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La donna e l'oppressione coloniale

Post n°473 pubblicato il 25 Giugno 2015 da Guerrino35

www.resistenze.org - popoli resistenti - senegal - 22-06-15 - n. 549

La donna e l'oppressione neocoloniale

Guy Marius Sagna* | afriquesenlutte.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

08/06/2015

Si racconta che Napoleone rimproverò una sua compatriota sul fatto che si occupasse di politica; ella gli rispose: "Sire, in un paese nel quale le donne sono condannate a morte è perfettamente naturale che vogliano sapere il perché". Cari compatrioti, in questo Senegal dove le donne sono la maggioranza di quel 46,6% della popolazione che vive sotto la soglia della povertà, dove sono la maggioranza di quel 50% di quindicenni non alfabetizzati, dove 392 di esse sono costrette a morire ogni 100.000 parti, dove ci sono appena due ostetriche ogni 1.000 partorienti – molto lontano dagli standard OMS, che ne raccomanda sei ogni 1.000 nati vivi - dove ogni giorno 93 donne – più di 33.000 all'anno - piangono la morte di un loro figlio con meno di cinque anni, dove quando nascono non possono sperare di vivere più di 59 anni – 10 anni in meno della media mondiale - ... è perfettamente naturale che qualcuno si chieda "perché?". Il destino ha riservato alla donna senegalese due bocconi amari: essere nata in un paese semicoloniale ed essere nata donna.

Essere nata in un paese semicoloniale

La verità è che non c'è nulla da esser fieri. La situazione del Senegal è grave. Per fare una dialisi non si hanno a disposizione che tra i 40 e 50 macchinari, mentre in altri paesi con una popolazione simile, la dotazione di questi macchinari è tra i 560 e i 600. Il Senegal vuole aumentare la sua produzione di sementi certificate dal 12 al 25% da qui al 2017. Nella regione di Sedhiou, 116 villaggi su un totale di 924 dispongono dell'elettricità, cioè il 12,6%. Ed il 40% delle aule scolastiche è situato in ambienti precari, cioè 1.666 su un totale di 2.996 aule.

In questo contesto, è possibile vedere una minoranza di senegalesi, servitori della maggioranza, condurre le stesse automobili con le quali si muovono i ministri e i deputati di paesi con un PIL altissimo o che posseggono ville, fortune, salari e fondi neri che fanno impallidire di invidia molti dei paesi sviluppati; uno scandalo. Infine, questo stato di cose, nonostante il frastuono fatto sulla buona gestione, è la condizione affinché questa minoranza accetti di percorrere la via del tradimento anti nazionale.

Il personaggio di Ousmane Sembène, Guelewar, sarebbe ancora più abietto di fronte al regalo fatto venerdì 13 febbraio 2015 di 2,3 miliardi di franchi CFA del Giappone al Senegal per l'acquisto di 8.000 tonnellate di riso nel quadro di un programma di aiuto alimentare. O di fronte, lo stesso giorno, all'incasso, dal Senegal, di una donazione di 1,2 miliardi di franchi CFA per l'elettrificazione solare di 120 centri di salute nel quadro del progetto di miglioramento delle prestazioni del settore sanitario in ambiente contadino. Che cosa dire allora – più di recente - delle 10.000 tonnellate di medicine del re [del Marocco] Mohamed V?

Il colono francese, quando fu concessa l'indipendenza, piazzò alla testa del Senegal quelle e quei nostri concittadini che non avevano mai pronunciato prima la parola "indipendenza" e la fuggivano appena la sentivano. Tutto questo con l'obiettivo di facilitare l'impresa di saccheggio e dominazione del nostro popolo attraverso politiche liberali. Questi concittadini per i quali il tradimento risultava redditizio si sono affannati per mantenere il potere per tutto il tempo che fosse possibile, fino ai nostri giorni. Il Senegal degno, con le sue battaglie vinte, ma senza aver mai vinto la guerra, non ha smesso mai di lottare per il [partito] "Mom Sa Rew" nonostante le angherie, le marginalizzazioni, gli assassinii... Ecco perché queste politiche neoliberali, ieri piani di adeguamento strutturali (PAS) e oggi accordi di partenariato economico (APE), come anche altri meccanismi come il franco CFA, sono stati imposti al nostro popolo con la complicità del Senegal indegno.

