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Se spara grosso su certa politica e finanza

Post n°74 pubblicato il 19 Gennaio 2014 da locurtogiovanni

 

Ar circolo dei cacciatori de Tiburtino terzo

Vedessivo che sà fà un picchio de vino se je pija
specie se vonno stà a discute er Caciotta cor Bucia
-Dunque, Caciò, me dicevi ch’er poro sor Teodoro
t’è apparso in sogno, pè facce stà più ner decoro-

-Er nostro bon filosofo; me s'è messo a inciaccottà
de sta crisi ch'è tracimata e su quer che s’ha da fà.
Cià tenuto a dì che i problemi de 'sta crisi, sò dovuti
a tutte l’espropriazzioni rifilateci da politici bizzuti;

posizionati a destra, ar centro, ovverossia a sinistra,
così ripartiti, cor fine primo dè fregasse la minestra;
poi, concrudenno, m'ha detto, ch'oramai nun ne po' più
de vedè l'Itajani che stann'à precipità sempre più giù;

coi voti in bianco regalati ne le legislature già trascorze,
'ndove tanti, se sò riempiti ben le panze e pur le borze;
prendenno nun solo pè li fondelli la nostra democrazia
ma spojanno partecipazioni statali e portassele poi via.

-Che dici, a Buscì, l'Itaja è la culla de la democrazia;
c'è la Magistratura che stà a controllà chiunque siasia.
Da ch'è monno, la vera sarvaguardia nostra è la legge;
e se uno je manca de rispetto, la pena je se infrigge-.

-Aridaje, o sai che stai a dì? Pijeno 'n poro disgraziato,
che avenno fame arubba drento a un supermercato
e lasciano invece indenni, libberi e senza daje corpa,
chi stà in politica, co 'na sola prospettiva, vò la porpa.

Bella la legge! Hai guardato le settecentomila norme
ch’esisteno senza applicalle? Caro mio, qui se dorme!-
-Nun po’ esse vero! Ciavevamio er ministro tajaleggi;
lui ha rimesso a posto tutto! dà rett’a me, vaneggi!.

Er Parlamento poi, lì, fa pienamente er suo dovere,
nun se fa esproprià da chicchessia, der suo potere
Le leggi, le propone e dispone; quest'é un suo diritto,
che su la nostra Costituzione è stato detto e scritto-.

-Ordine, Buscì! Parlamio dell'ex ministro Calderoli!
Nun se vede e nun se sente, se stesse a fa i bagnoli?
Nun vorei che ner monno lui fosse solo aricordato,
come chi i porci, ha fatto urinà pè sopr'un prato!

O forse è pè 'na legge elettorale chiamata “porcata”?
Calderò, ce lo racconti tu, perchè te la sei inventata?
Pe me, nun è che sei stato un taja leggi pè davvero;
mò, stamio peggio de prima; e dimme che nun è vero.

Que le leggi; è pè dì che l’ha vorzute er popolo sovrano;
loro se sò parati pè quer che se passeno de sottomano!
Quer seme de Caino; che t’ha armato 'sto gran casino,
sà annisconne molto ben er dito, come sà fa er burino.

Lui cò carma, dopo avè defecato, er de dietro se pulisce
e cor dito, sur muro o sur prato, se mette a fà le strisce;
pè sfregio; come le legg'infami, se sà, quer che sortiranno,
scritte cò la cacca, è già da 'n po' che i danni ce li fanno.

Er bon filosofo, poi, vòle che passamio ar punto seconno,
dato che le cose de legge ben le conosceva fino in fonno.
M’ha detto: -Dì a Renzi ch'er Parlamento nun dispone,
 ma stà a dì sempre sì ar Governo, che le fa e le impone-

-Me canzoni! Sta cosa m’è propio passata de straforo!-
- Ah sì?, Buscì? E allora vedi ‘n pò de pijattela cò loro.
A Renzi, ma più à la politica, Teo, manna 'sto messaggio
rispettassero la democrazia, Renzi nun facess'er gaggio.

Gnente compromessi coi delinquenti, solo giuste leggi;
er popolo riconoscerà l'onestà confermannoje li seggi.
Sinnò Caro Renzi, pè te sarà propio brutta e muffa,
perchè 'ndove te sei piazzato nun s’entra mica a uffa.

