Creato da Syrdon il 05/11/2014
l'andata e ritorno del cuore
 

 

Amore

Post n°142 pubblicato il 29 Dicembre 2015 da Syrdon

Dove sei?
Quante volte nell'anima rintocca
il battito della mano sul mio petto
fino all'ora in cui manchi del tutto?

Mi fa impazzire la tua assenza
non riesco a mandar giù la vita
è un boccone amaro che fa male...


la piccola stella della sopravvivenza
collassa al centro del mio cuore.

Svanisce la mia giovinezza
il passato rinnego, se potessi
in un attimo rivivere tutto

riparare i danni cambiare le scelte
...
non lo rifarei

 
 
 

non mi tumulate

Post n°141 pubblicato il 29 Dicembre 2015 da Syrdon

non seppellitemi in un cimitero
non perdete tempo a pregare per me
non portate fiori a dei resti consumati
Non ho l'ambizione di risorgere

preferisco essere confuso con una foglia
mescolarmi al pulviscolo nell'aria
portato da un'ape in una siepe di rose
Dopo, il pensiero di non essere più

mi seduce. La vita eterna è molesta
il ciclo infinito di morte e rinascita
una scusa per imporre il mio essere
a un cosmo che mi guarda di traverso

Non vedo l'ora di essere una scia di cometa
di bruciare nel sole alla fiamma nucleare
senza ricordare nulla dell'oggi. Dio mi conosce
E più di lui non 'importa di nulla

tranne che l'amore a cui lascio il mio essere

 

 
 
 

La sera

Post n°140 pubblicato il 31 Agosto 2015 da Syrdon

Scende
su di me
e su di te.

Sei lontana da me
ma scende su di te
nello stesso attimo.

E lì ti cerco
sul confine invisibile del giorno
quando nulla è palese
e la maschera scende sulle forme
che i nostri occhi danno alle cose.

In quell'attimo tu
sei nelle mie braccia
vera come un pianeta
una nuvola, una visione

e di questo vive l'anima
di questa attesa
che non si consuma...

 
 
 

Ho voglia di te

Post n°139 pubblicato il 27 Agosto 2015 da Syrdon

Ho voglia di te
delle infinite possibilità
che non si sono generate
dal nostro incontro.

Ho voglia
dei mondi che non si sono creati
dopo il nostro mancato amplesso.

Ho voglia di te
lo sussurro dolcemente al tuo orecchio
mentre stai camminando in un altro posto
e sai che ti penso

Ho voglia di te
e tu sai che ho ancora voglia di te
perchè tu hai ancora voglia di me
e io so
che tu
hai ancora voglia di me

 
 
 

communication

Post n°138 pubblicato il 23 Luglio 2015 da Syrdon

Indugiò sotto la doccia. Il suo corpo era ancora caldo del sesso con lui. Lasciò scendere l'acqua sul seno, sulla pancia, tra le gambe. si insaponò con attenzione, specie in mezzo alle gambe, sentendo ancora l'uccello di lui, la sua traccia, la sua sensazione, che la prendeva.

Era strano, era tutto strano. Le sue amiche avrebbero detto squallido ma lei non glie lo avrebbe detto, di questo tipo a cui l'aveva data dopo una serata bellissima. guardò il tablet, il programma di chat aveva un messaggio: "stai bene? Io dormo quasi. Ti penso".

Anche lei lo pensava. Pensava a come avesse scritto quel messaggio: mentre la moglie dormiva, di nascosto, i figli nella loro stanza, in silenzio, al buio, magari in cucina, fingendo di bere un bicchiere d'acqua...

Aveva poco da fare la superiore. Ora che questa cosa era iniziata, non avrebbe anche lei iniziato a mandare messaggi di nascosto, a immaginarlo, a pensarlo altrove, a essere persino gelosa di lui? Poteva fermarsi, ma no, non poteva, non voleva.

pensò a cosa aveva detto lui. Lo Yin e lo Yang...

