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La narrazione che ha ucciso il popolo siriano
Sharmine Narwani | rt.com
Traduzione da tlaxcala-int.org
23/03/2016
Il 23 marzo 2011, proprio all'inizio di quello che oggi chiamiamo il 'conflitto siriano', due giovani -Sa'er Yahya Merhej e Habeel Anis Dayoub- sono stati freddati nella città meridionale siriana di Daraa. Merhej e Dayoub non erano civili e non si opponevano al governo del presidente siriano Bashar al-Assad.
Erano due soldati regolari nelle file dell'esercito siriano arabo (ASA). Uccisi da uomini armati sconosciuti, Merhej e Dayoub sono stati i primi di ottantotto soldati uccisi in tutta la Siria nel primo mese di questo conflitto, a Daraa, Latakia, Douma, Banyas, Homs, Moadamiyah, Idlib, Harasta, Suweida, Talkalakh e nella periferia di Damasco.
Secondo la Commissione Internazionale Indipendente delle Nazioni Unite, incaricata di indagare sulla Siria, il bilancio delle vittime fra le forze governative siriane era di 2.569 entro marzo 2012, il primo anno del conflitto. A quel tempo, le Nazioni Unite stimano a 5.000 il totale delle vittime di violenza politica in Siria.
Queste cifre danno un quadro completamente diverso degli eventi in Siria. Decisamente non era il conflitto dipinto nei nostri titoli -se non altro, la 'parità' di morti da entrambe le parti suggerisce che il governo usò una forza 'proporzionale' nel contrastare la violenza.
Ma la morte di Merhej e Dayoub fu ignorata. Non un singolo media occidentale raccontò la loro storia o quella degli altri soldati uccisi. Queste morti semplicemente non erano in linea con la 'narrazione' occidentale delle rivolte arabe e non erano conformi agli obiettivi politici dei governi occidentali.
Per i politici americani, la "primavera araba" ha fornito un'occasione unica per scalzare i governi degli Stati avversari in Medio Oriente. La Siria, il più importante membro arabo del' 'Asse di Resistenza' a guida Iraniana, era il bersaglio numero uno.
Per provocare il cambio di regime in Siria, i temi della "primavera araba" dovevano essere impiegati opportunisticamente – e così i siriani dovevano morire.
Il "dittatore" doveva semplicemente "uccidere il suo stesso popolo", e il resto sarebbe venuto da solo.
Come le parole uccidono
Quattro narrazioni chiave sono state propinate fino alla nausea in ogni organo di stampa occidentale allineato, a partire dal marzo 2011 e con sempre più veemenza nei mesi successivi.
– Il dittatore sta uccidendo "il suo popolo";
– Le proteste sono "pacifiche";
– L'opposizione è "disarmata";
– Si tratta di una "rivoluzione popolare".
I governi filo-occidentali di Tunisia ed Egitto erano stati appena spodestati in rapida successione nei due mesi precedenti – e quindi l'idea di una primavera araba con cambi di regime messi in moto dal basso esisteva nella psiche collettiva regionale. Queste quattro 'narrazioni' accuratamente congegnate, che erano divenute significative in Tunisia e in Egitto, venivano ora rielaborate e scaricate su ogni governo da delegittimare e minare.
Ma per impiegarle a pieno potenziale in Siria, i siriani dovevano scendere in piazza in numero significativo e civili dovevano morire per mano di forze di sicurezza brutali. Il resto si poteva spacciare per "rivoluzione" con la vasta gamma di media stranieri e regionali impegnati in questa narrazione di "Primavera Araba".
Tuttavia, le proteste in Siria non crebbero com'era avvenuto in Tunisia e in Egitto. In quei primi mesi, abbiamo visto gruppi che per lo più si contavano a centinaia -talvolta a migliaia- ed esprimevano vari gradi di malcontento politico. La maggior parte di quei gruppi seguiva il canovaccio di un incitamento da moschee di influenza wahhabita durante le preghiere del venerdì, o dopo uccisioni locali, che dovevano incitare folle inferocite a riunirsi per i funerali pubblici.
Un membro di spicco di una famiglia di Daraa mi ha spiegato che c'era confusione su chi stava uccidendo la gente nella sua città -il governo o 'forze occulte'. Egli ha spiegato che, in quel tempo, i cittadini di Daraa avevano due orientamenti: "Uno era che il regime stava uccidendo più persone per fermarli e per avvertirli di smetterla di protestare e di radunarsi. L'altra opinione era che milizie occulte volevano che ciò continuasse, perché se non ci sono funerali non ci sono ragioni per radunare le persone".