Tutti quei politici, che mici mici e senza perde fiato,
er nostro Parlamento hanno impestato o espropriato,
se pijano la sbobba e credeno che mettennoce la colla,
da la portrona, gnisuno più li caccia oppur li scrolla.

E infine, i beni dello Stato, gnisuno li po' toccà o venne
e chiunque vò fallo cò la legge, può rimettece le penne.
Er popolo è sovrano; nò certi cosiddetti rappresentanti,
lassassero perde 'ste cose, c'è er gabbio pè i lestofanti.

Voi che fate bubù e bobò, nun se sà bene se assatanati,
mejo sarebbe se annassivo all'aventino belli preparati;
come li nostr'antichi padri, quann'escirno dar Senato,
 pè difenne i veri diritti , anche se mò se sò ammosciati!

A voi che volete fà der nostro popolo i rappresentanti,
siate tuttorecchi; e restate ben lontani dai lestofanti.
Date quarche grido d’allarme ar popolo democratico,
che de sicuro reagirà a sto schifo e sarà puro pratico.

Intanto, tutti lo sanno che drento e fora Reggina Celi,
c'è chi vole riformà la Giustizia mettennoce tanti veli;
e che assieme alli politici che se dichiarano innocenti,
a quelli che la vonno difenne, li chiamano delinquenti.
 
 
 

Ho scritto un poema, ma quanto è difficile editarlo

Post n°73 pubblicato il 19 Ottobre 2013 da locurtogiovanni
 

Crisi dell'editoria? Ma quando mai

 

Ho inserito in vari siti le mie poesie sociali, di politica economica, culturali ed etiche, affrontando le problematiche di tutti i giorni" senza alcun scopo commerciale.

Nel contempo, mi sono dedicato alla stesura del poema "per voi ho visto l'aldilà"; opera redatta in poco più di 4000 versi, che tratta un argomento che nessuno, dopo Dante ha più affrontato: un viaggio nell'aldilà; in ciò guidato dalla mia fede cristiana.

Ho proposto la mia opera ad alcune case editrici per una eventuale pubblicazione, anche in e-book, previa definizione dei miei diritti d'autore e se da un lato si sono complimentate con il sottoscritto, dall'altro mi hanno richiesto una seppur esigua somma ancorchè camuffata con la dicitura acquisti di esemplari a parziale copertura di spese editoriali, e pretendendo una fetta esorbitante dei miei diritti d'autore.

Personalmente, non ho mai editato un libro, ad eccezione di lavori eseguiti per il ministero dell'Economia che li ha editati, per la stesura del mio poema ho impiegato oltre sei anni, e questo mi fa presumere, che non debba passare sotto le forche caudine del noviziato, da parte di nessuna casa editrice.

Intanto non demordo e continuo a cercare;

che Dio me la mandi buona

Lo scritto che segue l'ho estratto dal menabò del mio poema”:

PRESENTAZIONE

La storia di ogni persona è segnata dal progetto che il Creatore ha per ogni sua creatura; sarà poi ciascuno a cercare nella volontà di Dio il percorso da fare.

Giovanni Lo Curto , fin da piccolo, ha sentito su di sé la mano del Signore e la protezione paterna di un papa, Giovanni XXIII.

Iniziò tutto quando partecipò ad un concorso di religione indetto dal Vaticano per tutti gli studenti delle scuole medie di primo grado di Roma.

Giovanni, che frequentava la scuola media Giosuè Borsi vinse il terzo premio che consisteva in una foto ritratto del Papa Buono, un diploma di partecipazione ed un assegno che la famiglia donò alla parrocchia Santa Maria del Soccorso.

L'adolescente Giovanni si soffermava spesso davanti al ritratto del papa e in cuor suo nacque la devozione per il beato.