"noi siamo fatti di Yin e di Yang, sono le nostre metà. Prendi te: tu sei una persona dominante, una leader, e hai sposato un uomo bravo sul lavoro, ma che ti guarda andare avanti, ti incoraggia. Il Yin va' d'accordo con il suo Yang, siete uno. Ma anche tu hai uno Yang, ed è lo Yang che è attratto dal mio Yin, non ridere... quindi anche io e te siamo uno. Ma io sono l'uno del tuo amante, quello che il tuo Yang vuole seguire. Ci vuole un rapporto Yin e Yang anche per essere amanti, cosa credi? anche due amanti si completano a vicenda e hanno un rapporto che riempie parte della vita. Occhio, però, che non è un impegno da poco, riempire quell'altra parte. Prendi te, per esempio. Non è facile l'equilibrio da tenere con te. mettiamola così: non ti si deve inseguire, devi farti seguire. Devi nutrire quella parte di te che vuole essere nutrita, devi tirarla da lontano, devi fare in modo che ti segua. Il tuo Yin è sempre vigile, se vede che il tuo Yang si distrae, lo pizzica. Io invece, devo parlare al tuo Yang senza che lo Yin lo senta, anzi illuderlo del fatto che è ancora lui a tirare la carretta. Solo quando sarà troppo tardi, quando lo Yin, la tua superbia, sarà a riposo, allora lo Yang potrà scatenarsi, e quando lo Yin se ne accorgerà sarà troppo tardi, e non potrà fare altro che farsi trasportare dalla corrente..."

 

Dopo, l'aveva baciata, e il suo, di lei, Yin, distratto, non aveva potuto fare altro che seguire lo Yang scellerato che aspettava un uomo così...

 
 
 

Erba

Post n°137 pubblicato il 21 Luglio 2015 da Syrdon

La città era attonita sotto la canicola estiva. Giaceva come malato agonizzante nella pianura, tra le colline e le montagne. l'aria condizionata usurava i polmoni con il gelo inflitto nell'illusione di raffreddarsi.

Non si era mai vista un'estate così. I bambini non uscivano di casa nelle ore più calde, i vecchietti cadevano a grappoli soffocati dal calore, i vestiti si appiccicavano alla pelle in un corpo a corpo col sudore, che tracimava dalla carne. Era caldo nei muri, per le strade, sui prati. Era caldo sulle lamiere delle automobili, nei treni, sui traghetti in partenza per le vacanze. Era caldo nelle ossa degli operai al lavoro, nelle mani consunte dei braccianti agricoli, caldo nel mattino, caldo nel pomeriggio, caldo a qualsiasi ora del giorno e della notte. Deboli piogge di calore riversavano gocce calde nelle strade e riempivano i tombini, mentre foglie malate e secche minacciavano di cadere, essiccate dalla loro stessa clorofilla infettata dal sole.

La gente, di sera, al buio usciva dalle case, come animali notturni in cerca di preda. Si sedevano su panchine ancora tiepide dei giardini e facevano scorrazzare bambini tenuti in casa tutto il giorno. 

Lei era uscita dall'hotel vestita di jeans leggeri e di una camicia bianca, compatta, ben proporzionata, con il suo viso di etnia Han dagli zigomi larghi, le mani sottili e forti, i capelli neri lisci. L'aspettavo poco lontano. La salutai, la feci salire in macchina, poi andammo a cena in collina, dove una dolce, flebile brezza serale aveva miracolosamente asciugato l'umidità e si poteva parlare tranquillamente, senza fretta.

Lei bevve poco, un goccio di vino, io appena un po' di più. Le piaceva il panorama, come la collina emergeva dal buio, come gli alberi si infittivano a mezza costa, su terreno lasciati incolti e il bosco tornava il bosco delle paure medievali.

Pagai. Salimmo in macchina. aveva un contegno orientale. Temevo di sfiorarla anche accidentalmente, di superare quel muro di isolamento che l'educazione cinese erige intorno a sè, salvo poi travolgerla quando i gusti inquietanti di certe muse erotiche ti fanno capitolare. Lei non era così. Era sposata, madre, non avrebbe mai fatto quelle cose.

