Creato da bambiblu1310 il 12/11/2009
Riflessioni semiserie in pinzimonio di semiconfusione.
 

 

Notte prima degli esami

Post n°160 pubblicato il 20 Giugno 2012 da bambiblu1310
 
Foto di bambiblu1310

Non ci sono riuscita, a scrivere, fino ad ora.

E' da ieri sera che ho questo post sulla punta delle dita, ma non voleva uscire. Non era pronto. Non ero pronta.

Ieri era la "Notte prima degli esami". La TUA "notte prima degli esami". Lo so, è banale, l'hai detto anche tu. Ma a me le banalità mi hanno sempre fatto emozionare.

Piango solo per quelle. Piango mentre guardo i film, se ascolto una canzone triste. Anche i telefilm, a volte i cartoni animati, riescono a farmi piangere. Le cose serie no. Davanti a quelle mi chiudo, metto su mura spesse e altissime, in modo che i sentimenti non riescano a vedere fuori, in modo da lasciarli lì, al buio, senza aria.

E infatti, non ero emozionata, fino a ieri. Lo sapevo, che avevi la maturità, e che tua sorella aveva l'esame di terza media. Lo sapevo al punto che ci facevo anche su dello spirito, sulla tensione che aleggiava in casa, in questo ultimo mese.

Non ero emozionata al punto che stavo per partire, proprio in questi giorni. Che avevo programmato una mia piccola fuga ad Alessandria (annullata, ovviamente), a partire da domani, fino a domenica, completamente dimentica del periodo che sarebbe stato. 

Ma poi, ieri sera, su twitter, ho letto le parole "notte prima degli esami".

E' stato uno tsunami. Di colpo tutta l'emozione mi è arrivata addosso. E in un attimo avevo il magone, preda di un'onda di sentimenti contrastanti, inaspettati e travolgenti.

Intanto, le lacrime in tasca. Da ieri sera non posso leggere, o sentire, nulla che riguardi la maturità, che mi ritrovo con gli occhi lucidi, ad ascoltare il cuore che trema. Il solo pensiero di te, lì, a leggere le tracce dei temi, a scrivere, seduto in quel banco, mi manda l'anima in pezzi, facendola crollare.

Perché sono in apprensione. Per te, per l'inevitabile (e sana, anche) ansia che sicuramente ti sta salendo, per l'esame in sé, per tutto ciò che sarà dopo.

Perché di colpo ti rivedo davanti a me, bambino, col tuo grembiule nero, il primo giorno di elementari. E mi sembra ieri. E invece sono passati quasi 13 anni, da quel primo giorno, e io mi chiedo dove li ho messi, dove li ho appoggiati, che non li trovo più, tutti quegli anni..

Perchè inevitabilmente sale il ricordo di me, a 20 anni, al mio esame di maturità. E si mischiano tra di loro il sapore dolceamaro del ricordo, e di ciò che mi aspettavo e mi immaginavo dalla mia vita allora, e quello più pungente della speranza, ma anche della preoccupazione per quella che sarà la tua strada. E sento insieme la nostalgia, e la voglia di guardare avanti. Il ricordo, e la speranza. L'istinto e il desiderio di proteggerti, e la consapevolezza di doverti lasciare andare.

E' come se ti vedessi lì, sul ciglo di un precipizio. In bilico tra paura, e voglia di saltare.

E vorrei dirti di restare lì, di non saltare, di non rischiare, che la vita fa male, comunque e sempre.  Ma so che non lo farò, e so che tu salterai.

E io starò lì a guardarti spiegare le tue grandi e forti ali, e spiccare il volo.

 

 

 

 
 
 

Ci sono stata anche io

Post n°159 pubblicato il 24 Maggio 2012 da bambiblu1310
 

Questo è un post anomalo. Intanto è lungo, molto lungo. Forse troppo lungo, ma mi è venuto fuori così.

E poi è serio. In questo luogo non ho mai voluto affrontare argomenti troppo seri, ho sempre voluto fare della leggerezza la parola d’ordine dei miei scritti.

Ma ci sono cose che a volte vanno affrontate. E questa terrificante ondata di suicidi è una di queste.

Perché non riesco a smettere di pensarci, perché è un bollettino di guerra, ormai, e bisogna fare qualcosa.

Perché la gente è disperata, e sola, e la disperazione è un mostro che si nutre della disperazione altrui, e ogni notizia di chi non ha retto fa crescere nel cuore degli altri il senso di solitudine, e di disfatta. Alimenta la disperazione, e, come fosse il centro di un bersaglio, mostra come unica via quella del suicidio.

Parola scomoda, difficile da usare, dura e tagliente.