Sono queste politiche che privano il nostro popolo delle risorse necessarie per avere sufficienti ostetriche, pediatri, ginecologi, infermieri, infrastrutture sanitarie, personale e strutture educative; industrie e un mercato nazionale per queste; sufficienti macchinari per l'agricoltura e sovvenzionamenti per la popolazioni contadine...

Sono queste politiche che si accaparrano il settore bancario ed altre aree strategiche. Che privano il nostro popolo della sua terra e delle sue risorse alieutiche... anche del suo oro. Il presidente della repubblica del Senegal ha appena riconosciuto che "noi non possediamo più del 3 % dell'oro che si estrae nel nostro paese." La stessa cosa accadrà col petrolio che si è appena scoperto, finché il Senegal indegno sarà al potere. Il capitale a scapito del lavoro! L'attività africana di Bolloré è, secondo Capital.fr, di gran lunga la più proficua del gruppo, rappresenta solo il 25% del giro di affari, ma produce l'80% dei profitti; per i popoli africani implicati, è tutto tranne che il paese della cuccagna. Senza una vera sovranità, la crescita economica non si trasformerà mai nello sviluppo dei popoli".

Il 6 maggio 2015, durante la cerimonia di riabilitazione del programma "Jangando" per la regione di Dakar, l'ispettore accademico di Dakar disse: "stiamo ritornando ad assumere ad un minore costo". Allo stesso modo che i senegalesi nelle piroghe del 2006 o nelle bagnarole nel 2015 sono la dimostrazione di un Senegal raggiunto dalla Nuova Politica Industriale, la Nuova Politica Agricola ed i Piani di Adeguamento Strutturale, antenati degli Accordi di Partenariato Economico. Un chilometro di pista costa tra i 20 e i 25 milioni; un ospedale ben equipaggiato,1,5 miliardi; un magazzino di stoccaggio costa 80 milioni; un insegnate ed un ginecologo costano... Queste politiche ci privano di risorse che ci permetterebbero di fare di fronte alle necessità del nostro popolo. Come avere risorse sufficienti quando i telefoni, l'acqua, la ferrovia... sono privatizzati? Privatizzazioni imposte dal FMI e dalla Banca Mondiale. Privatizzazioni di cui beneficiano le multinazionali del Nord.

Per illustrare questo, ritorniamo al caso della regione di Sedhiou. Prima del consiglio di ministri decentrato realizzato a Sedhiou, le necessità di investimento si stimavano in 856 miliardi di franchi CFA. Il primo ministro informa che lo Stato e i suoi partner hanno già individuato 137 miliardi (c'è dunque un gap di 719 miliardi). Ma il costo dell'urgenza è valutato 356 miliardi di franchi CFA (secondo Nfaly Badji, direttore del ARD di Sédhiou, in Le Soleil di martedì 24 febbraio 2015). Il consiglio dei ministri decentrato del 25 di febbraio 2015 annuncia un'estensione di 13 miliardi effettuata da Macky Sall ai 187 miliardi portati in bilancio dal consiglio interministeriale la vigilia. Cioè 200 miliardi d'investimento nel quadro di un programma speciale d'investimenti pubblici 2015-2017. In seguito si viene pubblicamente a conoscenza che ci sarà un programma triennale 2018-2021 che prenderà la staffetta dei grandi investimenti.

Questo è altrettanto vitale per il resto delle regioni senegalesi, come quella di Kaffrine. Per modernizzarsi, questa regione deve realizzare un programma di 344.431.664.403 F CFA. . Solo 19.745.250.252, cioè il 6% dell'importo, è già pronto da parte dello Stato e dei suoi partner, ha detto il governo.

Per la campagna agricola di questo anno, il governo ha informato che sovvenzionerebbe 13.000 seminatrici, 1.040 zappe occidentali e 650 zappe cinesi. Ci sono 14.958 villaggi in Senegal. Nel settore dell'agricoltura, la politica di oppressione contro il popolo senegalese in generale e in particolare del suo settore contadino, fornisce 0,869 seminatrici per villaggio, 0,069 zappe occidentali per villaggio e 0,043 zappe cinesi per villaggio. Queste quantità infinitesimali raddoppiate dalla mancanza di controllo dell'acqua, conseguenza sempre dell'oppressione neocoloniale del Senegal, in un anno di scarse piogge come è stato 2014, hanno come conseguenza 1,5 milioni di senegalesi in situazione di insicurezza alimentare a giugno 2015; una situazione che rivela la tragedia del mondo rurale senegalese, della donna contadina del Senegal in particolare.