Strano come il suo corpo non portasse traccia della gravidanza. Forse un po' nei fianchi, ma in modo impercettibile, come se allargandosi un po' avesse dato a quel suo corpo una forma perfetta, un'anfora che le donava una sagoma femminile di cui lei non era nemmeno cosciente.

Accesi la radio, feci partire le canzoni della mia raccolta. Tutto insieme, dance, rock, pop, musica moderna, classica, blues. Parlammo, non importa di cosa. Lei si faceva cullare dalle note, canticchiando sottovoce qualcosa che le piaceva particolarmente. guardava avanti. Le strade della collina curvavano dolcemente, la macchina le seguiva accennando un piegamento verso l'esterno, un ondeggiare studiato per tenerla in piedi.

- Mi piace la tua libertà - mi disse, in inglese - come vivi la vita, cercando sempre di vedere una prospettiva che sfugge agli altri. Hai una mente aperta, mi stupisce che tua sia così. Qui la gente non è così. Ma nemmeno da me, in fondo.

Tacque. Non sapevo bene cosa dire. Ma non importava, forse non attendeva una risposta.

presi una strada che conoscevo bene, che portava quasi alla sommità di una collina. Mi fermai in un parcheggio in cui eravamo soli.

- Ti mostro le stelle - le dissi
- Cosa? le stelle? - disse lei
- Sì, le stelle, esci - dissi.

Spensi la vettura, rimanemmo nel silenzio assoluto. Lontano, un riflesso delle luci della città, sopra di noi, l'intera volta del cielo. le stelle, a milioni, punteggiavano la scura parete sopra di noi. Mei, questo il suo nome, guardò in alto e rimase ipnotizzata. Era una vista non consueta per lei, che veniva da Shenzen, la città enorme, di milioni di abitanti. Era un panorama inatteso, vero, non costruito da un computer o da una simulazione. guardò in alto, bene. Poi si appoggiò all'indietro, a me.

Solo chi conosce l'estrema circospezione orientale, la codifica dei gesti da compiere, sa quanto un gesto del genere sia estremo. Mei si appoggiò dolcemente e non si spostò. mi emozionava sentire il suo corpo contro il mio. era più bassa di me. La sua testa mi arrivava al petto.

Sentìì il suo respiro. La abbracciai. Lei alzò la testa e in un gesto assolutamente naturale mi baciò sulle labbra. un bacio prima abbozzato, breve, poi lessi nei suoi occhi il desiderio di un altro bacio, più profondo. restammo così, abbracciati e stretti. Evitavo di sfiorarla per non spaventarla, per non farla sentire una preda. Lei doveva prendere l'iniziativa, non doveva sentirsi inseguita, cacciata.

chiusi la macchina, andammo a tastoni verso il prato, camminammo nella macchia silenziosa. Cercai i suoi occhi nel buio, sentii ancora le sue labbra. Le aprii la camicetta, lei fece lo stesso con me. sentii il suo corpo curvarsi, attaccarsi al mio. le slacciai il reggiseno, sentii il suo seno sulla mia bocca, cercai le sue labbra.

eravamo nudi nell'erba. lei si mise sopra di me, cercò il mio uccello a tastoni, lo prese stretto nella mano destra, con la sinistra si toccò la passera e trattenne il respiro. Sentii il suo corpo vibrare, mentre entravo in lei, nella sua passerina stretta, claustrofobica, che doveva gridare di dolore a sentire un membro occidentale prendersela con lei.

Quando fui tutto dentro, levò la testa verso l'alto, emise un gemito e cominciò a muoversi. L'erba era un giaciglio fresco, le sue mani mi graffiavano il torace e la bocca era aperta a respirare con tutto il suo corpo. Adoravo la consistenza della sua pelle, mi sedetti per guardarla da vicino e lì, a pochi centimetri da lei, fui colpito dalla sua bellezza feroce, deformata dall'amplesso che le faceva scoppiare le ovaie. Aveva un ritmo che si adattava perfettamente a me, sincopato, netto, fortissimo. mi stringeva con le gambe sottili e da vicino, alla luce soffusa della luna, i suoi occhi esprimevano un odio per se stessa, per me, per tutto il creato, che le dava fuoco e la dominava mentre cercava di prendermi tutto in sè.