Parola di cui sentiamo parlare tanto, ultimamente, e restiamo sgomenti, vacillanti, incerti davanti a quelle persone, a quel gesto, che non sappiamo spiegare.

Sovente giudichiamo, dall’alto della nostra vita, della nostra solidità. Altre volte soffriamo con loro. Ma da lontano, senza capire mai, fino in fondo.

Io ho provato a capire. A vestire quei panni. A farli miei fino a star male.

Perché non so cosa si possa fare, ma qualcosa va fatto. E forse il primo passo, è proprio quello di cercare di capire. Senza giudicare.

E così sono stata su un ponte, a guardare giù.

E visto che l’unica cosa che so fare è scrivere, ho scritto.

Domani torno quella di sempre. Promesso.

 

 

Ci sono stata anche io, su quel ponte, su quel balcone, o con in mano quella pistola, insieme a tutti quelli che, in questi mesi, hanno ceduto il passo alla disperazione.

Mi sono immaginata lì, da sola, ma ci sono stata anche con il pensiero ai miei figli, che non si può lasciarli qui, soli, a crescere con la pesante ombra di un genitore suicida che avrebbe rovinato loro la vita, con la convinzione che questa non è vita, che non l’avrebbero mai avuta, una vita felice. Perché chi perde, perde sempre.

Ci sono stata molte volte, a pensare a come ci si possa sentire ad accarezzare quel momento, a pianificarlo, a tenerlo lì, come un’uscita di sicurezza, un piano B pronto per quando non ce la si fa più.

Ci sono stata. E ho pensato a come riuscire ad andare via, una volta che si è lì, sul ponte. A come si possa scegliere di tornare indietro, di non farlo.

A come si scelga da soli, raccogliendo quelle forze che sembravano non esserci più. A come si fa ad obbligarsi a tornare a casa, in una notte di disperazione cupa e senza luce.

Si può fare. Si può tornare a casa, ma per un giorno. Un giorno solo.

E’ solo quello, che, in quel momento, ti può far tornare indietro. Il pensiero che lo farai il giorno dopo.

La possibilità, nel cuore, e nell’anima, di poterci tornare, su quel ponte, o di poterle ancora prendere, quelle pillole. Il pensiero che si debba vivere ancora un solo giorno.

Perché la depressione, quella disperazione cupa che ti rapisce il cervello, che ti impedisce di ragionare, più si guarda avanti, più cresce.

Perché ciò che alimenta la disperazione, quello che ti porta per mano su quel ponte è l’ansia, la paura del futuro visto tutto insieme. E’ il come fare ad affrontare tutta questa vita che ancora ti aspetta.

E’ la lunga distanza, che non è sostenibile.

E la solitudine.

E’ il pensiero di essere costretti a dover chiedere aiuto, e non avere nessuno a cui rivolgersi. O avere ricevuto porte chiuse, come risposta.

E’ la vergogna di non poter più dare ai figli quella vita che avevano fino a ieri, la paura di renderli infelici, di renderli diversi, emarginati, soli. Anche loro.

E’ il mostro del futuro, che si mangia ogni cosa, che fa precipitare verso il basso. Che trasforma la speranza in terrore, la volontà di fare, in fallimento.

E la paura del futuro si esorcizza solo facendo un passo per volta, vivendo un giorno per volta. Solo uno. A volte anche solo mezza giornata per volta.

Il giorno dopo non ci torni più, su quel ponte, ma ci pensi. Tanto.

Senza vergogna, perché non succede come ci fanno vedere nei film, che poi pensi “Sono così felice di non averlo fatto, ho sfiorato la morte e ora so il significato della vita”.

No, nessuna folgorazione sulla via di Damasco, nessun attimo di luce che ti spinge a trovare significati nuovi all’esistenza.

Solo una tristezza cupa e dolorosa. Solo la fatica di aprire gli occhi, di alzarsi dal letto. La delusione di essere ancora vivi, a lottare.

E la tieni con te a lungo, la consapevolezza di poter tornare su quel ponte.

Ogni volta che la vita si fa più dura, che un problema fa paura, che qualcosa è più difficile del solito, ci ripensi.

E’ come avere un piccolo amuleto in tasca, da sfiorare nei momenti difficili. Si sfiora l’idea della morte, l’idea della fuga.

E per assurdo è proprio la morte a tenerti in vita, ogni giorno, ora per ora, attimo per attimo.

E’ l’idea di potertene andare quando vuoi, a darti la forza per vivere ogni giorno, anche davanti alle difficoltà maggiori.

Ti dici sempre “Domani. Lo faccio domani”.

E quel domani magari non arriva più.

Ci saranno momenti durissimi, in cui occorre scalare la montagna della quotidianità a mani nude.

