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Messaggi di Marzo 2016

 

La narrazione che ha ucciso il popolo siriano

Post n°478 pubblicato il 31 Marzo 2016 da Guerrino35

 

www.resistenze.org - popoli resistenti - siria - 29-03-16 - n. 582

La narrazione che ha ucciso il popolo siriano


Sharmine Narwani | rt.com
Traduzione da tlaxcala-int.org

23/03/2016

Il 23 marzo 2011, proprio all'inizio di quello che oggi chiamiamo il 'conflitto siriano', due giovani -Sa'er Yahya Merhej e Habeel Anis Dayoub- sono stati freddati nella città meridionale siriana di Daraa. Merhej e Dayoub non erano civili e non si opponevano al governo del presidente siriano Bashar al-Assad.

Erano due soldati regolari nelle file dell'esercito siriano arabo (ASA). Uccisi da uomini armati sconosciuti, Merhej e Dayoub sono stati i primi di ottantotto soldati uccisi in tutta la Siria nel primo mese di questo conflitto, a Daraa, Latakia, Douma, Banyas, Homs, Moadamiyah, Idlib, Harasta, Suweida, Talkalakh e nella periferia di Damasco.

Secondo la Commissione Internazionale Indipendente delle Nazioni Unite, incaricata di indagare sulla Siria, il bilancio delle vittime fra le forze governative siriane era di 2.569 entro marzo 2012, il primo anno del conflitto. A quel tempo, le Nazioni Unite stimano a 5.000 il totale delle vittime di violenza politica in Siria.

Queste cifre danno un quadro completamente diverso degli eventi in Siria. Decisamente non era il conflitto dipinto nei nostri titoli -se non altro, la 'parità' di morti da entrambe le parti suggerisce che il governo usò una forza 'proporzionale' nel contrastare la violenza.

Ma la morte di Merhej e Dayoub fu ignorata. Non un singolo media occidentale raccontò la loro storia o quella degli altri soldati uccisi. Queste morti semplicemente non erano in linea con la 'narrazione' occidentale delle rivolte arabe e non erano conformi agli obiettivi politici dei governi occidentali.

Per i politici americani, la "primavera araba" ha fornito un'occasione unica per scalzare i governi degli Stati avversari in Medio Oriente. La Siria, il più importante membro arabo del' 'Asse di Resistenza' a guida Iraniana, era il bersaglio numero uno.

Per provocare il cambio di regime in Siria, i temi della "primavera araba" dovevano essere impiegati opportunisticamente – e così i siriani dovevano morire.

Il "dittatore" doveva semplicemente "uccidere il suo stesso popolo", e il resto sarebbe venuto da solo.


Come le parole uccidono

Quattro narrazioni chiave sono state propinate fino alla nausea in ogni organo di stampa occidentale allineato, a partire dal marzo 2011 e con sempre più veemenza nei mesi successivi.

– Il dittatore sta uccidendo "il suo popolo";

– Le proteste sono "pacifiche";

– L'opposizione è "disarmata";

– Si tratta di una "rivoluzione popolare".

I governi filo-occidentali di Tunisia ed Egitto erano stati appena spodestati in rapida successione nei due mesi precedenti – e quindi l'idea di una primavera araba con cambi di regime messi in moto dal basso esisteva nella psiche collettiva regionale. Queste quattro 'narrazioni' accuratamente congegnate, che erano divenute significative in Tunisia e in Egitto, venivano ora rielaborate e scaricate su ogni governo da delegittimare e minare.

Ma per impiegarle a pieno potenziale in Siria, i siriani dovevano scendere in piazza in numero significativo e civili dovevano morire per mano di forze di sicurezza brutali. Il resto si poteva spacciare per "rivoluzione" con la vasta gamma di media stranieri e regionali impegnati in questa narrazione di "Primavera Araba".

Tuttavia, le proteste in Siria non crebbero com'era avvenuto in Tunisia e in Egitto. In quei primi mesi, abbiamo visto gruppi che per lo più si contavano a centinaia -talvolta a migliaia- ed esprimevano vari gradi di malcontento politico. La maggior parte di quei gruppi seguiva il canovaccio di un incitamento da moschee di influenza wahhabita durante le preghiere del venerdì, o dopo uccisioni locali, che dovevano incitare folle inferocite a riunirsi per i funerali pubblici.