Mi sentii una bestia, un essere mostruoso, cattivo. La sollevai e la rovesciai nell'erba, lei si fece schiacciare da me gridandomi in cinese e in inglese di prenderla, di possederla, di amarla.

- love me love me love me love me - risuonò come tra i muri di una stanza matrimoniale, come sul letto di un'adolescente intoccata, come sul letto del parto. - love me love mE LOVE ME TAKE ME I WANT YOU!!!!

Da quanto tempo non amavo così? Avevo perso il conto. Mi schiantai su di lei, atterrai sul suo corpo come su una pista, come su un mare, come in una fossa. il mio uccello la voleva. la voleva terribilmente. La mia mente la voleva. La mia anima  si sarebbe cibata della sua anima.

non gridava, gemeva, come se tutto fosse solo dolore.

ma mi teneva con le mani e i piedi in sè. Mi costringeva a venirle dentro, a sentire le pareti della vagina stringersi e rilasciare un fiume di liquido spremuto da ogni angolo del suo corpo. sentii il liquido rovesciarsi sul mio uccello e la presi ancora di più. Lei mi tenne ancora il tempo necessario fino a quando il mio seme uscì definitivamente inondandola, riempiendola, mentre l'erba si era aperta e aveva stampato in mezzo la sagoma dei nostri corpi in lotta.

mi piegai su di lei. Le baciai la bocca fradicia di saliva. mi guardò e mi abbracciò. Disse: - thank you - con il suo vocino, come se le avessi portato il caffè. Poi cercammo i vestiti, ci rassettammo, e, ancora fradici l'uno dell'altro, tornammo alla macchina.

Non sono mai facili questi momenti. Un imbarazzo scende tra le persone che hanno appena condiviso tutto. Non si sa cosa dire, come attraversare un muro e non poter tornare indietro.

Lei si lasciò andare nel sedile, mi prese la mano, rimase in silenzio.

La città scorreva ai nostri fianchi, la strada un lungo canale navigabile, il fiume appena un orpello della notte, un flusso di liquami grigiastri che corre al mare.

Arrivammo all'hotel. Lei scese, mi diede un bacio sulla guancia. Mormorò un saluto.

E per me fu come se tutto fosse realmente successo...

 
 
 

Disamore - Gianna

Post n°136 pubblicato il 29 Giugno 2015 da Syrdon

Perchè nessun uomo l'amava? O meglio, perchè nessuno l'aveva amata? Amata davvero, s'intende, come sono amate donne più brutte di lei. Come sono amate le mogli di quelli che se l'erano presa negli anni, promettendole amore eterno.

Questa seduta vicino a lei, per esempio. Un moretta slavata con la faccia da ragazzina, due figli, imbarazzata, talmente poco donna da non saper indossare nemmeno un vestito come quello, un bianco a pois con delle zeppe infantili. la guardava negli occhi mentre si parlavano, per cercare di capire come avesse potuto sposare quello vicino, farci i figli, e fosse persino riuscita a tenerselo. "Quello", era un quarantenne piacione, niente di speciale, s'intende, uno come tanti, ma con quel gusto della battuta, un certo saper vivere, che intrigava. Ma lei, uno così, non sarebbe riuscita a sposarselo.

Si vedeva che, a lui, lei piaceva. Si vedeva che, se non ci fosse stata la moglie, lui ci avrebbe provato. E chissa? Era da tanto che non scopava, un giretto se lo sarebbe fatto. Ma la sera dopo, inveriabilmente, lui sarebbe tornato dalla moglie e dai figli, attratto da quella forza di gravità, che non riesce a schiodare gli uomini dal buco che si sono scavati.

Ma lui, com'era passato attraverso le maglie di donne più belle della moglie, come si era trovato questo essere insignificante, da fuori, e come aveva potuto accasarsi con lei? O meglio, come avevano potuto quelle donne, le regine dei locali a vent'anni, le belle che portavano in giro fidanzati che sembravano destinati a sposarle, le copie carbone di foto di copertina dei rotocalchi, come avevano potuto, loro, non capire, allora, che stavano semplicemente buttando via il loro tempo?