Poi, piano piano, le cose diventeranno più leggere. Le soluzioni arriveranno. La pioggia smetterà di scendere.

E un giorno ti scopri più forte, riprendi un po’ di fiducia, e guardi indietro, a tutta quella strada fatta pensando sempre “domani me ne vado”.

Ed è tanta. E mostruosamente impervia. Ma l’hai fatta. Tu.

Scopri che puoi stare bene, che hai costruito una vita che allora non avresti mai nemmeno immaginato di poter avere. E di aver caparbiamente ricominciato ad inseguire i tuoi sogni.

E forse li hai anche raggiunti.

Perché sei forte, e lo sei stato tanto, e hai imparato a non avere paura. Un giorno dopo l’altro.

Si può fare, si può trovare una via di uscita. L’importante è non cercarla nella disperazione, non arrendersi perché non arriva immediatamente. Il fatto che ora non siamo in grado di vederla, non vuol dire che non ci sia. Bisogna lasciarle tempo.

Adesso scendi. Ci torni domani, se vuoi.

 
 
 

L'immobilità mi tortura

Post n°158 pubblicato il 23 Maggio 2012 da bambiblu1310
 
Foto di bambiblu1310

Ho fatto cose, nei giorni scorsi.

Tante cose.

ho scritto molto, ormai scrivere occupa il 60-70% del mio tempo, e della mia mente. Ed è bellissimo, perché amo scrivere, ed è utile, perchè la scrittura è una cosa che si allena, e che migliora e diventa più agevole man mano che la si utilizza.

Ma è anche faticoso, perché non scrivo solo post, ma comunicati stampa, presentazioni di corsi, testi pubblicitari, e articoli. E le difficoltà sono molteplici.

Intanto, la lunghezza. Un post è in media di 2000 caratteri, un articolo ne vuole almeno 8000. E io dopo i 5000 vengo colta dall'horror vacui, dalla vertigine, non so più come andare avanti. La verità è che ho sempre fatto del dono della sintesi un mio punto di forza , e ora mi trovo a dover invece essere prolissa, ma non noiosa, veloce, ma non breve. Insomma, un gioco di equilibri che inizialmente mette un po' alla prova.

E poi gli argomenti. Tendenzialmente parlo, ovviamente, di yoga. E questo è un bene, almeno conosco l'argomento. Ma è anche un male, il rischio ripetitività è dietro l'angolo. E anche il rischio noia. Perché scrivere su commissione, su un argomento "dato" non è la stessa cosa che scrivere di getto, perché si ha voglia di raccontare qualcosa.

E poi, le scadenze. I post li scrivo quando ne sento il bisogno, quando sono "presente" con la testa e ho il tempo di farlo. Qui non funziona così. Qui devo scrivere e basta, qui ho scadenze da rispettare, e bisogna che trovi il giusto ritmo anche quel giorno che invece proprio la testa non ci vuole stare ferma, a mettere nero su bianco pensieri che non trova.

Scrivere è un lavoro in cui la mente fa nascere dal nulla parole, pensieri, concetti e se la mente non è collegata, è difficile tirare fuori qualcosa di buono.

Ma si impara.

Tutto questo, sto scoprendo, si impara. Scrivere "a comando" sta diventando ogni giorno meno complicato, e ho scoperto che la mente, esattamente come fanno i muscoli, si "scalda". E anche se parte un po' in sordina, senza voglia, senza collaborare, poi prende il ritmo, e regala inaspettatamente cose buone anche quando non l'avresti mai detto.

Insomma, dicevo, presa dalle scadenze e dall'ispirazione, ho fatto cose. E mandato in giro i miei lavori.

Ed ora devo aspettare. Devo aspettare le risposte alle email che ho mandato. Devo aspettare l'uscita del giornale per vedere come sono venuti gli articoli, e quanto li hanno modificati. Devo aspettare del lavoro, che so che deve arrivare, ma tarda, e che poi arriverà, e sarà da fare per ieri.

Odio questo momento. La staticità. L'attesa. Quella parte in cui le cose ormai sono fuori dal mio controllo, e posso solo aspettare che si muovano gli altri.

Insomma, l'immobilità mi tortura.

 

 

 
 
 

Voglia di.

Post n°157 pubblicato il 18 Maggio 2012 da bambiblu1310
 
Foto di bambiblu1310

Voglia di sandali e valigie.

Voglia di sole. Di quel sole che ti entra nelle ossa, che ti brucia in viso, che ti rimane negli occhi anche quando li hai chiusi. Il sole di un cielo terso, pulito. 

Voglia di blu, del cielo e del mare. E voglia di sabbia. dappertutto, nei piedi, nei vestiti, tra i capelli.

