubblica "democratica" (?) fondata sul "lavoro" (?).
Una Nazione in cui i cittadini, disoccupati in prevalenza, non possono scegliere direttamente i parlamentari da eleggere che democrazia è? Di quale lavoro si parla?
L'art, 4 della nostra Costituzione dice : "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto."
Quali sono le condizioni che la Repubblica ha promosso ed intende promuovere per riconoscere ai cittadini italiani il diritto al lavoro? Quelle proposte in questi giorni dal Governo Renzi?
E' questa la "rivoluzione"?

Giorgio Napolitano ha elogiato gli studenti dell'Istituto di Rovereto (non specificando quale Istituto) che, in questi giorni hanno celebrato il centenario della I° guerra mondiale. E' questo l'orientamento cui dare preminenza per garantire il diritto al lavoro? Puntare a far studiare eventi bellici del secolo scorso, celebrandoli, rendendoli vivi, attuali? E' così che si pensa di competere con la Cina? Con gli Stati Uniti? Con il resto dell'Europa?

Certe volte non ho solo l'impressione di vivere in una Nazione di truffaldini, manigoldi, di uomini e donne venduti alle logiche del potere. Ma ho come la sensazione che le istituzioni siano talmente distanti dalla realtà di tutti i giorni, dalle persone normali, da lasciarmi il dubbio che alla malafede si unisca una discreta dose di rincoglionimento. Quel rincoglionimento di chi vive e vede un Paese riflesso nei giardini edulcorati delle proprie dimore istituzionali, viaggiando per il mondo con aerei privati, spostandosi da un luogo all'altro senza mettere mai piede nel mondo reale.
La "rivoluzione", la vera rivoluzione, inizia dal mandare a casa questa gente. Dal cessare di credere al populismo degli imbonitori di turno, gente di destra che diventa leader dei partiti di sinistra e viceversa, appiattendo ciò che era rimasto di qualsiasi ideologia. Quell'ideologia distrutta dalle stesse persone che oggi, con una sfrontatezza incredibile, chiedono ai giovani di voler continuare a credere nel proprio Paese e in chi lo rappresenta.

L'estratto del discorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di seguito riportato, è tratto dal sito ufficiale del Quirinale (www.quirinale.it)