Aveva implorato amore da uomini che volevano solo il contenitore. Uomini di cui anche lei guardava solo l'esterno. Oppure uomini potenti, uomini che avevano poi scelto altre donne.

"Mi spiace", quanto l'aveva sentita? "mi spiace", detta come un sussurro dal sedile del guidatore, mentre lei ascoltava e, l'ennesima volta, ormai annoiata, non doveva nemmeno trattenere le lacrime.

Anche a lei spiaceva, ma non l'aveva mai detto. Anche lei provava qualcosa, un dolore silenzioso che la mangiava dentro.

Bevve ancora. Scambiò battute col marito di lei che le stava vicino, mentre lui cercava di vedere lo stacco di coscia, di farsi eccitare dal riflesso di una mutanda. Era pur sempre una fuoriserie, Gianna.

Partì la musica. Gianna si alzò, si tuffò nel vortice del suono, una sirena nel mare. Vide la moglie dell'uomo con cui parlava danzare imbarazzata, quasi impaurita dal suo corpo, mentre il marito si dimenava in un ballo di corteggiamento per lei, per Gianna, senza avvicinarsi, solo muovendo braccia e gambe senza fermarsi mai.

Non avrebbe mai potuto amare uno così.

 
 
 

La casa

Post n°135 pubblicato il 16 Giugno 2015 da Syrdon

Era una casa rispettabile
abitata da gente semplice
una signora cucinava
aspettando il marito
due figli crescevano
una famiglia integra
portava avanti il suo nome.

Non so dire quando divenne un bordello
quando
sfrattati i vecchi abitanti
o forse morti, chè non sarebbero
andati da nessuna parte,
un affittuario prestanome
ha firmato un contratto e consegnato
a te e alla tua amica
le stanze dove scopiamo io e te.

A te non importa
non è il primo alloggio
in cui suppellettili borghesi
sorvegliano corpi nudi
l'effimero della fornicazione
il sesso comprato a un angolo di strada.

Ti lavi al bidet dove la signora
faceva il tuo stesso gesto
ma senza conoscere uomo da un po',
ti rifletti nel suo specchio
hai una tenerezza malandrina
mentre ti avvicini nuda  a me
e sorridi pronta per il coito.

La sopravvivenza ti ha incallita
sai come cavartela, non ti fai domande
qualcuno abitò qui, qualcun altro
abiterà dopo di te. Il tuo tempo
finisce dove arriva il mio denaro
e se ogni tanto parli di  te
è solo perchè sono un cliente affezionato
e mi ecciti anche vestita, anche pensierosa.

L'amore che riempiva quelle stanze, però,
noi non lo conosciamo, noi non lo vedremo
e la pudica tenerezza borghese, luce
da cartolina d'anteguerra color seppia

Non sarà mai parte del nostro rapporto
basato su un equo scambio, denaro
contro corpo, su cui si regge l'economia
e la rendita del tuo affittacamere

che finge di non sapere chi sei
e schifa il tuo corpo di dea

 
 
 

Dalla strada al letto

Post n°134 pubblicato il 15 Giugno 2015 da Syrdon

 

A.

Il gusto del tuo peccato
raccattato dalla strada
riempie la bocca
quasi mi soffoca

Non godevo così da tanto…
Arrivo al limite guidato
dal tuo corpo che oscilla
come un metronomo su me

Poi non mi biasimare se cola
del liquido sul telo
steso sul materasso, è solo
il primo di una lunga sera.

B.

È una casa borghese.
tre stanze, una cucina.
Appesi quadri comprati
sui banchi di un mercato
di quelli fatti in serie
da una mano poco esperta.

I muri color pesca
non sono quelli adatti
a una notte di passione.
ma guardandoti negli occhi
spariscono i muri la casa il soffitto
e mi trovo a volare nell’infinito
tenendo a bada il tuo bacino
in una lotta impari
di corpi nudi e le tue
labbra chiuse senza baci
come se non fosse la vagina
la porta dell’anima
ma la bocca, che ospita la lingua…

E tu l’anima
non la dai a nessuno
se non vuoi.