Un membro di spicco di una famiglia di Daraa mi ha spiegato che c'era confusione su chi stava uccidendo la gente nella sua città -il governo o 'forze occulte'. Egli ha spiegato che, in quel tempo, i cittadini di Daraa avevano due orientamenti:
"Uno era che il regime stava uccidendo più persone per fermarli e per avvertirli di smetterla di protestare e di radunarsi. L'altra opinione era che milizie occulte volevano che ciò continuasse, perché se non ci sono funerali non ci sono ragioni per radunare le persone".

Con il senno di poi, diamo un'occhiata a queste narrazioni sulla Siria dopo cinque anni di conflitto:

Sappiamo ora che diverse migliaia di soldati delle forze di sicurezza siriane furono uccisi nel primo anno, a partire dal 23 marzo 2011. Perciò sappiamo anche che l'opposizione fu armata fin dall'inizio del conflitto. Abbiamo prove filmate di uomini armati che entrano in Siria attraverso il confine libanese in aprile e maggio 2011. Sappiamo dalle testimonianze di osservatori imparziali che uomini armati prendevano di mira i civili in atti di terrorismo e che le "proteste" non erano tutte "pacifiche".

Una missione della Lega Araba condusse un'indagine di un mese in Siria alla fine del 2011 e riferì:

"A Homs, Idlib e Hama, la missione di osservatori ha assistito ad atti di violenza, commessi contro forze governative e civili, che hanno causato diversi morti e feriti. Esempi di tali atti includono l'esplosione di un autobus civile con l'uccisione di otto persone e il ferimento di altre tra cui donne e bambini, e l'esplosione di un treno che trasportava gasolio. In un altro incidente a Homs, un autobus della polizia è stato fatto saltare in aria, uccidendo due agenti. Sono anche stati fatti saltare in aria un oleodotto e alcuni piccoli ponti".

Il sacerdote olandese padre Frans van der Lugt, residente da anni in Siria, ucciso a Homs nel mese di aprile 2014, aveva scritto nel gennaio 2012:

"Fin dall'inizio i movimenti di protesta non erano puramente pacifici. Fin dall'inizio ho visto manifestanti armati che marciavano nei cortei e cominciato per primi a sparare contro la polizia. Molto spesso la violenza delle forze di sicurezza è stata una reazione alla brutale violenza dei ribelli armati".

Qualche mese prima, nel settembre 2011, padre Frans aveva osservato:

"Fin dall'inizio c'è stato il problema dei gruppi armati, che fanno pure parte dell'opposizione… L'opposizione sulla strada è molto più forte di qualsiasi altra opposizione. Questa opposizione è armata e impiega spesso la brutalità e la violenza solo per poi dare la colpa al governo".

Inoltre, sappiamo anche che in Siria è successo di tutto tranne "rivoluzioni popolari". L'esercito siriano è rimasto integro, anche dopo che media compiacenti hanno riferito di presunte defezioni di massa. Centinaia di migliaia di siriani hanno continuato a marciare a sostegno del presidente in manifestazioni mai riferite dai media. Le istituzioni dello Stato e di governo e i dirigenti del mondo degli affari sono in gran parte rimasti fedeli ad Assad. I gruppi minoritari -alawiti, cristiani, curdi, drusi, sciiti, e il partito Baath, che è a maggioranza sunnita- non si sono uniti all'opposizione contro il governo. E le principali aree urbane e centri abitati rimangono sotto l'ombrello dello Stato, con poche eccezioni.

Una
"rivoluzione" genuina, oltretutto, non ha sale operatorie in Giordania e in Turchia. E non è "popolare" una rivoluzione finanziata, armata e assistita da Qatar, Arabia Saudita, Stati Uniti, Regno Unito e Francia.