Queste politiche colpiscono indistintamente tutti i senegalesi, non importa quale sia il loro sesso, né la loro età. È per questo motivo che spetta a tutti i senegalesi, senza distinzione di sesso ed età, il compito di liberare il nostro paese dalla dominazione di un sistema che c'impone una situazione tragica segnata in particolare da un gap da colmare di 4000 ostetriche e dove solo il 59% dei parti è assistito da personale medico qualificato.

"Se sentite le vostre catene, siete già per metà libere"

Attualmente, l'interesse dei popoli del Senegal e dell'Africa esige, con una forza particolare, l'entrata delle donne nelle fila organizzate del paese e del continente degno, per la liberazione del Senegal e dell'Africa. Questo compito sarà realizzato con più facilità nella misura in cui le donne vi prenderanno parte; la parte più importante, la più cosciente e la più volontaria.

Dato che le organizzazioni antimperialiste pretendono di prendere il potere, è pericoloso non agire sulle masse inerti delle donne non preparate nel movimento come quello delle casalinghe, delle impiegate, delle contadine... carenti nel concetto di collaborazione e non affrancate dai pregiudizi e non legate da un vincolo qualunque al gran movimento di liberazione che è l'antimperialismo. Le donne senegalesi che non partecipano a quel movimento costituiscono inevitabilmente un appoggio all'imperialismo ed ai suoi collaboratori ed un obiettivo per la loro propaganda semi coloniale. La mancanza di coscienza delle donne può svolgere un ruolo negativo nella lotta del nostro popolo contro l'imperialismo ed i suoi effetti.

Tutto quello che abbiamo appena detto è il compito immediato delle donne eredi di quelle di Nder: estendere l'influenza dell'antimperialismo ai vasti strati della popolazione femminile del Senegal e sottrarre le donne dall'influenza delle concezioni imperialiste e dall'azione dei partiti collaborazionisti per fare di esse autentiche combattenti per la liberazione totale della donna.

Quello che l'antimperialismo darà alla donna, in alcun caso potrà darlo il movimento femminile collaborazionista. Finché il Senegal è oggetto della dominazione, la liberazione della donna è impossibile.

La parità non elimina la sovranità imperialista

Qualsiasi relazione ed appoggio della donna antimperialista al femminismo pro imperialista non fa che indebolire le forze per l'indipendenza e ritardare la rivoluzione antimperialista, vale dire, la liberazione della donna. Libereremo Senegal ed Africa con l'unione nella lotta di tutte le donne e gli uomini antimperialisti e non con l'unione delle forze femminili appartenenti ai due campi opposti (anti e pro imperialisti). Di fronte alla questione nazionale, la questione di genere passa in secondo piano.

La lotta della donna contro la sua doppia oppressione, l'imperialismo e la dipendenza familiare e domestica, sono una lotta degli antimperialisti di entrambi i sessi contro l'imperialismo e per l'emancipazione delle donne.

Le radici dell'oppressione delle donne senegalesi sta in primo luogo nell'imperialismo. Per finire con questa oppressione è necessario un nuovo ordine sociale: un Senegal liberato dall'imperialismo.

Ciò ci porta ad interrogarci sulla parità uomo-donna nelle funzioni elettive senegalesi. Che cosa è cambiato nella gestione dei comuni senegalesi dal 29 giugno 2014, data delle prime elezioni municipali nelle quali si esigeva la parità di genere (sorta di quote rosa ndt) nella costituzione delle liste dei candidati? È differente il Consiglio Socioeconomico ed Ambientale da quando alla sua testa si trova una donna? Esiste un'assemblea nazionale senegalese di rottura sul fatto della parità nella costituzione delle liste di candidati durante le elezioni legislative del 2012? Le 33.000 donne che ogni anno perdono il loro figlio di meno di cinque anni, che perdono i loro figli o i loro mariti nelle fosse comuni del Mediterraneo ed altri mari o nel deserto come conseguenza delle politiche neoliberali o quelle comprese nel 46,6% che vivono sotto la soglia della povertà...

La parità è la loro priorità? Nello stesso modo in cui la borghesia fuorvia il popolo tentando di ricongiungerlo sotto la sua bandiera, allo stesso modo la borghesia e la piccola borghesia femminile si sono prese gioco delle grandi masse di donne riconducendole al loro ordine del giorno piccolo borghese.