Un giorno egli si trovava a Bagni di Tivoli con la famiglia e si accingeva a fare il bagno in una di quelle vasche naturali, quando entrò in un gorgo che lo inghiottì. Il terrore lo invase. Non ebbe neppure la forza di urlare. Penso al Papa Buono...e immediatamente si sentì acciuffare per i capelli. Un uomo lo aveva liberato dal laccio mortale; e lui vi riconobbe l'intervento benevolo di Papa Giovanni XXIII. Una dozzina di anni dopo ci fu un altro episodio in quel di Chivasso che rivelò a Giovanni la mano provvidenziale del Signore nei suoi confronti; come in un altro episodio ancora, avvenuto il 15 Gennaio 2013. In ambedue gli accadimenti, Giovanni pregò l'intercessione del Santo Padre con fiducia, che benevolmente aveva accolto le sue preghiere.

Questi ultimi due episodi sono riportati, con dovizia di particolari nel poema.

La domanda sorge spontanea. Perchè questi interventi della Provvidenza divina nella vita di Giovanni? La risposta può sostanziarsi nell'opera che il poeta ha scritto per tutti noi.

Gli amici, in occasione di compleanni o ricorrenze, chiedevano al giovane Giovanni di scrivere loro un acrostico.

Iniziò così il suo interesse per il poetare. Da allora passò molto tempo. Non più acrostici, ma famiglia, lavoro e pittura.

Agli inizi dell'anno 2008, dialogando ( si fa per dire) nel web con il suo amico artista Vincenzo Cangiano, pittore e poeta, Giovanni sentì un prorompente desiderio di rispondergli..... “per le rime”, cioè in versi. Da qui, un ricimentarsi nel poetare, soprattutto un comporre versi nei vari dialetti italiani, in modo particolare quelli legati alle sue radici: romanesco, veneto, siciliano.

Tutto ciò scaturisce dallo stretto cordone ombelicale che lo lega alle genti contadine, delle filande, delle fabbriche, ai piccoli allevatori..., agli eroi ed eroine della quotidianità, i quali "veramente tacciono" , non per soggezione o omertà, ma per quella discrezione che, nel silenzio, li pone più vicini al creato ed al Creatore.

Gente che, pur non avendo i soldi per arrivare alla fine del mese, vive e non sopravvive perché per essa l'essenziale è "non lasciarsi vivere".

La cultura contadina/operaia è rivestita di vera, sana, ma nel contempo amara semplicità. Sì, amara! Perchè quando accadono i grandi sconvolgimenti naturali ed antropici i contadini e gli operai sono i primi a soffrirne, e a lungo. Questa cultura fondata sul realismo e sul buon senso è per loro e per noi linfa vitale, che ci consente di ripartire, anche con penuria di mezzi, ma con volontà e con amore, per affrontare l'esistenza.

Una cultura tonificata dai suoni provenienti dal lavoro. Suoni che volteggiavano nelle aie al momento della battitura dei cereali. Suoni mai single, ma sposi delle canzoni intonate dalle mondine, dai trallallero liguri, delle operaie nelle filande e dalle genti contadiine, per scandire e ritmare gesti ripetitivi e monotoni.

Una cultura segnata dai ricordi di veglie nelle quali la gente, stando di più vicino agli animali, per proteggersi dal freddo, intonava le canzoni note nell'ambito lavorativo e ripetute anche attorno ai focolari delle enormi cucine, per sentirsi famiglia, per stabilire relazioni positive.

Suoni ravvivanti delle feste paesane, degli allegri balli tradizionali, accompagnati dalle coinvolgenti bande musicali.

Tante, troppe cose sono cambiate, a volte supinamente subite. Di chi è la colpa?

Giovanni va spesso a Rosciolo, una frazione di Magliano dei Marsi, ai piedi del Monte Velino; luogo di villeggiatura, conosciuto dagli escursionisti montani e dagli appassionati d'arte: gli uni per le scalate, gli altri per la visita alle due bellissime chiese sorte nel millecento.

Lì, durante l'estate si organizzano feste, concerti e succulente mangiate "alla paesana". Lì la stagione estiva è un lungo istante che permette di incontrarsi e riconoscersi, quasi un ringiovanire l'animo e rinnovare i rapporti umani.