Seminare "narrazioni" per interessi geopolitici

Il manuale delle Forze Speciali per la Guerra non Convenzionale degli Stati Uniti del 2010 afferma:

"L'intento [della Guerra Non Convenzionale – GNC] degli Stati Uniti è di sfruttare la vulnerabilità politica, militare, economica e psicologica di una potenza ostile sviluppando e sostenendo forze di resistenza per raggiungere gli obiettivi strategici americani… Per il futuro prevedibile, le forze Usa saranno prevalentemente impegnate in operazioni di Guerra Irregolare (GI)".

Un fonogramma segreto del 2006 del Dipartimento di Stato rivela che il governo di Assad, a livello nazionale e regionale, era in una posizione più forte rispetto agli ultimi anni, e suggerisce modi per indebolirlo:
"Ciò che segue è una sintesi di potenziali vulnerabilità e possibili mezzi per sfruttarla…". Segue un elenco di "vulnerabilità" -politiche, economiche, etniche, settarie, militari, psicologiche- e "azioni" raccomandate per "sfruttarle".

Questo è importante. La dottrina della GNC degli Stati Uniti postula che le popolazioni degli stati avversari di solito hanno minoranze attive che rispettivamente si oppongono e sostengono il loro governo, ma perché un
"movimento di resistenza" abbia successo, deve influenzare la percezione della larga "fascia non impegnata" perché si rivolti contro i propri leader. Dice il manuale (e qui prendo a prestito liberamente da un precedente mio articolo):

Per attivare la
"fascia non impegnata" in supporto della ribellione, la GNC raccomanda la "creazione di un'atmosfera di ampio malcontento attraverso la propaganda e gli sforzi politici e psicologici per screditare il governo".

A mano a mano che il conflitto si intensifica, altrettanto deve fare la "
intensificazione della propaganda; la preparazione psicologica della popolazione per la ribellione".

In primo luogo, ci dovrà essere
"agitazione" locale e nazionale -l'organizzazione di boicottaggi, scioperi, e altri sforzi per suggerire malcontento pubblico. Poi, la "infiltrazione di organizzatori e consulenti stranieri e propaganda, materiali, denaro, armi e attrezzature straniere".

Il livello successivo sarà di stabilire
"organizzazioni nazionali di facciata" [vale a dire il Consiglio Nazionale Siriano] e movimenti di liberazione [vale a dire l'Esercito per la Liberazione della Siria] che spingeranno più grandi segmenti della popolazione ad accettare "violenza politica e sabotaggi crescenti" e a favorire l'appoggio a "individui o gruppi che conducono atti di sabotaggio nei centri urbani".

Ho scritto che strategie di guerra irregolare sostenute da forze straniere erano applicate in Siria a un anno dall'inizio della crisi -quando le schiaccianti narrazioni multimediali vertevano ancora tutte su "il dittatore che uccide la sua gente", le "proteste pacifiche", l'opposizione per lo più "disarmata", la "rivoluzione genuinamente popolare", e migliaia di "civili" presi di mira esclusivamente dalle forze di sicurezza dello stato.

Erano queste narrazioni tutte manipolate? Le immagini che abbiamo visto erano tutte montature? O bastava solo fare alcune cose perché la "percezione" della vasta "fascia non impegnata", una volta forgiata, potesse creare un proprio sbocco naturale verso un cambiamento di regime?

E che cosa ce ne facciamo noi, nella regione, di questa sorprendente nuova informazione su come le guerre sono condotte contro di noi -usando le nostre popolazioni come soldati di fanteria per interessi stranieri?

C
reare un "gioco" nostro

Da questo gioco di narrazioni possiamo trarre due lezioni.

La prima lezione è che le idee e gli obiettivi possono essere fabbricati, incorniciati, rifiniti e impiegati con grande efficacia.

La seconda lezione è che abbiamo bisogno di stabilire media più indipendenti e canali di informazione per diffondere in lungo e in largo le nostre proposte di valore.

I governi occidentali possono contare su un esercito ridicolmente servile di giornalisti occidentali e regionali per rovinarci con la loro propaganda di giorno e di notte. Non abbiamo bisogno di contrastarli per numero o punti di distribuzione -possiamo anche utilizzare strategie per scoraggiare le loro campagne di disinformazione. Giornalisti occidentali che più volte pubblicano informazioni false, inesatte e nocive, che mettono in pericolo la vita, devono essere esclusi dalla regione.