La maggioranza delle donne senegalesi, ognuna nella sua capanna, pensa di alleviare il suo lavoro domestico, di avere accesso all'acqua, anela di potere lavorare fuori della sua casa... Mentre le altre, nei loro palazzi, sognano la partecipazione al parassitismo delle nostre risorse.

Nel quadro attuale, la lotta per la parità non può essere assimilata alla consegna leninista "Ogni cuoca deve imparare a dirigere lo Stato", lanciata in un contesto come quello russo nel quale era necessario attrarre le donne russe, anche quelle più arretrate, alla vita pubblica per i soviet. Qui quello che si insegna a fare è come imbrogliare i propri mandanti, cioè il popolo.

Cambiamo la situazione economica e sociale della donna senegalese e questa sarà emancipata. Non permettiamo che le donne piccolo borghesi accedano ai posti elettivi e che esse si integrino nella burocrazia borghese mediante l'accesso ai mezzi di arricchimento personale come i loro compagni maschili. Non è necessario reinventare G.Deville le cui parole suonano tanto adeguate: "(...) non intraprendiamo oggigiorno una campagna per l'ammissione delle donne ai diritti politici e di conseguenza la fantasia della candidatura femminile non ci conti tra i suoi sostenitori, benché, nei gruppi del partito operaio le donne hanno la più completa uguaglianza con gli uomini? Sapendo che il diritto al suffragio non è la strada verso l'emancipazione umana, non possiamo perdere un tempo prezioso nella persecuzione di un obiettivo che, per impossibile da raggiungere, è incapace di migliorare la situazione della donna. Per essa e per coloro i cui sforzi andrebbero persi, sarebbe un'altra delusione che si sommerebbe alla lunga lista di delusioni provocate dal suffragio universale; benché, in questo caso, la responsabilità cadrebbe interamente su chi si fosse abbandonato ad un sentimentalismo per niente riflessivo. L'emancipazione femminile è subordinata alla trasformazione economica; solo lavorando per questa trasformazione si farà qualcosa per la liberazione dalla donna. Agire è altrimenti, coscientemente o no, farsi complici di deviazioni dannose agli interessi che si pretende di difendere."

Allo stesso Deville chiederemo in prestito l'immagine. Così, infatti, come il malato ha del suo dolore una nozione più esatta del medico che lo cura, la donna ha più che tutto un'idea precisa delle privazioni che patisce, appena si tratta del rimedio da applicare, le donne, in quanto donne, non sono più atte ad indicare la soluzione della questione sociale, come i malati a diagnosticare il trattamento adatto; quando esiste, la loro competenza in questa materia proviene da studi speciali e non dal loro sesso di donne. Che siano un uomo o una donna (o un giovane) che sia eletto sotto la bandiera della collaborazione imperialistica, il risultato sarà lo stesso. La candidatura femminista in Senegal, in quanto è solamente la candidatura di una donna, è un'illusione. Occorre, oggi nel Senegal dominato, una candidatura anti imperialista. E per ciò bisogna scegliere dei candidati in virtù dei servizi che possono fare in termini di rottura e non del loro sesso o della loro età.
Cabral lo diceva già: il "nostro partito e la lotta dovrebbero essere dirette ai migliori figli e figlie del nostro popolo." E' lo stesso per i comuni e l'assemblea nazionale... quando gli antimperialisti avranno conquistato il potere.

Essere nate donne

Nella rubrica "Faits divers" ci parlano di una storia che si svolgea Yang-Yang. Quella di Taubel una donna uccisa, il 1° giugno 2015 da suo marito. Le avrebbe tagliato la carotide e reciso la spalla ed il ginocchio destri. Il 5 giugno, ci parlano di Fanta, questa volta a Goudiry che era stata picchiata da suo marito e dopo pugnalata. Questi atti di violenza, come altri praticati contro donne senegalesi sono lungi dall'essere fatti diversi. È il destino di molte donne senegalesi solo per il fatto di essere donne.

Nel 2014 si sono registrati 3.600 casi di violazione in Senegal. Potremmo parafrasare Angela Davis: La violenza deve ricordare alla donna l'immutabilità essenziale della sua femminilità. Nella società fallocratica senegalese, la parola "donna" continua a significare passività, accettazione, debolezza, rassegnazione, inferiorità. Essere umano di una dignità inferiore a quella dell'uomo e del cui corpo l'uomo può impadronirsi.