Con il senno di poi, diamo un'occhiata a queste narrazioni sulla Siria dopo cinque anni di conflitto:
Sappiamo ora che diverse migliaia di soldati delle forze di sicurezza siriane furono uccisi nel primo anno, a partire dal 23 marzo 2011. Perciò sappiamo anche che l'opposizione fu armata fin dall'inizio del conflitto. Abbiamo prove filmate di uomini armati che entrano in Siria attraverso il confine libanese in aprile e maggio 2011. Sappiamo dalle testimonianze di osservatori imparziali che uomini armati prendevano di mira i civili in atti di terrorismo e che le "proteste" non erano tutte "pacifiche".
Una missione della Lega Araba condusse un'indagine di un mese in Siria alla fine del 2011 e riferì:
"A Homs, Idlib e Hama, la missione di osservatori ha assistito ad atti di violenza, commessi contro forze governative e civili, che hanno causato diversi morti e feriti. Esempi di tali atti includono l'esplosione di un autobus civile con l'uccisione di otto persone e il ferimento di altre tra cui donne e bambini, e l'esplosione di un treno che trasportava gasolio. In un altro incidente a Homs, un autobus della polizia è stato fatto saltare in aria, uccidendo due agenti. Sono anche stati fatti saltare in aria un oleodotto e alcuni piccoli ponti".
Il sacerdote olandese padre Frans van der Lugt, residente da anni in Siria, ucciso a Homs nel mese di aprile 2014, aveva scritto nel gennaio 2012:
"Fin dall'inizio i movimenti di protesta non erano puramente pacifici. Fin dall'inizio ho visto manifestanti armati che marciavano nei cortei e cominciato per primi a sparare contro la polizia. Molto spesso la violenza delle forze di sicurezza è stata una reazione alla brutale violenza dei ribelli armati".
Qualche mese prima, nel settembre 2011, padre Frans aveva osservato:
"Fin dall'inizio c'è stato il problema dei gruppi armati, che fanno pure parte dell'opposizione… L'opposizione sulla strada è molto più forte di qualsiasi altra opposizione. Questa opposizione è armata e impiega spesso la brutalità e la violenza solo per poi dare la colpa al governo".
Inoltre, sappiamo anche che in Siria è successo di tutto tranne "rivoluzioni popolari". L'esercito siriano è rimasto integro, anche dopo che media compiacenti hanno riferito di presunte defezioni di massa. Centinaia di migliaia di siriani hanno continuato a marciare a sostegno del presidente in manifestazioni mai riferite dai media. Le istituzioni dello Stato e di governo e i dirigenti del mondo degli affari sono in gran parte rimasti fedeli ad Assad. I gruppi minoritari -alawiti, cristiani, curdi, drusi, sciiti, e il partito Baath, che è a maggioranza sunnita- non si sono uniti all'opposizione contro il governo. E le principali aree urbane e centri abitati rimangono sotto l'ombrello dello Stato, con poche eccezioni.
Una "rivoluzione" genuina, oltretutto, non ha sale operatorie in Giordania e in Turchia. E non è "popolare" una rivoluzione finanziata, armata e assistita da Qatar, Arabia Saudita, Stati Uniti, Regno Unito e Francia.
Seminare "narrazioni" per interessi geopolitici
Il manuale delle Forze Speciali per la Guerra non Convenzionale degli Stati Uniti del 2010 afferma:
"L'intento [della Guerra Non Convenzionale – GNC] degli Stati Uniti è di sfruttare la vulnerabilità politica, militare, economica e psicologica di una potenza ostile sviluppando e sostenendo forze di resistenza per raggiungere gli obiettivi strategici americani… Per il futuro prevedibile, le forze Usa saranno prevalentemente impegnate in operazioni di Guerra Irregolare (GI)".
Un fonogramma segreto del 2006 del Dipartimento di Stato rivela che il governo di Assad, a livello nazionale e regionale, era in una posizione più forte rispetto agli ultimi anni, e suggerisce modi per indebolirlo: "Ciò che segue è una sintesi di potenziali vulnerabilità e possibili mezzi per sfruttarla…". Segue un elenco di "vulnerabilità" -politiche, economiche, etniche, settarie, militari, psicologiche- e "azioni" raccomandate per "sfruttarle".
Questo è importante. La dottrina della GNC degli Stati Uniti postula che le popolazioni degli stati avversari di solito hanno minoranze attive che rispettivamente si oppongono e sostengono il loro governo, ma perché un "movimento di resistenza" abbia successo, deve influenzare la percezione della larga "fascia non impegnata" perché si rivolti contro i propri leader. Dice il manuale (e qui prendo a prestito liberamente da un precedente mio articolo):
Per attivare la "fascia non impegnata" in supporto della ribellione, la GNC raccomanda la "creazione di un'atmosfera di ampio malcontento attraverso la propaganda e gli sforzi politici e psicologici per screditare il governo".
A mano a mano che il conflitto si intensifica, altrettanto deve fare la "intensificazione della propaganda; la preparazione psicologica della popolazione per la ribellione".