Per Giovanni, sostare nella sua torre dell'antica Rosciolo significa non dimenticare le sue origini contadine, ma per mezzo di esse riuscire a vivere profondamente il reale quotidiano e non l'immagine di esso, che pur se addolcita dai ricordi più belli e cari, porterebbe ineluttabilmente ad un lasciarsi vivere.

In questi luoghi della memoria contadina, così densi di semplicità e di rigore etico, si ritrovano le orme degli uomini che hanno fatto grande l'Italia.

E' attraverso il suo poetare ed il suo dipingere, che Giovanni vuole far emergere questa cultura ed unirsi agli anziani per indicare ai giovani i valori perenni della laboriosità, della verità, della giustizia, dell'uguaglianza e dell'amore.

E' attraverso questa cultura che i giovani devono continuare a plasmare non solo il loro futuro, ma anche quello dei loro figli, percorrendo anche la conoscenza di altre culture e civiltà, confrontandosi con esse mediante un dialogo che arricchisca entrambi, senza affossare le proprie radici, le tradizioni e gli usi di ciascuno, nel rispetto del popolo ospitante.

A questo riguardo è d'uopo fare una digressione per poi fare una riflessione.

Per alcuni anni Giovanni si è recato ad Urbino con cadenze trimestrali, per adempiere ad un compito istituzionale: eseguire verifiche amministrativo-contabili in una struttura statale.

In una di quelle giornate, all’ora di pranzo, Giovanni e l’eccellenza dell’Accademia delle Belle Arti di Urbino, andarono in un ristorante. Quel giorno e in quel luogo, per pura coincidenza ed in un tavolo separato, erano presenti per il desinare il compianto rettore dell’Università di Urbino Carlo Bo e gran parte del senato accademico. Arte e sapere erano fianco a fianco in un convivio.

A Giovanni fu assegnato il posto a capo tavola.

Da quel momento gli sguardi dei personaggi della tavolata accanto si posarono su di lui: illustre sconosciuto.

Sorrisi ed inchini furono rivolti al nostro poeta, da tutti gli accademici, al momento del congedo.

Basta occupare un posto particolare per essere riverito? Pare di sì. Questa non è "cultura"; ma forse, involontariamente, gli illustri accademici avevano avuto l'intuizione che in mezzo al nostro gruppo c'era un artista.

Giovanni, terminato il lavoro giornaliero si inoltrava per le vie antiche e ricche di storia e d’arte di Urbino.

In quei momenti a lui sembrava che il tempo sonnecchiasse, per consentirgli di immergersi con la fantasia in un mondo meraviglioso. La gente intorno a lui subiva il fascino delle opere artistiche e si esprimeva come se ognuno fosse pittore, scultore, poeta, architetto...

Tutti parlavano di arte, si sentivano in dovere di parlarne per il semplice fatto di essere lì ad Urbino, patria di Raffaello Sanzio.

Succede in ogni parte del mondo, quando ci si trova immersi nell'arte.

Lui, come artista, era stimolato a discutere con gli interlocutori occasionali, a cena o al bar, sulle tecniche pittoriche o sul modo di plasmare la materia. Involontariamente educava ad entrare nel mondo artistico con obiettività: discernendo il godimento estetico delle opere, dall 'abilità, dalla creatività e dalla genialità dell'artista.

Certamente la cultura, e in essa l'arte, in particolare la verità che le sostiene, non possono essere imbrigliate, legate, pressate o mistificate.

Giovanni è convinto che l'artista, attraverso il suo lavoro comunica il bello, il brutto, il vero che gli stanno intorno, le sue aspirazioni, i suoi ideali e le sue emozioni.

Occorre "educare all'arte" per poterla comprendere, essendo però consapevoli che non tutti siamo artisti.

Il nostro poeta ha percorso e continua a percorrere la strada delle arti pittorica e poetica con abilità ed umiltà, per regalare al mondo, attraverso le sue opere, l'essenza della cultura che ha radici terrene e ali spirituali.

E' un messaggio d'Amore che si serve delle parole generate dai pensieri e dei colori nati dalla suddivisione del bianco, pura luce per esprimere, in sintesi, un canto alto e profondo :L'ARTE E' LA BELLEZZA DELLA VERITA'.