L'oppressione delle nostre compatriote per il fatto della loro condizione femminile è tale che il loro corpo non gli appartiene. E' ciò che conferma l'ultima indagine demografica e di salute continua (Eds-c). Il 25% delle donne tra i 15 e i 49 anni dichiara di avere subito l'escissione del clitoride .

L'uso dei contraccettivi è aumentato di otto punti tra il 2010 e il 2014, cioè, è passato dal 12 al 20,3 %. La maggioranza delle donne non può utilizzare metodi contraccettivi senza il permesso del marito. Allora, l'interruzione volontaria della gravidanza? I custodi del tempio fallocratico vegliano.

Un'altra immagine dell'oppressione che vivono le donne senegalesi è che l'80 % di esse non ha accesso diretto ai beni immobili. Solo il 20 % delle donne possiede un titolo regolare di proprietà della propria terra. A questo è necessario aggiungere che la superficie media degli appezzamenti sfruttati da un uomo senegalese gira intorno ai 6,9 ettari, mentre quelle delle donne è intorno ai 3,4 ettari.

È impossibile non ricordare questo altro pernicioso esempio della doppia oppressione delle nostre sorelle e madri rappresentata dalla pratica che consiste nello sbiancarsi la pelle generalmente chiamato "xeesal.". Il 50 al 60% delle senegalesi si dedicano al "xeesal". Un vero problema di salute pubblica. Alcune dei nostri compatrioti non dubitano e dicono con orgoglio: "Io la cosa unica che faccio è il leral." Due oppressioni contemporaneamente: razziale e fallocratica. Oltre alla lotta condivisa col resto dei senegalesi, le senegalesi hanno rivendicazioni specifiche.

Nella società che vogliono edificare i progressisti senegalesi, la donna è uguale all'uomo. È per questo che una lotta risoluta che si libera dalle teorie e dalle pratiche che mettono la donna su un piano di inferiorità continuerà ad essere condotta.

La trasformazione sociale del Senegal passa attraverso la liberazione dai legami con l'imperialismo; se non sarà così, non sarà possibile. Parallelamente, apostrofiamo i più audaci come lo fece così bene Sojourner Truth: "Piccolo signore in nero, laggiù, si dice che le donne non possono avere gli stessi diritti degli uomini perché Cristo non era una donna. Da dove viene il cristo? Da dove viene il vostro Cristo? Da Dio o da una donna? L'uomo non ha niente a che vedere con lui!". E se non sono disposti a capire, aggiungiamo: "Se la prima donna creata da Dio ero tanto forte da rovesciare il mondo ella sola, le donne dovrebbero essere capaci di tornare a metterlo diritto!". Non lavorare per l'emancipazione della donna equivale a mutilarsi. È la stessa cosa decidere di usare una sola gamba invece di tutte e due. Ma il Senegal andrebbe molto più rapidamente con due gambe che con una. La rivoluzione antimperialista anche. Di qui tutta la precisione di Sankara quando dice: "La rivoluzione e la liberazione della donna vanno insieme. E non è un atto di carità o uno slancio d'umanesimo parlare dell'emancipazione delle donne. È una necessità fondamentale per il trionfo della rivoluzione. Le donne sono l'altra metà del cielo". Questa metà, gli antimperialisti dei due sessi la conquisteranno insieme.

In un Senegal liberato, libereremo la donna poiché ogni azione contro l'oppressione neocoloniale è un progresso che allevia la situazione della donna. Incorporiamo la maggioranza delle donne senegalesi alla lotta contro l'oppressione neocoloniale. Esse costituiranno l'esercito decisivo che cambierà i fondamenti del Senegal. E si dirà di loro più di quello che si disse delle donne russe, cinesi, cubane, algerine, sudafricane... O anche ciò che un osservatore borghese della comune scriveva nel 1871 in un diario inglese: "Se la nazione francese fosse composta solo di donne, che terribile nazione sarebbe!".

Dakar, 7 giugno di 2015

Riferimenti bibliografici:

Femmes, race et classe, Angela Davis, 1981

La femme et le communisme, Jean Freville, Janvier 1950

La propagande parmi les femmes, IIIe congrès Internationale Communiste, Juin 1921

* Guy Marius Sagna è coordinatore della coalizione nazionale "Non aux APE Sénégal"
 
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GIU' LE MANI DALL'ERITREA

Post n°472 pubblicato il 25 Giugno 2015 da Guerrino35

www.resistenze.org - popoli resistenti - eritrea - 23-06-15 - n. 549

Mohamed Hassan: "Giù le mani dall'Eritrea!"

