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Riflessioni semiserie in pinzimonio di semiconfusione.
 

 

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Ci sono stata anche io

Post n°159 pubblicato il 24 Maggio 2012 da bambiblu1310
 

Questo è un post anomalo. Intanto è lungo, molto lungo. Forse troppo lungo, ma mi è venuto fuori così.

E poi è serio. In questo luogo non ho mai voluto affrontare argomenti troppo seri, ho sempre voluto fare della leggerezza la parola d’ordine dei miei scritti.

Ma ci sono cose che a volte vanno affrontate. E questa terrificante ondata di suicidi è una di queste.

Perché non riesco a smettere di pensarci, perché è un bollettino di guerra, ormai, e bisogna fare qualcosa.

Perché la gente è disperata, e sola, e la disperazione è un mostro che si nutre della disperazione altrui, e ogni notizia di chi non ha retto fa crescere nel cuore degli altri il senso di solitudine, e di disfatta. Alimenta la disperazione, e, come fosse il centro di un bersaglio, mostra come unica via quella del suicidio.

Parola scomoda, difficile da usare, dura e tagliente.

Parola di cui sentiamo parlare tanto, ultimamente, e restiamo sgomenti, vacillanti, incerti davanti a quelle persone, a quel gesto, che non sappiamo spiegare.

Sovente giudichiamo, dall’alto della nostra vita, della nostra solidità. Altre volte soffriamo con loro. Ma da lontano, senza capire mai, fino in fondo.

Io ho provato a capire. A vestire quei panni. A farli miei fino a star male.

Perché non so cosa si possa fare, ma qualcosa va fatto. E forse il primo passo, è proprio quello di cercare di capire. Senza giudicare.

E così sono stata su un ponte, a guardare giù.

E visto che l’unica cosa che so fare è scrivere, ho scritto.

Domani torno quella di sempre. Promesso.

 

 

Ci sono stata anche io, su quel ponte, su quel balcone, o con in mano quella pistola, insieme a tutti quelli che, in questi mesi, hanno ceduto il passo alla disperazione.

Mi sono immaginata lì, da sola, ma ci sono stata anche con il pensiero ai miei figli, che non si può lasciarli qui, soli, a crescere con la pesante ombra di un genitore suicida che avrebbe rovinato loro la vita, con la convinzione che questa non è vita, che non l’avrebbero mai avuta, una vita felice. Perché chi perde, perde sempre.

Ci sono stata molte volte, a pensare a come ci si possa sentire ad accarezzare quel momento, a pianificarlo, a tenerlo lì, come un’uscita di sicurezza, un piano B pronto per quando non ce la si fa più.

Ci sono stata. E ho pensato a come riuscire ad andare via, una volta che si è lì, sul ponte. A come si possa scegliere di tornare indietro, di non farlo.

A come si scelga da soli, raccogliendo quelle forze che sembravano non esserci più. A come si fa ad obbligarsi a tornare a casa, in una notte di disperazione cupa e senza luce.

Si può fare. Si può tornare a casa, ma per un giorno. Un giorno solo.

E’ solo quello, che, in quel momento, ti può far tornare indietro. Il pensiero che lo farai il giorno dopo.

La possibilità, nel cuore, e nell’anima, di poterci tornare, su quel ponte, o di poterle ancora prendere, quelle pillole. Il pensiero che si debba vivere ancora un solo giorno.

Perché la depressione, quella disperazione cupa che ti rapisce il cervello, che ti impedisce di ragionare, più si guarda avanti, più cresce.

Perché ciò che alimenta la disperazione, quello che ti porta per mano su quel ponte è l’ansia, la paura del futuro visto tutto insieme. E’ il come fare ad affrontare tutta questa vita che ancora ti aspetta.

E’ la lunga distanza, che non è sostenibile.

E la solitudine.

E’ il pensiero di essere costretti a dover chiedere aiuto, e non avere nessuno a cui rivolgersi. O avere ricevuto porte chiuse, come risposta.

E’ la vergogna di non poter più dare ai figli quella vita che avevano fino a ieri, la paura di renderli infelici, di renderli diversi, emarginati, soli. Anche loro.

E’ il mostro del futuro, che si mangia ogni cosa, che fa precipitare verso il basso. Che trasforma la speranza in terrore, la volontà di fare, in fallimento.

E la paura del futuro si esorcizza solo facendo un passo per volta, vivendo un giorno per volta. Solo uno. A volte anche solo mezza giornata per volta.

Il giorno dopo non ci torni più, su quel ponte, ma ci pensi. Tanto.

Senza vergogna, perché non succede come ci fanno vedere nei film, che poi pensi “Sono così felice di non averlo fatto, ho sfiorato la morte e ora so il significato della vita”.

No, nessuna folgorazione sulla via di Damasco, nessun attimo di luce che ti spinge a trovare significati nuovi all’esistenza.

Solo una tristezza cupa e dolorosa. Solo la fatica di aprire gli occhi, di alzarsi dal letto. La delusione di essere ancora vivi, a lottare.

E la tieni con te a lungo, la consapevolezza di poter tornare su quel ponte.

Ogni volta che la vita si fa più dura, che un problema fa paura, che qualcosa è più difficile del solito, ci ripensi.

E’ come avere un piccolo amuleto in tasca, da sfiorare nei momenti difficili. Si sfiora l’idea della morte, l’idea della fuga.

E per assurdo è proprio la morte a tenerti in vita, ogni giorno, ora per ora, attimo per attimo.

E’ l’idea di potertene andare quando vuoi, a darti la forza per vivere ogni giorno, anche davanti alle difficoltà maggiori.

Ti dici sempre “Domani. Lo faccio domani”.

E quel domani magari non arriva più.

Ci saranno momenti durissimi, in cui occorre scalare la montagna della quotidianità a mani nude.

Poi, piano piano, le cose diventeranno più leggere. Le soluzioni arriveranno. La pioggia smetterà di scendere.

E un giorno ti scopri più forte, riprendi un po’ di fiducia, e guardi indietro, a tutta quella strada fatta pensando sempre “domani me ne vado”.

Ed è tanta. E mostruosamente impervia. Ma l’hai fatta. Tu.

Scopri che puoi stare bene, che hai costruito una vita che allora non avresti mai nemmeno immaginato di poter avere. E di aver caparbiamente ricominciato ad inseguire i tuoi sogni.

E forse li hai anche raggiunti.

Perché sei forte, e lo sei stato tanto, e hai imparato a non avere paura. Un giorno dopo l’altro.

Si può fare, si può trovare una via di uscita. L’importante è non cercarla nella disperazione, non arrendersi perché non arriva immediatamente. Il fatto che ora non siamo in grado di vederla, non vuol dire che non ci sia. Bisogna lasciarle tempo.

Adesso scendi. Ci torni domani, se vuoi.

 
 
 
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Io ho deciso di lasciarmi andare, di seguire il vento e di smarrirmi, per scoprire se riuscirò a ritrovarmi.

Questo blog vuole essere un po' un diario di viaggio, un compagno che passo passo mi accompagna lungo la strada, ma anche una piccola ancora di salvezza che, come i sassolini di pollicino, possa aiutarmi a tornare a casa, se dovessi perdermi troppo... 

 

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