Oggi non solo l'Italia, ma tutta l'Europa sono alle prese con una profonda crisi finanziaria, economica, sociale : e fanno fatica ad uscirne. Possono uscirne, Italia ed Europa, solo insieme, con politiche nuove e coraggiose per la crescita e l'occupazione, dirette soprattutto e più efficacemente ai giovani. Della crisi si discute ogni giorno nelle scuole, nei suoi stadi più avanzati di studio e di formazione, e si discute nelle famiglie, dovunque le difficoltà del vivere da un mese all'altro e le angosce per il futuro, soprattutto vedendo tanti giovani senza lavoro e senza chiare prospettive, si fanno sentire di più.
Ebbene, sia chiaro che per farcela ci si deve non già chiudere in vecchi recinti nazionali, e sbraitare contro l'Europa, ma stringerci ancor più in uno sforzo comune, integrare ancor più le nostre energie, in spirito di solidarietà, nella grande Europa unita che abbiamo via via costruito in oltre sessant'anni. E insieme dobbiamo rinnovarci, metterci al passo con i tempi e con le sfide della competizione mondiale. Specialmente in Italia dobbiamo rinnovare decisamente le nostre istituzioni, le nostre strutture sociali, i nostri comportamenti collettivi : in questo paese che amiamo, non possiamo più restare prigionieri di conservatorismi, corporativismi e ingiustizie.
Giovani, cogliete con entusiasmo ogni opportunità di percorrere, scoprire, conoscere la nostra grande Europa : l'Europa è il luogo del vostro futuro e già del vostro immediato domani, è il centro ideale dei valori di modernità e di progresso in cui credere. Il governo ha deciso di stanziare maggiori risorse per permettervi di visitarla, e lavoriamo perché l'Unione Europea potenzi il Programma degli scambi tra studenti delle scuole superiori, finora chiamato Comenius e ora destinato a fondersi con lo storico, ormai già tanto sperimentato e vissuto Programma Erasmus.
(...)
Siamo ora a cent'anni dalla guerra mondiale del 1914-18 : e non c'è nulla che ci dica più chiaro e più forte il valore inestimabile dell'aver costruito un'Europa unita, che il ricordare, il ripercorrere con commozione e consapevolezza, le sofferenze inaudite che quella prima guerra mondiale costò al popolo italiano.
(...)
E' in questo spirito che la scuola è impegnata a ricordare - come hanno fatto i ragazzi dell'Istituto di Rovereto - il centenario della I° guerra mondiale e a trasmetterne la lezione.
Anche ciò fa parte del processo di formazione delle nuove, più giovani generazioni. Formazione significa assunzione di valori storici e ideali decisivi per orientarsi nella vita professionale, famigliare e sociale. Assunzione di tutti i valori sanciti nella prima parte della Costituzione repubblicana. Tra essi, non dimentichiamolo, i valori della legalità, del rispetto delle istituzioni, del dialogo, valori che si servono non a parole ma rifiutando nei fatti ogni violenza, ogni sopruso, ogni forma di corruzione.
(...)
Sappiamo che tutto questo ce lo possiamo attendere da voi, studenti e insegnanti : e vi ringrazio per la fiducia che ci date - guardando a voi, alla sensibilità e allo slancio che esprimete - per la fiducia, sì, che voi ci date, ragazze e ragazzi, nell'avvenire del nostro paese, nell'avvenire dell'Italia.
Cari insegnanti, crediamo in voi, nel vostro apporto, nel vostro spirito di sacrificio. E confidiamo nella concretizzazione degli impegni annunciati dal governo per il superamento di situazioni ormai insostenibili, che le politiche del passato non hanno mai risolto.

 
 
 

Fuggire da se stessi non è una soluzione rinviabile in eterno

Post n°18 pubblicato il 20 Settembre 2014 da dagbog
 

Nella mia vita ho incontrato tante persone attaccate morbosamente al proprio lavoro. Non solo in termine di passione, del sano trasporto che fa sentire utili, produttivi. La loro passione andava oltre. Erano vittime di una necessità morbosa di riconoscersi nel ruolo rivestito, che per loro era senso di appartenenza, espressione di identità.
Ci si identifica nel gruppo del quale si fa parte, qualunque esso sia, in qualsiasi momento della vita. La famiglia nella quale si nasce, l'asilo e la scuola, la comitiva di compagni e amici, l'università, le associazioni, i partiti politici, il lavoro.
Noi siamo in quanto apparteniamo ad una comunità. Ma quando si esce dal contesto nel quale ci si rifugia, in cui ci sentiamo protetti, noi, chi siamo?
Ho conosciuto colleghi di lavoro che odiavano talmente l'idea di dovere andare in pensione da fare il possibile e l'impossibile per rimanere a lavorare anche oltre l'età consentita. Gente che andava nel panico al pensiero del sopraggiungere di una condizione di vita in cui si sarebbero ritrovati soli con se stessi. E quando, alla fine, non potendo fare altro, non riuscendo ad ottenere di rimanere, erano costretti ad andare in pensione, li ho incontrati per strada o li ho visti, malinconici, ritornare sui propri passi per andare a trovare i colleghi che erano rimasti in servizio. Erano diventati improvvisamente melensi, tristi, invecchiati. Eppure era passato solo qualche mese.
Vediamo ogni giorno sui media volti e storie di personaggi politici, leader sindacali, burocrati, che si riciclano nelle stanze del potere scambiandosi ruoli e poltrone, per garantirsi l'appartenenza a quella élite che li fa sentire ancora utili, rispettati, cercati. Nelle loro menti vivere, quindi essere, esistere, è rivestire un ruolo di prestigio, di potere.
Quello che nessuno accetta è la consapevolezza che siamo soli, anche se nasciamo in una famiglia, anche se veniamo abituati sin dall'inizio delle nostre vite ad infrattarci in contesti affollati che ci garantiscono di sfuggire a questa contezza, consentondoci di sentirci sicuri, protetti, tranquilli.
La solitudine fa paura, perché viene paragonata alla morte. E lo è, in parte. Ma è la morte di una personalità che nella folla è cresciuta e nella folla si è identificata per quasi tutta l'esistenza.
Quando la folla di cui ci siamo circondati non c'è più, siamo costretti a porci delle domande alle quali temiamo di non sapere rispondere.
Nella comunità noi abbiamo un nome e un cognome, un titolo di studio, un ruolo sociale, un potere diretto o indiretto che, nella moltitudine, ci colloca, ci identifica. Ma da soli tutto questo non c'è più. E la consapevolezza della nostra vera natura prende il sopravvento. Siamo costretti a guardarci in faccia per quello che realmente siamo.
Improvvisamente ci sentiamo svuotati di tutto ciò che abbiamo rappresentato, dei vestiti che abbiamo indossato in quella comunità che ci ha protetto, ci sentiamo il nulla, nudi. E non riusciamo ad accettare questa condizione che ci pone davanti a noi stessi.
Ecco dove nasce la paura.
Per imparare ad accettare se stessi è necessario avere la consapevolezza che la solitudine è una condizione umana imprescindibile, costante, che deve essere non solo accettata, ma amata e rispettata. Serve coraggio, sicuramente, ma se si ama la vita questo coraggio arriva, ed aiuta a comprendere che noi siamo quello che siamo, anche se ci mascheriamo, che possiamo relazionarci col prossimo senza la necessità di dover fingere di essere qualcos'altro, senza travestimenti, senza elemosinare un ruolo, uno qualsiasi, che ci faccia eludere la vista da noi stessi, dall'essenza del nostro essere.