 

 

C.

Ti ho scelta perché non eri la più svestita di tutte.
Stavi a parte, all’ombra di un androne, nella pioggia.
Il tuo spazio prenotato da una bottiglia di plastica vuota come a dire:
occhio che qui ci sono io, questo spazio costa e non me lo faccio fottere.
La tua poesia costava cinquanta euro
Ma ne meritavi altri cinquanta.
Sono un cattivo cliente:
non dovrei donarti troppo
piuttosto tenere a stecchetto la tua brama
di soldi che accende il tuo talento
per far godere un uomo.
Invece no, mi piace scopare
con una tranquilla
che guadagna oltre la mezz’ora.
E poi, ci metto tempo a venire, non devi farmi fretta,
i miei soldi li ho spesi e devo esserne contento
andare a casa togliendomi le voglie
non tormentare mia moglie tra le gambe
avere l’uccello sfamato e la bocca piena
di un tuo gusto acidulo di pelle
per il resto così liscia.
Questo il segreto di un lungo matrimonio.

D.

Se volesse, potrebbe possedermi.
Sono un uomo, lo so.  Ho voglie patentate
mi piace fare l’amore visceralmente
trovarmi avvinghiato a un corpo di donna
e sentire la vagina fremere quando
entro in lei che aspetta
e socchiude gli occhi deglutisce
come se ci fosse un boccone da mandar giù.
Amarsi non è una cosa semplice
specie se dura nel tempo
è la corsa di un treno con due passeggeri
uno scontro di particelle nel sincrotrone…
si arriva a non sopportarsi e all’improvviso
ci si innamora di nuovo e ci si odia infine.
I corpi diventano estranei
materie che non si fondono
l’amore incallisce come la pietra
toglie la voglia di tenersi per mano
di darsi un bacio della buonanotte
l’amore rende solitari e avvezzi al rifiuto
fino a quando altro amore non risale
dal profondo del mare dell’anima…

 

 
 
 

il colore bianco

Post n°133 pubblicato il 10 Giugno 2015 da Syrdon

"non voglio più sapere nulla del mondo, io so già tutto" Disse Luca, con rabbia.

Sedevano su un prato di primule e margherite. Anna indossava una canottierina nera e una gonna al ginocchio con delle paperine nere, Luca, dei calzoni corti, scarpe da ginnastica, una maglietta girocollo bianca.

Si conoscevano fin da bambini. A sei anni lottavano sui divani, si picchiavano tutto il giorno, si inseguivano e si mancavano. Mentre lottavano si stringevano, si toccavano, si facevano male, come fosse una forma inoffensiva di sesso. A 13 anni, all'improvviso, Luca aveva sentito un brivido, vedendo Anna, qualcosa che si muoveva in mezzo alle gambe, un fiotto di liquido denso era uscito e aveva imbrattato le mutande.

Non era colpa sua, in una notte il seno di Anna era cresciuto di colpo. E gli occhi, quegli occhi che conosceva bene, avevano messo su un riflesso argenteo, come se uno strato d'acqua si fosse depositato sulle pupille.

Luca era corso a casa tenendo chiusi gli occhi, si era rifugiato in camera senza sapere cosa gli stesse succedendo...

 
 
 

...

Post n°132 pubblicato il 09 Giugno 2015 da Syrdon

L'immagine, il vuoto
la figura cancellata, abrasa
il disegno coperto da uno strato
di colore denso e ricattatorio.

Eppure, sotto, la sostanza,
la presenza, l'illusione
di poter fare senza,
il ritorno all'inizio.

Non sei mai andata via
se non di tua sponte

Non ho mai smesso di volerti
...

 
 
 

morning

Post n°131 pubblicato il 08 Giugno 2015 da Syrdon

Si sentiva una supernova, una stella cometa.

Percepiva il debole segnale del resto dell'universo, era come un abisso al cui orlo si riunivano intere costellazioni. Era come un mare inquieto.

