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Ebola

Post n°467 pubblicato il 13 Novembre 2014 da Guerrino35

Ebola in Africa: un prodotto della storia, non un fenomeno naturale

Agosto H. Nimtz * | pambazuka.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

29/10/2014

Non c'è nulla di inevitabile nell'epidemia di Ebola che sta ora devastando intere parti dell'Africa. Come altri disastri, anch'esso è il prodotto della storia e delle decisioni prese dai governi, in passato come nel presente.

La storia moderna africana insegna, spesso tragicamente, come sia necessario distinguere tra quelli che si potrebbe chiamare fenomeni naturali e quelli che sono essenzialmente fenomeni socio-economico-politici. I periodi di siccità che hanno devastato molte parti del continente nei primi anni 1970 sono stati un esempio del primo caso. (Lascio da parte la questione dell'influenza delle azioni umane sul riscaldamento globale.) Come mostra la California attualmente colpita dalla siccità, le carestie e le decine di migliaia di vite perse che sono arrivate dopo la sua scia non erano, però, inevitabili. Questo risultato orribile era in gran parte il prodotto delle politiche messe in atto dai governi coloniali e doverosamente e tristemente riprodotti da regimi post-coloniali.

La stessa lezione viene insegnata, ancora una volta, tragicamente, dall'ultima piaga del continente. Gli agenti patogeni umani esistono in Africa da quando la nostra specie ha cominciato lì a evolversi, e nello stesso tempo si sono evoluti anche loro, a volte con risultati come quello del virus Ebola. Ma non c'è nulla di inevitabile nell'epidemia di Ebola che è tuttora in evoluzione. Come le carestie, essa èanche il prodotto della storia, delle decisioni che i governi hanno preso nel  passato e nel presente. La questione rilevante è: gli interessi di chi  sono stati preferiti in queste scelte? Il modo in cui una società risponde al più naturale dei processi, l'evoluzione dei patogeni umani, mostra le risposte che si possono dare a questa domanda.

I regimi coloniali, al potere dall'ultimo quarto del XIX secolo, sino ad una decina di anni dopo la seconda guerra mondiale, sono stati disegnati soprattutto  per estrarre le risorse naturali dell'Africa nel modo più redditizio. I servizi sociali di cui avrebbero potuto beneficiare i soggetti coloniali, come la sanità e l'istruzione, se mai concessi, sono stati ridotti al minimo, per risparmiare sui costi. Questo spiega il carattere profondamente antidemocratico di quei regimi. L'ultima cosa che gli estrattori di risorse volevano era quella che i sudditi avessero  un po' di voce in capitolo circa il modo in cui erano governati e, quindi, come dovessero essere utilizzate le loro risorse naturali. Queste erano le condizioni del regime che le élite post-coloniali non solo ereditarono e prontamente abbracciarono,  ma che intensificarono al fine di privilegiare gli interessi della loro classe ristretta.  Nel caso della Liberia, una semi-colonia degli Stati Uniti, nominalmente indipendente dal 1847, la sua élite (i discendenti degli schiavi rimpatriati dall'America) garantì che la  Firestone Gomma potesse trarre enormi profitti dai suoi investimenti nel paese. È così che si produce la situazione scandalosamente ironica di oggi, dove in uno dei paesi produttori di gomma più importanti del mondo non sono  disponibili per i suoi abitanti sufficienti guanti di gomma per proteggerli dall'epidemia.

Negli ultimi decenni, in nome della lotta contro la spesa pubblica, gli sprechi e la corruzione, le agenzie internazionali di prestito, come il Fondo monetario internazionale, hanno richiesto, come condizione per ottenere nuovi finanziamenti, che  i governi africani riducessero le loro spese. Le élite africane hanno volontariamente accettato di farlo con i tagli imposti al settore sanitario e all'istruzione-contribuendo a creare la tempesta perfetta per il virus Ebola.

Affinché non si presuma che solo i paesi poveri o in via di sviluppo siano afflitti da tali esiti tragici, si prenda in considerazione quello che è successo nel paese più ricco del mondo nel 2005. Sulla scia di un fenomeno naturale, l'uragano Katrina - di nuovo tenendo da parte il riscaldamento globale - più di 1.600 persone (un numero ancora in fase di verifica, per quelli di noi che hanno familiarità con quello che è successo) hanno perso la vita a New Orleans e dintorni. Eppure, due mesi prima, un uragano di maggiore intensità, Dennis, ha colpito Cuba due volte e solo 15 dei suoi cittadini sono morti. Né l'esito era inevitabile. La differenza, invece, ha evidenziato le profonde trasformazioni strutturali in corso nella società cubana dopo il 1959, con l'avvento della sua rivoluzione. Per la prima volta nella storia di Cuba, i suoi proletari avevano un governo che dava priorità ai loro interessi e non a quelli di una piccola élite. La loro speranza di vita, così come misurata, ad esempio, dai tassi di mortalità infantile, le aspettative di vita, i livelli di istruzione, sono notevolmente migliorati, nonostante il fatto che Cuba sia ancora povera e sottosviluppata. I postumi crudemente diversi dei due uragani nelle due società, l'hanno detta lunga su quello che i proletari di Cuba avevano raggiunto e su ciò che le loro apparentemente benestanti controparti di 400 miglia a nord non avevano avuto.

Né è un caso che Cuba abbia fatto un passo in avanti, a differenza di qualsiasi altro paese, per inviare  il personale sanitario al fine di combattere la piaga dell'Ebola. Quattrocentosessantuno cubani si trovano in viaggio o già nelle zone colpite. Sono stati selezionati su 15.000 dei loro 11 milioni di cittadini che  hanno espresso la volontà di andare. Tutto ciò in significativo confronto con i soli 2.500 cittadini americani in rapporto ad una popolazione di 316 milioni di persone che, in accordo con l'agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, si sono dichiarati volontari, per il medesimo obiettivo. Per i cubani non vi è nulla di insolito in quello che stanno facendo, posto che 4.000 dei loro operatori sanitari già sono in servizio in 38 paesi africani e circa 45.000 in altri 28 paesi. In tal modo, le scelte politiche di una società generano conseguenze non solo per le opportunità di vita dei propri cittadini, ma anche per quelli di altri paesi. E qui sta la lezione più importante. Fino a quando i proletari, non solo in Africa, ma altrove, non hanno governi che servano i loro interessi, rischiano di essere ancora una volta vittime inutili di fenomeni naturali.

* Agosto H.Nimtz è professore di scienze politiche e studi afroamericani ed africani presso l'Università del Minnesota.

 
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