 
 
 

Chi ha paura delle Donne?

Post n°17 pubblicato il 19 Settembre 2014 da dagbog
 
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Perché nel mondo, a partire dall'Islam, e non mi riferisco all'Islam sano, moderato, ma a quello che fa della violenza l'unico modo di relazionarsi con il prossimo, c'è questo accanimento verso le donne? Cos'è questo massacro, questa barbarie che porta alcuni uomini ad ucciderle dopo averle violentate ed a volte torturate? Perché questa crudeltà? Cosa temono?
Chi ha paura delle donne ha dei problemi sessuali. Lo penso da sempre. Ed ora lo dico, anzi, lo scrivo.
La paura degli uomini ha radici inconsapevoli e ancestrali nella paura del sesso. Ciò che non si può avere, amare, acquisire con la tenerezza, con la gioia, viene barbaramente distrutto.
Gli uomini sanno che la donna è la loro unica ragione di vita, la fonte di ogni loro debolezza, la causa di frustrazioni improvvise, la nemesi di follie incontrollabili. Gli uomini sanno che la donna è forte, che genera la vita e può dispensare piacere, uno dei pochi piaceri immune dai conflitti sociali e dalle differenze di classe.
Tutto questo è potere. Un potere che alcuni uomini non riescono a tollerare.
Ogni fede ha messo ai margini la donna diffidando di questa sua potenza.
Gli uomini che si accaniscono contro le donne odiano per questo il sesso femminile e per questo si trasformano, svuotandosi della loro umanità, per colmare la propria anima di crudeltà. Per arginare ciò che temono, che vorrebbero avere, ma che non riescono ad ottenere, al di fuori della violenza.
Le donne di tutto il mondo resistono. Lo fanno come possono. Lottando con fatica per ottenere il riconoscimento dovuto, l'assegnazione di posti chiave nella lotta contro l'oscurantismo, la censura, la stupidità.
Non esiste vera democrazia, giusta religione, equa società civile, se non c'è la disponibilità a dare alle donne gli stessi diritti riconosciuti agli uomini. La strada da percorrere è solamente questa.