In primo luogo, ci dovrà essere "agitazione" locale e nazionale -l'organizzazione di boicottaggi, scioperi, e altri sforzi per suggerire malcontento pubblico. Poi, la "infiltrazione di organizzatori e consulenti stranieri e propaganda, materiali, denaro, armi e attrezzature straniere".
Il livello successivo sarà di stabilire "organizzazioni nazionali di facciata" [vale a dire il Consiglio Nazionale Siriano] e movimenti di liberazione [vale a dire l'Esercito per la Liberazione della Siria] che spingeranno più grandi segmenti della popolazione ad accettare "violenza politica e sabotaggi crescenti" e a favorire l'appoggio a "individui o gruppi che conducono atti di sabotaggio nei centri urbani".
Ho scritto che strategie di guerra irregolare sostenute da forze straniere erano applicate in Siria a un anno dall'inizio della crisi -quando le schiaccianti narrazioni multimediali vertevano ancora tutte su "il dittatore che uccide la sua gente", le "proteste pacifiche", l'opposizione per lo più "disarmata", la "rivoluzione genuinamente popolare", e migliaia di "civili" presi di mira esclusivamente dalle forze di sicurezza dello stato.
Erano queste narrazioni tutte manipolate? Le immagini che abbiamo visto erano tutte montature? O bastava solo fare alcune cose perché la "percezione" della vasta "fascia non impegnata", una volta forgiata, potesse creare un proprio sbocco naturale verso un cambiamento di regime?
E che cosa ce ne facciamo noi, nella regione, di questa sorprendente nuova informazione su come le guerre sono condotte contro di noi -usando le nostre popolazioni come soldati di fanteria per interessi stranieri?
Creare un "gioco" nostro
Da questo gioco di narrazioni possiamo trarre due lezioni.
La prima lezione è che le idee e gli obiettivi possono essere fabbricati, incorniciati, rifiniti e impiegati con grande efficacia.
La seconda lezione è che abbiamo bisogno di stabilire media più indipendenti e canali di informazione per diffondere in lungo e in largo le nostre proposte di valore.
I governi occidentali possono contare su un esercito ridicolmente servile di giornalisti occidentali e regionali per rovinarci con la loro propaganda di giorno e di notte. Non abbiamo bisogno di contrastarli per numero o punti di distribuzione -possiamo anche utilizzare strategie per scoraggiare le loro campagne di disinformazione. Giornalisti occidentali che più volte pubblicano informazioni false, inesatte e nocive, che mettono in pericolo la vita, devono essere esclusi dalla regione.
Questi non sono giornalisti -preferisco chiamarli mercenari dei media- e non meritano le libertà riconosciute ai veri professionisti dei media. Se questi giornalisti occidentali, nel primo anno del conflitto siriano, avessero messo in discussione le premesse anche di una sola delle quattro narrazioni di cui sopra, avremmo 250.000 e più siriani morti oggi? Sarebbe la Siria distrutta, e oltre 12 milioni di siriani senza tetto? Esisterebbe l'ISIS?
Libertà di parola? No grazie – no, se dobbiamo morire per gli interessi di qualcun altro.
La Siria ha cambiato il mondo. Ha attirato i russi e i cinesi (BRICS) nella mischia e ha cambiato l'ordine globale, da unipolare a multilaterale -nel giro di una notte. E ha creato una causa comune tra un gruppo di stati chiave della regione che ora formano la spina dorsale di un crescente 'Arco di Sicurezza' dal Levante al Golfo Persico. Ora abbiamo immense opportunità di ri-disegnare il mondo e il Medio Oriente secondo la nostra visione. I nuovi confini? Li tracceremo noi dall'interno della nostra regione. I terroristi? Li sconfiggeremo noi stessi. Le ONG? Creeremo le nostre, con i nostri cittadini e con le nostre agende. Gli oleodotti? Decideremo noi dove farli passare.
Ma iniziamo a costruire quelle nuove narrazioni prima che 'Altri' vengano a riempire il vuoto.
Una parola di cautela. La cosa peggiore che possiamo fare è sprecare il nostro tempo confutando le narrazioni straniere. Quello fa di noi semplicemente i 'negazionisti' nel loro gioco. E rafforza il loro gioco. Quello che dobbiamo fare è creare il nostro gioco -un ricco vocabolario di narrazioni fatte in casa- un gioco che definisca noi stessi, la nostra storia e le nostre aspirazioni in base alle nostre realtà politiche, economiche e sociali. Lasciamo che siano gli 'Altri' a negare la nostra versione, facciamo diventare loro i "negazionisti' nel nostro gioco… dandogli vita.
Inviato da: minarossi82
il 11/11/2016 alle 19:59
Inviato da: dimariamonicaa
il 08/04/2016 alle 20:46
Inviato da: Guerrino35
il 31/03/2016 alle 21:21
Inviato da: Guerrino35
il 03/04/2015 alle 08:31
Inviato da: Guerrino35
il 19/09/2014 alle 09:58