Questi non sono giornalisti -preferisco chiamarli mercenari dei media- e non meritano le libertà riconosciute ai veri professionisti dei media. Se questi giornalisti occidentali, nel primo anno del conflitto siriano, avessero messo in discussione le premesse anche di una sola delle quattro narrazioni di cui sopra, avremmo 250.000 e più siriani morti oggi? Sarebbe la Siria distrutta, e oltre 12 milioni di siriani senza tetto? Esisterebbe l'ISIS?

Libertà di parola? No grazie – no, se dobbiamo morire per gli interessi di qualcun altro.

La Siria ha cambiato il mondo. Ha attirato i russi e i cinesi (BRICS) nella mischia e ha cambiato l'ordine globale, da unipolare a multilaterale -nel giro di una notte. E ha creato una causa comune tra un gruppo di stati chiave della regione che ora formano la spina dorsale di un crescente 'Arco di Sicurezza' dal Levante al Golfo Persico. Ora abbiamo immense opportunità di ri-disegnare il mondo e il Medio Oriente secondo la nostra visione. I nuovi confini? Li tracceremo noi dall'interno della nostra regione. I terroristi? Li sconfiggeremo noi stessi. Le ONG? Creeremo le nostre, con i nostri cittadini e con le nostre agende. Gli oleodotti? Decideremo noi dove farli passare.

Ma iniziamo a costruire quelle nuove narrazioni prima che 'Altri' vengano a riempire il vuoto.

Una parola di cautela. La cosa peggiore che possiamo fare è sprecare il nostro tempo confutando le narrazioni straniere. Quello fa di noi semplicemente i 'negazionisti' nel loro gioco. E rafforza il loro gioco. Quello che dobbiamo fare è creare il nostro gioco -un ricco vocabolario di narrazioni fatte in casa- un gioco che definisca noi stessi, la nostra storia e le nostre aspirazioni in base alle nostre realtà politiche, economiche e sociali. Lasciamo che siano gli 'Altri' a negare la nostra versione, facciamo diventare loro i "negazionisti' nel nostro gioco… dandogli vita.

 

 
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CINQUE ANNI DI GUERRA IN SIRIA

Post n°477 pubblicato il 24 Marzo 2016 da Guerrino35

Cinque anni di guerra in Siria

Higinio Polo | elviejotopo.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

15/03/2016

Oggi fanno cinque anni da quando è iniziata la guerra in Siria. La maggior parte delle fonti ne data l'inizio al 15 marzo 2011.

In quei giorni sulla stampa internazionale si parlava di manifestazioni a Damasco e in altre città siriane, di confuse informazioni sui morti nelle proteste represse dalla polizia e anche delle manifestazioni dei sostenitori di Bashar al-Assad, nella caotica ondata delle "primavere arabe" che ha avuto inizio in Tunisia, per proseguire in Egitto e in altri paesi. L'emergere di nuovi attori politici in Siria, come la "Organizzazione siriana per i diritti umani", che ha fornito informazioni ai media di tutto il mondo e che dietro aveva la mano dei governi occidentali, ha iniziato a cambiare la situazione. Allo stesso tempo, in quei giorni di marzo, Francia e Gran Bretagna stavano preparando la guerra contro Gheddafi, mentre Obama, che aveva minacciato il leader libico, dichiarava di non essere intenzionato a inviare truppe in Libia, ma che avrebbe agito secondo un altro piano. Una settimana dopo l'inizio della guerra in Siria, la flotta Usa si preparava a lanciare l'attacco in Libia, e gli aerei inglesi, americani e francesi cominciarono a bombardare il paese. E l'Arabia Saudita interveniva in Bahrain per reprimere le proteste della popolazione.

Non c'è dubbio che le prime proteste in Siria siano state duramente represse dal governo e il numero dei manifestanti morti, anche se oggi ancora non ben definito, lo dimostra. Queste manifestazioni di protesta furono rapidamente riconvertite dalle monarchie del Golfo e dai servizi segreti nordamericani in gruppi armati beneficiari di finanziamenti, armi e sostegno diplomatico, oltre a un enorme impatto sui media occidentali. L'emergere dell'Esercito Libero Siriano, costituito dai settori dell'opposizione siriana più estremi, da disertori dell'esercito e da jihadisti che iniziavano ad arrivare nel paese, fra i primi gruppi armati, segnarono l'inizio di una guerra civile aperta.