Grégoire Lalieu, Investig'Action | michelcollon.info
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

22/06/2015

La tragedia umanitaria dei migranti nel Mediterraneo ha posto un paese del Corno d'Africa relativamente sconosciuto al centro dell'attenzione dei media. L'Eritrea sarebbe in effetti il più grande fornitore di rifugiati. Le loro testimonianze costruiscono l'immagine di uno Stato terrificante dove regna la dittatura, la tortura e la fame. Pochissimi giornalisti hanno visitato l'Eritrea. Andando controcorrente rispetto alcune informazioni che riceviamo su questo paese misterioso, Mohamed Hassan denuncia una campagna di demonizzazione. Conoscitore del Corno d'Africa, egli mette in dubbio ciò che viene detto, ma soprattutto quello che non viene detto sull'Eritrea. E si unisce ai rappresentanti delle comunità eritree in Europa, riunitisi il 22 giugno a Ginevra per inviare un messaggio chiaro all'Occidente: "Giù le mani dall'Eritrea!" (#handsoffEritrea)

Dopo l'ultimo naufragio dei migranti nel Mediterraneo, l'Eritrea è al centro dell'attenzione. Lei che conosce questo paese e che lo visita spesso, cosa ne pensa di quanto è stato scritto sull'Eritrea dalla stampa occidentale?

Occorre innanzitutto interrogarsi sul modo in cui i media ci informano sull'Eritrea. Le testimonianze dei rifugiati sono numerose. Ma avete sentito quelli della diaspora che sostengono il governo eritreo? Avete potuto leggere le risposte del presidente, di un ministro o anche di un ambasciatore agli attacchi indirizzati all'Eritrea? Immaginate di dovervi informare su Cuba. Quale sarebbe la vostra opinione se non si prendessero in considerazione che le testimonianze degli esuli cubani in Florida? Quando la stampa procede in modo tanto unilaterale, senza dare la parola a tutte le parti, fa più propaganda che informazione.

Le testimonianze riportate secondo lei non sono affidabili?

Ovviamente, coloro che fuggono dall'Eritrea hanno il loro punto di vista. Ma ho notato alcune lacune sistematiche nel ritratto che viene fatto di questo paese. Ad esempio, si sottolinea il fatto che nessuna elezione si sia svolta dopo l'indipendenza del paese nel 1993. Si fa anche riferimento alle misure adottate dal governo nel 2001, vale a dire la chiusura di media privati e l'arresto delle opposizione politiche. Ma non si dice nulla del contesto. Potremmo quindi semplicemente credere che il presidente Isaias Afwerki sia stato improvvisamente colto da un eccesso di autoritarismo, tratteggiando così il ritratto di un tiranno capriccioso. Lo hanno anche accusato di essere un alcolizzato e di avere denaro nascosto in Svizzera. Senza fornire alcuna prova, naturalmente. La realtà è diversa. Isaias Afwerki è un uomo lucido, che non ha alcun problema col bere. Conoscendo un minimo l'Eritrea, è assurdo dover controbattere simili voci! Il presidente è modesto. Se vi recaste ad Asmara, lo potreste incontrare mentre cammina per strada, in sandali e senza guardie del corpo. Ciò è molto lontano dall'immagine del tiranno megalomane che sfrutta il suo popolo per la sua ricchezza personale.

Ha parlato di misure nel 2001. Che cosa è successo che i media non dicono?

Nel 2001, l'Eritrea stava emergendo da una guerra terribile con il suo vicino etiope. L'Eritrea è stata una ex colonia dell'Etiopia e ha condotto la più lunga lotta del continente africano per ottenere l'indipendenza. Ma l'Etiopia non lo ha mai digerito e nel 1998 tra i due paesi scoppiò un conflitto. Durante la guerra, alcuni media privati eritrei, corrotti dall'Etiopia, chiamarono a rovesciare il governo. Anche alcuni politici e ufficiali dell'esercito collaborarono con il nemico, sperando di approfittare del conflitto per prendere il potere ad Asmara. Questa guerra fece cadere molte maschere in Eritrea, tanto più che erano in pochi a pensare che il governo vendesse cara la pelle. Ma alla fine riuscì a respingere l'invasione etiopica. E successivamente prese delle misure di sicurezza che vietano i media privati, imprigionando coloro che avevano collaborato con il nemico. Va anche ricordato che prima della guerra erano state pianificate le elezioni, istituita una commissione elettorale e predisposto il voto appena prima dell'invasione.

