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Post n°430 pubblicato il 31 Agosto 2010 da Guerrino35
<!-- @page { margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } --> La fase: il moribondo che si aggrappa al vivo
nota di Gianni Marchetto – fine agosto 2010
Premessa
La prendo alla larga
Chi potrebbe andare avanti
“Per anni, a ripeterci «non c'è alternativa» sono stati banchieri centrali, politici di destra e sinistra, sindacalisti paragovernativi, professori universitari e soprattutto bancarottieri. Adesso, forse per la prima volta, a confermarlo con un referendum, sono chiamati i lavoratori stessi che di questo sopruso sono le vittime designate. Ecco la democrazia del pensiero unico: votate pure, tanto non c'è niente da scegliere. Effettivamente, al piano Marchionne non c'è alternativa. Nessuno ci ha pensato; neanche quando il piano non era ancora stato reso pubblico. Nessuno ha lavorato per prepararla, anche quando la crisi dell'auto l'aveva ormai resa impellente. Nessuno ha mai pensato che sarebbe stato necessario averne una, anche se era chiaro da anni che prima o poi - più prima che poi - la campana sarebbe suonata: non solo per Termini Imerese, ma anche per Pomigliano. Ma a che cosa non c'è alternativa? Al «piano A» di Marchionne. Un piano a cui solo se si è in malafede o dementi si può dar credito. Prevede che nel giro di quattro anni Fiat e Chrysler producano - e vendano - sei milioni di auto all'anno: 2,2 Chrysler, 3,8 Fiat, Alfa e Lancia: un raddoppio della produzione. In Italia, 1,4 milioni: più del doppio di oggi. La metà da esportare in Europa: in un mercato che già prima della crisi aveva un eccesso di capacità del 30-35 per cento; che dopo la sbornia degli incentivi alla rottamazione, è già crollato del 15 per cento (ma quello della Fiat del 30); e che si avvia verso un periodo di lunga e intensa deflazione. Quello che Marchionne esige dagli operai, con il loro consenso, lo vuole subito. Ma quello che promette, al governo, ai sindacati, all'«opinione pubblica» e al paese, è invece subordinato alla «ripresa» del mercato, cioè alla condizione che in Europa tornino a vendersi sedici milioni di auto all'anno. Come dire: «il piano A» non si farà mai. Non è una novità. Negli ultimi dieci anni, per non risalire più indietro nel tempo, di piani industriali la Fiat ne ha già sfornati sette; ogni volta indicando il numero di modelli, di veicoli, l'entità degli investimenti e la riduzione di manodopera previsti. Tranne l'ultimo punto, che era la vera posta in palio, degli obiettivi indicati non ne ha realizzato, ma neanche perseguito, nemmeno uno. Ma è un andazzo generale: se i programmi di rilancio enunciati da tutte le case automobilistiche europee andassero in porto (non è solo la Fiat a voler crescere come un ranocchio per non scomparire) nel giro di un quinquennio si dovrebbero produrre e vendere in Europa 30 milioni di auto all'anno: il doppio delle vendite pre-crisi. Un'autentica follia”. Occorre per metterci al passo con i tempi, afferma Marchionne (a Rimini). Ma i tempi che corrono non sono quelli raccontati da Berlusconi; e il mercato non è quello prospettato dalla FIAT. I tempi sono quelli dell’ondata di scioperi che sta investendo la Cina (con aumenti salariali del 30% a botta). E sono quelli della crisi del modello liberista che ci sta ripiombando nella recessione, qui in Europa, in Italia, del picco del petrolio, dei cambiamenti climatici, dei disastri ambientali. Insomma, della improrogabile necessità di una conversione ambientale dell’apparato produttivo e dei modelli di consumo. Tempi che rendono evidente che il caso FIAT, e dei suoi lavoratori, non può essere separato da un progetto – che non c’è – di contenimento del declino industriale. Non sarà l’auto a portarcene fuori; caso mai ci farà sprofondare in questo gorgo sempre di più.
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