Voglia di vento tra i capelli, di camminare fino a sentire le gambe stanche, i piedi fare male.

Voglia di ridere, di cantare. Voglia di saltare, col cuore in gola, in un'esplosione di gioia.

Voglia di andare. Ma anche di restare.

Voglia di emozionarmi, di piangere fino a farmi venire il mal di testa. Quel mal di testa che ti viene solo dopo che hai pianto. E che non va mai via.

Voglia di vedere gente. Ma anche di stare da sola.

Voglia di stare sotto le coperte fino a tardi, facendo finta che il mondo, là fuori, non esiste. 

Ma anche voglia di uscire, nel mondo, a incrociare la gente che passa. Voglia di guardare gli altri, e immaginare la loro vita, i loro pensieri.

Voglia di pane e nutella, di un piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino, di una birra ghiacciata.

Insomma, oggi ho voglia di vivere.

 
 
 

Una tuta rossa

Post n°156 pubblicato il 16 Maggio 2012 da bambiblu1310
 
Foto di bambiblu1310

V. è di Brescia. 

La conosco giovedì scorso, insieme agli altri ragazzi del corso insegnanti con cui condividerò l'ultimo week end di questo lungo percorso.

Non è il mio gruppo, loro erano ad Alessandria la settimana scorsa. Ma io avevo troppe scadenze, e d'accordo con il mio maestro e guru, nonchè datore di lavoro, si è deciso che sarei andata nel fine settimana successivo.

In mezzo a trenta sconosciuti. Ottimo.

V. è una di loro. 

Fisicamente minuta, mi colpisce subito, durante la pratica, per la forza inaspettata nel fare le asana. Fa di tutto, verticali, posizioni di forza, di equilibrio, e tutte perfettamente allineate, apparentemente senza alcuno sforzo.

La seconda cosa che attira la mia attenzione è la sua tuta rossa. Io che vivo nelle varie sfumature di grigio, vengo sempre attirata dai colori sgargianti, e la sua tuta è impossibile non  notarla. Anche perché, mentre io sudo in leggins e canotta, e cioè vestita il meno possibile per affrontare le 5 ore di pratica quotidiana con 30 gradi, lei non toglie MAI la felpa. E non suda. 

Mi convinco in fretta che in realtà sia fatta di amianto

La donna d'amianto, scopro poi a cena, è anche simpatica.

Una forza della natura anche nello spirito, è travolgente, ironica, leggera ma acutissima. Insomma, leghiamo subito.

Le prime sere scorrono leggere, tutti assieme attorno al tavolo, dopo cena, a chiacchierare fino a che non cala la luce, e la stanchezza ci travolge. Insomma, alle 22.30 siamo sempre tutti a letto.

Ma sabato no. Sabato è l'ultima sera, abbiamo fatto ore e ore di pratica fortemente energizzante, abbiamo ballato, saltato, qualcuno ha pianto. Insomma, sabato siamo carichi come sveglie.

E così, dopo cena, non si va subito a dormire. Restiamo lì a lungo, a parlare, a conoscerci meglio. Dopo tre giorni con loro, mi sento perfettamente integrata nel gruppo. E' una serata stupenda, ridiamo fino alle lacrime, affrontiamo discorsi seri, qualcuno canta. Ma la stanchezza piano piano arriva e uno alla volta vanno via tutti, stanchi e vinti. 

Io e V. no. Rimaniamo lì, a raccontarci le nostre vite, a scoprire qualcosa di noi che non avremmo mai immaginato di raccontare ad un'estranea, a scoprire affinità e diversità. A gioire dell'esserci incontrate.

Facciamo le 2, tra tisane e parole.

Alle 8 della domenica mattina siamo già in sala pratica, pronte per le ultime 4 ore di lavoro. Il più duro, il più faticoso di tutto il fine settimana. Io e V, distrutte e senza aver dormito, strisciamo sul tappetino fino a stremarci. Io sudata fradicia, in canotta e mini leggins, lei perfetta e inossidabile nella sua tuta rossa.

Perché la vita a volte ti regala degli incontri inaspettati e sorprendenti. Fa capitare sulla tua strada persone bellissime, che ti arricchiscono la vita.

Bisogna solo saperle riconoscere.

 
 
 

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Il Caos Regna..

Si dice che occorre perdersi, per potersi ritrovare. 

Io ho deciso di lasciarmi andare, di seguire il vento e di smarrirmi, per scoprire se riuscirò a ritrovarmi.

Questo blog vuole essere un po' un diario di viaggio, un compagno che passo passo mi accompagna lungo la strada, ma anche una piccola ancora di salvezza che, come i sassolini di pollicino, possa aiutarmi a tornare a casa, se dovessi perdermi troppo... 

 

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