Sul piano democratico, la situazione non è certo delle più gratificanti. Ma nell'affrontare questo problema, si deve compiere un'analisi completa che tenga conto del contesto. Quello che i media occidentali non lo fanno.

Non c'è stata alcuna guerra con l'Etiopia da quindici anni a questa parte. Ma ancora non ci sono state le elezioni. E l'informazione resta nelle mani dello Stato. Perché?

In primo luogo, tra i due paesi le tensioni rimangono palpabili. Il governo etiope si lancia regolarmente in diatribe bellicose contro il suo vicino. E' anche alla luce di questa situazione di tensione che va analizzata la questione della coscrizione in Eritrea. Contrariamente a quanto è stato scritto dalla stampa, i giovani non sono arruolati a forza e a vita per il servizio militare. Prima della guerra, la durata del servizio era fissato a diciotto mesi. Poi si è alzata durante il conflitto, ma dopo è stata riportata alla sua durata originaria. L'Eritrea ha circa 6 milioni di abitanti, quasi la metà del Belgio. Dall'altro lato, l'Etiopia ha una popolazione di 90 milioni. Si capisce molto rapidamente che l'Eritrea non ha i mezzi umani e materiali per costruire un grande esercito in grado di tenere testa al suo vicino. Il governo non ha d'altronde la volontà di spenderci tanto denaro. Da qui, il servizio di leva che permette di utilizzare un esercito di riserva in caso di conflitto.

Quindi non dimenticate che l'Eritrea si trova in una delle regioni più caotiche dell'Africa. Su questo tema, inoltre, il governo ha una visione molto interessante di cui purtroppo non sentiamo parlare. Esso ritiene che l'ingerenza delle potenze neo-coloniali sia la principale responsabile dei conflitti che attraversano il Corno d'Africa. E per attenuare la tensione, l'Eritrea chiama a riunire tutti gli attori regionali intorno a un tavolo per dialogare pacificamente, senza intromissione delle potenze straniere. Infine, il governo è molto franco su questo argomento: elezioni e media privati non sono una priorità, senza offesa per la visione etnocentrica degli occidentali che glorificano il voto a scapito di altre questioni più critiche. Il governo eritreo sta combattendo in primo luogo sul terreno dello sviluppo. Di questo i media non parlano, finendo così col perdere, io credo, il punto essenziale. In effetti, dopo l'indipendenza l'Eritrea ha rifiutato gli aiuti della Banca mondiale e del Fmi, così come i programmi ad essi collegati. "Gli eritrei sanno meglio di queste istituzioni internazionali cosa è meglio per l'Eritrea", aveva obiettato il presidente Afwerki.

Così facendo, l'Eritrea è diventato il primo paese in Africa a raggiungere gli Obiettivi del millennio. Questo programma è stato messo a punto dalle Nazioni Unite nel 2000 per eliminare la fame, espandere l'assistenza sanitaria e l'istruzione, migliorare le condizioni di vita di donne e bambini, ecc. Esso si basa principalmente sull'aiuto dell'Occidente, ma è un po' caduto nel dimenticatoio con la crisi economica. Ora, ciò che di eccezionale ci mostra l'Eritrea è che un paese africano non ha bisogno di elemosine dall'Occidente per svilupparsi. Al contrario, dobbiamo fermare i saccheggi organizzati dalla Banca mondiale, dal Fmi e da tutte quelle istituzioni che vogliono imporre il neoliberismo ai paesi del Sud.

Ai primi di giugno, l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha pubblicato un rapporto di condanna dell'Eritrea. Secondo il rapporto, "il governo eritreo è responsabile di gravi violazioni dei diritti umani, sistematiche e diffuse". Il rapporto aggiunge che "queste violazioni potrebbero costituire dei crimini contro l'umanità".