Quelle "primavere arabe", che da quanto si supponeva avrebbero inaugurato un'epoca democratica e di libertà in gran parte del Medio Oriente e del Nord Africa, hanno condotto al caos libico (Gheddafi è stato ucciso nell'ottobre 2011, probabilmente da commandos guidati dai servizi segreti occidentali), in cui oggi anche i bambini vengono rapiti e impiccati. Hanno portato anche al colpo di stato egiziano, sostenuto dagli Stati Uniti, e in Yemen alla caduta di Ali Abdullah Saleh del febbraio 2012, avvenuta dopo il sanguinoso intervento militare di Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, con la complicità e l'appoggio statunitense, che prosegue oggi anche se non suscita tanta attenzione internazionale.

La Siria è stata trasformata in un campo di battaglia dove diverse milizie e gruppi terroristici sponsorizzati da Arabia Saudita, Turchia e dalle monarchie del Golfo Persico, aiutati dagli Stati Uniti e in compagnia di Daesh e al-Qaeda che occupano gran parte del paese, con i gruppi curdi che si oppongono sia al governo di Damasco che ai jihadisti, si fronteggiano con l'esercito siriano di Bashar al-Assad, che riceve l'aiuto dell'Iran e del libanese Hezbollah, oltre ai bombardamenti russi che attaccano le truppe jihadiste che si oppongono al governo di Damasco. La Turchia, l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti si sono dimostrati disposti a inviare truppe in Siria, con l'obiettivo palese di rovesciare il governo siriano.

Gli incerti negoziati di Ginevra, stimolati da Mosca e infine accettati da Washington, possono essere il modo per raggiungere la pace. Ma la tregua è molto fragile. Gli Stati Uniti volevano fin dall'inizio rovesciare il governo siriano con la vecchia scusa di promuovere la democrazia, pretesto che ha già inondato di sangue tutto il Medio Oriente, dall'Afghanistan all'Iraq, passando per Siria e Yemen, per non parlare della Libia. Perché il mostro della guerra è sempre peggio di una dittatura. L'irresponsabilità Usa ha scatenato il massacro di centinaia di migliaia di siriani e un esodo di milioni di persone che affollano i paesi vicini e che lottano anche per raggiungere l'Europa. La cecità dei paesi dell'Unione europea, sempre accomodante verso Washington, li ha portati a sostenere i gruppi terroristici stimolati dagli Stati Uniti... senza prevedere che la guerra e la crisi umanitaria da essa innescata avrebbe causato centinaia di migliaia di profughi che cercano di raggiungere l'Europa, rifugiati che ora l'Unione europea vuole ignorare, in uno spettacolo vergognoso fatto di indifferenza e irresponsabilità dei principali governi europei.

Gli Stati Uniti hanno chiamato "opposizione moderata siriana" i feroci gruppi jihadisti da loro armati, che sul terreno non differiscono nelle loro azioni dal Fronte al-Nusra o da Daesh. In questo senso, il linguaggio fa parte della strategia di guerra. Questa "Coalizione Nazionale" promossa dagli Stati Uniti raggruppa decine di distaccamenti armati, molti dei quali dipendenti dai paesi della regione, dall'Arabia Saudita alla Turchia, come pure i gruppi guidati dai servizi segreti, tra cui emergono in particolare quelli di Israele. Va ricordato che nel marzo 2011 Israele aveva insistito con gli Stati Uniti perché venisse subito attaccato l'Iran e, per delega, il suo alleato nella regione, la Siria. In realtà, attaccare la Siria era stata un'ipotesi costantemente avanzata negli anni di presidenza Bush, inerzia poi proseguita da Obama. Il New York Times riportava nel gennaio 2002 che il principe Abdulaziz, capo dei servizi segreti dell'Arabia Saudita, estremamente turbato, aveva così risposto ai funzionari del governo Usa: "Alcuni giorni dite di voler attaccare l'Iraq, altri giorni la Somalia, altri ancora il Libano, altri la Siria ... Chi volete attaccare, tutto il mondo arabo? E volete che vi sosteniamo? È impossibile, impossibile". In seguito, lo scoppio delle "primavere arabe" avrebbe inaugurato uno scenario diverso e l'Arabia Saudita appoggiò il partito dei sostenitori del rovesciamento del governo di Damasco. Fino ad oggi.