Si stirò tra le coperte. L'uomo della sera prima non aveva lasciato tracce. Le gambe dolevano. L'anello stretto al dito era l'ultima traccia della sua fedeltà. Era come un guinzaglio rotto, come l'estremo di una catena invisibile strappata dal muro.

La pelle bruciava sulla spalla per un morso violento. Era stato cattivo con lei, perfido e giovane.

Ne sentiva ancora il corpo addosso. Non sarebbe stato l'ultimo...

 
 
 

Confine

Post n°130 pubblicato il 08 Giugno 2015 da Syrdon

L'altro paese era laggiù, oltre la barriera invisibile del confine. Aveva camminato per due giorni, braccato dal latrato di cani da caccia, cercando fiumi, terra marcia, pioggia, che rallentasero le sue ricerche. man mano che saliva il clima si seccava, la vegetazione si diradava. Ora, a duemila metri, l'aspetto inconfondibile di una terra straniera, distesa davanti a lui come il corpo esanime di una donna. Respirò profondamente. Riempì i polmoni prima di cominciare la discesa.

Sentiva l'odore acre della sua pelle sudata. Una barba folta stava crescendo sulle guance. le gambe gli facevano male perchè si era fermato all'improvviso e il sangue impazzito le nutriva come per una corsa.

Laggiù, in pianura,  fino a dove si poteva vedere, ci sarebbe stata vita, di nuovo. Immaginava il corpo caldo di una puttana, perdio!, ci avrebbe speso un po' di soldi ma il suo uccello ne aveva bisogno. E fanculo se tutti lo pensavano un povero prigioniero politico in fuga da una dittatura, la prima cosa a cui avrebbe pensato era una donna, e che donna!. Si ricordava che al porto della prima città, su cui le montagne incombevano come una bottiglia di vino su un bicchiere, c'erano delle mulatte con delle cosce generosissime. Già si immaginava su di loro a succhiare dal seno e a farsi divorare l'anima...

Pazzie dell'aria rarefatta. Sentì, nella tasca interna del giaccone, la sagoma familiare del suo ultimo romanzo e i fogli stropicciati delle poesie. Un editore in incognito lo aspettava là in fondo. Una vita lo aspettava al fondo di quelle montagne.

Si rimise i guanti. La primavera era abbastanza avanzata da fargli varcare il passo, ma non ancora da riscaldare l'aria. Non sentiva più nulla. I cani erano lontani, fece un passo in avanti per superare il confine invisibile che, gli dicevano, era su quel pianoro, e quando lo fece, fu come se un colpo dell'ineluttabile lo avesse tramortito. Per la prima volta fuori dalla lingua natia, ne ebbe una subitanea malinconia, pensò che dove andava tutti gli erano stranieri.

Ma sapeva che una volta superato lo specchio non si torna più indietro. Perdere la consapevolezza significa morire.

 
 
 

sfuggevolezza

Post n°129 pubblicato il 05 Giugno 2015 da Syrdon

Antonia lo guardò andare via offeso, dopo che lei aveva rifiutato la sua offerta d'amore. Non era la prima volta che un uomo le si offriva, nè la prima che un uomo, lo stesso, se ne andasse via arrabbiato. Pensava che un giorno o l'altro sarebbe finita, che a quarant'anni passati questi fauni in cerca di appagamento sensuale sarebbero diminuiti, invece si sbagliava.

E' che più gli uomini crescevano, più diventavano adolescenti. Creature insoddisfatte che inseguivano sogni non avveratesi da ragazzi, ex che si ripresentavano a lei in cerca della magia perduta, perfino sconosciuti che facevano l'occhiolino certi di trovarsi irresistibili. L'uomo proprio non capisce di non essere sempre al centro dei pensieri di una donna. Non capisce che una donna, anche una donna come Antonia, non pensa sempre al sesso. Nè che una donna come Antonia, anche madre, anche al lavoro, vuole essere bella per soddisfare l'idea che ha di sè, non per attrarre sguardi o sedurre.