Anche in questo caso, il rapporto si basa esclusivamente sulle testimonianze di rifugiati, avendo il governo eritreo negato l'accesso alla commissione di indagine delle Nazioni Unite. Ma un rapporto costruito a partire dalle sole testimonianze dei richiedenti asilo non può essere attendibile. Infatti, per ottenere lo status di rifugiato politico, alcuni non esitano a mascherare la loro nazionalità e a raccontare ciò che il paese ospitante vuole sentire. Tra i profughi eritrei, si trovano pertanto degli etiopi che si fanno passare per quello che non sono al fine di ottenere asilo. Nel 2013, due parlamentari francesi hanno presentato al ministro degli Interni un rapporto che indica la pericolosa contiguità tra coloro che aspirano allo status di rifugiati politici e i migranti economici. A questi ultimi, le reti mafiose che gestiscono le filiere di transito verso l'Europa propongono la falsa testimonianza e dei dossier sulla persecuzione già pronti. Quindi, se alcuni ispettori dell'Onu fanno il loro lavoro con coraggio, anche dispiacendo le grandi potenze, altri non esitano a sacrificare il loro dovere di obiettività sull'altare degli interessi politici. Nel 2011, ad esempio, lo stesso Alto commissariato per i diritti umani agevolò l'intervento della Nato in Libia denunciando la repressione di manifestanti pacifici con carri armati, elicotteri e aerei. Oggi sappiamo che queste accuse erano del tutto campate in aria. Ma avevano lo scopo di fare pressione sul governo libico. La stessa cosa sta accadendo con l'Eritrea.

Chi vuole mettere pressione sull'Eritrea e perché?

Economicamente e politicamente, l'Eritrea è un sasso nella scarpa del neocolonialismo occidentale. L'Africa è un eldorado per le multinazionali. E' il continente più ricco... con le persone più povere! Ed ecco che un paese africano dichiara e dimostra attraverso la pratica che l'Africa può svilupparsi solo liberandosi dalla tutela occidentale. Il presidente Afwerki è stato molto chiaro sulla questione: "Cinquanta anni e miliardi di dollari di aiuti internazionali post-coloniali hanno fatto ben poco per sollevare l'Africa dalla sua povertà cronica. Le società africane sono diventate delle società zoppicanti". Egli ha aggiunto che l'Eritrea deve camminare con le proprie gambe. Poi, come tutti i leader africani che hanno tenuto questo genere di discorsi contro il colonialismo, Isaias Afwerki è diventato un uomo da abbattere agli occhi dell'Occidente.

Il governo eritreo non facilita questa campagna di demonizzazione rifiutando di ospitare una commissione di inchiesta delle Nazioni Unite?

E' necessario comprendere ciò che può apparire come un atteggiamento di chiusura. In primo luogo, l'Eritrea si trascina un pesante contenzioso con le Nazioni Unite. Il paese fu colonizzato dagli italiani. Dopo la Seconda guerra mondiale e la sconfitta di Mussolini, l'Eritrea avrebbe dovuto ottenere la sua indipendenza, ma fu ricongiunto all'Etiopia contro la sua volontà. L'ex segretario di Stato Usa, John Foster Dulles, all'epoca dichiarò: "Dal punto di vista della giustizia, le opinioni del popolo eritreo devono essere prese in considerazione. Tuttavia, gli interessi strategici degli Stati Uniti nel bacino del Mar Rosso e le considerazioni per la sicurezza e la pace nel mondo rendono necessario che questo paese sia ricongiunto al nostro alleato, l'Etiopia". Questa decisione ha avuto conseguenze catastrofiche per gli eritrei. Sono stati letteralmente colonizzati dall'Etiopia e hanno dovuto condurre una terribile lotta lunga 30 anni per ottenere la propria indipendenza.

Inoltre, durante questa lotta, gli eritrei hanno affrontato un governo etiopico sostenuto alternativamente da Stati Uniti e Unione Sovietica. Durante la Guerra fredda, di solito si faceva parte di un blocco o dell'altro. Ma non accadeva mai di avere sulla schiena entrambe le due superpotenze del tempo! Cosa che lascia dei segni, ovviamente.

Ecco perché oggi l'Eritrea ritiene di non avere alcuna responsabilità nei confronti della cosiddetta "comunità internazionale". Essa difende fieramente la propria sovranità per sviluppare al meglio la sua rivoluzione. Non tutto è perfetto, naturalmente. Gli eritrei sono i primi a riconoscerlo. Nonostante i risultati eccezionali per un tale paese in termini di sanità, istruzione e di sicurezza alimentare, tutti vi risponderanno con grande umiltà che c'è ancora molto da fare. Ma perché l'Eritrea continui a progredire, la cosa migliore da fare è di non voler decidere al posto degli eritrei. Per questo mi unisco alla diaspora nel dire alle Nazioni Unite: "Giù le mani dall'Eritrea!"

Per un approfondimento, vedi il dossier: Tutto quello che non dovreste sapere sull'Eritrea
 
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