Ora i bombardieri del Pentagono si limitano ad attaccare Daesh, la sinistra creatura partorita dalla disastrosa occupazione statunitense dell'Iraq e dai gravi errori dei suoi militari e funzionari nella gestione del paese. Gli Stati Uniti hanno inoltre trascinato gli alleati della Nato, sia pure con riluttanza, nelle loro avventure in Medio Oriente e Nord Africa, mentre la cancrena in Iraq e in Afghanistan, in Yemen e Libia avanza, mentre la sofferenza senza fine del popolo palestinese prosegue ignorata e Israele continua uccidere e mentre Washington lavora per tentare di limitare il peso di Mosca nella regione.

Allo stesso tempo, gli Stati Uniti hanno cercato di evitare morti tra i loro soldati perché i cittadini americani non vedessero le scene desolanti dell'arrivo dei sacchi per cadaveri negli aeroporti, ma senza preoccuparsi troppo del fatto che altri alleati avrebbero preso il loro posto nel gigantesco letamaio in cui è stato trasformato il Medio Oriente. Né il governo Usa ha espresso preoccupazione per la gigantesca crisi dei rifugiati causata dalle loro guerre: la stragrande maggioranza di coloro che arrivano in Turchia, Libano e Giordania, come in Europa, sono cittadini afgani, iracheni e siriani. Una crisi che sta lacerando il continente europeo, riempiendolo di barriere, xenofobia, di indifferenza per la sofferenza altrui e di bande di estrema destra, mentre i governi europei convivono con la violazione dei diritti umani dei rifugiati, con l'umiliazione, con la vergogna.

Le scene dei rifugiati sotto la pioggia, al freddo, repressi dalla polizia in alcuni paesi europei, dei bambini davanti alle recinzioni; i trecentomila morti, gli undici milioni di sfollati, i cinque milioni di profughi: queste sono le uniche vittorie statunitensi, dopo cinque anni di guerra in Siria.

 
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SIGONELLA

Post n°476 pubblicato il 03 Marzo 2016 da Guerrino35

www.resistenze.org - osservatorio - della guerra - 29-02-16 - n. 578

From Italy to Lybia? Il caso dei droni armati a Sigonella

Matteo De Fazio * intervista Mazzeo | antoniomazzeoblog.blogspot.it

28/02/2016

Qualche giorno fa, il Wall Street Journal ha rivelato come da circa un mese governo italiano abbia autorizzato il decollo di droni armati statunitensi dalla base di Sigonella, in Sicilia, per permettere operazioni militari in Nord Africa. Fino al mese scorso infatti, questi droni sembravano utilizzati solo per sorveglianza aerea. I commenti di queste ore parlano del conseguente intervento in Libia auspicato dagli Usa e dissimulato dal Governo italiano: una decisione che non è un preludio di un intervento militare, secondo il ministro Gentiloni. Ne abbiamo parlato con Antonio Mazzeo, giornalista ed esperto di geopolitica militare.

Questa notizia è strettamente legata alla questione libica?

Ci troviamo di fronte ad un'escalation inarrestabile: questo tentativo di intervento in Libia, prima con i bombardamenti, poi con un intervento via terra è programmato da oltre un anno ed è all'ordine del giorno in ambito Nato e nella Conferenza dei paesi arabi. A meno che non ci sia da parte delle Nazioni Unite un tentativo diverso, penso che si andrà molto probabilmente verso un secondo conflitto in Libia. In questo quadro geostrategico la Sicilia e la base di Sigonella, che ormai è una capitale mondiale degli aerei senza pilota, assumerà un ruolo determinante. Però non è una notizia nuova: già nella 2011, nella prima grande guerra scatenata contro la Libia di Gheddafi, da Sigonella partirono non soltanto i droni di intelligence Global Hawke che operano in questa base da una decina di anni, ma soprattutto i droni killer Predator e Reaper. Nel 2013 fu presentato un rapporto al Parlamento da alcuni studi di ricerca che evidenziarono come un accordo bilaterale tra Italia e Stati Uniti per dislocare aerei killer stabilmente nella base di Sigonella era stato firmato nella primavera del 2013, quindi già da 3 anni questi sistemi operano dalla Sicilia e sappiamo di interventi sia in Nord Africa sia in Niger, in Mali o in Somalia.

