FRATTAGLIE

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Elucubrazione su "i maschi e le femmine"

Post n°81 pubblicato il 10 Febbraio 2008 da allievadelgabbiano
 

Avremo avuto credo sette, o al massimo otto anni io ed A, mio fratello gemello. A quell’epoca eravamo ancora una cosa sola, dove andava uno andava l’altro, quello che faceva lui lo facevo io, e viceversa. Una sinergia costruttiva, direi.

Non siamo mai stati particolarmente timidi nei confronti dei nostri coetanei, forse perché questo essere due, diversi, ma in stretta simbiosi, ci faceva in un certo senso sentire più forti. Lui era piccino, esile, capelli scuri, carnagione olivastra, due enormi occhi nocciola che ti guardavano con curiosità e divertimento. Io più rotondetta, e all’epoca molto più alta,  con gli occhi verdi un po’ più insicuri dei suoi, con il viso da bambolotto incorniciato dai capelli biondi, ingannavo forse un po’ con il mio aspetto dando l’impressione di essere più debole di quanto fossi in realtà.

E poi non mi serviva, allora, essere molto forte. C’era lui a difendermi, era il mio cavaliere! Ricordo, quando all’asilo le maestre insistevano a dividere i maschi dalle femmine con delle panchine poste trasversalmente in palestra: e lui, come un marine, varcava questi blocchi mai sufficientemente presidiati per venire da me, che lo accoglievo con la gioia di chi ha ritrovato una parte di sé che qualcuno insisteva a non capire fosse impossibile allontanare.

Frequentavamo le elementari presso un collegio di suore. I miei genitori avevano fatto questa scelta nell’intento, credo, di garantirci una migliore preparazione rispetto a quella che avremmo potuto ricevere nella scuola del nostro paese: mio padre, di formazione cattolica, forse credeva di più anche nel fatto potessimo ricevere una buona educazione religiosa, mentre la mamma, di famiglia socialista, forse aveva dato maggiore importanza al fatto che quello fosse allora l’unico istituto che faceva l’orario continuato, tenendo i bimbi fino alle 16, e per  lei, che lavorava insieme a papà, era forse più facile gestire contemporaneamente l’attività e le sue quattro agitatissime creature.

Quel giorno, durante la ricreazione, i bambini, mio fratello compreso, decisero di fare una gara di sputi. Io, ovviamente, facevo parte della squadra. Stranamente nessun bambino si lamentava mai del fatto che io non fossi “uno di loro”: ero con A. e questo bastava per essere inserita in tutti i giochi che lui faceva e nella cerchia delle sue amicizie, con lo stesso senso di appartenenza. Ovviamente valeva il contrario e nessuna delle mie amiche si era mai lamentata se A. giocava con noi ad elastico o aveva trovato strano se provava con me a ricamare gli imparaticci a punto croce che le suore ci davano per “diventare delle brave donnine di casa”. Era come se tutti gli individui al di sotto dei dieci anni ci vedessero davvero come un essere unico ed interscambiabile, senza minimamente stupirsi di questa nostra interazione.

La gara di sputi si svolgeva in giardino, su un piccolo pianoro rialzato dove c’era una piccola grotta con la madonna di Lourdes. No! Dai…forse non eravamo molto eleganti, ma rispettosi si, non si sputava verso la madonnina, ci mancherebbe: era tanto bellina e sorrideva sempre, non ci dava l’impressione stessimo facendo una brutta cosa, anzi, ci sembrava divertita. Spalle alla grotta, si sputava a turno, e si segnava con un pezzetto di carta la lunghezza del lancio. Vinceva chi riusciva a fare i due tiri più lunghi.

Arrivò suor Zita…non per difendermi eh…ma dovevate vederla…di tutte le suore che ci piacevano proprio lei doveva “beccarci”: ora che sono grande posso dire che, probabilmente, quella donna aveva dei seri problemi personali ed una chiara tendenza all’isterismo ma allora  tutti la vedevamo solo come un cerbero da cui stare il più possibile lontani.

Scandalo! Una gara di sputi! Davanti alla madonnina! Tutti in classe, di corsa e oggi niente merenda…ma tu (lo disse con disgusto, ma mi sembrò allora anche...come...uno sputo)! Tu meriti una punizione molto più severa perché sei una bambina  e le bambine non devono fare queste cose, non diventerai mai una brava signorina, nessuno ti vorrà mai sposare da grande perché ti comporti come un maschiaccio. Due settimane senza ricreazione, in classe, a scrivere “sono una signorina” sulla lavagna. “Se lei sta in classe ci sto pure io”, disse A. prendendosi in cambio una tirata di orecchie e per risposta un “ lo decido io che cosa fai tu, vai con i tuoi compagni”.

Tornare a casa quella sera fu faticoso…entrambi sapevamo di avere fatto un gioco che non avrebbe reso orgogliosi i nostri genitori e già questo bastava per farci sentire sufficientemente in colpa. Parlammo con loro, l’abbiamo sempre fatto, per fortuna, raccontando l’accaduto per filo e per segno, e ci prendemmo la nostra bella sgridata e la giusta predica sul fatto che loro cercavano di educarci al meglio e di riflettere se, con tutti i giochi da fare, quello fosse proprio indispensabile ed opportuno. Non ci punirono, ma vi assicuro che i loro rimproveri e, soprattutto, gli sguardi che li accompagnavano, erano molto più convincenti di qualsiasi punizione avrebbero potuto infliggerci.

La mattina seguente, stranamente, ci accompagnò a scuola mio padre e prima di entrare in classe andammo tutti e tre dalla Superiora (che razza di nome!) un donnone enorme che stava rintanata in un buio ufficio quasi tutto il giorno. Ci sedemmo e sentii mio padre dire delle parole che mi resero infinitamente orgogliosa di lui e che non ho mai più dimenticato.

“Madre, io le ho affidato la formazione dei mie figli. Non sono un maschio ed una femmina. Sono due persone. Se sbagliano lo fanno come individui, ed è giusto che siano puniti, ma entrambi, e nello stesso modo. Io e mia moglie cerchiamo di farli crescere rispettosi degli altri e delle regole, ma uguali, non sono diversi perché di sesso diverso, sono diversi solo per le loro particolari peculiarità che li rendono individui.  Spero davvero di non dover  più tornare da lei perché sono stati trattati in modo diverso. Se devo pensare che è questa l’educazione che riceveranno qui non potrò fare altro che trovare un altro istituto che mi dia maggiori garanzie.”

Lo vidi proprio come un essere luminoso, in quel momento, grande ed invincibile: uscendo dal buio ufficio mi sembrò di camminare due centimetri sopra la terra.

 
Rispondi al commento:
allievadelgabbiano
allievadelgabbiano il 11/02/08 alle 16:48 via WEB
Ciao angi, non credo dipendesse solo dal fatto che si trattava di una scuola cattolica, comunque dopo quel giorno, (fatta eccezione per la recita di Natale in cui mio fratello faceva la parte di Gesù e io no...)non sono più stata trattata in modo diverso da A. Grazie per la pazienza. Mi sono accorta anche io che è il post è un po' lungo. Un sorriso a te!
 
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