Attraverso la vita di Giovanni, vita tanto comune a tutti i mortali, il Signore vuole insegnarci a credere nel Suo Amore Misericordioso che ci invita a scoprire ogni giorno le bellezze del creato, la profondità dell'animo umano e la grandezza della Redenzione.


 

 
 
 

Su PAPA BENEDETTO XVI

Post n°72 pubblicato il 13 Febbraio 2013 da locurtogiovanni
 

Papa Benedetto XVI^ e la professione di fede.Nel nostro cammino nella Divin speranza l'unico atto di rinuncia che il cristiano è chiamato a presentare è quello di Rinunciare a Satana, nei primi minuti antecedenti al ricevimento del sacramento del Battesimo. Dopo aver ricevuto questo primo Sacramento (di sette), ogni giorno il cristiano fa la sua professione di fede recitando il "Padre nostro", che è la preghiera che ci ha insegnato nostro Signore Gesù Cristo con le sue parole; in cui ogni fedele chiede al Padre Supremo di rimettere , (ndr.: Restituire) non per quel che lo riguarda come soggetto, come singolo fedele, ma quale facente parte di tutta la cristianità

"rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori".

 

Il Signore Gesù, ci ha insegnato la remissione, non la rinuncia; ed il nostro Papa, unica persona al mondo chiederà a Dio, il 28 Febbraio 2013, di rimettere i suoi debiti; chiederà cioè di "rimettere a cesare, quel che è di Cesare e a Dio, quel che è di Dio".

Il fedele cristiano non si chiede perchè il Papa è l'unica persona al mondo a chiedere a Dio di rimettergli i suoi debiti; perchè sa che Santo Pontefice è il rappresentante di Dio in terra; ed al momento della sua investitura in lui è sceso LO SPIRITO SANTO, che lo guiderà ad essere capo della chiesa spirituale, nonchè capo della chiesa temporale.

E' opportuno che il fedele ricordi che il suo corpo e la sua anima sono nella sincronicità, cioè, la loro crescita oppure il loro regresso avvengono in maniera sincrona; semprechè l'uomo riesca, nella sua interezza di corpo ed anima, a condurre la sua vita di fede, avendo maggior propensione al bene anzichè al male.

Il Santo Padre ricco di Spirito Santo come può esserlo il rappresentante di Dio in terra, ha chiesto a Lui, e solo a Lui di rimettergli i suoi debiti spirituali il 28 Febbraio 2013, prima che i suoi debiti materiali.

Come il Santo Padre ha manifestato alla cristianità che procederà a rimettere nelle mani di Dio i suoi debiti, il Signore a questa ha manifestato, con un fulmine che ha irradiato di luce la sua Casa Terrena, che è pronto a ricevere lì (in San Pietro), l'atto di remissione del Papa, a cui, conseguentemente farà seguito quello dei suoi debiti materiali, rimettendo a Cesare quel che è di Cesare.

Ci sarà l'atto di remissione? Se è sì, come sarà? Il signore è sempre disponibile a sentire le richieste dei suoi fedeli, a maggior ragione ascolterà quella del suo rappresentante in terra;

L'atto del nostro Papa sarà la lanterna che illuminerà il cammino nella divin speranza di ogni cristiano, che attende con trepidazione di ricevere la sua parola, che sarà ascoltata non solo da tutta la cristianità, ma da tutta l'umanità.

Grazie, Santo Padre.

 
 
 

Roma capitale

Post n°69 pubblicato il 06 Aprile 2011 da locurtogiovanni
 

 

 

 

ROMA CAPITALE


Nun è er campanilismo a famme sentì romano

è er core mio che lo strilla anche si batte piano

ce sò nato, qui a Roma; e la cosa sa de strano,

da madre mia ch'è veneta e da padre sicijano.

M'hanno fatto fiorì artista, pittore e poi scultore,

e intanto come poeta, tu me cullavi drent'ar core.

Spadroneggeno ne li palazzi 'mbriachi de potere,

Li barbari, non più romani, lasciannoce ner dolore

Eterna Roma, sei stata der monno la padrona

e tanta gente dei continenti hai messo prona,

ma mò assomiji tanto a 'na vecchia brontolona;

mò, sarvognuno, t'additeno pè come 'na ladrona.

