FRATTAGLIE

..utopiche elucubrazioni di una mente istintiva

 

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Elucubrazione di alchimia, cucina e sensiby LaStregaFelice

Post n°80 pubblicato il 27 Gennaio 2008 da LaStregaFelice
 

Sono sempre stata attratta dai colori in generale e, in particolare, da quelli che si sviluppano durante le alchimie culinarie. Il colore giallo dorato, che richiama persino il calore del sole, ha sempre stimolato i mie sensi e non capii questa attrazione fin quando mia nonna Giselle mi spiegò, che tra i mie avi, c’era stata anche la ninfa Smilace.

Qualche cosa non mi tornò allora, dato che, per quel poco che i miei studi mi avevano insegnato, il nome di ninfa sarebbe dovuto derivare dal termine latino “nubere”, ossia prendere marito, che per quel che potevo saperne,  indicava appunto, una fanciulla vergine. Invecchiando, mi resi conto di altre cose e di come l’apparente nubilato non necessariamente comporti anche l’assenza di una prole e della relativa discendenza.

Comunque sia, la mia ava Smilace, come le sue colleghe ninfe (ben diverse dalle attuali ninfette) era una semplice mortale se non per l’aspetto, molto più simile a quello di  una dea, e per essere destinata a vivere una vita estremamente lunga.

Un giorno, accanto al bosco ove la ninfa viveva, passò un uomo, un tale Crocus, che, vedendola, rimase folgorato dalla sua avvenenza e se ne invaghì. Certo il tipo non era una meraviglia della natura, leggermente incurvato, una evidente tendenza alla calvizie, un ventre non proprio teso, aveva tuttavia quel bel sorriso messo in evidenza da un grazioso pizzetto brizzolato e Smilace, che era davvero aggraziata come una fata, si innamorò di lui e lo ricambiò teneramente.

Peccato che la ninfa fosse la favorita del dio Ermes. Voi capite, a nessun uomo piace essere cornuto, ma ad un dio…a quando egli si accorse che i due qualche cosa dovevano pur aver combinato (e questo spiega anche la prole che ne discese), trasformò il povero giovane in un bulbo e  Smilace nella pianta sempreverde del tasso.

Ora il bulbo altro non era che quello da cui si origina un bellissimo fiore i cui pistilli, bene prezioso, consentono grandi alchimie in cucina, ossia quello dello zafferano.

Libri e testimonianze affermano che fu proprio il  bel colore dei pistilli a colpire la fantasia dei nostri antenati:  vesti e  veli,  come  testimonia  lo  scrittore latino Ovidio nell’Arte  di Amare, erano  tinti  color  zafferano  e  molti  cosmetici  e  medicinali  si ottenevano dal fiore prezioso.

Ma quello che vorrei raccontarvi oggi è come le magiche alchimie culinarie vengano alla luce per gioco e per sorriso, e per farlo utilizzerò un’altra storia.


Era il settembre del 1574


I lavori per la fabbrica del Duomo erano cominciati ormai da quasi duecento anni ed alle spalle della cattedrale nascente era nata una variopinta comunità,  una città a tutti gli effetti, costituita da portici e ricoveri nei quali vivevano falegnami, marmisti, scultori, carpentieri e vetrai  giunti da tutta Europa.


Valerio di Fiandra, maestro vetraio di origine belga, era stato incaricato di portare a termine alcune vetrate, e, per ottemperare a tale gravoso compito, aveva portato con sè i migliori tra i  suoi aiutanti, uno dei quali spiccava per la sua particolare abilità e destrezza.

Il segreto del giovane consisteva nella straordinaria dote di saper miscelare e dosare i colori, ottenendo risultati sorprendenti e, per ottenere questo effetto, egli era uso aggiungere un pizzico di zafferano all'impasto per il vetro tanto che, proprio a causa di questa sua abitudine, era stato soprannominato "Zafferano" e così, ancora oggi, è ricordato.


Tutti canzonavano il ragazzo per questa sua abitudine, sostenendo che non fosse quello il motivo delle tonalità ottenute, ma un semplice gesto scaramantico.

Arrivò il giorno in cui la figlia del suo maestro decise di sposarsi ed il giovane Zafferano decise di restituire con una burla tutti gli sberleffi che Valerio ed i suoi amici gli avevano fatto in quegli anni. Non ci volle molto a corrompere il cuoco... e…ecco che la polvere gialla, per una volta, finì nel risotto invece che nell’impasto per il vetro.

Lo stupore dei commensali durò solo fin quando le piccole molecole aromatiche non giunsero alle loro avide nari e fin che i loro occhi non furono catturati da quel colore dorato ed irresistibile.

Certo, lo scherzo giullaresco di Zafferano non ebbe l’esito anelato, in compenso, però nacque il risotto alla milanese.

 
Rispondi al commento:
sinemoiaquai
sinemoiaquai il 07/02/08 alle 13:23 via WEB
bisogna saperlo fare il risotto alla milanese, eh? altrimenti anche lo zafferano riamane un colore e basta anziché un condimento di una squisita pietanza! ;) ciao allieva e anche te, strega felice, credevo foste una persona sola. Allieva a te un saluto particolare, qui non scrivi etichette no, e ti leggiamo;)
 
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