Gentiloni ha detto che non sarà il preludio ad un intervento in Libia. Che ne pensa?

Stiamo parlando di droni killer, dunque con una funzione strategica di first strike: servono ad annientare gli obiettivi militari (ma spesso colpiscono anche quelli civili) impedendo qualsiasi tipo di risposta. Nelle logiche di guerra, a partire dalla prima guerra del Golfo (ma anche nei Balcani, in Afghanistan, in Iraq o in Libia) prima di un intervento di terra e di un'eventuale occupazione da parte delle forze armate, c'è bisogno di un intervento massiccio di bombardamenti che distruggano le infrastrutture. Tentare di edulcorare la pillola come sta facendo il Governo italiano mi sembra una mistificazione. Un commento sulla questione del "di volta in volta" di Renzi: 30 anni fa, con la vicenda di Sigonella sul fatto dell'uso della parte americana della base per operazioni di pirateria internazionale che scatenò un momento di grande conflitto tra l'Italia e gli Usa, si pose il problema. Quando una forza armata straniera utilizza le infrastrutture italiane a uso proprio non ci sono strumenti diplomatici né tecnici per impedire un uso che sia contrario alle visioni politiche e agli interessi geostrategici del nostro paese. Tornando alla questione costituzionale, il problema dovrebbe portare a una discussione sulla presenza di basi straniere nel nostro paese, che non possono essere giustificate con il trattato Nato, che era un trattato di mutua sicurezza.

Come tocca l'articolo 11 della Costituzione?

I costituzionalisti pongono il problema sulle questioni relative alla difesa, soprattutto quando si concede l'uso del territorio a una potenza straniera per operazioni portate avanti unilateralmente, quindi fuori da accordi bilaterali o multilaterali come la Nato. Vorrei ricordare che la base di Sigonella, come Camp Derby vicino Livorno o la base stessa di Vicenza sono classificate basi Usa, date in concessione alle forze armate statunitensi fuori da una possibilità di valutazione geopolitica in ambito Nato. Ciò avrebbe richiesto per lo meno un passaggio parlamentare: alcuni costituzionalisti hanno posto il problema sia per strumenti di comunicazione, come il Muos, sia per esempio per la presenza di testate nucleari nella base di Aviano e di Ghedi che sicuramente violano il dettato costituzionale e la firma italiana all'accordo internazionale di non proliferazione nucleare.

Come pongono l'Italia nel quadro del terrorismo globale queste decisioni?

Non dobbiamo dimenticare che l'Italia negli anni '70 e '80 ebbe un ruolo determinante come ponte di dialogo tra l'Occidente e il mondo arabo: questo ha consentito per moltissimi anni di tenere fuori l'Italia da veri e propri attentati terroristici quando organizzazioni radicali del mondo arabo erano invece presenti in altre parti d'Europa e agivano profondamente colpendo la sicurezza e l'ordine pubblico. Questa situazione è cambiata, l'Italia ha fatto una scelta di campo, a mio parere disastrosa, fornendo la piattaforma per operazioni militari di altri, perdendo un ruolo che sarebbe stato importante per l'Ue per tentare il dialogo e proporsi come ponte di confronto e pace, determinando un'inversione di tendenza che va verso la guerra totale e globale che si sta preparando sotto i nostri occhi. Un'occasione persa che sovraespone milioni di persone, soprattutto quei cittadini che vivono accanto alle basi strategiche. Purtroppo chi di spada ferisce, non può che aspettare di perire di spada".

* Intervista a cura di Matteo De Fazio, pubblicata in Riforma.it, quotidiano on-line delle Chiese Evangeliche Battiste, Metodiste e Valdesi, il 24 febbraio 2016.
 
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