Dimme, Amor, quarcosa de mejo, nun potevi fà?

'Stì barbari nostrani, nun li potevi accurturà?

Mò come vipere, te mordeno che te vonno avvelenà,

mentre 'na muta de canacci te vorebbe sderenà..

'Stì coscritti, ce penzeno ar bene de la gente?

Mah! si er popolo soffre, nun je ne frega gnente!.

Aregala frizzi e frallazzi, sturbannoce la mente,

l'omo che in da st'Itaja se crede l'Onnipotente.

Seconno me, però, lui, de corpa ce n'ha poca

é la gente tua, Roma, che starnazza come n'oca.

E er cicisbèo che sur fatto der potere ce arioca

t'arintuzza sempre, senz'avecce le voce fioca:

-El popol re, me lo g'ha dà, me, non ho le borie,

parlemo sì noantri, ma anca femo; son minga storie-

Così le Romane genti s'embriacheno de vanaglorie

e de la democrazia nun arimangheno che scorie.

Aspetto un grande omo che nun è arisuscitato;

però me rendo conto ch'oramai se n'è annato

er tempo delli fasti e der Cesare 'ncoronato,

c'è solo un re ch'è travicello e puro scojonato.

Mia Roma; e abbasta! Te lo dico cò le bone

daje er senso der diritto a tutte queste jene!.

Er Tevere ha da strillà:- Boni! che viè la fine,

v'appozzo in quanti sète e ve darò le pene.-

Però, questo, tutti lo sanno, è solo un sogno,

'stà manfrina dura secoli e me ne vergogno.

E' ben artro, er destino che pè te agogno,

Devi arisorge; de te er monno, cià bisogno!.


Spiegazione di alcune parole:

Amor=invertibile di Roma; sderenà= sgretolare, frantumare

sti coscritti= rappresentanti al Parlamento;

aregala frizzi e frallazzi= regala questo e quell'altro mondo;

sturbannoce=stordendoci, facendoci trasognare;

canacci= uomini malvagi; cicisbèo=accompagnatore di dama, damerino;

ce arioca=c'insiste; t'arintuzza=ti controbatte;

v'appozzo in quanti sète sète= vi affogo tutti quelli che siete;

'sta manfrina=é il far finta di fare, con l'intento di far trascorrere il tempo;


locurtogiovanni

 
 
 

Nella seconda Repubblica tutti vonno esse presidenti

Post n°68 pubblicato il 15 Dicembre 2010 da locurtogiovanni
 

Col quattordici de dicembre vonno fà 'na gran rivoluzione,

pè volere de quarcheduno che credennose er Padreterno,

ha inteso dà 'n'antra svorta alla nostra Costituzione,

puntando sulla sfiducia che se poteva dà ar Governo.

 

Inzomma, tutti l'itajani cercaveno bene o male de capì,

stà crisi politica che da più de un anno ce stà a tormentà

si etiamDio, se sarebbe spenta come un cerino propio lì,

ner Parlamento, indove la democrazzia se deve cimentà.

 

Ma troppe le strateggie e li marchingegni de 'sto pre voto

che tanti padroni der vapore cianno ben vorzuto spiattellà,

pè impapocchiacce, sarvognuno, quello ch'è già noto?

'stò busillise, puro Brighella ce lo potrebbe ariccontà.

 

Si putacaso, ner Legislativo c'è stato del mercimonio,

Non er governo, se doveva sfiducià, ma er Parlamento

si nun volemo che se trasformi nella casa der demonio

e che la nostra democrazia esali in un urtimo lamento.

 

Annisconnenno stì fatti, volessero cojonà er Quirinale?

Eh!, la fiducia l''hanno imbertata e si c'è un boicottaggio,

quarsiasi tentativo de cambià er governo più non vale,

perchè a la peggio s'ha d'annà a votà tutti ner seggio.

 

Un sillogismo pè prenne decisioni che sò presidenziali,

ma questo ar cittadino benpenzante, nun je pare bello

che Napolitano nun se debba consurtà p'evità li mali.

Deciderà Lui che è il Presidente e non un re Travicello

locurtogiovanni

 
 
 
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