 
 
 

L'Amore arriva quando si smette di chiedere Amore

Post n°16 pubblicato il 18 Settembre 2014 da dagbog
 
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Ho incontrato molte persone che hanno fatto la scelta di trincerarsi nel proprio mondo, abbracciando la solitudine, per eludere il dolore. Non è forse anche quello dolore?
Quando si incontrano due solitudini, quando si fondono due anime isolate dal mondo, la necessità di cercare l'altro è bisogno, una necessità che porta a cercare e non a dare. Il desiderio di trovare nell'altro una risorsa per cancellare la tristezza e la malinconia. Si mendica amore.
E' normale. Siamo animali sociali, nati per relazionarci, fragili e pieni di paura.
Ma la solitudine, l'essere soli, perché da soli si nasce e si muore, è una condizione intrinseca della natura umana.
La gioia di cercare l'altro deve quindi scaturire dalla volontà di donare e non di avere. La solitudine dalla quale si proviene dovrebbe essere colma di ricchezza anziché del vuoto interiore. E quando si guarda l'altro, quando si osserva ciò che ci piace, non ha nessuno scopo fermarsi alla superficie dell'essere.
"Mi sono innamorata dei suoi occhi". E a cosa servono gli occhi di una persona? Dopo un po' di tempo non li guardi più, finisci per non accorgertene. E' come acquistare un'auto per il suo colore senza neppure chiedersi se dentro il cofano esista un motore. Questo è quello che facciamo.
E quando si scopre che la realtà interiore della persona che credevamo di amare è quella di un mendicante che chiede anziché di colui che è capace di dare ci sentiamo arrabbiati, ingannati, vittime di un imbroglio.
Ci si rende conto che la solitudine che avevamo creduto di aver lasciato alle nostre spalle si è moltiplicata, è raddoppiata, e ci si chiude al mondo elevando muri insormontabili, continuando a frequentare i propri simili per obblighi sociali, ma indossando una maschera che nasconda alla vista ciò che siamo, quello che abbiamo patito. Giuriamo a noi stessi che mai più cambieremo nulla di ciò che è.
La paura di amare è paura di soffrire. Perché l'Amore è estasi, ma è anche trasformazione, cambiamento. Ed ogni mutazione può generare sofferenza perché implica modificare una parte di sé, quelle abitudini che spesso non sopportiamo, ma sulle quali ci adagiamo. E' molto più rassicurante stare chiusi nel ventre protettivo di una stanza sicura, che uscire incontro al nuovo, a ciò che è sconosciuto, a quel mare inesplorato, imprevedibile, che incuriosisce, ma mette paura.
Serve abbandonare la corazza con la quale mascheriamo la nostra vulnerabilità e affrontare il pericolo, un cielo aperto, vasto, sconfinato. Serve capire cosa c'è oltre la superficie dell'essere. Ma per fare questo bisogna rischiare. L'alba può arrivare solo dopo il buio della notte.

 
 
 

Quando il sentimento apre le porte alla morte

Post n°15 pubblicato il 17 Settembre 2014 da dagbog
 
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Ti ho amata come non avevo mai amato nessun'altra ragazza. Tu mi chiedevi se fosse vero. Ed io ti dicevo di si, perché era vero. Mi sono annullato. Tu per me eri tutto: l'alba, il giorno, la sera, la notte. Il mio primo pensiero appena sveglio era per te e così l'ultimo, prima di sparire nel sonno. Perché non mi hai amata come ti ho amato io? Perché? Ti avevo offerto tutto quello che avevo, ed anche quello che non avevo. Avevamo fatto progetti ipotizzando un futuro insieme, un futuro nel quale credevi, o almeno così dicevi. E quando mi guardavi negli occhi, e mi dicevi "ti amo", e ti venivano giù le lacrime, io ti credevo. Perché nessuno al mondo mi aveva mai fatto provare nulla di simile.
Mi sentivo un idiota a stare delle ore seduto ad aspettarti, vicino a dove stavi, solo per il piacere di saperti a pochi metri da me. E, quando te ne sei accorta, mi hai rimproverato di volerti sorvegliare. Ma non era così, Il mio amore era "totale". Io sarei voluto stare sempre con te. Sempre e per sempre. Ma tu non volevi, anche se dicevi di amarmi, e mi accusavi di toglierti il fiato. Di annullare la tua indipendenza, la tua libertà. Ed io? Io che avevo annullato me stesso, frantumando la stessa libertà che tu rivendicavi? Io, cosa sono mai stato per te?