Il suo sguardo da gatta morta aveva sempre affascinato gli uomini. Lei non se li filava e loro le cadevano ai piedi. Piero, con cui si era sposata, fatto due figli e divorziato quattro anni prima, da ragazzo, quando si erano messi insieme, non aveva fatto nulla per affascinarla, e lei si era innamorata, anche se tutti pensavano che fossero  troppo diversi per restare insieme.

Divorziare dopo vent'anni aveva messo nello sguardo delle amiche una nota trionfale, del tipo: "che ti avevo detto?". Ma lei non si sentiva così sconfitta ad aver fatto una famiglia e aver amato lo stesso uomo per vent'anni. Le altre, quelle che erano sempre rifuggite dall'uomo "abbastanza" nelle braccia di innumerevoli uomini "totali", non avevano fatto famiglie nè figli, e ora insguivano una maternità lasciata in fondo alle opzioni vitali, mentre lei aveva smesso di tormentare le ovaie in cerca di ovuli, lei, i suoi, li aveva fatti.

Per questo non aveva fretta, non voleva  consumare alcunchè. Gli altri giravano intorno e lei li lasciava fare. Quel poveretto di Gianni se ne era andato davvero abbacchiato, occhi bassi, tristissimo. Antonia non ci pensò. Pagò il suo caffè, salutò il barista e uscì. Si accese una sigaretta, aveva cominciato a fumare dopo il divorzio, le dava serenità. Rimase con la sigaretta tra l'indice e il medio della mano sinistra, la destra piegata sul fianco.

La via era vuota, il cielo azzurro. Le foglie delle piante si muovevano al vento di un pomeriggio afoso, impercettibile. Diede un'ultima tirata, la buttò in un tombino poi si incamminò verso il lavoro senza che nessuno la richiamasse.

 
 
 

Caffè

Post n°128 pubblicato il 04 Giugno 2015 da Syrdon

Guardo fuori dalla finestra del bar, la gente che cammina. Il caffè si raffredda nella tazzina. Lo zaino del computer accucciato a terra come un cane fedele. E' cominciato il caldo. L'atmosfera immobile di primo mattino, appena corrugata dai volti degli avventori, dalle macchine che lentamente sprecano energia accumulata nel serbatoio, dai ragazzi che corrono a scuola con le cartelle a fianco.

Il gusto del caffè si fa strada in bocca, goccia dopo goccia. Assaporo il suo aroma, sento sciogliersi sulla lingua il granulo assorbito dall'acqua. Leggo distrattamente una notizia, cerco solo quelle dei trafiletti: i morti non troppo importanti, magari famosi un tempo e vissuti oltre il necessario, un evento officiato da un prelato di medio grado, una nomina a commendatore di un vecchio con le lacrime agli occhi. Il cellulare suona, lo spengo, non ascolto nessuno, oggi, lascio tracimare gli eventi. Dalla spalla scende un'ondata di bianca spuma, un mare esonda da dentro nell'anima e fa' il vuoto in me.

Uno entra ancora nel bar, saluta, parla delle solite cose. Per la prima volta noto il verde tenue del muro, guardo i miei occhi nello specchio fissato a mezza altezza, cerco una verità che tengo nascosta da molto tempo, ma non trovo nulla, ho così poco da dire, ultimamente.

Mi sono illuso tante volte che bastasse un altro amore a risvegliare il mio desiderio di vivere. Mi sono illuso tante volte di volere qualcosa al di fuori della mia vita... Ora che scavo in quello che possiedo, mi sembra di possedere un intero universo, e scopro con terrore che non mi basta. Avrei voglia di una sigaretta, di tenere un mozzicone in equilibrio sulle labbra.

Mi accorgo che tengo sempre gli occhi su di me. Presa da unaforza centripeta degna di un buco nero, la mia scrittura non riesce ad alzarsi dalla mia gravità. Sono come un pianeta enorme, come una stella collassata da cui non si può sfuggire.

Eppure sono certo che basterebbe alzare gli occhi e guardare avanti, per vedere quanto si può riempire questo nulla.

 

 
 
 

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