DanyLove

Ho creato questo blog dopo che mi sono laureato per dar la possibilità a tutti, chi vuole, di potermi inviare del materiale, e di pubblicarlo nel blog, esaltando i problemi della gioventù e non solo. Ho creato diversi tag su cui potete scrivere e pubblicare il vostro pensiero.L'indirizzo email è danygiorgio@virgilio.it

 

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Post N° 24

Post n°24 pubblicato il 10 Gennaio 2007 da doctodany

Gli schiavi moderni/5

fucecchiIT.jpg
Vignetta di Emanuele Fucecchi


Ho l’impressione che i politici vivano in un mondo a parte, lontano dai
cittadini. E che si cibino di intenzioni di voto, di tendenze
elettorali, di poltrone e poltroncine. Ma anche una sedia a dondolo gli
può bastare. L’unica realtà che conoscono è la loro e il cittadino è
sempre suddito. Nessuno ha chiesto truppe
in Libano, indulto, aumento della clandestinità e bavaglio alle
intercettazioni. Se Prodi si fosse presentato con un programma del
genere, l’originale avrebbe preso il 90% dei voti.
La legge Biagi è uno scandalo, perchè il Governo non ci ha messo mano nei primi 100 giorni? I ragazzi italiani valgono meno dei delinquenti? Che spettacolo: importiamo schiavi e li creiamo contemporaneamente a casa nostra.


Pubblico un’analisi degli effetti della legge Biagi di Roberto Leombruni di LABOR e di Mauro Gallegati della Facoltà di Economia di Ancona.


Caro Grillo,
quello che è successo all’Atesia, cui l’Ispettorato del lavoro ha imposto di assumere a tempo indeterminato 3200 collaboratori “a progetto”
(le virgolette sono s’obbligo, perché il “progetto” era quello di
rispondere ai telefoni di un call center), dimostra quanto sia urgente
tornare su un contratto di lavoro – il contratto di collaborazione
coordinata e continuativa – che è talmente precario che quando hai
finito di dire come di chiama è già finito. A meno che non intervenga
un giudice, appunto. Bene, dato che Prodi ha affermato più
volte che la lotta al precariato è una priorità del suo governo,
sarebbe una buona idea aiutare i giudici e riformare radicalmente un
contratto che negli ultimi dieci anni ha tenuto milioni di giovani ai
margini del mercato del lavoro – posizione dalla quale è stato più
agevole un loro pacato sfruttamento.
Quanti sono veramente i
collaboratori? Sì, sono milioni. Era da dieci anni che aspettavamo
stime affidabili. Basti dire che l’Istat – forse pensando fossero pochi
– ha atteso il 2004 prima di introdurre una domanda ad hoc nelle sue
indagini, e dalle prime stime sembrava non fossero poi molti (se
400.000 vi sembran pochi). Pochi giorni fa però l’Inps ha finalmente
pubblicato il suo osservatorio basato su dati reali, e ora sappiamo la
verità: i collaboratori, solo nel 2004, erano quasi il triplo, erano più di un milione.
Non stiamo parlando dei soli collaboratori, tenendo quindi fuori i
professionisti, che di solito vengono considerati tra i salvati (ma su
questo vedi più sotto, alla voce “apri la partita IVA o ti licenzio”).
E anche considerando solo le persone per le quali la collaborazione è
l’unica forma di lavoro, e hanno un contratto con un solo committente –
categoria di solito identificata come la più debole – sempre al 2004 se
ne contavano 840.000.
Perché sono da cambiare.
Per tanti motivi,
che vengono fuori da tante storie che si leggono anche in questo blog.
Ma il vero problema è che son nate male. Prima del ’96 l’unico modo
regolare per prendere un lavoratore per un periodo breve era quella di
assumerlo con un tempo determinato, pagando contributi sociali di circa
il 33%, e – come in tutto il mondo civile, da un secolo a questa parte
pagandogli ferie, tredicesima e liquidazione.
Esisteva però una prassi molto vicina al lavoro nero, che era quella di
proporre un contratto di prestazione d’opera occasionale “e poi magari
vediamo”, evitando così di pagare contributi e tutto il resto. Nel ’96
però nasce la famigerata formula della “collaborazione coordinata e
continuativa”, che se ha regalato un 10% di contributi a quei
lavoratori quasi in nero, di fatto ha finito per legalizzare la prassi
di mascherare dei rapporti di lavoro dipendente sotto una etichetta
ancora più innocente della prestazione occasionale. In assenza di controlli efficaci non
c’è voluto molto perché si cominciassero a utilizzare le collaborazioni
anche nei call center (l’equivalente moderno della catena di montaggio)
e per lavori di durata di anni. Chi ne ha voluto approfittare si è
garantito una forma di lavoro a costi stracciati – rispetto al lavoro dipendente il risparmio era di circa il 40%,
meglio di un tre per due al supermercato – e una generazione di
lavoratori si è trovata a lavorare per anni senza quasi mettere da
parte nulla per la propria pensione, e con un livello di tutele da Inghilterra dei tempi della rivoluzione industriale.
Basti pensare che solo nel 2000 è arrivata la copertura per gli
infortuni e le malattie professionali. Del diritto di sciopero
ovviamente ancora niente.
Perché la riforma Biagi ha peggiorato le cose.
Per
la verità una riforma c’è appena stata, con la legge Biagi, ma a parte
cambiare il nome in un “cocoprò” dal suono appena meno avicolo è stata
una riforma per molti versi peggiorativa. Le intenzioni erano di
limitare l’utilizzo improprio delle collaborazioni, e per far questo la
legge richiede una forma scritta al contratto (prima non era
necessaria, anche all’invenzione della scrittura ci abbiamo messo un
po’ ad arrivarci), e che si identifichi uno specifico progetto. Se non si può identificare un progetto l’impresa può essere obbligata ad assumere il
lavoratore con un contratto di lavoro dipendente. È questa la clausola
che è stata applicata per Atesia (come è stato osservato, è poco
credibile che più di tremila lavoratori di un call center abbiano
ciascuno il proprio progettino specifico da svolgere).
Peccato che
la stessa legge stabilisca (art. 69) che il controllo del giudice “non
può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e
scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al
committente”. E che con la circolare 1/2004 Maroni, come ulteriore
liberalità, abbia precisato che una cocoprò può essere rinnovata quante volte vi pare.
Come
dire, basta far la fatica di scrivere una volta all’anno un progetto ah
hoc e si può tenere un dipendente a vita come collaboratore.

Nei fatti, la Biagi ha provocato una reazione quasi schizofrenica da
parte delle imprese. In molti casi, le vecchie cococò sono state
semplicemente trasformate in cocoprò. Altri, temendo la clausola citata
sopra, hanno reagito con l’arma del ricatto. Lo dimostra una ricerca
dell’IRES, condotta su un campione di persone che hanno aperto una partita IVA tra il 2003 e il 2004, dalla quale è venuto fuori come nel 50% dei casi questi l’hanno aperta perché gli è stato chiesto dal datore di lavoro,
pena il non rinnovo del contratto. Peccato che il 40% di loro abbiano
un unico committente (l’80% contando i rapporti quasi esclusivi), e
continuino a essere a tutti gli effetti in quella categoria dei
“collaboratori puri” che si diceva”.

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