Pietro ed Alessandra sono morti ieri. Lui l'ha afferrata e l'ha trascinata con sé dall'ottavo piano. Un terrazzo senza parapetto ed un salto nell'eternità. Insieme. Per sempre. Come Alessandra aveva negato.
E' stato facile uccidersi ed uccidere la donna più importante della sua giovane vita: 20 anni appena, mentre Alessandra ne aveva uno di meno.
Due ragazzi formati al liceo, appartenenti a famiglie perbene della provincia di Milano. Un gesto motivato da una lucida follia. Nella lettera rinvenuta nella sua stanza ha scritto di avere "perso la propria anima". E dopo avere salutato tutti i parenti, trovando una parola per ciascuno, ha continuato: "il mio amore totale e disarmante si era trasformato in affetto quando ci siamo lasciati (Pietro scrive "ci", ma era stata Alessandra a lasciarlo) per poi diventare risentimento nell'ultima settimana. Un odio così forte da essere felice di sacrificare la mia vita per far provare a lei la vera tristezza. (...) Purtroppo quel momento è giunto, come il sonno, lentamente e sempre più profondamente. Mi stupisce che dopo un po' ci si abitui a tutto, a tutto tranne che al dolore, che merita di essere vissuto, ma quando arriva a mangiarti vivo, tanto da rendere decisamente insapore qualsiasi esperienza... (...) Lascio un piccolo consiglio finale, si lo so che fa impressione, ma penso sarà utile sia alle future vittime che ai futuri carnefici: dubitate di quelli che ridono sempre e a volte non possono semplicemente fare altrimenti e nel frattempo perdono l'anima".
Qualche giorno prima Pietro era salito sullo stesso cornicione, ma da solo. Era stato salvato dai vigili del fuoco prima che si buttasse. Ma Alessandra aveva continuato a non volerne sapere di lui. Poi, la richiesta di quell'incontro, per un ultimo chiarimento.
L'ultimo chiarimento, come è stato chiamato da Pietro, è stato un tranello dal quale Alessandra si sarebbe potuta salvare se solo avesse saputo in che stato lui era ridotto.

Non c'è nessuno che chiede che l'Amore sia vissuto annullando se stessi, ma questo non significa niente. La cosa può avvenire spontaneamente, perché si è fragili, perché si è disperati, perché nella persona che si ama si riscontra l'unico appiglio, l'ancora di salvezza nel mare agitato di un mondo che si ritiene estraneo, insoddisfacente, troppo egoista per stare al passo con la sensibilità dei più deboli.
C'è sempre uno sbaglio nell'Amore che si lega a relazioni complesse, articolate, in cui si mescolano storie diverse, pensieri e sentimenti differenti. E lo sbaglio è nel pretendere che la persona amata diventi come si desidera, come uno specchio da possedere, nel quale potersi riflettere, compiacendosi.
Questo non è Amore, ma si crede che lo sia, perché è comunque capace di dare sensazioni non ripetibili altrove.
Tentare il suicidio per trattenere a sé la persona amata non è un rimedio, come non lo è annullarsi, per diventare ciò che l'altro desidera. L'Amore è fluido. E noi cerchiamo di trasformarlo in qualcosa di solido, in una pietra che duri in eterno. Salvarsi dall'Amore è capire che tutto passa, che tutto si trasforma, anche coloro che abbiamo amato più di noi stessi. E che, se solo vogliamo, possiamo continuare ad amare pure se ci hanno fatto soffrire, pure se lontani, pure se i loro cuori non battono più per noi.
L'Amore è abbandonarsi alla vita, accettare volontà diverse dalla nostra. E' capire gli altri come capiamo noi stessi. Con l'identica clemenza.

Nota a margine: le frasi iniziali non sono state scritte da Pietro ad Alessandra, mentre sono reali quelle tra virgolette.

 
 
 

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